III. Il Tesoro Spagnolo: Fragile Quiete

"Capitano England, le corvette sono alla nostra portata. Devo dare l'ordine di fare fuoco?" il quartiermastro stempiato dalla faccia arcigna si rivolse all'uomo avvolto nella lunga veste blu marino, con un'accesa sete di risultati negli occhi color paglia come i suoi ordinati capelli tirati verso sinistra.

Il mare era agitato, e il brigantino su cui si trovavano traballava, seguendo la danza tumultuosa delle onde, dalle quali spirava una brezza salmastra che rigava il viso degli uomini nella frenetica ciurma, seccando la loro pelle screpolata. Le vele erano spiegate per metà, poiché la corrente spirava forte e non ci si poteva affidare a essa per navigare in quello scenario ostile.

Henry Jennings, il capitano dallo sguardo di fuoco, scrutava le navi di modeste dimensioni finite nella sua imboscata al largo della costa della Florida. Il suo compito consisteva solo nell'ispezionare la zona del galeone del tesoro spagnolo naufragato, a bordo di una delle due navi che appartenevano al suo superiore.
Ma sulla tratta si erano imbattuti in due corvette francesi che trasportavano merci probabilmente dirette verso Santo Domingo, territorio del regno di Francia.

"Da' pure l'ordine, Butcher. Rubiamo un po' a re Luigi..." sogghignò, fervente, il pirata.

Butcher annuì con un sorriso, e si affrettò a impartire il comando alla ciurma, dirigendosi verso gli scompartimenti dove risiedevano i cannoni sul ponte.

"Fuoco!" il grido fu trasmesso a tutti i presenti, e ripetuto in un ardente eco che precedette lo sparo assordante.

Le palle di cannone perforarono le vele francesi, trapassarono lo scafo, spezzarono l'albero di mezzana, che crollò a poppa su alcuni corsari, spaccando schiene e crani.
L'altra corvetta rimasta rispose timidamente al fuoco in un gesto disperato, recando agli assalitori danni sottocoperta dopo che i colpi ebbero oltrepassato parte dello scafo, in basso, a babordo.
Ma il secondo ordine di England, ripreso dal quartiermastro Butcher, pose fine all'intensa seppur breve battaglia navale.

"Non affondate quei mangia-pagnotte! Abbordiamoli, portiamo le corvette al capitano per la spedizione!" urlò Henry Jennings, imbracciando una massiccia ascia, poggiata accanto al timone, e sollevandola al cielo con un braccio.

Le corde furono così lanciate e ancorate con i ganci ai parapetto delle imbarcazioni, in modo da trascinarle, fino a quando il brigantino fu allineato alle navi più piccole, e l'equipaggio le assaltò una alla volta.
I corsari delle navi mercantili francesi, meno abituati a battersi, furono fatti a pezzi, le loro membra lacerate, gli arti mutilati, le gole passate da parte a parte. Jennings era il più furibondo dei suoi uomini nell'assedio: tranciava braccia e teste con la spessa lama della sua ascia da battaglia, spezzava ossa e perforava sterni col manico.
Puntando a impossessarsi delle navi, i pirati invasori non avevano alcun interesse nel lasciare superstiti, e soddisfecero così la fame di violenza che risiedeva nella zona più animalesca del loro animo.

Quando tutto terminò, solo pochi uomini rientravano tra le perdite di England, mentre le ciurme delle corvette avevano cessato d'esistere.

Si udiva solamente lo scorrere delle biancheggianti onde, le folate del rigido vento proveniente da ovest, il cigolio sordo del legno cullato dal letto azzurro e neutro del mare. L'odore del sangue era tutto ciò che restava come prova dello scempio causato su quella porzione d'oceano, della strage che nessuno avrebbe mai rivendicato, dell'alone di morte che aveva troneggiato sulle vittime braccate in quel terreno di crudeltà.

Jennings scrutò con attenzione dal ponte del suo brigantino le navi conquistate, studiandone la forma e lo stato.

"Torniamo a Nassau e riferiamo ciò che abbiamo scoperto sul galeone. Butcher, prendi il comando di una delle corvette, decidi tu a chi dell'equipaggio affidare l'altra. Al capitano Vane farà piacere possedere due mezzi in più per l'assalto agli spagnoli." affermò.

"Ricevuto." assentì il quartiermastro.

"Perfetto..." ghignò, euforico, l'altro. "Sento ancora i muscoli fremere!"

Il canto risonante dei pellicani riempiva l'atmosfera attorno al promontorio roccioso sul quale sedeva Lavy, simile a una sirena che contempla malinconica le acque dalle quali proviene. Le ciocche, umide per la brezza della marea, le accarezzavano le dolci guance, mentre il vento spirava gentile verso ovest e sospingeva la vellutata chioma della ragazza davanti agli occhi chiari e socchiusi.
Un'espressione di nostalgia aleggiava sul suo viso, e nel frattempo l'immagine dello strapiombo sul litorale di Fionnphort, simile a quello su cui adesso riposava con lo sguardo perso nell'oceano, si faceva strada nella sua testa, recandole un tenero dolore.

"È passato meno di un anno da quando salpai per le Indie Occidentali..." pensò la ragazza, riparata nell'intimità della solitudine, dove la sua interiorità poteva venire a galla nella sua purezza, senza riserve. "Quanto mi manca Fionnphort... quanto mi manca la mia Susan... chissà cosa direbbe se mi vedesse ora, se sapesse cos'ho fatto ad altre persone. E cosa è stato fatto a me." le palpebre di Lavy si incresparono, conferendo al suo volto un'espressione seria, quasi adirata in seguito ad alcuni ricordi che l'assalivano. "Purtroppo, quella non è più casa mia, ora Nassau è il luogo a cui appartengo, a cui appartiene Sabers." un breve sospiro scaturì dalle sue morbide labbra secche, poi si alzò e stiracchiò i muscoli, poggiando un mano sul suo tricorno per impedire che le volasse via dalla testa.

"Eppure, mi chiedo se adesso esista un luogo a cui appartiene Lavy." mormorò con un sorriso amaro.

Di certo né la piratessa che aveva guadagnato una tetra fama a New Providence, né la persona profondamente mutata nell'animo che Lavy sentiva di essere rispetto alla sé stessa di un tempo avevano il diritto di ammirare l'innocenza su un viso angelico come quello di Susan, o di godere della gentilezza dei genitori adottivi che l'avevano cresciuta.
Avrebbe recato loro nient'altro che sofferenze, ed era l'ultima cosa che voleva. Ora doveva solo pensare a sopravvivere e accrescere la sua importanza nel mondo che lei stessa aveva inseguito freneticamente mesi prima. Poiché non aveva altra scelta che assumersi le proprie responsabilità, accettando la donna che era diventata in seguito alle sue scelte. Una donna che nessuno più chiamava per nome, poiché era nota da quasi chiunque solo in un modo.

"Capitano Sabers!" Danny Flicker l'aveva raggiunta sullo scoglio sopra il quale era seduta, destandola dai suoi pensieri.

"Flicker. Ti ho detto che puoi chiamarmi Lavy." sbottò lei, accogliendolo con un mezzo broncio ironico. Le piaceva la compagnia di Danny, con lui accanto si sentiva più rilassata.

"Se per te va bene che un sottoposto della tua ciurma ti chiami per nome... allora va bene, Lavy." acconsentì l'uomo, rivolgendole un cenno del capo amichevole.

"Sei il mio quartiermastro, posso permettermi di concederti questa confidenza." voltò il capo la giovane.

"Non sapevo di avere già questo titolo." scherzò Danny.

"Adesso lo sai." ribadì Lavy. "E poi nella mia ciurma non ci saranno veri sottoposti. Le persone che vorranno seguirmi lo faranno finché avranno fiducia in me, e io in loro. Vorrei che la schiettezza reciproca fosse la cosa più importante e i dubbi mi venissero esposti senza remore. È questo il tipo di legame che vorrei creare. E vale anche per te, Flicker."

Per un attimo, Danny spalancò le palpebre, colpito da quelle parole atipiche per la gente che frequentava Nassau e solcava i mari compiendo saccheggi. Quasi utopistiche. Si chiese da dove provenisse quella ragazza che si differenziava dagli altri, a tratti sembrando un'estranea, come un'aquila libera tra avvoltoi affamati. Più sola, ma non per questo meno fiera.

"A proposito di ciurma, proprio di questo volevo parlarti: ho delle novità." cambiò argomento Flicker.

"Spero tu non abbia ricevuto tutti rifiuti." punzecchiò Lavy.

"Al contrario. Ho fatto ricerche tra i bassifondi alle spalle della scogliera dove si trovano i barboni, e nelle celle degli schiavi che ho... illecitamente liberato, diciamo così. Una quindicina di uomini ha accettato di unirsi a te. Una volta menzionato il capitano Sabers si sono subito convinti." affermò Flicker, gli occhi verdi dischiusi a sormontare un ghigno soddisfatto.

"Sei andato a cercare i più virtuosi, eh?" ironizzò l'altra. "Ma in fondo salvare chi ha toccato il fondo e donargli una speranza farà sì che la sua fedeltà sarà duratura, bel lavoro. Ora ci serve solo una nave." disse Lavy.

Flicker si grattò il mento irsuto, la chioma bianca come una scia di stelle svolazzava al vento che aumentava d'intensità, erodendo le rocce su cui i due discutevano.
"Forse se prendessi in considerazione la proposta di quei tre..." tentò.

"Intendi Charles Vane e la sua ciurma? Non mi fido di loro, soprattutto di quel subdolo bastardo del capitano. I suoi occhi vispi celano una fame che non mi piace. ma so bene che un'occasione del genere probabilmente non mi capiterà più, e facendomela sfuggire potrei non essere in grado di farmi un nome, di avere abbastanza denaro per una nave..." Lavy assunse un'aria pensierosa e, come sempre quando rifletteva, si voltò a scrutare l'orizzonte oltre l'oceano. "Qual è la tua opinione, Flicker?" chiese alla fine, voltandosi verso il seguace.

"Non ne sono sicuro, ma al momento non possiamo permetterci di essere schizzinosi, né nella scelta della ciurma, né degli alleati. Ci serve denaro e anche in fretta. E Vane può procurarcelo. Inoltre, ha una nomea piuttosto elevata sull'isola, e anche oltre: essergli amici è di sicuro meglio che stargli lontano o addirittura diventare suoi nemici." Danny espresse ciò che pensava, e le sue parole sembravano in parte essere condivise da Lavy, che infatti sospirò stancamente.

"Sei un tipo calmo e analitico, sento che mi sarai molto utile nel valutare situazioni come questa in futuro. Tuttavia, vorrei pensarci un altro po', Flicker. Se per te va bene." propose la piratessa.

"Non c'è problema, capitano."

"Lavy." lo corresse ancora lei. "Facciamo una cosa, io ti chiamerò Flick, così entrambi useremo nominativi confidenziali e non te ne dimenticherai."

Lui si mise a ridere di gusto.
"D'accordo! Non ho niente in contrario!" esclamò, divertito.

"Benissimo." sorrise Lavy. "Dai, andiamo a conoscere questi schiavi e barboni."

Le ciocche ramate e accese come un falò in piena notte di Anne le ricoprivano il viso arrossato e ansimante, mentre ondeggiavano in avanti per poi ricaderle sulle spalle, nude ed esili, al ritmo delle spinte ripetute del suo compagno dietro di lei. La pelle pallida e delicata, liscia come quella di un angelo e puntellata da sporadici e graziosi nei, era sudata e piacevolmente irritata in alcuni punti nei pressi delle natiche che erano stati lievemente percossi.

Alcuni sfuggenti quanto intensi gemiti le erano scivolati dalle labbra durante quella rude e frenetica danza, ma più proseguiva e più avvertiva il calore condiviso con il suo amante dissiparsi, il contatto delle sue mani che le esploravano i fianchi stretti allentarsi, il fuoco che mescolava le loro anime, rendendole una sola, raffreddarsi fino a tramutarsi lentamente in cenere e spegnersi. Tentò di ravvivarlo e riavvicinare l'essenza dell'uomo alla sua con movimenti sinuosi del bacino, cercò la sua mano per stringerla con forza, ma oramai il legame chi li univa in quel momento d'intimità si era spezzato e in Anne rimaneva solo amarezza, da cui scaturì frustrazione.

"Jack? Ci sei?" domandò, alquanto infastidita.

"Mh? Che è successo?" ribatté l'altro alle sue spalle, altrove con la mente.

"Ti si è ammosciato. Cazzo, è la seconda volta oggi." sbraitò Anne, ora seriamente furiosa per il distacco palese del compagno.

"Ah, scusa, Anne. Non ci avevo fatto caso. Ero sovrappensiero." disse Jack in tono assente.

A quelle parole, la ragazza dalla chioma ardente si voltò con un sospiro, e si mise a sedere sulle lenzuola candide del letto di una locanda interna di Nassau, invitando l'altro accanto a sé con un gesto rapido. Quando Jack l'ebbe assecondata, lei si avvinghiò al suo corpo in un abbraccio stretto, e poggiò il mento sulla sua spalla, cingendolo coi capelli crespi.

"Perché sei così distante oggi?" domandò la donna con improvvisa tenerezza. "Pensi alla spedizione?" aggiunse poi, in seguito al silenzio ostinato e poco conforme all'altro, che di solito aveva sempre la risposta pronta e la lingua tagliente.

"È che ci sono alcune questioni che non vogliono saperne di abbandonare la mia mente." si liberò Jack, le basette ispide contro le guance rosee e calde di Anne. "Charles sarà anche sicuro di riuscire a convincere tutti che quest'impresa ardua e folle sia possibile, ma mi preoccupa la posizione che altri si ostinano a mantenere in suo sfavore e alle conseguenze a cui potrebbero condurre questi dissapori..." l'uomo si perse negli occhi verdi dell'altra, cercando comprensione. "Se non restiamo tutti compatti, dopo un saccheggio come quello del galeone non resisteremo alla reazione della corona spagnola. O di quella inglese, o di chiunque decida di venire fin qui per sterminarci perché un bel giorno un qualsiasi governo avrà stabilito che siamo diventati troppo indipendenti. Non riesco a esimermi dal pensare che una vera unione duratura sia impossibile tra i capitani di Nassau, e questo potrebbe significare la rovina di questo posto libero che abbiamo costruito."

Anne scosse la testa e si scostò da lui, contrariata. "Queste sono problematiche che non ti hanno mai afflitto più di tanto, sai bene che in quel caso potremmo semplicemente scappare e salvarci da soli, al diavolo Charles, Nassau e tutto il resto. Ne abbiamo parlato centinaia di volte, io e te saremo liberi fino a quando l'uno avrà l'altra, Jack." la donna passò a uno sguardo accusatorio e un po' deluso nei suoi confronti, mentre allungava una mano verso i vestiti.

"In realtà stavi pensando ad altro... a lei, giusto?" Anne Bonny guardò Jack Rackham con occhi risentiti che lo fecero subito star male. "Hai paura che alcuni tra i nostri rivali possano avvicinarla e soffiarcela, perché reputi il suo cognome una potenziale minaccia, guarda che l'ho capito." continuò.

"Diamine, con te è davvero impossibile nascondere qualcosa, mh? Onestamente, il tuo intuito mi fa spavento." borbottò il corsaro.

"Le tue belle parole argute non funzionano con me, dovresti saperlo. Se non vuoi dirmi qualcosa allora omettila senza raccontarmi cazzate." Anne si vestì e si diresse verso l'uscita della camera, che si trovava al piano di sopra, con aria indignata. "E se ti preme così tanto il destino di quella Lavy Thomson, allora fatti scopare da lei." concluse, sbattendo la porta con furore.

Jack trasse un lungo respiro e si distese per un attimo sul letto, spossato.

Anne non si era mai fatta problemi su nulla, nemmeno se uno di loro due passava una notte con qualcun altro, poiché sapeva che nonostante ciò nessun legame sarebbe mai stato saldo come quello che condividevano. Ciò che non aveva mai sostenuto però, era che lui le raccontasse bugie, o non le riferisse apertamente i suoi pensieri, distorcendoli con mezze verità. La fiducia che li contraddistingueva da tutti gli altri, la capacità di intuire i propri pensieri con un solo sguardo erano la cosa a cui lei teneva di più al mondo. E lo stesso valeva per Jack.

Saremo liberi fino a quando l'uno avrà l'altra.

Era questa la promessa che si erano scambiati da quando si erano conosciuti, alcuni anni prima.

"Ah, che situazione." rifletté Rackham. "spero che quelle serpi non l'abbiano già notata..." stavolta i suoi pensieri erano indirizzati alla ragazza dai capelli blu che avevano pedinato per una settimana e poi adescato alla Steady Dock Inn con Charles e Anne.

In lei aveva rivisto quella donna spaventosa che aveva sempre un sorriso maniacale stampato sulla faccia e una fame insaziabile di scoperta, di avventura. Erano letteralmente due gocce d'acqua. Lavy e Ginny Thomson.

Siccome avevano lo stesso sangue, probabilmente Lavy avrebbe causato gli stessi guai, se non peggiori. E di sicuro certi capitani di sua conoscenza a Nassau non avrebbero esitato un attimo prima di cercare di portarla dalla loro parte, se lui non avesse agito in fretta.

Charles Vane puntava proprio su quella suggestione, sulla leggenda di Ginny Thomson alimentata dall'arrivo di sua figlia, Lavy, per dare adito al suo progetto. Averla dalla loro parte, dopo ciò che era anche stata in grado di fare in appena un mese da nuova arrivata, avrebbe sollevato un vespaio di consensi e ammirazioni tra i pirati di New Providence, ravvivato dall'immagine a lei sovrapposta di sua madre.

E Dio solo sapeva quanto ci fosse bisogno di uomini ed entusiasmo per dare vita alla spedizione volta al saccheggio di quel galeone spagnolo.

Jack alzò il capo e studiò la stanza con le sue iridi castane, alla ricerca dei panni che indossava.

Ma si accorse con orrore che non erano più presenti.

"Oi, ma ha portato via anche i miei vestiti? Non si fanno questi dispetti, Anne! Ora come esco?" gridò, allarmato. "Anne, Mi senti? Oh!"

Ma nessuno gli rispose e Jack rimase solo nella quiete del tardo pomeriggio, smorzata dai rumori esterni che filtravano attraverso le tendine della modesta finestra in mogano alle sue spalle.

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