IX. Il Tesoro Spagnolo: Quella spinta in più
Gli stivali di Charles Vane erano incrociati sulla scrivania al centro della cabina, accanto alla sua lunga sciabola riposta nel fodero, poggiata sul piano legnoso. Una mappa sgualcita rappresentante l'America centrale sfiorava il tessuto logoro delle calzature e da una candela consumata aleggiava un fumetto sbiadito che profumava l'aria col suo acre aroma.
La cabina del capitano Vane naturalmente era situata sotto il ponte di poppa, dove si trovava il timone, e appariva come uno spartano alloggio dall'arredamento composto da una brandina con materassino, un ingombrante appendiabiti per le vesti leggere che l'uomo soleva indossare, alcuni ripiani ai lati dove erano collezionati dei libri di vario tipo, da quelli di navigazione a quelli d'avventura alle poesie, e la scrivania sulla quale l'uomo sostava, stravaccato con la schiena sulla sedia e un'espressione corrucciata sul volto.
Alcuni rintocchi al portone di fronte fecero destare Vane dal suo stato riflessivo, il suo capo si sollevò rasentando il fastidio. Non amava essere disturbato nei momenti di solitudine, specialmente se era intento a riflettere su qualcosa di importante come il piano d'azione della sua spedizione.
Per sua fortuna, si sentì sollevato quando si rese conto che l'uomo fuori dalla porta altri non era che Jack Rackham. Il suo consigliere più fidato e compagno di vecchia data fin da quando la sua ciurma era appena stata formata, alcuni anni prima, e solcava i mari sul suo ormai celebre sloop: la Roger, dove si trovava al momento.
Ai tempi, quando Jack era entrato a farne parte, Anne era già al suo fianco, ricordava Vane.
Dopo il carenaggio, la spedizione era finalmente avviata, così lui e Jack erano partiti dalla spiaggia nei pressi del forte con la Roger, mentre Anne e Lavy avevano preso il controllo di una delle due corvette. La seconda era spettata al quartiermastro Butcher, dell'equipaggio di Edgar England, che si trovava ancora nella stiva dell'imbarcazione a causa delle ferite riportate durante gli ultimi turbolenti sviluppi a Nassau. La sua volontà ferrea nel partecipare era stata più forte delle raccomandazioni del medico di bordo di restare a terra.
L'ultima corvetta invece era inutilizzabile a causa dell'incendio in cui era stata coinvolta.
Jack fece il suo ingresso con il solito passo accorto e l'espressione cauta quanto confidente sul volto, attraversato dalle basette ben curate. Le iridi erano coperte in parte dagli occhialini scuri che indossava, e il foulard attorno al collo gli conferiva un certo stile, un'eleganza che lo caratterizzava e rendeva distinto tra i rozzi corsari che di solito si incontravano sulle navi.
"Pensavo ti stessi occupando della navigazione, Rackham." lo accolse Charles, alzando appena il capo mentre l'altro si richiudeva la porta alle spalle.
"L'ho affidata per un momento a qualcun altro, ormai siamo comunque prossimi alla meta: L'accampamento di Palma de Ayz. Le coste della Florida sono già visibili. Proprio a tal proposito, avevo un dubbio da esternare con te, capitano." Jack iniziò a dibattere con la consueta parlantina spigliata che lo contraddistingueva.
"Hai sempre dubbi da esternare, tu, fin da quando ci conosciamo. Sentiamo stavolta cos'è che ti fa pensare più del dovuto." concesse Vane, sospirante.
Era sempre stato del tutto diverso dal suo quartiermastro, più istintivo e concreto, meno incline a rimuginare. Sapeva che agire era spesso il modo migliore per anticipare gli eventi, per non lasciare che gli piovessero addosso come tempeste, ma allo stesso tempo dentro di sé era rassicurato dal fatto di avere con sé una risorsa come Jack. Qualcuno in grado di tenere conto anche degli imprevisti più infidi e nascosti.
"Quell'accampamento accanto alla Florida forse è troppo vicino al suolo americano, potremmo inimicarci anche la corona inglese oltre a quella spagnola, se diamo troppo nell'occhio. Raccomanderei di essere rapidi e lasciare il più in fretta possibile l'isola dopo l'assedio al galeone." disse dunque Rackham.
Vane schioccò la lingua. "Non sono un incosciente, Jack. So quanto sia rischioso questo piano e so quanto sia folle mettersi contro le più grandi potenze europee." i suoi stivali lasciarono la superficie della scrivania e la schiena si raddrizzò. Puntò gli occhi fiammeggianti verso l'altro, pieni di ardore, spregiudicatezza e coraggio. Un'ambizione enorme lo dominava, eppure sembrava essere razionale nella sua tenacia, se ciò aveva senso.
Jack non riusciva a evitare di sentirsi in soggezione ogni volta che il suo capitano assumeva quello sguardo.
"Ma so anche quanto questo tesoro naufragato sia prezioso per Nassau, che ci permetterà di muovere i primi passi verso la vera indipendenza, quella che saremo abbastanza forti da difendere dopo esserci arricchiti. Non capiterà più un'occasione come questa e non sarò io a lasciarmela sfuggire per codardia." concluse Charles.
Dal canto suo, Jack aggrottò le sopracciglia, gli occhi pervasi da un misto fra ammirazione e timore nei confronti dell'uomo di fronte a lui. Da ogni sua fibra trasudava forza. Era quello il motivo per cui lo seguiva, pensò. Quel carisma diverso da tutti gli altri, che solo pochi possedevano al mondo. Quella spinta in più.
"Mi chiedo spesso come tu faccia a essere così sicuro di quando agire. Dove trovi tutta quella confidenza in te stesso anche nei momenti più incerti."
Vane sogghignò appena, la linea sottile che formava le sue labbra si incurvò verso l'alto, sotto il naso triste e un po' storto, simile a una luna crescente. "Non si tratta solo di sicurezza. Per restare sempre in piedi a combattere spesso conta anche la fortuna, Rackham. Ciò che conta è essere abbastanza forti da resistere quando questa ci è sfavorevole..." affermò. La candela sul ripiano ligneo disegnava un'ombra spettrale nei suoi occhi turchesi. "... ed esserlo ancora di più quando gioca a nostro favore."
La superficie ruvida del timone a contatto con la pelle trasmetteva un brivido intenso e particolare nelle membra di Lavy.
Si trovava a bordo della corvetta che era stata assegnata a lei e ai suoi uomini, per la precisione sul ponte di poppa, a gestire la navigazione. Il vento soffiava costante verso nord-ovest, la rotta verso cui il trio di navi era diretto, come se volesse assisterle nell'itinerario. Le ciocche sotto il tricorno danzavano leggiadre al ritmo flebile ma insistente dettato dall'aria attorno a esse, la lunga veste grigiastra svolazzava, donandole dinamicità.
Accanto a lei, poggiato con i gomiti sul parapetto davanti al timone, Danny pareva sovrappensiero come al solito, mentre più in là, alla sua sinistra, Anne, che la accompagnava assieme a un piccolo numero di uomini di Vane, se ne stava con la schiena contro la parete, intenta ad affilare la lama di un pugnale sfregandola contro il retro del suo spadino.
Lavy si concesse un secondo per studiare la scena davanti ai suoi occhi: in basso, sul versante centrale del ponte, i corsari a bordo svolgevano le varie mansioni che competevano loro. Alcuni stavano slegando il sartiame per prepararsi a spiegare le vele degli alberi di mezzana, di trinchetto e di maestra, come lei aveva richiesto in modo da sfruttare al massimo il vento favorevole.
Le vedette scrutavano il mare sconfinato dalle cime ai lati dell'imbarcazione, e altri uomini lucidavano pareti, cannoni e pavimento della corvetta.
Osservando quello scenario dall'alto del timone, in controllo della situazione, Lavy non poté fare a meno di sentire un groppo allo stomaco. Il sogno di quella ragazza esuberante e ingenua che lasciò Fionnphort si era infine avverato, stava davvero governando una nave e una ciurma, stava solcando veramente i mari. Un senso di intrinseca gioia, quasi di fierezza, le accartocciò lo stomaco. Forse un residuo di quella parte di lei ormai sepolta sotto lo strato esterno di indifferenza che adesso mostrava. La testimonianza che non era ancora morta.
Quei sentimenti scemavano all'istante, suo malgrado, nel momento in cui ricordava come era arrivata a quel traguardo.
Tuttavia, Lavy decise di cavalcare l'onda e in un moto di vitalità prese fiato, ispirando più aria possibile per riempire appieno i suoi polmoni.
"Forza, uomini! Sciogliete gabbie, velacci e controvelacci! Sfruttare ogni millimetro di vela! Prendiamoci tutto il vento che c'è!" gridò a gran voce, il tono autoritario e vigoroso, come se quello fosse il suo stato naturale, il suo posto. Nonostante tutto, era nata per quello, lo sentiva.
L'aveva cercato, aveva sofferto, pianto e sanguinato. Ma, alla fine, l'aveva anche raggiunto. E nessuno glielo avrebbe mai sottratto.
Non senza perdere a sua volta ogni goccia di sangue e lacrime che aveva versato lei stessa in quei mesi.
Attratti dalla forza d'animo e dall'autorità scaturita dalla piratessa, oltre che dalla bellezza e l'eleganza che il comando accentuava in lei, i membri dell'equipaggio, sia suoi che di Vane, non esitarono un istante a soddisfare le sue richieste.
Furono sciolti i velacci dell'albero di trinchetto, il tessuto delle enormi vele di quello di maestra si dispiegò, attraversato dal vento, il suono del sartiame liberato riempì tutto l'ambiente col suo scatto radente e continuo.
Anne fissò Lavy, leggendo per la prima volta sul suo viso una traccia di euforia. Vide la vita nei suoi occhi semicelati dal copricapo, laddove fino a quel momento aveva trovato solo vuoto. Adesso erano impetuosi come il vento che spirava alle sue spalle, scompigliandole i capelli.
Si accorse di provare ammirazione nei suoi confronti. Attrazione, in un certo senso. Si sentiva indotta a seguirla, lo stesso effetto che avvertiva quando era dinanzi al suo superiore, Charles Vane. Erano fatti della stessa pasta, capì.
Erano capitani.
Nessuno li aveva eletti, tantomeno si erano autoproclamati tali. Semplicemente, le persone diventavano loro seguaci dopo averli conosciuti. L'istinto glielo suggeriva. Il riconoscimento in loro dell'ambizione. Era qualcosa di innato, che non si poteva ottenere col semplice sforzo. O la si possedeva, oppure no.
D'un tratto, Lavy si sporse dal timone, poiché una scena mimetizzata fra i movimenti frenetici dell'equipaggio l'aveva catturata. Nei pressi del boccaporto che fungeva da ingresso alla stiva, una sagoma a lei nota era accasciata al suolo, e fissava dal basso altre due persone dall'aria altezzosa.
Riconobbe subito quei lunghi e ondulati capelli di ciliegia, quel fisico magro e slanciato.
"Flick, prendi un attimo il timone." ordinò, senza guardare in faccia lo spadaccino.
Lui aggrottò la fronte. "D'accordo, Lavy. Anche se a dire il vero non ho molta dimestichezza con la navigazione."
"Andrà tutto bene, non devi fare nulla ora che la rotta verso la Florida è definita. In ogni caso, tornerò subito, devo controllare una cosa." rispose di fretta lei, per poi dirigersi agli scalini che conducevano sul ponte inferiore, verso la scena a cui aveva assistito di sottecchi.
Vedendosela passare accanto, e intuendo le sue intenzioni, Anne ruotò gli occhi al cielo, seccata.
Decise comunque di godersi lo spettacolo da lontano.
In poche lunghe falcate, Lavy raggiunse i tre nei pressi del passaggio verso gli alloggi, che conduceva verso il basso tramite una breve scalinata, e poté valutare meglio la situazione. Riconobbe in definitiva il ragazzo scozzese che aveva salvato durante il carenaggio. Era a terra, rannicchiato sui primi scalini, e due rozzi marinai continuavano a ridere di lui e denigrarlo.
Ciò che però colpì Lavy e la spinse concretamente a intervenire fu quello che trovò nell'espressione negli occhi del giovane quando li incrociò. Orgoglio e furore.
"Hai finito di rompere i coglioni su queste scale, Peterson? Dobbiamo andare di sotto!" grugnì uno degli assalitori.
"Mi chiamo Stevenson... e tra l'altro ce la fate perfettamente a passare, se-" le sue parole furono interrotte da uno spintone dell'altro pirata che andò pericolosamente vicino a fargli battere la nuca contro lo spigolo di uno scalino.
"Che cazzo hai da rispondere, frocio? Quando diciamo una cosa, tu la esegui e basta. Sei l'ultima ruota del carro qui, mozzo di merda." sbraitò.
"Non è nemmeno mai andato a puttane, 'sto verginello. Gli piaceranno davvero gli uomini!" lo derise il primo dei due, seguito da grasse e aspre risate del compagno.
"Non è così... e poi, anche se fosse? Non riuscite a lasciar vivere in pace le altre persone, bastardi?" in una scarica d'amor proprio, il giovane reagì rivolgendo loro quelle parole di sfida. Un errore che gli sarebbe costato come minimo un occhio nero.
Se una lunga cappa grigia da cui pendevano due sciabole non si fosse piazzata tra lui e i due, oscillando con leggiadria.
Il ragazzo strabuzzò le palpebre, ammirando dal basso la chioma cadente e voluminosa di quella donna, la stessa che aveva osservato con interesse durante l'operazione di carenaggio. Lavy Thomson, il capitano Sabers.
"Avete finito di sfogarvi sui più deboli, cazzi mosci?" si introdusse lei.
L'uomo che aveva spinto il povero mozzo parve accigliarsi e le rivolse un'occhiata truce. Era piuttosto massiccio e il suo alito sapeva molto di alcool, constatò con sprezzo Lavy.
"E perché mai dovremmo smettere, eh? Quell'imbranato cronico se le va a cercare, con la lingua lunga che ha." ruggì. "E poi, perché diavolo lo proteggi? È il tuo uomo? Potresti avere di molto meglio, sai..." ridacchiò, prendendola in giro assieme all'altro.
In tutta risposta, Lavy poggiò una mano sulla sciabola che pendeva alla sua destra. Una vaga apprensione si impadronì dei marinai.
"Sì, lui sta con me. È nella mia ciurma. Qualche problema?"
L'ira repressa che risiedeva nelle iridi della piratessa spaventò entrambi i corsari che la schermavano. Sapevano che quel mozzo non era davvero parte dell'equipaggio di Lavy Thomson, ma non osavano contraddirla. Sentivano chiaramente che quella donna non si sarebbe fatta pregare per sguainare le sue lame, e con ogni probabilità non sarebbe convenuto loro se l'avesse fatto. Troppa rabbia le faceva fremere i muscoli.
Sputando a terra, i due si allontanarono dalla zona, non senza prima borbottare qualche lamentela sugli svantaggi delle donne a bordo delle navi e sul loro debole per i bei faccini del cazzo.
"E-ecco... grazie." il ragazzo, che aveva osservano la scena dalle sue spalle in muta contemplazione, le rivolse la parola. La sua voce era calda e vellutata e sulle guance piene aleggiava un tenue rossore. "Anche per l'altra volta, quando mi hai salvato sulla spiaggia. Il primo ufficiale Anne Bonny mi ha raccontato tutto."
Lavy lo scrutò di sottecchi, voltando il capo di novanta gradi oltre la spalla. Ne studiò per qualche secondo i tratti e la forma. Era magro, sì, ma al contempo tonico, come se fosse abituato ai lavori pesanti. O come se avesse sempre lottato per sopravvivere in un mondo troppo duro per quello sguardo docile che aveva. La sua carnagione era piuttosto chiara e il viso delicato, dai lineamenti gentili, ma non troppo femmineo. La mascella e il mento erano abbastanza pronunciati da conferirgli virilità.
Il capitano Sabers si girò verso di lui e gli tese una mano, guardandolo intensamente dall'alto. "Alzati. Nick Stevenson, giusto?"
"S-sì, signora..." Nick si sorprese del fatto che una persona imponente e dura come lei ricordasse il suo nome. Vista da vicino, ora che la guardava meglio, gli sembrava molto più giovane di quanto apparisse dalla distanza, o dai racconti che circolavano su di lei a Nassau.
E, studiando per bene il suo viso, si rese conto che era identico al volto di quella persona.
L'unica differenza era che quella piratessa che ricordava da bambino sorrideva sempre, mentre la ragazza di fronte a lui sembrava mesta come una pioggia autunnale.
Una volta che Nick fu in piedi, Lavy notò che era piuttosto alto, superando di pochi centimetri il metro e ottanta. "Cerca di stare attento, non potrò sempre arrivare ad aiutarti, Nick. E puoi chiamarmi Lavy, se proprio devi rivolgerti a me con appellativi come signora." affermò. Dentro di sé provava un vago divertimento per i modi impacciati di esporsi del giovane.
"Lavy..." Nick sussurrò il suo nome quasi come se potesse rovinarsi nel caso ne avesse abusato.
"Lavy." confermò lei, evitando a fatica di smorzare un sorriso ironico.
Fece per tornare al timone, dove Anne e Flicker ancora la stavano attendendo, ma d'improvviso le balenò in mente una curiosità riguardo una cosa che uno dei due molestatori aveva detto.
"Se posso chiedere... perché sei vergine? Ci sono tanti bordelli in giro a Nassau, avresti potuto tranquillamente fare esperienze lì." per qualche motivo, ciò catturava la sua attenzione. Sentiva il bisogno di ascoltare la risposta di quel timido mozzo, di conoscere ciò che aveva in mente.
Forse perché, come lei, sembrava un pesce fuor d'acqua in quell'ambiente.
Nick si grattò la nuca con le dita lunghe e affusolate. I suoi occhi grigi, freddi eppur calorosi, furono attraversati da un velo di timidezza.
"Non mi piace dover pagare per amare una persona. Non apprezzo che sia costretta anche se non vuole. Chi si addormenterà con me, dovrà farlo perché mi ama, e mi desidera. Non perché sono uno dei suoi clienti. Personalmente, cerco qualcosa in più."
Lavy rimase interdetta a quelle parole rare ma in un certo senso familiari.
Personalmente, cerco qualcosa in più.
"Una volta un uomo mi ha rivolto le stesse parole." mormorò, d'un tratto quasi aggressiva.
"Oh, dev'essere stato un tipo interessante." sorrise Nick. "Che fine ha fatto?"
"Gli ho strappato la gola a morsi." rispose Lavy, voltandosi di colpo e avviandosi verso il timone, lasciando Nick Stevenson solo e confuso sugli scalini.
La testa del ragazzo fu annebbiata e la sua espressione divenne spiazzata a causa di quella reazione improvvisa. Non aveva compreso se quella ragazza, Lavy Thomson, fosse gentile come le sue azioni suggerivano o letale come la sua fama raccontava. Ciò che aveva percepito con chiarezza in lei, però, era qualcosa che per un ignoto motivo lo faceva star male, e lo metteva a disagio.
Un profondo dolore. E un odio ancor più grande.
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