Pensieri ardenti

Era un magnifico lunedì mattina, il sole splendeva alto nel cielo azzurro, gli uccellini cinguettavano allegramente e un leggero venticello rinfrescava l'aria primaverile che diventava ogni giorno sempre più calda data la vicina stagione estiva. Gli alberi erano ricoperti di fiori rosati alcuni dei quali si staccavano impigliandosi sui bruni capelli a caschetto della giovane Elibeth, studentessa del liceo, che camminava verso la piazza principale con lo zaino sulle spalle.

Nonostante il lunedì sia il giorno più odiato della settimana per ogni studente, Elibeth era felice perché quel giorno sarebbe partita con la sua classe per una gita scolastica, o come dicevano i suoi professori "uscita d'istruzione". In qualunque modo venisse chiamata, lo scopo era lo stesso per professori e alunni: saltare una giornata di stressante lavoro.

Dalle voci che giravano tra gli studenti, la classe avrebbe visitato un museo di storia, un luogo noioso agli occhi di alcuni, ma un libro aperto per Elibeth. Non fraintendetela, non era una secchiona ma le piaceva leggere e scrivere, scoprire nuovi mondi che esistevano solo nella fantasia degli autori e quale posto migliore per trarre ispirazione se non un museo di storia Medievale?

Il periodo buio del Medioevo aveva da sempre ispirato moltissimi scrittori e le loro opere. Si sa ben poco di quel periodo storico, ma ciò che più affascinava Elibeth erano le leggende. Stregonerie, magie, destino... magari qualche avventura amorosa, il vero amore di un soldato per la sua dama, le guerre che portano al distacco e la pace che riunisce i cuori.

«Elibeth Meddows?» disse il professore di storia chiamando il nome della ragazza leggendo l'appello.
Lei salì sull'autobus e si accomodò nella prima fila per non vomitare a causa del mal d'auto che la perseguitava da quindici anni. Era taciturna, preferiva stare in disparte a leggere un buon libro di qualche nuovo autore piuttosto che socializzare. Ormai tutta la scuola le stava alla larga per paura di prendere la sua malattia. Quale malattia? La tremenda cultura che mancava a tutti gli adolescenti.

«Bene ragazzi, la gita di oggi, come forse già sapete, si svolgerà al museo di storia medievale della nostra città! Vi prego di non fare marachelle, siate gentili e soprattutto non disturbate la nostra guida!» ordinò il professore.
«Un museo medievale! Magari riusciremo a riportare a casa una certa Meddows!» rise un ragazzo in fondo al veicolo prendendo in giro Elibeth e facendo ridere il resto dei passeggeri.
Ma la ragazza non si girò, un po' per non vomitare e un po' per non scatenare inutili discussioni, era ormai abituata a quei commenti, più cercava di restare in disparte e non dare nell'occhio, più i bulletti ne godevano. Passò le due ore di viaggio ad immaginare il museo, pensava ad una sala enorme interamente in marmo con delle pareti costituite da nicchie che contenevano i vecchi testi e tesori dei secoli precedenti. Magari sarebbero stati accompagnati da una guida giovane, affascinante e in grado di trasmettere anche ai più ignoranti la passione per la storia.

Purtroppo, le sue aspettative non avevano nulla a che fare con la realtà. Al posto dei suoi sogni, ella trovò una serie di piccole sale poco illuminate, stretti corridoi, pareti in roccia scura e pochissimi reperti archeologici custoditi in delle mediocri teche di vetro sporco. La guida poi era il colpo di grazia, un uomo pelato, grasso e sudato, con un doppio mento a tre strati, un paio di occhiali spessi un dito e una voce sottile e poco chiara che sarebbe riuscita anche a far annoiare le pareti, povere pareti.

Mentre camminava e scrutava lo sguardo imbarazzato del suo professore, sentì un rumore come una porta sbattere. Voltandosi notò la presenza di una porta, una porta socchiusa in legno chiaro con la maniglia d'oro.
«Cosa c'è lì dietro?» chiese incuriosita.
«Niente che ti riguardi ficcanaso.» risposa la guida con una voce più cupa e inquietante.
«Ho solo chiesto e siccome è suo lavoro rispondere alle mie domande poteva essere almeno un po' più cortese.» incalzò la ragazza visibilmente alterata.
«Meddows, lasciamo che il signore faccia il suo lavoro.» cercò di calmare le acque il professore che era visibilmente schierato a favore di Elibeth.
«Il suo lavoro è illustrarci il museo e rispondere alle nostre domande se non sbaglio.»
«Senti, io non ho il permesso di dirti cosa c'è lì dietro, chiaro?!»
«Chiarissimo.» rispose lei tenendo testa.
«Vuoi sapere davvero cosa nasconde quella porta socchiusa?» domandò infine con un ampio ghigno.
I suoi occhi divennero completamente neri con rosse venature, degli scuri rovi avvolsero il suo corpo e lo strinsero tanto da conficcargli nella pelle tutte le grosse spine, il pavimento si colorò di rosso, il rosso del suo sangue che goccia dopo goccia formò una grande pozza marcia. Spalancò poi la bocca che sembrava quasi priva di mandibola, vantava una dentatura splendente con due lunghi ed affilati canini e da essa fuoriuscirono centinaia di piume nere come la pece. Quando i rovi lo liberarono mutò in un'altra persona, un altro essere: un demone, affascinante e allo stesso tempo inquietante, il suo viso ben scolpito era ricoperto di venature, dalla sua schiena fuoriuscivano due enormi ali nere con cui si levò in aria. Gli studenti cominciarono ad urlare spaventati, cercarono di scappare ma nessuno poteva sfuggire ai magici rovi. Le pareti in roccia divennero di legno e le lampade si trasformarono in fiaccole.
«Volevate una gita nel Medioevo? Eccovi accontentati.» disse il demone aprendo la porta socchiusa.
Improvvisamente tutti gli studenti si ritrovarono legati a dei pali di legno proprio sopra un fuoco; percepivano il calore, sudavano, ma non erano abbastanza vicini per ustionarsi. Vicino a loro altri uomini ed altre donne erano avvolti dalle fiamme, condannati a morte, accusati di essere eretici o streghe.

Elibeth guardò il demone con occhi sognanti. Le varie leggende del periodo buio della storia, i demoni, gli stregoni, le streghe, era tutto vero.
«Sei tu il demone che mi rapirà per farmi diventare la regina degli inferi?» domandò a bocca spalancata, con sguardo sognante.
Al contrario di molti, la ragazza aveva da sempre sognato quel momento, anche se mai avrebbe pensato si sarebbe avverato. Tutte le leggende, tutte le magie, tutti i suoi sogni erano davanti ai suoi occhi in quell'esatto momento.
Il demone la guardò stupito, da anni lavorava sotto copertura in quel museo per cercare delle succose prede da dare in pasto alla regina degli inferi, ma Elibeth non aveva paura di un demone assassino e dunque era la ragazza giusta per cambiare il mondo. La profezia narrava di una ragazza che non avrebbe avuto paura, che avrebbe resistito alle tentazioni, una ragazza coraggiosa pronta a ristabilire la pace nel Medioevo perché si avverasse la storia che noi tutti conosciamo. Smise di battere le sue grandi ali e poggiò i piedi sul terreno fangoso, si avvicinò alla ragazza e la fissò mentre le fiamme intorno facevano risplendere i suoi occhi che sembravano perle nere. Dalla sua mano fuoriuscì una fiamma che dopo qualche secondo si spense lasciando spazio ad una bellissima rosa... o almeno lo era stata. Era totalmente appassita, i petali ormai secchi, giallastri e leggermente rosei sulle punte, lo stelo morto, scuro quasi nero, le spine, invece, pungevano ancora.

«Prendi questa rosa e salva il Medioevo.» disse sottovoce.
«Cosa devo fare?» domandò Elibeth stupita.
«Vai negli inferi e dai questa rosa alla strega.»
«Quale strega?»
«Floralist, la strega che trasforma tutto in piante.» spiegò con un filo di voce, tanto da essere quasi incomprensibile.
«Perché sussurri?»
«Tutti i confini temporali sono sotto il suo controllo, sotto il suo incantesimo. È cominciato tutto da questa rosa che è stata bruciata, la strega ha percepito il suo dolore come fosse il suo, i petali che lentamente prendevano fuoco, lo stelo che pian piano perdeva colorito, così decise di risparmiarla lasciandola appassita ma non morta. Lanciò poi una maledizione su tutto il nostro mondo, l'incantesimo si sarebbe spezzato solo se qualcuno, un mortale, si fosse recato negli inferi per ridare la rosa alla strega. Secondo la profezia, questo mortale sei tu, una ragazza coraggiosa, senza paure, disposta a sacrificare la propria vita per salvare il mondo. Se tu adesso riporti questa rosa alla strega tutti noi saremo salvi.»
Elibeth prese la rosa e la strinse affettuosamente senza curarsi delle spine. Poi guardò i prigionieri e le fiamme che si allargavano e bruciavano tutto ciò che trovavano sul loro cammino. Come potevano tutto il mondo, tutta la storia, tutte le vite del Medioevo dipendere da lei? Chi era lei? Una semplice ragazza appassionata di libri, appassionata di storie, che però aveva un dono, un dono raro che avevano in pochi, un dono che la rendeva la persona giusta per vincere ogni sfida, per superare ogni ostacolo: la fantasia.

«Il fuoco è il sinonimo degli inferi, quello è l'ingresso. Una volta entrata dovrai trovare Floralist e ridarle la rosa. C'è una sola regola: non fidarti di nessuno.» la mise in guardia il demone.
La ragazza camminò in direzione delle fiamme e vi mise una mano sopra. Al contrario delle aspettative, il calore non la bruciò quindi continuò ad avanzare finché il fuoco non l'avvolse completamente. A quel punto non riuscì più ad orientarsi, tutto era fuoco e nonostante gli sforzi non capiva dove andare. Quelli non erano gli inferi: il demone le aveva teso una trappola!
«Sbaglio o ti avevo detto di non fidarti?» infierì la creatura.
«Chi sei tu veramente?»
«Io sono Sicar, il demone per eccellenza nonché aiutante fidato di Floralist, strega cannibale e amante dei fiori. La mia regina cerca ogni anno dei giovani con cui sfamarsi, ma tu sei diversa, sei la ragazza della profezia.»
«Ho dunque un trattamento speciale?» domandò sarcastica.
«Verrai sottoposta a tre prove, se le supererai, Floralist sarà sconfitta, ma al primo errore verrai data in pasto a Floralist insieme a tutti i ragazzi che erano insieme a te al museo. Accetti la sfida?»
Elibeth non sapeva cosa fare, tutta la sua classe era rimasta intrappolata e il loro futuro dipendeva da lei. Da una studentessa riservata e mai notata, Elibeth era diventata la responsabile della vita di venticinque persone, da lei dipendeva la sopravvivenza o la morte di tutti coloro che mai si erano curati di lei. Ma in fondo, chi era lei per decidere la sorte di anime indifese? Lei poteva essere la loro salvatrice, doveva solo accettare.

La ragazza annuì e davanti a lei si materializzò un tavolo marmoreo sul quale apparvero due rose appassite, il demone vi adagiò la terza, quella di Floralist e con una potente fiammata le nascose. Dopo poco la fiamma si spense e le rose scomparvero.
«Ti mostrerò una rosa dopo l'altra, due saranno false e solo una sarà quella vera. Dovrai scegliere quali bruciare e quale lasciare integra.»
Il demone le mostrò le tre rose, lei si concentrò. Da quando la prese in mano per la prima volta, sentiva di aver stretto un particolare legame con quel fiore, uno strano legame. Percepiva ogni sensazione della pianta: dolore, sofferenza e paura. Queste emozioni così umane e così insolite per una pianta le permisero di superare la prima prova. Riuscì a riconoscere la rosa di Floralist e bruciò le due rose false.

Il demone rimase stupito e una nota di rabbia apparve sul suo volto inquietante. Davanti a loro apparve un ponte di legno, ma molte parti erano state incenerite, il passaggio sarebbe stato difficile, se non impossibile.
«Ecco a te la seconda sfida. Dovrai attraversare il ponte tenendo questa rosa in equilibrio sul capo. Se cadrai verrai arsa viva.»
Elibeth non si fece scoraggiare. Era convinta di poter superare la sfida, credeva nelle sue capacità. Chiuse gli occhi e cominciò a camminare. I suoi sensi erano sviluppati come se le forze della natura la stessero accompagnando creando nuovi gradini e agevolandole il cammino.
Il demone, notando la facilità con cui la ragazza stava per superare la prova, decise di aumentare la difficoltà, sganciando delle palle di fuoco sul ponte facendo cedere la parte già superata dalla ragazza che fu dunque costretta ad accelerare. Ma la difficoltà era troppa, non riusciva a correre alla velocità richiesta soprattutto con la rosa in equilibrio sulla testa. Non riusciva più a resistere, così si fermò e si lasciò cadere nelle fiamme.

Il demone gioì, ridendo in modo satanico, con una risata malefica che rimbombò da ogni parte e fece crollare tutto il ponte.
«È morta! È morta!» rideva compiaciuto.
Ma, come si dice, ride bene chi ride ultimo. Dal burrone infuocato risalì una creatura dal corpo di ragazza, ali di fuoco e una rosa appassita sulla testa: Elibeth. I "festeggiamenti" vennero interrotti bruscamente e la ragazza riuscì a raggiungere l'altra sponda sana e salva senza far cadere la rosa.

Il demone non sapeva cosa fare, così non gli rimase altra scelta che passare al piano di riserva.
«Complimenti giovane mortale, hai vinto, hai superato tutte le prove e hai sconfitto Floralist.» affermò.
Le fiamme si spensero e la ragazza si ritrovò in un posto che non aveva mai visto: un luogo innevato con fuocherelli sparsi di qua e di là e numerose lapidi. Era giunta negli inferi.
«Adesso, sei la regina degli inferi, la mia regina, e come riconoscenza ti offro la possibilità di esprimere un desiderio. Chiedi qualunque cosa e ti sarà data.»
Elibeth si accomodò su un trono, completamente nero e ben realizzato, con delle decorazioni sporgenti sui braccioli e la statuetta di un corvo sullo schienale.
«Ho imparato la lezione, Sicar. Tu mi avevi detto che avrei dovuto superare tre sfide, ma mi hai nominata vincitrice solo dopo due. Ebbene, se il mio sesto senso non mi inganna, questa è la terza sfida. Mi hai detto tu di non fidarmi di nessuno, vero?» disse la ragazza con aria di superiorità.
Sicar guardò la ragazza con occhi impauriti, era stato scoperto.
«Io, Elibeth Meddows, desidero che questa rosa appassita possa rinascere prendendo la vita dal demone immortale Sicar, ovvero nientemeno che la strega Floralist!» ordinò.
Lasciò cadere il fiore che sfiorando la pelle del demone lo trasformò in una splendida donna, con una carnagione bianchissima, rosse labbra e capelli ricci, neri come la pece. La donna venne avvolta dai rovi e, con un urlo disumano, si sciolse lasciando il suo posto ad una splendida rosa rossa.

Elibeth aveva vinto, aveva salvato il Medioevo. Davanti a lei ricomparve la porta socchiusa del museo e dunque la varcò vittoriosa. Aveva finalmente avuto il suo lieto fine, aveva finalmente vissuto la sua storia. Era dopotutto nata con il dono della fantasia e come poteva sfruttarlo se non vivendo la sua avventura?

«Meddows, si sente bene?» domandò il professore cercando di capire come mai la ragazza non smettesse di fissare la porta socchiusa del museo.
La ragazza annuì. Nessuno poteva anche solo immaginare cosa fosse successo alla studentessa... in fondo si era immaginata tutto.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top