XXXIII

(Hurley Jones)

Per tutta l'estate non avevo parlato con nessun altro, a parte Andrew, Drogo e coloro a cui dovevo rivolgermi per la missione. Non sapevo nemmeno come ci si rivolgesse ad una persona normale. Potevo conversare di come sistemare una lussatura alla spalla? Probabilmente no. Drogo mi disse che le ragazze normali parlavano di cose stupide, come i vestiti, il trucco o chi pomiciarsi in cantina; secondo lui ero solo stupida, ma non normale. Karen mi disse di essere me stessa e stare calma, tutto qui, e che non c'era niente da temere.

Quando il sito della scuola venne aggiornato e i nostri profili da studenti iscritti attivati, scoprii di essere nella stessa classe di Will. Lo trovai un fatto curioso, anche perché insieme a me furono messi anche Drogo, Jessica e Hurley. Doveva esserci l'impiccio del preside se casualmente i ragazzi con cui avevo fatto il tour al liceo frequentavano molti dei miei stessi corsi.

La mattina del primo giorno di scuola trovai anche Karen in casa. Stava preparando la colazione e intanto stava rivedendo dei punti nel programma insieme a mio fratello, il quale nel pomeriggio l'avrebbe dovuta seguire dal generale Smith per un colloquio.

Cereali, latte di soia e frutta. Karen aveva proprio un brutto metodo per svegliarci la mattina, specie quando volevo unicamente le merendine al cioccolato che Andy aveva nascosto. Non volevo mangiare molto perché temevo che l'avrei potuto vomitare.

«Ripetiamolo ancora una volta» disse Andy, non staccando gli occhi dallo schermo del pc portatile.

Drogo alzò gli occhi e ingurgitò una cucchiaiata di cereali. Pensavo di poter mangiare in pace, ma a quanto pareva Andy non aveva capito l'importanza di dare a Drogo mezz'ora di tempo per aprire decentemente gli occhi e detestare ogni cosa attorno a sé.

Drogo non parlò e io ci pensai al posto suo, prima che mio fratello avrebbe detto altro. «Seguire Will entro il raggio d'azione di Ryo, analizzare costantemente i suoi valori, cercare di capire il suo giro di amicizie e i suoi cambiamenti d'umore. Tutto sotto controllo, signore» esclamai e mordicchiai la banana.

«Ti stai dimenticando qualcosa?»

Ci riflettei. Hejji Igel comparve sulla tavola e fece sobbalzare tutti. Il riccio rotolò al centro e afferrò un chicco d'uva, cercando di morderlo con i piccoli e affilati dentini. «Non uccidere!» cantilenò amichevole.

Con una manata, Andy lo scaraventò al muro. Drogo si rabbuiò e guardò se Hejji si fosse fatto male, ma il Demone si pulì il muso e squittì come se fosse la cosa più divertente dare fastidio agli altri.

«Tieni a bada il mostriciattolo» ringhiò Andy a Drogo. Il ragazzo annuì vago. «Agite con cautela e non attirate l'attenzione. Non dovrete sforzarvi, non oltre il limite umano. Arrivate secondi, o anche terzi, se serve, non mi interessa. Se i vostri Demoni percepiranno i vostri desideri, qualunque essi siano, cercheranno di manifestarsi in qualsiasi modo. L'OverTwo è categorica su questo, non possiamo avvicinarci troppo a quell'area, o la zona si concentrerà troppo d'energia e sarà come richiamare i Demoni selvatici. Tu» mi chiamò «il tuo Demone è nero, sarà quello che potrà dare più problemi. Devi restare con i piedi per terra.»

«Mi hai mai vista arrabbiata?» lo stuzzicai. Abbassò gli occhi verso la cicatrice sulla mano e subito la nascosi sotto il tavolo. «Sì, ho capito» mi corressi.

«Sarà meglio per entrambi.»

Karen mescolò il suo caffè e si sedette nell'ultimo posto vuoto a tavola. «Quale sarà la nostra distanza?»

«Minimo di cinquecento metri, ho calcolato l'area sufficiente a non far sovrascrivere le aure tra loro. L'OverTwo ha un sistema di occultamento, ma non riescono a oscurare anche noi, specialmente i Demoni neri. Le loro frequenze sono più alte» spiegò risentito.

«Quindi» sillabò Drogo «se dovesse succedere qualcosa dovremmo aspettare i vostri comodi?»

Andy gli dedicò un'occhiata lunga e un sorriso gelido. «Ma avete promesso voi stessi che non accadrà nulla, no?» Lui non seppe rispondere. «Manterremo le nostre posizioni, circondando la scuola. I Demoni di Karen, Keith e Lancer non vi perderanno di vista. Se ci saranno degli eventuali problemi, come dite, non siete autorizzati a combattere o a far vedere i vostri Demoni. Seguite le procedure d'emergenza della scuola e attendete i soccorsi. La priorità è la copertura. Non deve capitare niente a quel ragazzino, perciò occhio a voi.»

«Saremmo dovuti andare noi sotto copertura» mormorò Karen assorta. «Per loro è pericoloso, sono dei ragazzini inesperti. Pensi che potranno controllarsi di fronte al pericolo?»

Andy chiuse il computer e mise i gomiti sul tavolo. «In questo momento, tesoro,» sottolineò marcato «non penso che tu voglia scontrarti contro un Demone nero per rivedere la tua posizione.» Da come osò pronunciarlo, non mi parve che stesse parlando di me, bensì di se stesso. «A nostro supporto ci sarà un team dell'organizzazione, ho scelto personalmente l'ufficiale nel loro esercito, il colonnello Marion.»

Tirò fuori il cellulare dalla tasca, cercò un file e me lo passò. Il colonnello Rick Marion aveva prestato servizio per l'OverTwo da diciotto anni, era un esperto cecchino e allenato in antisommossa, abile con qualsiasi congegno esplosivo.

«Non è un tipo simpatico, quindi non puoi divertirti con lui, Penny» mi apostrofò. «Un Demone gli ha ucciso la figlia, perciò meno parteciperà e meglio sarà. È un tipo a posto, se non ci parli.»

«Cosa?» ripeté Karen. «E lo hanno messo a capo di una squadra di supporto? Come pensi di convincerlo a eseguire i tuoi ordini se sei alleato con un Demone?»

«Convincere le persone a fare come voglio, dicendogli che è per il bene comune, è quello che mi riesce meglio. Voi preoccupatevi dei vostri ruoli e non del mio» finì sospirando, bevendo una tazza di caffè. «Persino loro hanno capito che in un mondo pieno di Demoni, vampiri e mostri vari, l'unica possibilità dell'uomo sono proprio le creature che tanto vuole sopprimere.»

«Mi pare giusto...» buttai lì, notando il silenzio. Rilanciai il telefono a Andy. «Mi pare una persona molto socievole, quel Rick. Magari lo possiamo invitare per cena.»

Hejji Igel alzò le zampe minuscole e le agitò in un piccolo balletto.

Andy roteò gli occhi e Drogo mi puntò il cucchiaio contro, sghignazzando. «Che succede se lo fa incazzare?»

«La uccide.»

«Anche se sono così simpatica?» domandai curiosa.

«Ti uccide più lentamente.»

Drogo rise. «Ehi, hai un nuovo amico, capelli di merda!» esclamò gongolando e lanciò il chicco d'uva a Hejji, facendoglielo assaggiare.

«Oh, mi piace!» gli diedi corda.

L'inizio di settembre era ancora generoso, le mattine e i pomeriggi erano soleggiati e si poteva ancora godere dell'onore di vestire con abiti leggeri. Quel mese a Londra era delineato da piogge improvvise, venti gelidi e soli freddi. Infilai i libri nello zaino, i quaderni vuoti, penne e le cose che potevano servirmi. Portavo una canotta bianca e rossa, pantaloni della Nike, neri, e scarpe sportive. Non davo nell'occhio.

Scesi presto e mi appostai dietro la tenda del soggiorno, sperando di intravedere Will uscire di casa. Suo padre era già uscito, vidi sua madre cercare affannosamente qualcosa nella sala e la piccola seduta sul bovindo a guardare il televisore.

Il Demone di Drogo zampettò per il corridoio e alzò le mani, cantando una canzoncina poco simpatica per far velocizzare il ragazzo a vestirsi. Andy venne da me.

«Che fai?»

«Aspetto che esca, così ho la scusa di fare la strada insieme. Quando c'è il sole non prende il tram, perciò ne approfitto» feci, non distogliendo lo sguardo dalla strada.

«Dovrei essere io geloso, allora, non tu» provò a scherzare. Feci un risolino sollazzato, gli presi una ciocca di capelli e gliela arrotolai per gioco. «Papà sarebbe orgoglioso di te.» Annuii. Mio padre sarebbe stato molte cose se non fosse morto. «Sei destinata a molto più di ciò che credi. Io non raccolgo la spazzatura da terra senza un motivo.»

Aprii la bocca. «Io sarei spazzatura?» esclamai allibita.

«Non ho ancora deciso, ma per ora sei stata un po' utile. Fai attenzione. Se non te la senti chiamami in qualsiasi momento, d'accordo? Preferisco che rinunci piuttosto di farti male.»

Per lui era facile pensare in quel modo, una volta tornato al Nido avrebbe avuto un altro incarico e anche se si fosse sposato avrebbe continuato a lavorare come tenente colonnello, a fare ciò che gli piaceva e a viaggiare. Quella era la mia ultima possibilità di dimostrare chi fossi, sia a me stessa sia agli altri.

Guardò lo zaino ai miei piedi e mi sistemò la piega della maglia sulle spalle, troppo avanti. Mi guardò dall'alto in basso e io feci una piroetta, allargando le mani. Sbattei le nocche contro il muro e mi trattenni dal lanciare un urletto, piegandomi sulle ginocchia.

«Hai i soldi per il pranzo?» chiese, invece di ridere di me. Annuii, massaggiandomi il punto dolente. «Anche per la principessa?» Annuii ancora.

Mi alzai sulle punte e lo abbracciai forte, non lasciandolo andare. Non era cambiato niente in lui, tuttavia mi sentii più leggera, dovuto al fatto dei vestiti leggeri al contrario dell'uniforme dell'Esercito. Le scarpe da ginnastica erano più basse rispetto alla soletta degli anfibi e restai sulle punte, dondolandomi.

Will uscì di casa e perse dei secondi a scegliere la canzone da ascoltare, restando imbambolato davanti al portone d'ingresso. Afferrai lo zainetto e gli diedi un vantaggio.

«Ci vediamo nel pomeriggio! Ciao, Karen!» esclamai e mi diressi verso l'ingresso.

Drogo scese le scale, finendo di allacciarsi i lacci dei pantaloni.

«Tu non me lo dici "ti voglio bene"?» fece Andy e alzò il naso verso il ragazzo biondo.

Lui lo mandò a quel paese e mi seguì, sbattendo con forza la porta. Attraversai la strada e corsi da Will, saltandogli sulla schiena. Fu una pessima idea e quasi cadde in avanti per lo spavento. Non pesavo così tanto (ne ero certa, anche se Drogo si mise a ridere forte), ma come sempre Will stava guardando il cellulare e le cuffie alle orecchie lo avevano spedito su Marte.

«Ti sei fatto male?» chiesi impaurita. Lui si sistemò lo zaino sulla schiena e si tolse una cuffietta, facendola cadere a penzoloni sul petto. «Scusa, la forza dell'abitudine...»

«È solo grassa» borbottò Drogo, credendo che non lo sentissi.

Lui lo guardò e scosse la testa. «Dovrà parervi noiosa questa città, dato che ne avete viste molte altre» commentò a bassa voce. In verità avevamo visto solo le foto delle altre città. «Io conto i giorni che mancano al diploma, per sopportare di più questo posto.»

«E a quanto sei?» chiesi.

Abbassò le spalle. «Manca ancora molto...» Alzò lo sguardo verso l'albero dietro di noi e il suo sorriso si aprì nello stupore, mostrando tutti i suoi denti dritti. «Wow, quello è il corvo più grosso che io abbia mai visto!» fischiò.

Ryo era appollaiato tra le foglie e i rami dell'albero, con il suo piumaggio lucente e il becco d'argento era impossibile non notarlo, come un gioiello tra le cartacce. Guardava il ragazzo con occhi concentrati e critici, volando poi via.

«Non se ne vedono tutti i giorni!» esclamò con svago.

Odiai il liceo dal primo istante in cui ci misi piede.

Non era affatto il luogo tranquillo e sereno che avevo visitato una settimana prima, bensì un vero campo di battaglia da far invidia alle operazioni speciali del Nido: caotico, pieno zeppo di ragazzi di varie età che ridevano, urlavano e si spintonavano per i corridoi. Faticai persino a respirare in quei minuti passati nel corridoio e mi sentii immediatamente frastornata e schiacciata. I Demoni ampliavano tutto, persino le sensazioni stesse, perciò Ryo si ribellò subito a quella confusione che stava facendo impazzire entrambi: mi faceva male la testa, mi salì il vomito e le mani cominciarono a prudermi per il nervosismo di venire toccata troppo.

Persino Drogo non sembrò per nulla a suo agio, ma nemmeno il colorito di Will era migliore. Nemmeno alla cena di fine anno al Nido c'era una mandria simile, scomposta e dall'odore misto di sudore e caffè.

Pensavo che appena entrato a scuola Will ci avrebbe lasciato con l'augurio di incontrarsi a mensa e invece restò con noi, dietro Drogo, in modo tale da passare nella mischia senza problemi grazie alla sua stazza. Non me lo aspettai, ma nessuno salutò o venne ad abbracciare Will, raccontandogli dell'estate passata da qualche parte come vidi fare. Per occupare tempo ci mostrò i nostri armadietti e come sbloccarli, dandogli un colpo secco con il gomito.

Jessica fu la prima che si fermò, sospettai solo perché gli ero simpatica e avendo visto che seguivo le lezioni con lei doveva parerle gentile parlarmi di tanto in tanto.

«Pronta al massacro?» mi domandò con brio. «Ti ci abituerai, credimi, la prima settimana i primini sono tutti allegri e spensierati. Presto si ammosceranno anche loro e l'atmosfera sarà più respirabile, per il resto ti consiglio un buon repellente e marinare di tanto in tanto le lezioni di Mrs Martin.»

«Marinare?» ripetei.

«Sì. Saltare. Bigiare. Disertare. Insomma, non andarci! Tanto alla megera non importa di nessuno oltre ai suoi prediletti. Solo chi ottiene tutte A ai compiti in classe ha uno sconto di pena» biascicò.

Un gruppetto di ragazzini girò il corridoio saltando come conigli, mentre altri compagni più grandi li guardavano e li spronavano a continuare a farlo, senza inciampare. "Saltate, conigli, e benvenuti al liceo, stronzi!" cantavano, mentre la folla si aprì per farli passare, alcuni ridendo e altri facendo finta di niente.

«Ci risiamo» borbottò Jessica infastidita. «Perché Austin non c'è mai quando serve?»

Uno dei ragazzi più grandi era Hurley e portava la stessa giacca degli altri, probabilmente della squadra di football della scuola, dai colori blu e grigio. Nessuno degli altri tre ci prese di mira, eravamo troppo grandi, ma Hurley ci riconobbe e ci salutò. Lo salutai nello stesso modo falso con cui lo faceva e Drogo mi diede una gomitata.

«Ma che fai?» sbottò.

«Lasciami divertire un po'. E poi sei tu quello che gli da fastidio, non io» sottolineai e lui alzò un sopracciglio.

I ragazzini continuarono così per un po', con una faccia davvero spaventata da quei mostri grossi il triplo di loro. Non ricordavo insegnanti al Nido troppo cattivi con i soldati, erano severi, ma approcciarsi con delle reclute in modo negativo era controproducente: i ragazzi nuovi dovevano capire le regole e soprattutto non essere spaventati dal loro istruttore. Il rapporto doveva essere di ammirazione e fiducia, non di paura.

«È che quest'anno rifanno le selezioni della squadra per definire le riserve e i principali. Quest'anno mira al posto di Green, dato che il prossimo va al college» mormorò stanco Will, alzando una spalla per non far cadere lo zaino.

«Sarà così» gli diede corda Jessica. «Austin Green è il capitano della squadra di football, un gran bel tipo, se mi capisci. Dovrò chiedere a Liza se te lo può presentare, la vediamo a ginnastica. Tutti i neuroni intelligenti della squadra li ha solo lui e Hurley spera di ottenere il titolo di capitano dal coach. Dovresti iscriverti alle selezioni, ragazzone» gli suggerì, dando una pacca sul petto di Drogo. «Saresti un buon avversario.»

Lui la guardò, chiedendosi da dove arrivasse tanta vicinanza. «Non mi interessa.»

«Be', durante gli allenamenti potresti placcare Hurley senza che qualcuno ti dica niente» continuò e il ragazzo aprì le orecchie, attento. «Sei ben piazzato, scommetto venti dollari che entri come offensive guard. Ehi, ce l'hai la ragazza?»

Scoppiai a ridere e anche Jessica, mentre Drogo ci guardò con un'aria irritata.

«È ancora un verginello, non piace a nessuno» lo sminuii e mi beccai una spinta.

Will aprì la bocca vedendo la forza con cui l'aveva fatto e scommisi che pensò che lui non avrebbe mai osato farlo, né con me né con altri. Will Baker non era violento, i sentimenti che teneva chiusi dentro di sé erano troppo deboli e vaghi per poter esplodere in una forma fisica come quelli dell'altro. Non aveva la predisposizione per farlo.

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