XXXVII

Drogo alzò i pugni e li mise davanti a sé in una posizione di guardia, avanzò piano e attaccò per primo, fermandosi a pochi centimetri dal mio naso. Sentii un urletto spaventato emergere da una ragazzina della classe, per poi zittirsi in un risolino nervoso.

«Uno a zero.» Alzò il labbro in un sorriso sornione.

Colpii il suo braccio con il gomito sinistro e bloccai il colpo successivo con il destro. Il corpo del ragazzo era metà storto per via della mia spinta laterale e nel tentativo di rimettersi ritto, calciai e arrivai fino alla sua spalla.

«Uno a uno» lo corressi.

Drogo si distanziò e tornammo ai nostri posti ai poli, rimettendoci in assetto di combattimento. Andy aveva detto che le sue mosse erano troppo prevedibili, ma la tecnica di Drogo si stava evolvendo, caricava meno il peso su un piede ed era pronto a scaricarlo nell'altro per avere una mossa a sorpresa.

Mi stava imitando.

I suoi pugni variavano d'altezza e di intensità, nelle varie tecniche di pugno del Kung fu, in base alla mia parata evitava o allungava maggiormente il braccio e continuava a colpire con le nocche, la sua parte più dura e resistente. Non paravo mai direttamente con la pelle, per me sarebbe stato troppo doloroso e mi avrebbe rallentava; facevo scivolare via continuamente i colpi grazie all'angolatura del gomito.

Drogo allungò il piede sinistro e si sporse in avanti, in una tecnica di gomito. Si spinse afferrando la mano con quella opposta per darsi maggiore forza. Lo evitai e provai ad atterrarlo con una ginocchiata ben assestata, la quale venne parata grazie alle mani troppo vicine al torace. Mi prese la gamba e mi lanciò oltre la sua spalla e quando cercò di salirmi sopra approfittai del suo movimento per ribaltarlo e darmi spazio.

Un brivido mi scosse le spalle e cercai di concentrarmi per scaricare la tensione. Drogo sbatté gli occhi e fece lo stesso. Ryokku e Hejji Igel erano all'erta, pronti ad intervenire. Era difficile spiegare ad un Demone cosa fosse la parola 'esercitazione', non lo capivano. Per loro esistevano solo la vittoria e la sconfitta.

I loro poteri non ci servivano. Era unicamente il divertimento che ci stimolava.

Drogo saltò in avanti e si preparò a colpire con un ce tan tui, un calcio laterale. Mi lanciai con le mani a terra a lato dei suoi piedi e capii subito di non avermi dato abbastanza spinta per atterrare correttamente, perciò ruotai il polso e legai le gambe attorno al suo bacino e mi sollevai. La differenza di peso lo fece cadere a terra e riuscii a ribaltarlo in meno di un secondo, mettendogli un pugno alla gola.

«Due a uno, pasticcino.»

«Togliti, idiota» mi ordinò sorridendo.

I ragazzi ci guardarono con occhi brillanti e tutti osservavano il nostro scontro, doveva essere strano che una ragazza riuscisse a tenere testa con un ragazzo muscoloso e alto come Drogo. In verità il peso e i muscoli erano una percentuale bassa di ogni arte marziale, il vero punto di forza era la tecnica e la velocità di sorprendere l'avversario. Hurley ci guardava assorto e per nulla contento. Will era in prima fila, teso e impietrito sulle ginocchia, pronto ad intervenire se Drogo si fosse spinto oltre. Jessica e Liza mi guardarono cariche, come se aspettassero di poter vantare la mia vittoria.

Avanzai per prima e cercai di intervallare i colpi al gomito con quelli della mano aperta, ma era troppo vicino. Strinsi le mani alle sue spalle e saltai, dandogli un doppio calcio dritto sullo sterno. Drogo rotolò indietro e gli corsi incontro, pronta a finire. Aspettò che fossi abbastanza vicina, dopodiché effettuò una doppia spezzata con la schiena a terra, incastrò le gambe alle mie e mi fece cadere sotto di sé.

Mi salì sopra e mi immobilizzò le mani e le gambe a terra. Alcuni ragazzi fischiarono eccitati e io roteai gli occhi.

«Allora è vero che voi uomini pensate sempre ad una cosa» borbottai ironica.

«Non sperarci troppo.» Mi lasciò e mi aiutò a rialzarmi. «E due.»

L'ultimo scontro lo iniziammo in attacco entrambi e quasi ci mancò che Ryokku e Igel venissero per darci man forte. Il nostro non era un divieto assoluto di non intervenire, era più una richiesta, quindi i due Demoni spingevano eccitati di poter finalmente fare qualcosa di attivo, dato che per settimane erano stati passivi e senza far niente.

Alcuni ragazzi presero a fare il tifo per Drogo e di conseguenza le ragazze fecero lo stesso, solo più rumorose. Drogo cercò di infierire con calci ampi e per spingermi fuori dal tappeto, mentre la professoressa ci ruotava attorno per vedere se commettevamo dei falli. Quasi sul bordo, scivolai sotto le sue braccia e atterrai al centro del ring blu, mi alzai da terra a pugni chiusi e pronta a darmi uno sprint. Drogo alzò la guardia e quando urlai: «Abbracciami!» le sue mani tremolarono titubanti, così mi gettai al suo collo e lo gettai a terra.

Drogo attutì la caduta con la schiena e rimase a terra con una faccia contrariata e fumante di stizza. Jessica fischiò forte e alzò le braccia, esultando. Mi rialzai per prima e ci salutammo con un mezzo inchino, come si era soliti a fare prima e dopo un combattimento.

Mentre la professoressa cercò di spiegare ai ragazzi l'importanza delle basilari tecniche di autodifesa del Krav maga, le ragazze continuarono a farmi i complimenti e a ridere, mentre Drogo e i maschi erano stranamente più mogi e continuò a ribadire di avermi fatto vincere per educazione. Nessun altro volle giocare un'altra partita a dodgeball, perciò finsero di fare esercizi e mentre la professoressa non guardava si accasciavano a terra, privi di spirito.

Non avevo mai visto al Nido dei ragazzi così pigri, di solito gli allenatori erano molto presenti e cercavano di variare le attività, senza mai pretendere troppo, per spronarli e farli allenare. Erano in pochi quelli che lo facevano con svogliatezza. Diciamo che i ragazzi del liceo preferivano stare due ore senza fare niente che farsi dei giri di campo e né io né Drogo capimmo la loro mentalità.

Poco prima del suono della campanella, alcuni si fermarono a riordinare i palloni, i birilli e i materassi usati, rimettendoli al loro posto. Jessica deviò la rotta dagli spogliatoi, attraversò il corridoio e andò verso l'entrata principale, quasi accanto a gabinetti dei maschi. Liza era già là insieme ad un ragazzo, molto più alto di lei.

«Austin, ciao!» cantilenò Jessica e gli diede due baci sulle guance. «Penny, lui è Austin Green, il ragazzo di cui ti ho parlato prima. È il capitano della squadra di football, il numero quattordici, il grande quarterback Green!»

Austin era un bel ragazzo, con dei vaporosi capelli castano chiaro, la pelle olivastra e delle fossette a lato del suo ampio sorriso che lo rendevano accattivante. I suoi occhi erano verde scuro, aveva un fisico allenato, si notò subito che era un ragazzo che si teneva in forma costantemente, sia dai muscoli sia dai lividi sparsi su e giù nelle braccia e nelle gambe.

«Ti ho vista nell'uno contro uno, sei stata magnifica. Hai studiato Kung fu?» mi domandò sereno e io annuii, apprezzando gli elogi.

Jessica alzò la mano per attirare la sua attenzione. «Volevo beccarti per chiederti una cosa.»

«Lo so, Liza me lo ha già detto. Vuoi che metta in lista suo fratello.» Austin mi guardò e il suo sguardo parve più serio. «Voglio essere franco: ho sentito cosa ha detto il coach, in squadra non abbiamo bisogno di altre attaccabrighe, mi servono dei ragazzi pronti a sacrificarsi in campo e seguire le mie direttive.»

Jessica roteò gli occhi. «Hurley vuole solo il tuo titolo, pensi che in caso contrario ti darebbe retta? Aspetta solo che te ne vai.»

«A Hurley ci penso io» la frenò e si rivolse a me. «Ho visto come il tuo amico si muove, ha delle grandi possibilità ed è forte, ciò che serve alla mia squadra adesso. I difensori sono veloci, ma non posso farlo entrare solo grazie alle sue doti fisiche, Jessica. Serve lavoro di squadra, altrimenti è fiato e fatica sprecata. È come...»

«Una catena» lo interruppi.

«Sì, una catena. Se c'è un anello debole tutti ne risentiranno. Se lui è disposto ad ascoltarmi io farò altrettanto con lui, però ciò che è successo lo mette già in una posizione di svantaggio. Tu lo conosci da molto, pensi che avrebbe qualche possibilità?» mi domandò.

Drogo aveva la mentalità da soldato e Austin aveva capito benissimo che ogni cosa funzionava solo se gli ingranaggi erano al loro posto. Mio fratello diceva spesso che il Nido, ma anche ogni singola squadra, era l'anello di una catena. Poteva essere indistruttibile solo se non c'erano punti deboli. Drogo aveva bisogno di una guida, qualcuno che gli dicesse cosa fare e come eseguire un lavoro, come me.

«Se lo tieni stretto ce la farà» raccontai. «Ha un brutto carattere, tuttavia se riesci ad indirizzare la furia verso la squadra avversaria non ti darà problemi. Mettilo in attacco.»

Austin pensò a qualcosa e Liza si voltò. «Oh, parli del diavolo!»

Drogo guardò con fare guardingo Austin, non doveva conoscerlo o lo aveva visto in compagnia di Hurley qualche volta, ma si avvicinò e si presentò.

«Stavo dicendo a tua sorella che saresti una risorsa per la squadra di football, ma la lite con Hurley mi lascia dubitante. In campo non ci possono essere tensioni. Ho già fatto questo discorso all'altro imbecille e gli ho messo in chiaro che se non intende collaborare è fuori. Ci mancano dei posti in attacco però, Richie e Tom se ne sono andati, mentre Holland si è trasferito. Le selezioni sono tra un paio di settimane, se vuoi sei dentro. Sono in molti quelli che mi supplicano di metterti in lista, sai?»

«Non ho mai giocato a football» mormorò Drogo, quasi in colpa.

«Ti insegnerò io la teoria e in campo farai ciò che ti indicherò, il ruolo lo decideremo poi.» Drogo mi guardò e non mi parve convinto affatto. «Penny ha messo una buona parola con te e il coach è curioso di vedere come se la cava la belva che si è messo contro Jones. Prova a fare le selezioni, se vuoi, ti divertirai.»

Drogo alzò il sopracciglio, stranito che lo avessi elogiato. Al Nido era sempre stato il contrario, meno partecipava e meglio era per il suo carattere distruttivo.

«Posso picchiare gli avversari?» domandò alla fine.

«Li placchi, si dice.»

«Posso placcarli?»

«Più ne atterri e meglio è.»

Drogo annuì. «Okay, ci provo.»

Non ero sicura che Andy ne sarebbe stato felice e forse quello sarebbe stato uno dei nostri segreti. Dovevamo concentrarci unicamente su Will e trovare indizi validi, ma dall'altra volevo solo godermi questa mia libertà: poter andare dove voglio senza dar conto a nessuno, mangiare cose mai provate, divertirmi al centro commerciale, fare shopping con Jessica e andare a letto tardi. Il generale non avrebbe capito.

Austin annuì. «Ottimo, amico. Quando ho un momento ti spiego tutto, magari ci troviamo di mattina a fare colazione, così siamo più tranquilli e svegli con un caffè davanti. Te lo dico subito: questa è la sola possibilità che avrai, ci sono altri ragazzi che hanno fatto la fila e pagherebbero per entrare in squadra, perciò mi darai retta.»

Drogo ghignò. «Io sono più forte degli altri.»

«Dimostramelo.»

In quel momento nacque la loro amicizia.

Quando Will uscì fuori dagli spogliatoi corsi ad abbracciarlo di gioia e lui strinse le braccia attorno alla mia vita, seppure non riuscì a tenermi in aria com'ero abituata.

«Austin gli ha dato una possibilità! Drogo farà le selezioni di football!» esclamai fantasticando e sotterrai il viso tra l'incavo del collo e la spalla.

Will restò fermo. «È fantastico» disse ed elogiai il modo in cui Austin aveva messo in chiaro le cose con Drogo e che ero sicura che sarebbe stato un'ottima figura da imitare e già presi a fantasticare le sue vittorie e il suo miglioramento caratteriale. «Non pensavo avessi tatuaggi» fece alla fine del mio discorso. Alzai un sopracciglio. Io non avevo tatuaggi. Will mi indicò il petto, un po' più su. «Quello che hai lì, il cerchio con il teschio. È un po' macabro, ma ti sta bene! Lo hai fatto all'estero?»

Quello che aveva visto non era un tatuaggio, bensì la mia runa protettiva, quella che teoricamente ad un comune umano doveva essere invisibile. Ne ebbi la conferma: Will non era affatto un comune essere umano.

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