XXIX
(Will Baker)
Il giorno seguente, benché io e Drogo ci fossimo appisolati abbastanza presto, Andy ci costrinse ad alzarci alla buon'ora e scoprimmo ancora di essere assonnati e irritati. Al Nido tutti si alzavano presto, dopo un po' avevo costruito una mia sveglia mentale e mi svegliavo sempre poco prima delle sette. Ero una persona mattiniera, ci voleva un po' prima che mi svegliassi, ma l'umore già nero di Andy e la confusione in testa mi impedirono di supplicare di poter dormire un'altra ora. Di certo mio fratello non avrebbe cambiato la sua routine per colpa nostra.
Karen – che scoprimmo essere la donna senza nome della nostra stessa squadra – ci portò la colazione. Un caffè lungo per Andy con una torta di mele e per me e il mio amico succo di frutta e una brioche alla marmellata. Il sapore non mi piacque affatto, la pasta del dolce era molle e senza sapore, la spremuta piena di zucchero per nascondere il sapore amaro. Al Nido era tutto fatto in casa, i cibi venivano fatti portare da qualche allevamento o campo privato vicino Brimingham e venivano raccolti persino i frutti attorno alle mura.
Drogo e io eravamo ancora in pigiama. Portava una canotta bianca e dei semplici calzoni del medesimo colore, le braccia e le gambe erano percorse da numerosi vecchi lividi e cicatrici. Non aveva segni visibili sul collo, quindi significava che Hejji lo guariva sempre.
«Avete seguito il ragazzo?» domandò Andy senza scomporsi, appoggiandosi all'angolo della cucina.
Karen annuì. Era una bella donna, in fondo, con un'aria distinta e superiore. Doveva essere stata un'insegnante del Nido, più o meno avevano tutti lo stesso atteggiamento. Come copertura doveva essere la nostra tutrice, nonché compagna di Andy: ero molto curiosa di sapere come entrambi avrebbero recitato la parte.
«Keith e Lancer lo stanno seguendo. L'OverTwo ha piazzato un GPS nella macchina dei genitori, per fortuna il ragazzo non ha ancora la patente, perciò seguirlo è facile. Non lo possiamo perdere, siamo collegati direttamente con il satellite. Cosa pensi di fare?»
Andy finì il suo caffè e ci lanciò un'occhiata dubbiosa. «I ragazzini non possono fare niente fino a che i corsi non iniziano, approcciarlo fuori dall'ambiente scolastico è rischioso. Per oggi vado a comprare qualcosa per mantenere in piedi questa casa, cibo e stronzate simili. A te serve qualcosa?»
«Sono vegetariana» lo informò pacata.
Io continuai a mangiare serenamente, fino a quando Drogo non mi rubò il bicchiere di plastica di Starbucks e bevve un lungo sorso della mia spremuta. Gli diedi un calcio sotto il tavolo e per non far girare Andy entrambi fingemmo che non fosse successo niente, riprendendomi con foga quel disgustoso intruglio. Non mi piaceva, ma preferivo bere quello e avere energie piuttosto che aspettare fino al pranzo.
«Tieni d'occhio tu il ragazzo, tenente colonnello» lo liquidò Karen con fretta. «Se dobbiamo fingere una relazione, almeno devi conoscere le caratteristiche di base dell'altra persona.»
Mio fratello di sicuro aveva studiato il fascicolo di Karen e la copertura, ma il fatto che fosse vegetariana doveva essergli completamente sfuggito dalla memoria, da come si stava sforzando di ricordare.
Karen uscì dalla porta di casa senza aggiungere altro. Non mi sembrò offesa, era più grande di Andy e si vedeva, probabilmente si era sentita esclusa o non ascoltata. Mi capitava spesso con lui.
«Sarai un fidanzato orrendo, Andy» biascicai delusa, scuotendo la testa.
Drogo mi imitò. «Donne» si lamentò.
Gli tirai un secondo calcio per farlo zittire e me lo tornò, due volte più forte. Feci per alzarmi e dargli un colpo ben assestato sul braccio, quando Andy ci prese entrambi e ci schiacciò le teste sul tavolo finché non restammo muti.
San Francisco era una città più attiva del Nido, specie di notte. Le campagne d'Inghilterra erano silenziose, c'erano pochissimi rumori di notte, qualche coraggioso animale notturno o i brusii dei soldati. Dormivo bene per tutta la sera.
La città invece era caotica, mi ero svegliata due volte durante la notte e seppure ero stata attaccata a Andy non riuscivo a stare calma. Il quartiere era tranquillo, eppure nel cuore della notte c'erano ancora rombi di moto e macchine, risate improvvise di persone e fari accecanti che penetravano dalle imposte chiuse. Ero riuscita a chiudere occhio solo per la stanchezza.
Alla pura luce del sole della mattina, San Francisco mi sembrò davvero una splendida città. Non c'erano muri e gli unici animali che seguivano gli umani non erano Demoni. Non c'era puzza di loro, le aure erano tutte pulite e sottili. Il generale aveva lasciato la macchina a Andy in modo tale da permettergli di muoversi liberamente per la città, o'Riley doveva aver fatto lo stesso con Karen e gli altri due soldati.
Viaggiavo nel sedile passeggero, dietro Andy, dato che io e Drogo avevamo litigato per l'onore di sederci nel posto davanti, mio fratello spedì entrambi dietro senza possibilità di parola. Non avevo mai pensato che sapesse guidare, non lo avevo mai visto con i miei occhi. Frenava e accelerava un po' bruscamente, dovuto agli intervalli al Nido dove non toccava il volante, ma almeno non rischiammo di morire.
Il Westfield San Francisco Center era un elegante e famoso centro commerciale urbano, situato vicino alla Market St. Si collegava alla stazione di Powell Street tramite un ingresso sotterraneo, mi parve la cosa più figa del mondo, e l'edificio comprendeva più di centottanta negozi stabiliti in nove piani.
Entrammo dall'ingresso di 865 Market Street, era un'enorme porta ad arco con impresso sopra un simbolo dorato a forma di girandola. L'edificio in sé era enorme, di un bianco cenere con numerose finestre su tutti i piani, bandiere verde petrolio con il nome Westerfield e numerose insegne occupavano gran parte della facciata.
Mi rimangiai subito il pensiero che il Distretto fosse il più grande edificio che avessi mai visto: un singolo piano poteva essere più alto di tutti quelli del Nido, il soffitto luminoso era di vetro, con un'enorme cupola nella parte centrale. Il pavimento era lucido, a strisce marroni e bianche, i corridoi infiniti e negozi attaccati l'uno all'altro. C'erano vestiti, giocattoli, dolci, antiquariato, cinema e persino gallerie d'arte.
Quasi calpestai un minuscolo cane senza pelo, questo saltò a lato per schivarmi e prese ad abbaiare con furia, facendo persino agitare la padrona, la quale mi gettò un'occhiata furibonda senza parlare.
«Era un topo quello?» domandò basito Drogo. «Portano i topi al guinzaglio?»
Andy lo ignorò, camminando dritto verso una direzione precisa. Non ricordavo se avesse già fatto una missione a San Francisco, ne aveva fatte molte in giro per il mondo, meno di John Baskerville ma comunque molte.
«Era un cane. Un chihuahua. E quei cani valgono molto di più della tua vita» sbottò mio fratello, prendendo un carrello.
Drogo sbatté gli occhi, non capendo. «Ma aveva gli occhi all'infuori e le zampe scheletriche... Non ho mai visto un cane così, a che serve?»
Si girò verso di me, credendo che avessi una risposta. Feci spallucce. Non lo sapevo nemmeno io. C'erano numerosi Demoni dalle sembianze di cani, ma nessuno di loro aveva una taglia inferiore a quella del cocker, erano tutti animali da caccia. Più erano forti e meglio avrebbero difeso il Dominatore. Cosa avrebbe potuto fare quel topo contro Ryokku? Non era nemmeno uno stuzzicadenti per lui.
Mi appigliai al carrello e mi lasciai trascinare da Andy dentro il supermercato. Era un ambiente ampio il doppio, o anche il triplo, rispetto alla mensa del Nido. Il soffitto era alto, illuminato in modo omogeneo grazie alle centinaia di lampade a neon che penzolavano dall'alto. C'erano numerose corsie, interi reparti che offrivano solo una determinata carne, libri divisi in genere e persino banchi che esibivano centinaia di dischi e film. C'era troppa merce, troppa confusione, accentuata dai bambini che si lamentavano, gli interfoni che annunciavano qualcosa e l'irritante musichetta di sottofondo.
Andy però era molto efficiente e stillò subito una lista delle cose che necessariamente dovevamo avere in casa, come farina, uova, olio, bacon, verdura, riso e cose così, per il resto avevamo tutto in dotazione.
Pattinavo vicino a Andy tra le corsie, mentre Drogo si guardava a destra e a sinistra, ammirando le magnificenze mai viste. Restammo più o meno dieci minuti imbambolati davanti a un distributore di caramelle di vari colori. Al Nido non ci venivano dati dolci pieni di grassi o zuccheri, avevamo una dieta standard ed equilibrata. Se andava bene potevamo racimolare qualche merendina di carote o budino al cioccolato, di tanto in tanto.
Presi un pacchetto di merendine e lo lanciai nel carrello, già mezzo pieno di cose. Andy mi lanciò un'occhiataccia.
«È per fare colazione» mi difesi piano, cercando di convincerlo. «Potresti portare qualcosa a Karen, di biologico magari!» lo attaccai con sarcasmo.
«Tappati la bocca, Penny.»
«Una volta tanto ha ragione» biascicò Drogo. «Ci hanno mandato qui con uno scopo preciso, non di certo per farti ingrassare. Se non stai attenta, tra non molto rotolerai su e giù.» Mosse il dito in alto e in basso, imitando il movimento.
Andy ridacchiò.
«I veri uomini» mi lamentai e alzai le braccia. Andy e Drogo alzarono i menti orgogliosi per farmi irritare e io sospirai. «Allora uno di voi deve prendermi gli assorbenti.»
Drogo arrossì furioso e Andy fece due calcoli, prima di capire che avessi ragione. Normalmente quelle scorte personali femminili erano gestite da Abigail e distribuite ad ogni ragazza che ne avesse bisogno al Nido, di solito era Leah quella che mi riforniva di nascosto, dato che con Andy non voleva nemmeno che gliene parlassi.
«È tua sorella, non mia» si tirò fuori Drogo.
«La vostra alleanza fa buchi da tutte le parti» ridacchiai, trotterellando avanti con scioltezza. «Io e te dovremo fare un bel discorso su cosa significa avere una ragazza in casa. Vivere con mio fratello è già un disastro, non fa mai niente, lascia sempre la tavoletta alzata ed è sempre la principessa del Nido a occuparsi di tutto. Louis dice che dovrei avere più ragazzi ai miei piedi per quanto sono bella.»
Andy alzò un sopracciglio. «Louis ti dice questo? È cieco.»
«E anche con poche pretese, aggiungerei. Magari puoi fare gli occhi dolci a lui per avere le tue schifose merendine.»
Il doppio senso non mi piacque affatto. Amavo Louis e sapevo che seppure il padre lo avesse obbligato a sposarmi non mi avrebbe mai fatto del male. Sposare Louis sarebbe stato un privilegio, ma anche il generale lo aveva capito.
«Magari puoi insegnarmi tu» sillabai. «Quando ti infili la mano nei pantaloni fai dei rumori come se fossi un gattino.»
La sua espressione cambiò in un attimo, gli occhi gli uscirono fuori dalle orbite e le guance già tinte di rosso diventarono paonazze di vergogna e odio. Avevo beccato tantissimi ragazzi e ragazze in atteggiamenti poco professionali durante le mie ronde e avevo sempre cercato di prenderla nello stesso modo: con divertimento. A volte c'era poco da fare al Nido, specie d'estate, senza missioni, con il caldo asfissiante, gli incarichi sospesi e le effusioni erano il migliore modo per far passare il tempo. Wyatt diceva che ero troppo immatura per una relazione e Andy era d'accordo: per lui più ero lontana dagli uomini e meglio era.
Drogo afferrò la prima cosa che gli capitò a tiro in uno scaffale, non mirò nemmeno e me lo lanciò contro. Aprii le mani pronta a ricevere la bottiglia di sciroppo d'acero, ma Andy saltò in mezzo e lo afferrò prima che potesse arrivare in alto. Una donna con una bambina aprì la bocca con spavento, ci guardò e se ne andò via, tirando il carrello con sé.
«Piccola merda» sbraitò Drogo, camminando verso di me.
Fremetti per l'eccitazione, non combattevo da molto e l'idea di spappolare un'altra volta il ragazzo a terra si insinuò nel mio cervello, per punirlo di tutte le prese in giro e i momenti in cui non potevo fare appello al mio stato di sorvegliante per dargli fastidio.
Andy afferrò Drogo per il braccio e lo tirò con violenza più vicino, gli premette le dita sul collo e lo immobilizzò.
«Vieni qui anche tu» mi ordinò gelido e abbandonai la mia espressione svagata, rivolgendo gli occhi a terra e avvicinandomi con riluttanza.
Mi afferrò un polso e me lo storse, non alzò troppo il tono o le mani per non dare scalpore, infatti ci lasciò entrambi. Mise via la bottiglietta di vetro al suo posto, quasi rompendola per l'astio e inspirò profondamente. C'erano altre persone in quella corsia e avevamo già attirato troppo l'attenzione.
«Ma che cazzo prende a voi due?» ci intimò serio, ringhiando. Drogo mi lanciò un'occhiata accusatoria, eppure appena notò gli occhi di Andy si arrese. «Siamo in questa città da meno di un giorno e già mi volete far incazzare? Se fossimo stati al Nido avrei avuto la punizione giusta per voi, ma ne riparleremo a casa. Siete troppo abituati a fare i vostri comodi, con me non sarà così. Per oggi mi avete rotto i coglioni, andate a discutere altrove.» Aprì il portafoglio e ci allungò cento dollari a testa, spingendoceli tra le mani. «Andate a comprarvi dei vestiti, ve ne serviranno decenti per la scuola. Niente cazzate» mi avvertì severo, mi osservò meglio e poi diede i miei soldi a Drogo. «Tu vai bene così, sembri già un'inutile ragazzina. Tieni d'occhio che non compri stronzate, i soldi servono più a lui. E tingiti quei capelli ossigenati.»
«Io sono biondo naturale» sottolineò acido.
«Non osare fregarti i soldi.»
Drogo alzò le spalle insofferente. «Va bene, mamma orso.»
«Ci vediamo a mezzogiorno nella zona ristoro» dissi veloce, sperando che ci lasciasse in pace. «Andiamo, pasticcino.» Cercai di prendere la mano al mio amico e lui mi evitò schifato.
Non avevo mai avuto tanti soldi prima, ricevevo lo stipendio al Nido per i miei servizi, ma li spendevo per prendermi le cose che servivano per me o per la casa – specialmente per le piante, lo ammetto. Io e Drogo non avevamo idea di dove andare, eravamo persi in quasi nove piani di vestiti e stravaganze, dovevamo capire in fretta dove andare per arrivare in tempo all'appuntamento nell'area ristoro, che si trovava al primo piano a est.
Entrammo in uno dei negozi più frequentati, H&M. Aveva ben tre piani e aveva sia vestiti maschili sia femminili, perciò se fossimo stati fortunati non avremmo dovuto girovagare oltre. Il negozio era ben illuminato, fin troppo, ed era pieno di scaffali ricolmi di vestiti vari, già pronti per l'autunno. C'era uno spazio dedicato interamente alle donne, uno per gli uomini, per i bambini e persino per i gioielli. A quell'ora c'erano già molte ragazze della mia età, un poco di più, in compagnia dei genitori o di gruppi di amiche starnazzanti.
«Troviamo qualcosa di più decente da metterti addosso» mormorai, dando un'occhiata ai suoi vestiti militari.
Si infilò le mani in tasca. «Cos'hanno che non vanno i miei vestiti? Hai portato per anni la stessa uniforme anche tu.»
«Una bella scusa per cambiare» esclamai, prendendo una camicia bianca dall'appendino e mettendola davanti al suo petto, per capire la giusta taglia. «Così farai decisamente colpo.»
«E così mi vuoi togliere i vestiti. Bastava chiedere» ironizzò con spirito, prendendo il capo dalla mia mano.
Scommisi che volesse aggiungere uno dei miei soliti nomignoli affettivi, ma non ci riuscì. Drogo mi precedette verso un altro reparto, una ragazza lì accanto mi rivolse uno sguardo e mi sorrise con complicità. Gli strizzai l'occhio.
«Amo quando fa il difficile» le confidai e riuscii a farla ridere di più.
Accompagnai Drogo nel reparto uomini e dovetti seguirlo tutto il tempo. Non sapevo se avesse semplicemente gusti orrendi o se non li avesse proprio: non gli piacevano cose colorate e pantaloni diversi dal verde, nero e bianco, così come le maglie. Lo avrei facilmente accontentato, ma non poteva avere un guardaroba tutto uguale e di sicuro non avevo intenzione di assumermi la colpa davanti ad Andy. Mettemmo tutta la roba in un piccolo cesto con le rotelle e lo obbligai a provarsi tutto ciò che gli indicavo io, cercavo di non variare troppo la tonalità di colori, ma lo convinsi a prendersi varie felpe, maglie e pantaloni di tuta. Non dovevamo più sottostare all'etichetta rigida del Nido, niente calze o colletti alti per me. Una specie di ribellione sarebbe stata indossare calzoncini corti e una canotta con spalline sottili, trasparente per far vedere il reggiseno. Avrei mandato una foto a Damian solo per il gusto di farlo arrabbiare. La principessa del Nido presto avrebbe avuto la sua corona, avrei fatto in modo di essere la regina più ribelle della storia.
«Mi sento ridicolo con questa cosa addosso» si lamentò Drogo, uscendo dal camerino con una felpa nera della Jack Daniel's.
Inclinai la testa e smisi di giocherellare con un'etichetta e lo guardai, fingendomi corrucciata. «Intendi più del solito?» Gli feci l'occhiolino astuta.
Mi rifece il verso stizzito e si allontanò il colletto alto della felpa dal collo. «Prendo queste cose e basta, mi sono stufato e queste luci cominciano a darmi alla testa. Dobbiamo rimanere qui a lungo?»
Senza curarsi di tirare la tendina davanti, si sfilò la felpa di dosso. Non aveva una maglia sotto, quella che aveva era accartocciata nello sgabello dietro di lui. Lo avevo visto più volte senza maglia o pantaloni, specie d'estate quando si richiudeva in casa con il condizionatore acceso. Delle ragazze gli lanciarono degli sguardi fini e lui nemmeno li notò. Dedicai un'occhiata ambigua ai muscoli del suo petto.
«Ci avanzano venticinque dollari. Tu hai visto qualcosa che ti piace?» buttò lì.
Mi alzai da terra e mi pulii i pantaloni. «Oh, e così adesso sei tu quello che vuole togliermi i vestiti. Prima portami a cena, almeno.»
Mi alzò il dito medio e mi lanciò la felpa in faccia. La piegai e la misi nella cesta con gli altri abiti. Fortunatamente gli abiti estivi erano per la maggiore in saldo, perciò risparmiammo molto.
Aspettando Drogo, passeggiai un'altra volta tra gli scaffali. C'erano moltissime gonne corte e vestiti aderenti con texture vivaci, al Nido non avrei mai potuto indossare una cosa del genere. Non avrei potuto muovermi bene e di sicuro Damian me lo avrebbe impedito per oltraggio al pudore. Persino in quel momento, dove ero libera di indossare ciò che più mi piaceva, non riuscii a togliermi di dosso le regole e le imposizioni del Nido.
Presi un maglioncino bianco da un appendino e lo guardai.
«Prendilo grigio» ingiunse Drogo alle mie spalle. Stavo per dirgli che ero capace di scegliere il colore da sola, date le splendide varie tonalità di grigio, bianco e verde. «Ti sta bene, il grigio. Molto più del bianco, almeno.»
Alzai un sopracciglio e ridacchiai, trattenendomi dal parlare. Se lo avessi fatto gli avrei di sicuro detto qualcosa di piccante. Trotterellai più felice verso i camerini e mi guardai allo specchio. Era strano vedermi più di due giorni di fila senza uniforme, portavo i miei soliti anfibi, eppure continuavo a sentire che qualcosa non quadrava. Non sentire le calze sulle gambe, la stoffa lunga fino ai polsi e la cintura sul ventre mi mettevano a disagio.
Non parevo diversa dalle altre ragazze, avevo dei vestiti comuni, così semplici, d'altronde sapevo anche che non sarei mai potuta essere come loro: niente feste, studi normali o un fidanzato da portare a casa di nascosto. Loro non sapevano tre lingue correttamente, non sapevano oltre cinque arti marziali e soprattutto non avevano un Demone dell'animo, dove fremeva e graffiava per uscire. Non mi vidi come una normale ragazza di diciassette anni, forse era anche dovuto al mio corpo, ai muscoli sodi delle gambe e alla piattezza del ventre.
Scossi la testa per togliermi quei pensieri dalla mente. Meno ci pensavo, come diceva Andy, e meno stavo male. Mi tolsi la maglia e mi sistemai il reggiseno.
«Ti muovi?» gracchiò Drogo, scostando la tenda. Saltai a lato e per riflesso alzai il braccio in difesa, pronto a colpirlo. Il ragazzo imitò il gesto e voltò la testa. «Cazzo, non ti eri ancora messa quel coso?» abbaiò.
«Cos'è quel tono accusatorio?» berciai e sistemai la tenda.
«Be', scusa, non c'era molto da vedere.» Aprii la bocca sconcertata e velocemente mi infilai il maglioncino grigio. I capelli si gonfiarono per l'elettricità e dei ciuffi si alzarono dalla coda. «Nella mia testa suonava meglio...» mormorò distratto, di sicuro non avendo riconosciuto la vaga offesa.
Il maglioncino era carino, mi stava leggermente largo sulla vita, ma credo che andasse di moda così. Cosa ne sapevo io della moda corrente? Ci stavo comoda e d'inverno mi avrebbe fatto comodo, dato che il generale mi aveva già avvertito che gli inverni a San Francisco erano lunghi e rigidi. Andy non avrebbe ribattuto sul mio acquisto, mi si vedeva a malapena il collo.
Feci una piroetta e mi feci vedere dal ragazzo, il quale mi diede un'occhiata critica dalla testa ai piedi.
«Sono o non sono bellissima?» esclamai, facendomi aria con la mano.
«È bellissima la tua modestia, direi.» Roteai gli occhi. Di rado mi dava corda. Wyatt e Louis erano più divertenti. Mi girai verso lo specchio e mi guardai, ancora indecisa. «Cosa pensi riguardo a quel ragazzo, Will?» mi domandò all'improvviso.
Lo guardai attraverso lo specchio. Era appoggiato contro uno scaffale e aveva le braccia incrociate. Sapeva che avevo occhio per certe cose, riuscivo a capire meglio di altri quando qualcosa non andava in un ragazzo semplicemente guardandolo. Drogo lo sapeva dato che per anni era stato un mio sorvegliato.
«Non lo so» borbottai. «Dalle foto mi pare davvero un ragazzo a posto, eppure mi rende anche inquieta. Un potere così grande non può essere naturale, lo sai bene. Come può un ragazzo di sedici anni essere immischiato con un essere del genere?»
Parlai piano, senza accennare ai Demoni o ai Mastini. Le persone non avrebbero capito ugualmente, però non volevo far sorgere in qualcuno strani sospetti.
Drogo annuì. «Noi è da quando abbiamo sei anni che ci siamo immischiati» mi ricordò freddo, «e nessuno ci ha mai detto niente.»
«Pensi che sia uno di noi?»
«E un Mastino va volontariamente da un Dominatore? Non essere stupida, capelli di merda» sbuffò. «Magari il maglione lo attirerà nelle tue grinfie femminili.»
«Magari il maglione mi farà evitare le tue» lo imitai. «E poi noi siamo diversi dai comuni ragazzi, pensi che un genitore comune non si accorgerebbe che un figlio sia strano in tutti i punti, dal nulla?»
Dominatori non si diventava dal niente, si nasceva e si era differenti a livello genetico rispetto agli altri esseri umani. Quando uno di noi possedeva un Demone, le attività e le caratteristiche del corpo umano si differenziavano maggiormente: producevamo più sangue, guarivamo più in fretta, avevamo più resistenza, forza e riflessi più veloci. Era impossibile che i genitori non si fossero accorti di queste cose, ancor meno Will. Cosa aveva fatto per controllarsi? Si era nascosto o aveva fatto vedere le sue abilità ad altri? Era un guaio.
«Intendi dire la rabbia repressa e il desiderio di uccidere tutti? Cosa farai se scopriremo che quel ragazzo è più forte di noi e può mettere in pericolo le vite delle persone che amiamo e la sicurezza del Nido stesso?» La risposta era ovvia. Era la regola di base del Nido. Non catturare; distruggi. «È l'essenza di un Dominatore, tu lo sai bene. Controllarsi è difficile. È questo il nostro mondo e sarà lo stesso per i nostri figli.»
Ripensai a Damian un attimo e un brivido mi percorse le gambe e le braccia, dove mi aveva toccata. «Non voglio che i miei figli siano costantemente in pericolo di vita. In un mondo come il nostro non li vorrei e basta.»
Drogo si accigliò momentaneamente. Non mi pave arrabbiato o deluso dalle mie parole, mi capì. «Se non vivessi al Nido io li vorrei» mi informò e sorrisi con spirito.
Drogo padre. Un bel problema per il figlio e per la madre.
«Però ci vivi.»
«Se non ci vivessi, ho detto. Apri le orecchie» ringhiò. Si umettò le labbra e pensò ad altro, prendendo la cesta tra le braccia. «Togliti quel coso e andiamo, è quasi mezzogiorno e al tenente colonnello non piacciono i ritardatari, lo sai meglio di me. I genitori al Nido vedono ogni giorno i figli soffrire e morire, essere soldati vuol dire anche questo. Sei la numero uno del Nido, anche questa è una tua responsabilità» finì freddo.
Me lo ripetevano tutti, l'unica che pareva capire davvero come mi sentissi era Alma; sapeva che non avevo altra scelta se non quella di sposare Damian e un figlio era una cosa sottintesa, specie per lui. Se si fosse imposto lui, il generale avrebbe potuto ripensarci, ma Damian non avrebbe mai detto una cosa diversa rispetto a quella del padre. Non ero certa che mi odiasse, provava gelosia che il generale Mordecai si fosse interessato a me, ingenuamente a detta sua. I Mordecai avevano bisogno di un erede forte. Era solo business.
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