XXXI

(Jessica Smith)

Avevo paura di poche cose e la maggior parte di queste ruotavano sulla morte di qualche persona a me cara. Da quando avevo perso mio padre, temevo costantemente che avrei perso prima o poi anche Andy, peggiore di tutte che non fossi lì a proteggerlo.

Il liceo perciò, o almeno l'idea di andarci, non mi aveva mai spaventata. Era solo un edificio pieno di ragazzi della mia stessa età in cui si svolgevano delle lezioni. Avevo già passato e superato a pieno quella fase della mia vita, senza i Demoni attorno o soldati costantemente irascibili pensai che quella parte della missione era fin troppo facile.

Appena mio fratello ricevette una telefonata dal preside della scuola, il giorno seguente, cominciai a tremare per la fifa e non ne sapevo il motivo. Io ero più forte, intelligente e motivata di loro, ero superiore, eppure nel mio petto si scavò una piccola e nauseante voragine che premeva tra la gola e i polmoni, impedendomi di respirare.

In un liceo non ci ero mai stata, non ne avevo mai visto uno. Avevo seguito le lezioni al Distretto, però era diverso, per questo ero totalmente e senza alcun rimedio terrorizzata.

Andy chiarì subito la questione con il preside, dicendo che io e Drogo non eravamo mai stati in una scuola per colpa del suo lavoro e che avevamo da sempre studiato a casa con vari insegnanti privati. Anziché, come sbraitò Drogo per la vergogna, di metterci in difficoltà, ci diede un vantaggio: il preside, un certo Stephen Gaimann, parve capire molto bene la situazione e propose un giro per la scuola solo per noi, per spiegarci meglio nel dettaglio cosa e dove dovevamo andare.

L'incontro era prefissato per tre giorni dopo e in quel lasso di tempo non feci altro che mangiarmi le unghie per l'ansia, far innervosire Drogo e imparare ad usare il telefono di Andy. C'erano molte cose che mi ero persa, come YouTube, un sito dove potevo trovare tutti i video che volevo, dalla cura delle piante fino agli ultimi aggiornamenti in arti marziali. Andy restò con noi, non ci perse d'occhio e insieme cercammo di capire i punti più importanti del liceo e sulla vita civile che ci mancava, negozi, film, passatempi, persino la copertura. Lancer e Keith seguirono costantemente Will e una parte di me si sentì in colpa: non avevo fatto ancora niente, non concretamente, e i miei sospetti su Will aumentavano.

Ryokku non aveva potuto dirmi nient'altro. Non possedeva un Demone, era certo, ma aveva un'ottima predisposizione. Quei casi erano unici, pensavo che quel genere di geni si fossero ridotti all'unità del Nido, ma Will era la prova che oltre le mura c'era molto da scoprire. Nessuno però registrò delle radiazioni particolari in quell'area.

La Sky High School era un edificio anonimo a due piani, tinteggiato con uno scuro color fumo. Era circondato da un piazzale di cemento, su un livello un poco minore rispetto alla strada generale, a cui si accedeva tramite delle scale. C'era anche un comodo parcheggio proprio accanto, circondato da una fitta rete di alberi. Come al Nido, la bandiera americana svettava trionfante nel viale della scuola, sotto il sole del mattino. Gli americani erano molto più patriottici degli inglesi, così credevo io, ed erano più antipatici.

Capii subito che la scuola era stata chiusa per l'estate, c'erano rimasugli d'erba tagliata sui muretti, i tavoli da spazzare e alcune carriole con sopra dei sacchi neri, forse per alcuni lavori di ristrutturazione in ritardo.

Un uomo ci venne incontro dall'atrio. Il signor Stephen Gaimann era più anziano di quanto mi sarei aspettata, con la schiena un po' curva, i capelli e i baffi grigi. Il suo viso e la sua pelle erano rugosi, tuttavia mi parve anche un uomo gentile e serio, come mio fratello. Sia io sia Drogo portavamo delle semplici t-shirt e dei pantaloni di tuta, Andy era l'unico a stonare: con il suo fisico e la sua postura rigida non poteva essere altro che un soldato. Lo era fin nel midollo, da generazioni.

«Signor Lewis» disse il preside, tendendo una mano verso Andy. Lui la strinse e gli sorrise, poggiandomela poi sulla schiena, come se volesse darmi supporto. «E voi ragazzi dovete essere Penny e Drogo.»

Annuimmo. Di solito cercavo di mascherare il mio nervosismo con la parlantina o con qualche battuta, eppure non riuscii a dirgli nulla. Fu come essere davanti al generale Mordecai stesso, benché il preside facesse molto meno paura, entrambi avevano un'aura autorevole.

«Molto piacere, signore» fece Drogo e gli strinse la mano cordiale.

Temetti di ricevere un qualche ammonimento da Andy per via del mio silenzio e invece mi fece una carezza, capendo il mio disagio.

Il preside si stupì e rise. «Una bella stretta di mano, ragazzo!» esclamò.

«Grazie, signore.»

«Bene, vorrei prima parlare con tutti voi, spiegarvi come procedono le cose qui, e poi i ragazzi saranno liberi di girare. Di solito abbiamo una dozzina di studenti volontari che vengono qui d'estate a far fare un giro turistico alle matricole o agli interessati, per voi due ho selezionato tre ragazzi della zona. Hanno fatto le elementari insieme, perciò possono spiegarvi meglio le cose, molto più di me. La madre di Baker ha avuto un'ottima idea a farvi venire, andiamo a parlare nel mio ufficio» propose.

Andy si mosse per primo, lo ringraziò e lo seguì dentro la scuola. L'interno era quasi uguale all'esterno, il soffitto era basso, il pavimento del medesimo colore dell'intonaco, ma il tutto non era minimamente anonimo: c'erano molti manifesti con campagne attive, trofei, foto degli studenti migliori, di giocatori di football che avevano studiato lì, persino di un politico. I corridoi erano lunghi, percorse da molte aule aperte per far arieggiare. L'aria che si respirava non era insopportabile, qualcuno aveva da poco pulito perché odorai del solvente, e della polvere si era accumulata nei lucchetti degli armadietti.

Al Nido non chiudevamo a chiave niente perché avevamo poche cose personali e tutte di poco valore. Non dovevano esserci segreti per abituaci ogni secondo alla condivisione del corpo e della mente con il nostro Demone. In minimi gesti si celavano le più studiate abitudini.

L'ufficio del preside era ampio come il vecchio studio in casa di Andy, ci stava comodamente una scrivania e nulla più, ricolma di carte varie, cartelle, un telefono fisso collegato alla segreteria e un gigantesco fermacarte a forma di aquila. Le pareti erano tinte di un colore più caldo, giallastro, percorse da numerosi quadri della storia americana.

C'erano solo due poltrone, perciò dovettero portarne una terza per farci stare seduti tutti. Il preside si accomodò dietro la scrivania e parlò direttamente a noi ragazzi.

«Quando vi siete iscritti ho ricevuto i vostri fascicoli, i vostri risultati sono eccellenti per qualsiasi corso che abbiate svolto. Non mi era parso affatto che non foste mai andati a scuola, a Londra avete alcuni delle migliori istruzioni. Abbiamo numerosi corsi qui, oltre alle materie di base: falegnameria, arte, atletica, per dirne alcuni. Ve li consiglio, vi trovereste molto più a vostro agio con altri ragazzi. Vi ambienterete bene, qui si conoscono tutti e faremo in modo di venire incontro alle vostre esigenze» affermò e mi sembrò un discorso fatto e riprovato varie volte. «Se posso solo chiedere, come mai l'interesse di iscriverli al liceo?» domandò a Andy.

Lui mi guardò. «Per colpa del mio lavoro ci siamo dovuti trasferire molte volte. Faccio il soldato, come sa. Mio padre li aveva adottati quando sia io sia loro erano ancora piccoli, quando venne a mancare lo sostituii io. Ho cercato di assumermi più figure di quante potessi sostenere, per molto tempo ho escluso i loro bisogni. Studiare a casa era il metodo più efficace dato che non sapevo mai la permanenza in un luogo. Per ora progetto di fermarmi in questa città per alcuni anni, ecco perché volevo che i ragazzi stessero più tempo fuori casa. Non hanno amici e quelli che hanno avuto oramai sono tutti troppo lontani» raccontò.

Ripensai a Wyatt e ai miei vecchi amici del Nido. Drogo, vedendomi mogia, mi torturò un po' il piede senza farsi notare.

«Un lavoro pericoloso, quello del soldato» mormorò l'uomo. «È stato molto in missione?»

Andy rispose subito. «Una volta in Afghanistan, una in Egitto e due in Iraq. È un lavoro di famiglia, se si può definire così. Loro due li ho tenuti lontani. Non voglio metterli in pericolo a causa mia.»

Aveva giocato la carta della protezione. Bella tattica.

L'uomo annuì comprensivo. «Qui saranno al sicuro, mi creda. È stata una scelta saggia farli iscrivere in questa scuola, anche se per poco, spero si troveranno nel migliore dei modi. Le loro referenze sono comunque buone, non avranno difficoltà per me nelle materie individuali, ma per precauzione ho già avvertito alcuni insegnanti.»

«La mia compagna ha detto la stessa cosa. Dice che sono troppo protettivo» scherzò e Drogo gli lanciò un'occhiata affilata, per niente divertita. Andy poteva impazzire se non teneva sotto controllo ogni cosa, me compresa. «Ho letto cose molto positive di questo liceo.»

Il preside parve rinsavire e sciolse la fantasia dal racconto tragico di Andy. La cosa più importante in una copertura era non variare molto la realtà di base, i dettagli erano importanti e se fasulli erano difficili da ricordare. L'intreccio tra vero e falso era la chiave.

«È uno dei migliori licei pubblici della città» gli garantì. «Le classi non sono molto numerose, abbiamo aule per le lezioni di scienze, di matematica e di letteratura, laboratori di informatica e di conversazione. In più ogni anno organizziamo un ballo scolastico all'aperto, il momento più atteso dagli studenti. Ti piacerebbe vederne uno, ci scommetto, Penny.»

Alzai la testa. «Un ballo?» ripetei. «Qui?»

«Sì, lo organizzano quelli dell'ultimo anno. È una specie di addio al liceo, ci sarà il buffet, la musica e molta compagnia...»

Ne rimasi affascinata. Mio fratello non mi aveva detto niente e morivo di curiosità. Le uniche feste a cui ero stata erano quelle propiziatorie del Nido, nulla di troppo esclusivo.

L'uomo abbassò la voce e sollevò gli occhi verso la porta, guardando una donna entrare. Doveva avere quasi cinquant'anni e se li aveva davvero li portava male. Era una donna severa, con gli occhi piccoli e incavati, i capelli ricci e bruni, occhiali rotondi sulla punta del naso e una gonna lunga.

«I ragazzi sono qui, preside» lo informò neutra e guardò dalla testa ai piedi me e Drogo, analizzando le nuove cavie.

Mi sfuggii un sorrisetto divertito e se ne accorse subito.

«Mrs Martin, loro sono i due ragazzi inglesi di cui le avevo già accennato. Faranno lezione nella sua aula quando la scuola aprirà, conto su di lei.» La donna annuì efficiente e guardò nuovamente Drogo e Andy, sollevando il sopracciglio e corrugando la fronte. «Ragazzi, lei è Mrs Martin, vi insegnerà francese per i prossimi due anni.»

«Francese?» ripeté Drogo, sospirando avvilito.

La donna non prese affatto bene la sua reazione annoiata e il preside non seppe cosa fare. Io mi voltai verso Andy.

«Devo proprio studiare francese?» chiesi scocciata.

Andy stette per rispondere, ma la donna alzò un dito e parlò per prima. «Insegno in questa scuola da ventisei anni, mia nonna venne qui dalla Francia per colpa della guerra e io stessa sono madrelingua francese. Ho studiato nelle migliori scuole di Parigi, due anni per voi non saranno un sacrificio. Il francese è una lingua raffinata, cela vous en apprendra beaucoup plus sur l'éducation.»

Non dissi nulla, si sentiva che era madrelingua da generazioni, la sua pronuncia era perfetta. Drogo alzò le sopracciglia con aria di sfida e potei percepire le onde dei suoi pensieri dirigersi verso la lancetta dell'impazienza. Mi guardò e per me fece un respiro con il naso, restando calmo.

«Je ne pensais pas être impoli» soffiò il ragazzo.

Feci spallucce. «Le français est une langue trop raffinée pour nous, Britanniques» mormorai afflitta, poggiandogli una mano sul braccio.

Mrs Martin fece del suo meglio per non sorprendersi e ci riuscì bene, schiuse solo le labbra all'inizio e il suo sguardo pesante non variò. Il preside al contrario rimase molto meravigliato, glielo lessi negli occhi e Andy cercò di divagare.

«Sanno perfettamente l'inglese, il francese e il tedesco» spiegò semplice.

Il francese e il tedesco erano le due lingue principali, quelli che più o meno tutti i ragazzi sceglievano di imparare. In aggiunta c'erano il cinese, l'arabo e il russo. Al contrario mio, Drogo aveva seguito alcune lezioni di russo, ma non aveva mai superato nessun esame e presto lasciò i corsi per dedicarsi ad entrare nelle mie grinfie di sorvegliato. Se non avessi cominciato a lavorare mi sarebbe piaciuto imparare l'arabo. Andy sapeva tutte le lingue proposte al Nido.

La donna alzò il mento. «Benissimo, allora di sicuro potrete seguire alcuni vostri compagni più indietro con gli studi.»

Non sembrò soddisfatta, ma perlomeno non ci prese sottogamba. Non sapevo perché, ma francesi e inglesi non erano mai stati in buoni rapporti. Drogo, al contrario di Andy, manifestò la sua gratificazione con un bel sorrisetto sornione. A detta di mio fratello dovevamo integrarci con buoni voti e forse quell'esternazione palese ci avrebbe fatto beccare una ramanzina più tardi. Il liceo come il Nido aveva dei gradi, anche a casa tendevo a ricordarmene solo con i gradi più alti, quindi da Khol in su.

«I vostri accompagnatori sono qui» esclamò più vivace il preside per riprendere il discorso. La donna uscì fuori e nello spiraglio tra la porta e il muro notai per prima una ragazza. Mrs Martin si raccomandò con loro di non fare confusione e di aspettare pazienti e in coro sentii un 'oui' poco convinto. Will passò oltre e sollevai la schiena attenta. «Siete pronti?»

Mi voltai verso Andy e di riflesso cercai la sua mano. Lui mi sorrise e me la strinse, accarezzandomi delicato le nocche. «Andrà bene, tranquilla. Ne abbiamo già parlato.»

Annuii.

Fuori c'erano due ragazzi e una ragazza, tra cui Will stesso. Aveva sempre i suoi soliti capelli spettinati, come se non riuscisse a spazzolarsi decentemente i ricci, e l'espressione imbarazzata. Lo salutai con la mano e riuscì persino a farmi un lieve sorriso poco convinto. Appena Drogo mi affiancò e gli gettò un'occhiata, si guardò le scarpe e giocò con i lacci sporchi. Non ero certa che Drogo lo avesse fatto di proposito – c'era da dire, più che altro, che era la sua espressione normale ad intimidire le persone.

«Loro sono Jessica Smith, Hurley Jones e Will Baker, ma voi due vi conoscete già. Ragazzi, loro due sono Penny e Drogo Lewis. Portateli a fare un tour della scuola e rispondete a tutte le loro domande, non siate troppo timidi, saranno i vostri futuri amici.»

Jessica Smith era una bella ragazza, alta e con una corporatura atletica, con gambe sode e braccia sottili. Aveva la pelle color cioccolato caldo, i capelli come una nuvola di ricci neri e la sua unica imperfezione era uno stacco evidente tra i due incisivi centrali. Anche lei vestiva sportiva, ma aveva delle strane scarpe arcobaleno con una zeppa molto alta.

La prima cosa che pensai fu: 'Dio, questa è fuori di testa.'

Hurley Jones poteva facilmente essere inserito nella mia lista di soggetti da tenere d'occhio: pantaloni strappati, camicia rossa tirata fino ai gomiti, sguardo presuntuoso e i capelli rivolti verso l'alto. Lo guardai dall'alto in basso e lui mi fece un sorriso gentile, per poi guardare Drogo, come se cercasse di capire se avesse trovato un nuovo compagno o un cane rognoso.

Jessica annuì e fece il saluto militare. Mi stupì. Trotterellò da me e mi passò una mano sul braccio. «Non si preoccupi, preside, li teniamo d'occhio noi. Il nostro è un penny portafortuna!»

Doveva essere una battuta. Non la capii. Lei mi guardò, aspettandosi qualcosa e ridacchiai.

«Quella era una battuta? Era pessima!» esclamai.

Si mise una mano sul petto e aprì la bocca con teatralità. «Questa cosa... dalla mia migliore amica... mi ha ucciso!»

Nessuno comprese il nostro gioco. Il preside era sicuro che dopo quel giorno saremmo diventati loro amici, così, senza sapere niente degli altri.

«Be', sei venuta a posta per questo...» mormorai distratta.

«E il preside ci crede fino in fondo...» continuò.

«Non dovremmo deluderlo.»

«Suppongo si possa fare.»

«Accordato.»

Jessica annuì e guardò l'uomo negli occhi, seria. «Ora lei è la mia amica» annunciò.

Hurley trattenne a malapena una risata soffocata, ma non contagiò né Will né Drogo. Mio fratello aggrottò le sopracciglia e smisi subito di ridere, tornando composta.

Primo avvertimento: sopracciglia.

Secondo: minaccia.

Terzo: passava alle mani.

Non gli piaceva ripetere troppo la stessa cosa.

Il preside tossì e si raschiò la gola. «Bene, d'accordo. Potete andare, ma tornate entro mezz'ora, quarantacinque minuti al massimo. Signor Lewis, con lei voglio discutere ancora un po'. Torniamo pure di là.»

Fare amicizia al Nido non era difficile, più o meno conoscevi tutti. Ogni conversazione non verteva mai troppo lontano dal Nido, chi ci era nato non conosceva bene il mondo esterno e c'era chi non aveva mai messo piede all'esterno. Wyatt, per esempio.

Andy si incamminò nuovamente verso l'ufficio e mi fece un sorriso per tranquillizzarmi. Non poteva succedermi niente. Avevo solo paura di dire qualcosa di diverso, fuori posto, qualcosa che Jessica, Hurley e Will non avrebbero capito.

«Muoviti, capelli di merda» mi spronò Drogo. «O facciamo notte.»

Will si stava già avviando lungo il corridoio e lo guardai muoversi da solo. Hurley e Jessica erano ancora vicino a noi e aspettarono che ci muovessimo per primi. La porta dell'ufficio del preside si chiuse e la voce di Andy scomparve. Mi chiesi con insistenza cosa avesse detto mio fratello di noi, eravamo speciali, sì, ma non in senso cattivo. O almeno così credevo.

«Allora» esclamò Jessica, venendomi vicino. «Da che parte dell'Inghilterra venite? Si sente che avete l'accento britannico.»

«Non si vede?» l'apostrofò ironico Hurley, indicandomi. «Verranno di sicuro dall'Irlanda.»

Non seppi se fosse un insulto, ma il tono con cui lo disse mi mise a disagio. Mi tolsi i capelli rossi dalla spalla e cercai di nascondere la coda dietro la testa. Anche volendo avrei mentito, non conoscevo le mie origini. Ero stata ritrovata a Londra, ma per quel che ne sapevano tutti potevo benissimo essere americana, italiana o anche russa.

«Wow, forse tutte quelle botte a football ti hanno reso più idiota, Hurley. Gira al largo dalla squadra della scuola, hanno più muscoli che cervello. Te lo garantisco, Penny» mi disse, roteando gli occhi.

Annuii, seppure non capii bene. «Come lo hai capito? Il saluto militare, intendo...» borbottai, incapace di non pensarci.

«Oh,» canticchiò «mio fratello maggiore è nell'esercito anche lui. Be', non è mai andato in guerra, se te lo chiedi, è più un segretario e tecnico, cose così. Ha esattamente lo stesso sguardo del tuo tutore e poi anche tu e lui avete troppo una posa rigida, come se vi sedeste tra le spine. Diciamo che per chi ci è in mezzo è palese, se hai un militare in famiglia allora tutti i componenti diventano soldati...» manifestò.

Sbattei gli occhi e mi voltai verso Drogo. «Hai sentito? Sei tu quello che ha il culo pieno di spine.»

Jessica rise e il ragazzo mi alzò il dito medio.

«Forse dovrei entrare anche io nell'esercito? Per lui mi arruolerei» sogghignò, indicando con il mento la direzione in cui era andato Andy.

«Mi...» Stavo per chiamarlo 'mio fratello' per abitudine. Andy era il mio tutore legale e Drogo il mio fratellastro. «Intendi, Andrew? Anche lui ha il culo di spine, te lo sconsiglio. È un po' come i giocatori di football.»

«Oh, cazzo! Allora mi tiro indietro!» Alzò le mani.

Will si fermò davanti a un'aula e guardò spazientito verso di noi, mettendosi le mani in tasca. Non osò dirci di muoverci e non iniziò a parlare, e dubitai che lo avrebbe fatto per rimproverarci di perdere tempo prezioso. Dopotutto i ragazzi erano lì per mostrarci la scuola, usando il loro tempo estivo.

Raggiunsi Will. «Allora, ti è piaciuta la mia torta?» domandai contenta.

Lui arrossì. «Be', non proprio... io non...»

«L'hai buttata?»

Lui alzò le mani e scosse la testa. «No, no! I miei l'hanno mangiata quasi tutta, alla mia sorellina è piaciuta molto, ma a me non piace il limone. L'ho lasciata a loro» spiegò con le guance rosse e tremolando, cercando di non mostrarsi maleducato. «Questa è l'aula di scienze, entra pure se vuoi dare un'occhiata in giro» divagò veloce.

Era abbastanza comoda e capiente, con dieci postazioni. C'erano numerosi armadi chiusi a chiave, contenenti provette, microscopi, alcuni bisturi e persino acidi in protette confezioni. I tavoli erano spogli, come la cattedra sgombra e leggermente impolverata. La lavagna nera, non usata di recente.

Drogo entrò con me e si guardò in giro. Non voleva sorridere, però per l'emozione lo fece e me ne accorsi. Restò ammirato da un'incubatrice con alcune uova all'interno. Dovevano essere morte, il macchinario era spento.

Will aprì le tapparelle per far entrare più luce.

«Non so se lo avete già letto nel programma o altro, le lezioni iniziano alle otto e finiscono alle due e mezza del pomeriggio, dal lunedì al venerdì, più un'extra di un'ora in alcuni giorni per le attività speciali. Scienze, matematica, inglese, scienze sociali ed educazione fisica sono obbligatorie, le altre le decidete voi.» Era la prima volta che Will parlava senza avere dubbi o balbettando per la timidezza. Se non si rivolgeva direttamente a qualcuno era se stesso, scommisi che si era preparato quel discorso molto prima. Io lo guardai serena e passeggiai tra i banchi. «In questa ala ci sono le aule principali, di solito l'orario non varia molto. Ci sono comunque i numeri, è difficile confondersi. Ogni sessione dell'anno è...»

«Ehi, Will!» ingiunse Hurley con piacere. «Ma non stai mai zitto?» Will annuì stupidamente e si guardò i piedi, non sapendo che fare. Hurley gongolò e mi venne incontro. «Il professore di scienze è il signor Edison. Buffa coincidenza, trovi?»

Scrollai le spalle.

Poco più in là, Will aprì l'aula di lingua francese. Era molto simile a quella di scienze, a differenza che qui i banchi erano stretti e singoli. Quasi la totalità dello spazio era ricoperta da poster della Francia, dei maggiori poeti e dei letterati classici.

Hurley mi passò davanti e si avvicinò alla lavagna, facendo una piroetta. «Questa è una lavagna interattiva. Sapete cos'è?»

Jessica alzò gli occhi. «Lo sanno cos'è una lavagna, idiota.»

Hurley rise e uscì dalla classe, dirigendosi altrove. Drogo strinse i pugni. Se fossimo stati al Nido, semplicemente lo avrebbe attaccato e avrebbero risolto il dissapore con i pugni. Drogo conosceva le arti marziali, ma anche Hurley all'apparenza era forte, con spalle ampie e braccia dure. Non potevamo picchiare i civili, lo sapeva e non volevo che Andy lo punisse. Le sue punizioni erano terribili.

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