32.

Pov. Volpe Bianca
Nonostante i miei sforzi continuavo ad essere bloccato in quel corridoio infernale...
Stavo lentamente rivivendo molte cose, ma ancora mi mancavano le ultime ventiquattro ore.
Iniziai a camminare da una parete all'altra mentre pensavo.
Forse c'era altro che dovevo ancora rivivere.
Mi fermai rotolando sulla schiena e fissai il soffitto, quelle assi in legno mi ricordavano qualcosa.

Ero sfinito, osservavo il tetto del laboratorio respirando affannosamente. Alla mia destra tre uomini stavano controllando qualcosa su un tavolo. Uno di loro poneva delle gocce in un calderone mentre un altro mescolava.
Un odore nauseabondo proveniva da quei contenitori, tanto da farmi venire il voltastomaco. Sollevai con molta fatica la testa provando a girarmi, ma finì solo con l'alzare la coda facendo cadere a terra una strana polvere viola.
I tre tizi se ne accorsero e cercarono di rimediare al mio casino.
Rotolai sulla pancia, la testa mi girava e mi sentivo confuso. Mi avevano dato qualcosa per stordirmi.
Barcollando feci qualche passo per poi notare una piccola volpe rossa addormentata.
Aveva un odore familiare, sembrava come quello della mia mamma, ma era troppo piccola per poter essere lei.
Mi avvicinai traballante finendo con il muso a terra a pochi centimetri da lei.
<<Che sta succedendo qui?>> La voce dello zio nel mentre era risuonata prepotentemente nella stanza.
<<La volpe ha fatto cadere la polvere Sire>>
<<E dov'è adesso?>> Domandò.
<<È lì, vicino alla sorella>> sorella? Quindi questa volpe dovrebbe essere mia parente? Ma come è possibile?

Ritornai al presente e stesi le zampe verso il soffitto. Mio padre era venuto a sapere di Liz poco prima della sua partenza, ma mi aveva tenuto all'oscuro di tutto, se poi non avessi letto da grande il suo diario a quest'ora avrei pensato che lui non sapesse nulla della figliastra.
Sbuffai facendo vibrare i lunghi baffi affilati e ricominciai a ricordare.

Avevo già compiuto dieci anni, mio padre era scomparso già da un po' e io e Liz trascorrevamo le nostre giornate chiusi in laboratorio, uscivamo solo quando Richard pretendeva la nostra presenza nel suo castello, ovvero durante le ore di lezione tra bonton e danze, autori di epoche lontane, componimenti musicali e nozioni di storia.
Solo in quelle occasioni ci era concesso diventare umani e andar da lui.
Richard non conosceva tutta la nostra situazione, ma provava una gran pena nel vederci sempre comandati a bacchetta da Walter per cui ogni volta che poteva ci mandava a chiamare per farci seguire dall'insegnante di Ethan.
<<Avete idea di come si esegui un minuetto?>> Aveva domandato l'insegnante di danza prima di prendere la manina di Liz, che aveva soli cinque anni, e condurla al centro della sala.
<<Il minuetto inizia con una coppia o una fila di coppie>> Rispose fiero Ethan <<segue l'inchino delle donne. La coppia fa tre passi avanti con il piede destro, muovendosi in fila. Quindi si voltano entrambi verso la spalla sinistra. Si danno la mano opposta. Tre passaggi vengono eseguiti in senso orario. Continuando a tenersi per mano, i ballerini fanno due passi avanti. La donna fa diversi passi lungo l'arco, superando l'uomo sul lato sinistro che a questo punto fa un passo indietro e uno a sinistra lateralmente. Alla fine, abbassano le mani.>>
Avevo capito ben poco di tutto quel discorso, ma per uno scherzo del destino quando ci toccò provare la mia esecuzione superò di gran lunga quella del biondo, forse per l'agilità che per natura caratterizzava le volpi o per il semplice fatto che piuttosto che concentrarmi sulla tecnica preferito seguire il ritmo della musica.
Liz divenne la nostra dama e a turni danzavamo con lei così con il passare degli anni lei divenne una ballerina di minuetto impeccabile, Ethan il cavaliere che le sbavava dietro e io il solito bravo che non si applicava.
Vedevo l'ora della danza più come una possibilità di evadere dalla mia prigione perciò avevo la premura di terminare sempre prima del dovuto per poter poi scappare nel bosco, lì sarei rimasto per ore se non mi fossi sempre ricordato che Liz rimaneva dentro quelle mura a sopportare le chiacchiere del biondo.
Prestavo invece più attenzione alle lezioni di letteratura che tra un'opera e l'altra riuscivano sempre a rapirmi.
Una volta ricordo di aver dovuto leggere una favola in greco e mi ero perdutamente innamorato della morale e di quella lingua così misteriosa.

Sbadigliai rimettendomi in piedi. Era mai possibile che fossi sempre allo stesso punto? Cosa mi sfuggiva ancora?

<<Andiamo Syl, non è poi così male Iceville>>.
Stavo passeggiando insieme a Liz lungo le stradine del nostro paese.
<<Lo so, ma è inevitabile per me ricollegarlo alla nostra infanzia>>.
La rossa mi superò posando le mani dietro la schiena e si voltò a guardarmi <<Ma adesso non devi più pensare a quei momenti. Siamo liberi ormai, Walter non potrà mai più costringerci a collaborare. Abbiamo entrambi ottenuto la nobiltà!>>
Sospirai raggiungendo mia sorella passandole accanto per proseguire dritto lungo la strada che dal villaggio ci avrebbe condotti nel bosco.
<<Non è così semplice Liz, nostro zio non si fermerà se non facciamo qualcosa e presto o tardi molte persone moriranno per causa sua. Per colpa del mio sangue anzi!>>
<<Bene, interveniamo allora. Troviamo un modo per guastargli i piani e proteggere le persone>>.
Mi fermai voltandomi di trequarti per osservarla. Era seria, non stava scherzando.
<<Come?>>
La rossa sollevò un indice puntandolo verso l'alto <<Usando la nostra astuzia>>.

Quante volte in passato avevo pensato a Elizabeth con compassione, mi ero sentito impotente difronte alla sue sofferenze e temevo di aver fallito persino come fratello maggiore, lei però nonostante tutto era cresciuta in maniera impeccabile, il suo passato l'aveva resa forte, temeraria e anche un po' maschiaccio, ma mai fragile o insicura.
Lei che un padre e una madre non li aveva mai avuti sapeva che per qualsiasi cosa avrebbe sempre potuto contare su di me che al termine fratellastro avevo sin da subito preferito fratello. Il sangue di mia madre ci univa, rendendoci una famiglia senza la quale non avremmo mai fatto a meno.

Pov Elys
Ero tornata da poco nella stanza di Sylver dalla riunione con Liz ed Ethan quando all'improvviso vidi l'orecchio destro della volpe muoversi.
Mi avvicinai per assicurarmi che non stessi sognando, poi il corpo del bianco iniziò a emanare luce propria, il pelo venne presto coperto da quell'alone luminoso che non lasciava intravedere nulla, dal troppo bagliore fui persino costretta a voltarmi di lato, ma non volli chiudere gli occhi. Volevo vedere. Così non appena vidi il bagliore lasciare spazio alla moltitudine di scintille tornai a guardare il letto.
Sylver era lì, disteso di schiena con le fasciature che gli coprivano gran parte del torace diafano, il lenzuolo sollevato fino al bacino, i capelli splendenti di bianco sparpagliati sul cuscino, gli occhi ancora celati dalle palpebre e le labbra semiaperte.
Lo osservavo mentre mi lasciavo cadere sulla sedia al suo fianco non sapendo cosa pensare.
Era tornato umano, ma come era successo?
Era stata la sua volontà o un effetto indesiderato del fiore?
Lui era cosciente anche se non poteva parlare o muoversi?
<<Sylver>> mormorai sconcertata posando una mano sulla sua che giaceva adagiata lungo i fianchi con i palmi rivolti verso l'interno.
Era freddo.
Tirai il lenzuolo più su, soffermandomi sul suo torace. Il respiro sembrava regolare per fortuna.
Forse la sua trasformazione era dovuta ai numerosi cambi di forma del giorno in cui aveva sfidato Walter.
Sorrisi lievemente osservando i lineamenti del suo viso e lentamente mi avvicinai.
Il profumo di bosco che emanava era unico, mai nessuno avrebbe potuto eguagliarlo.
Avvicinai le mie labbra alla sua guancia e chiudendo gli occhi gli lasciai un piccolo bacio. Ero felice.
Felice di rivedere il suo volto umano ancora una volta e felice soprattutto perché in cuor mio sentivo che potesse essere un buon segno.
Quando mi sollevai mi sembrò quasi che stringesse la presa sulla mia mano, eppure il movimento fu così impercettibile che non ne fui certa neanche io.
<<Sono qui, non me ne vado>> mormorai prendendo nel mentre con la mano libera la campanella per avvertire gli altri.

Non ci volle molto, Teti mi raggiunse immediatamente seguita da una Liz allarmata.
Si precipitarono nella stanza guardando Sylver, la dama sconcertata, la rossa per nulla stupita.
<<È tornato umano>> mormorò avvicinandosi al letto per posargli una mano sulla fronte.
<<Sì, pochi minuti fa. Ma è freddo>> risposi.
<<È perché è rimasto volpe per più di trentasei ore, il suo corpo era abituato al calore dato dalla pelliccia. Teti, prendi delle coperte per favore>> la donna annuì spostandosi nella stanza comunicante
<<Pensi si stia riprendendo?>> Domandai.
<<Sicuramente il suo corpo ha recuperato molte energie se è stato in grado di mutare aspetto, ma non mi cullerei molto, non ha ancora ripreso coscienza>>.
Guardò pensierosa il fratello, poi me <<Se vuoi andare a riposarti va' pure. Resto io fino a stasera>>.
<<Ma tu sei sicura di non voler uscire a prendere un po' d'aria Liz? Starai sprecando molte energie per restare in questa forma>>, domandai.
<<Sì, per quanto mi piacerebbe ora come ora non è possibile andare nel bosco. Mi riposerò tra poco, non temere>>.
Annuì alzandomi, guardai la mano del bianco che tenevo ancora stretta e la lasciai per poi spostarmi dal lato della rossa <<Va bene, se hai bisogno però non esitare a chiamarmi, stessa cosa se le condizioni di Sylver dovessero mutare>>
Liz sorrise abbracciandomi <<Grazie Elys, lo farò. Non temere>>.
In realtà non volevo lasciarlo, volevo restare a vegliarlo, ma Liz era sua sorella e io nessuno, non potevo privarla del tempo con lui.
Mi richiusi la porta alle spalle incamminandomi per il castello, ero stanca, ma non volevo riposare, la mia testa era al ragazzo.
Camminavo con le braccia stese lungo i fianchi e la testa alta ad ammirare i quadri e le decorazioni che ornavano quella dimora, mentre inevitabilmente finivo per rivivere il ballo con il bianco.
Osservavo la neve ritratta nelle opere e la collegavo a lui, perché in quel posto tutto mi ricordava Sylver.
Aprì una porta entrando in una grande sala, un camino acceso scoppiettava dinanzi a un pianoforte a coda illuminando il legno lucido.
Mi avvicinai cedendo alla tentazione di sfiorarne i tasti. Non sapevo suonare, ma quello strumento mi affascinava, non ne avevo mai visto uno dal vivo.
Voltai lo sguardo notando una scrivania dal lato opposto, mi avvicinai trovando un libro dalla copertina nera e dei fogli tenuti insieme da uno spago. Non li toccai, ma la curiosità mi spinse a leggere.
Scritta in corsivo con un tratto leggero vi era una breve frase: È tempo di andare.

Una domestica passò di lì proprio in quell'istante e vedendo la porta aperta si affacciò <<Cercate qualcosa milady?>> Domandò sospettosa.
<<No, curiosavo. Di chi sono questi fogli?>> Chiesi a mia volta abbandonando la scrivania per raggiungerla.
<<Erano del nobile Erick, annotava sempre ogni cosa e suo figlio li rilegge spesso, pochi giorni fa è rimasto chiuso per ore in questo studio, ogni tanto quando passavo lo vedevo studiare attentamente i contenuti di quel volume lì e quando voleva staccare la mente per concentrarsi si sedeva al piano componendo melodie incantevoli>>
<<Sylver sa suonare?>> Domandai sorpresa?
La domestica annuì sollevando tre dita <<Eccelle nel pianoforte e nel violino, ma suona anche l'arpa discretamente>>.
Non me lo sarei mai immaginata...
<<Deve aver dedicato molto tempo alla musica>> constatai seguendo la donna fuori dalla stanza.
<<È quello che penserebbe chiunque sentendolo suonare, ma non è proprio così. Da piccolo ha seguito qualche lezione svogliatamente con poca costanza eppure quelle poche volte in cui tocca uno strumento strega tutto il castello. I servi e le domestiche si fermano ad ascoltarlo e in poche note i suoi sentimenti diventano i nostri. È solo grazie ai suoi componimenti che riusciamo a cogliere il suo stato d'animo, senza è quasi impossibile capire quando qualcosa lo tormenta>>.
Li capivo, Sylver poteva risultare misterioso agli occhi di chi non aveva avuto a che fare con la sua vera natura, tra l'altro mi sembrava quasi naturale che riuscisse a esprimersi meglio da volpe, lui era quello. Certo, aveva vissuto a lungo anche nell'altra forma, ma per quanto provasse a sforzarsi da umano non riusciva a rivelare facilmente il suo vero carattere. In fondo ci assomigliavano più di quanto avevo immaginato.
<<C'è qualcosa in cui non è portato questo ragazzo?>> Domandai sarcastica.
La domestica annuì <<Certamente, negli scontri armati. Per quanto possa essere intelligente non sa tenere in mano nessun arma. Dategli una spada e lo ritroverete a terra in pochi secondi>>.
<<Eppure mi sembra molto agile>> osservai.
<<Sì a patto che sia disarmato>>.

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