XLIV. Tortuga: Incursione

Le ruote dei cannoni calpestavano i rami umidi e gli arbusti sul suolo della palude che costeggiava la piantagione sul lato est. Il loro lento moto scandiva il ritmo della marcia di ribelli e pirati verso il bersaglio, la meta dove avrebbero sparso fiamme e sangue in nome del loro scopo, diverso eppur convergente. I corsari della ciurma di Lobos proseguivano in massa perlopiù alla sinistra delle armi trasportate dagli uomini di Amon, che insieme a Lavy e Santiago Lobos formava la linea retta che capeggiava il vasto gruppo di guerrieri. Dietro la piratessa, Hector e Flicker dettavano il passo dei loro affiliati, mentre alle spalle del capitano dalla lunga coda bionda cascante dietro la nuca si trovavano i suoi uomini, più numerosi.

Lavy aveva acconsentito a lasciare che alcuni dei suoi, tra cui Nick e Kidd, raggiungessero Selkis e gli altri ribelli al centro della città per aiutare nella loro parte del piano, ovvero devastare la tenuta del governatore e gettare il caos su Tortuga per disperdere le forze nemiche su due frangenti. Dopo l'accettazione da parte di Lobos di mandare a sua volta Enrique, il quartiermastro, la ragazza aveva finalmente messo da parte paranoie e diffidenze, accettando di lasciare alcuni dei suoi più fedeli seguaci con gente sconosciuta, che però condivideva il suo scopo, per il momento.

Di certo, allo stato attuale delle cose non trovava motivi per cui essere tradita da loro. Fino alla fine dell'assalto conveniva a entrambi cooperare, e una volta esauritasi la violenza di quella notte funesta, si sarebbero divisi per seguire ognuno la propria via, con le proprie conquiste. Ricchezze e merci per i pirati, giustizia e vendetta per i ribelli.

Coloro da cui doveva guardarsi, infatti, erano i membri che riempivano le fila dell'altro equipaggio presente sul campo di battaglia. In particolare, una persona, colei che era così in fretta diventata una sua rivale, e con cui allo stesso tempo sentiva una connessione nascosta molto in profondità, seppur intensa, profonda. L'affinità tra le aure ricolme di impeto che riverberavano attorno ai loro sguardi era forte, tanto da indurre Lavy a immaginare che quella determinazione in comune provenisse da un processo simile, anche se vissuto in modo diverso. Ossia, un adattamento a una realtà che non apparteneva loro. Almeno non in origine.

Lavy non aveva intenzione di valutare la veridicità di quell'intuizione nel breve periodo, e forse anche nel lungo. Dopotutto, Ariana Salinas cercava proprio ciò che desiderava anche lei, ed era sua volontà quella di anticiparla e vincere la disputa. Proprio per questo, un dettaglio preoccupava alquanto la giovane scozzese.

Non vedeva Ariana da nessuna parte.

Ovunque voltasse lo sguardo, mentre camminava all'unisono con tutti gli altri sul suolo per metà impantanato dalla palude e scorgeva dalla distanza le mura di cinta della piantagione stagliarsi verso l'alto, con i salici a far loro da cornice, non riusciva a distinguere la sua aitante figura, i suoi capelli crespi, le sue vesti leggiadre. Era nascosta, anche troppo bene. Era un'ombra tra le fila alleate.

"Dov'è?" si domandò il capitano Sabers.

Sentiva l'ansia crescere in lei, i ronzii degli insetti e i gorgoglii degli stagni attorno erano amplificati nelle sue orecchie per l'estrema concentrazione che acuiva i suoi sensi. Era certa che snervarla fosse proprio l'intento di Ariana. Non concederle punti di riferimento, esasperarla e soffiarle la chiave grazie agli errori che l'avrebbe indotta a commettere.

"Dove diavolo è?" La cercava, bramava mettere a fuoco la sua silhouette in quella fitta folla. Voleva vederla.

Infine, decise di inalare un lungo respiro, e si calmò man mano. Doveva restare serena, sicura e dirigere i suoi uomini, prima di tutto. Poi, avrebbe trovato il modo di contrattaccare ai trucchetti di quella ragazza. Se voleva una sfida di nervi e velocità, l'avrebbe assecondata. D'altronde, sapeva già dove andare per trovare la chiave. E forse proprio per quello Ariana non si faceva vedere.

Intanto, le mura erano vicine, e Amon aveva una mano alzata al cielo, come a comunicare a tutti di fermarsi. E così accadde, un istante dopo il suo gesto secco. I cannoni si arrestarono con stridenti rumori metallici. L'autorità dell'uomo in testa al gruppo era tangibile, risultava impossibile non essere catturati dalla possenza della sua schiena eretta e delle sue spalle dritte. Persino Lavy non seppe esimersi dall'indugiare su di lui, e l'effetto che le trasmise fu ampliato dalla visuale che aveva sui suoi occhi sgranati e colmi di fuoco puro. Il fuoco dell'odio.

Il suo spirito furioso aleggiava su ogni metro occupato dagli invasori. Ognuno era pronto per scatenare l'ira che Amon recava con sé.

Lavy si voltò verso Hector e Kidd, che le rivolsero sguardi rassicuranti e tesero i muscoli, con ascia e pugnali sguainati per la battaglia.

"Non abbiate pietà." disse solo la loro leader, in tono basso e fermo.

"Non devi dubitare di me e di Susannah." ammiccò il gigante, sferrando qualche colpetto agile al manico dell'arma da lui rinominata. Kidd invece annuì senza aggiungere altro.

Amon mosse il braccio in orizzontale verso le mura, e diede il via allo scontro.

"Bruceranno con noi..." mormorò, forse un intimo mantra che ripeteva a sé stesso. Poi, alzò il volume della sua voce, fino a gridare l'ordine ai cannonieri. "Aprite il fuoco!"

L'assalto alla piantagione di Prince in questo modo poté cominciare.

Il vice ammiraglio Jean-Baptiste Ducasse osservava le mura di cinta con trepidazione.

Sentiva un accennato pizzicore all'interno del petto e lungo la gola, ma la tensione che provava terminava lì, e la sua autoritaria e alta figura non lasciava trasparire nemmeno quelle naturali sensazioni di disagio che si provano in prossimità di una crisi da risolvere. Era questo il motivo per cui molti incarichi e altrettanti problemi da fronteggiare erano affidati a lui dalla marina francese, specie quelli riguardanti gli squilibri causati dalla pirateria dilagante tra i domini della corona nelle Indie Occidentali, e dalle varie turbolenze che sovente affliggevano quella porzione di mondo. Lui non si scomponeva mai, e sapeva sempre come eliminare ogni minaccia.

Non mostrava tentennamenti nemmeno quando il suo dovere si scontrava con la sua tempra morale, neanche quando era costretto a proteggere persone come quell'uomo disgustoso, Lawrence Prince. Uno che si prendeva la libertà di usare il corpo delle sue schiave per il suo piacere personale, che come molti basava la sua fortuna sullo sfruttamento di esseri umani fino allo stremo.

Ducasse ne aveva visti molti, di schiavisti, ce n'erano di vario tipo. Alcuni trattavano con relativa dignità la loro merce, altri erano sadici e crudeli, altri ancora vivevano il tutto con professionalità. Lui si era sempre sentito diverso per le opinioni che sosteneva, ma che non aveva mai esternato. Per quanto fosse consono possedere schiavi, privare persone della libertà, a Jean-Baptiste non era mai sembrato giusto. Tuttavia, aveva sempre svolto il suo lavoro senza batter ciglio, perché un soldato doveva la sua fama all'integrità e all'onore, nonché alla produttività. Di certo non a idee personali.

Era un vice ammiraglio, ed eseguiva ogni suo compito nel modo migliore possibile. Quella volta di certo non faceva eccezione.

Per qualsiasi altra persona sarebbe stato difficile prevedere un attacco improvviso di una cellula ribelle sconosciuta, forse sarebbe stato impossibile per lui proteggere la chiave sottratta ai pirati e depositata negli alloggi privati della piantagione. Invece, era pronto a rispondere al fuoco.

Perché lui era stato avvertito.

Per questo motivo, quando il boato fragoroso della palla di cannone sparata sulle mura fu seguita dalla loro distruzione, dal crollo della pietra sul prato coltivato, e dal riversamento furente nella piantagione dei rozzi invasori, non ne fu sorpreso. Tantomeno lo furono i marines schierati con moschetti, sciabole e mortai in file simmetriche dietro di lui per metri e metri. La bandiera francese svettava oscillante, alta al di sopra dello schieramento rigoroso, scurita dal paesaggio serale.

Ducasse posò le dita sul manico dello spadone pendente dalla cintura, la sua giubba blu ondeggiò nella corrente provocata dall'esplosione mista al caldo vento di Tortuga. Le fiamme divampavano nei suoi occhi chiari e affilati, colorandoli di roventi sfumature cremisi.

Anche stavolta avrebbe schiacciato il nemico. Anche stavolta avrebbe arrecato gloria al suo nome, al suo titolo e alla sua patria.

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