XXI

Mi tirò un pugno, il quale riuscii a rallentarlo mettendo gli avambracci davanti al mio volto, come uno scudo. All'impatto riuscii a non emettere alcun suono, ma percepii una fitta indescrivibile alle ossa delle braccia. Scacciai il suo braccio e saltai con l'intento di colpirlo nuovamente in gola. Prevedendolo, riuscì a stringere la gamba in una morsa e a sovesciarmi, posizionandosi sopra di me. Alzai le gambe sopra la testa e mi spinsi via, liberandomi. Mi tirò due pugni, uno sullo stomaco e uno in faccia. Se non fosse stata una prova così importante avrei indietreggiato e mi sarei sforzata sulla difesa, ma dovevano mancare poco meno di quindici minuti alla fine del test e di una cosa ero certa: Andy e Bill non volevano la nostra bandiera, volevano batterci con il tempo.

Mi piegai in avanti, fingendo il dolore del suo ultimo pugno, questo lo fece avvicinare con sicurezza. Appena il suo gancio scese ancora, lo evitai all'ultimo, sbilanciandolo, lo piegai e cercai di immobilizzarlo. Con una mano fermai la sua, storcendogli il braccio sopra la testa, con l'altra gli serrai il collo.

Si schiacciò a terra intenzionalmente, facendomi volare in avanti. Arraffò il giubbino che portavo, perciò mi liberai subito e tentai di scappare via e riprendere la falce. Usò la giacca come fune, fermando la mia ritirata e tirandomi verso di sé, fece fare due giri tirati alle maniche, tanto da far cedere delle cuciture, e la annodò, bloccandomi. Mi spinse a terra e mi tirò fino alla sua spada, la disincastrò dal terreno e con una stilettata decisa, bucò il tessuto e la incastonò a terra. Mi ribellai con tutte le mie forze, ma non ottenni niente.

«Tenta di darmi un calcio adesso, pesciolina» mi prese in giro. «Appena finisco con la principessa, tocca di nuovo a te, preparati.»

Provai un'emozione dirompente, un misto tra rabbia, odio e frustrazione. Non sapevo se avesse un nome proprio o fosse solo un ammasso di istinto primordiale, desiderai soltanto potermi liberare, correre da Drogo e da Andy per colpirli entrambi. La parte di me, quella più ribelle e poco paziente, si incendiò. Non ce la facevo a rimanere immobile.

Il petto cominciò a battermi forte, come se Ryokku si stesse rigirando tra le mura dell'anima e stesse graffiando la membrana che lo teneva rinchiuso. Lui era dentro di me, sentivo perfettamente il suo potere, eppure allo stesso tempo era distante, evanescente.

Andy camminò sicuro verso Drogo, quest'ultimo si alzò un po' a tentoni, ancora provato dall'ultimo scontro.

«Hai ancora la forza per sparare cazzate o preferisci che ti spezzo direttamente?» gli fece scegliere, mettendo due dita davanti a sé. «Se pensate che questo è solo un inutile esame vi state sbagliando di grosso, piccole reclute. Siete Dominatori? Dimostratemelo qui, ora! Adesso siamo noi i mostri, quindi che aspettate?»

Io e Drogo rimanemmo paralizzati sul posto e seppure ci fosse stato insegnato di non mostrare al cacciatore l'odore del sangue e della paura, Andy riusciva ad emanare un'aura così opprimente da rendere impossibile l'idea di alienarla.

«Drogo, aiutami!» strillai impettita. «Lascia perdere lo scontro e...»

Lui mi rivolse un'occhiata storta e, invece di gridare come suo solito, prese un'enorme boccata d'aria e boccheggiò affannoso. «Chiudi quella fogna, ti ho già detto che il tuo potere non mi serve per sconfiggere questo figlio di puttana. Ce la farò da solo, te lo dimostrerò! È questo che fanno i soldati e io diventerò il numero uno fra tutti i Dominatori! Se tu sai solo scappare non è affar mio.»

Era sempre stato così, fin da piccolo. Prepotente e avventuriero, eravamo amici d'infanzia perché abitavamo vicini e avevamo più o meno la stessa età. Non avevamo grandi compagni all'epoca, c'erano i soliti gruppetti fidati e poi c'eravamo noi. Drogo riusciva a farsi rispettare persino dai più grandi, era un capetto nato, una specie di leader per me, seppure anche Bill dicesse che non sapeva bene riconoscere la differenza tra bene e male. Da quando le nostre strade si divisero, già prima dei tredici anni, aveva accelerato verso un'altra direzione.

«Usa il tuo potere, bastardo, voglio sconfiggerti nella tua piena potenza!» strepitò a Andy, avanzando verso di lui.

Mio fratello evitò il suo attacco, saltò di lato e caricando tutta la sua forza, gli sferrò un pugno in pieno stomaco. Fu così distruttivo che il ragazzo biondo si piegò in avanti e vomitò. Andy sgattaiolò via e rise di gusto, premendosi le mani sulla pancia.

«Oh» rantolò. «Questo è un grandioso divertimento, da quando non ci fanno più educare in questo modo?» si lamentò. «Spero che tu ora abbia imparato. Non puoi essere il numero uno, tutto qui. Cosa ti fa imbestialire? La tua debolezza o mia sorella, per l'esattezza? Se vi foste alleati avreste potuto creare un bell'assemblaggio, però siete stupidi entrambi e i tasselli non coincidono. Tu vuoi solo essere forte e lei continuare a divertirsi.»

Piantai bene i piedi a terra e mossi le mani, avvertii la lama della spada premermi sulla pelle, un'altra sensazione sgradevole che Andy mi aveva impresso negli ultimi anni, ma feci attenzione e cominciai a sfregare il tessuto che mi immobilizzava, tagliandolo poco a poco.

Drogo provò a riprendersi, lo vedevo stordito e l'ultimo conato lo aveva debilitato fisicamente. «Lei non mi serve...» biascicò. «Se non posso vincere contando sulle mie forze, preferisco perdere e basta. Non farò affidamento su una persona che non fa altro che nascondersi dietro il suo stupido Demone Nero.»

La sua sentenza era del tutto egoista, ma ad Andy bastò. «Com'è che mi avevi detto, sorellina? "Non venire a piangere da me"?» mi schernì sornione. «Farò a pezzi la tua squadra. Guarda bene.»

In un ultimo momento di disperazione, mi tagliai la mano e mi liberai definitivamente dalla giacca usata come corda. Ignorando la sensazione fastidiosa al polso, scattai in avanti e corsi verso i due ragazzi. Mio fratello aprì la bocca in un sorriso e indietreggiò, facendomi capire che non mi avrebbe ostacolato. Ero diversi metri lontana da loro, se lui avesse voluto avrebbe con tutta la comodità potuto mettere a terra definitivamente il mio compagno e poi finire me.

Appena Drogo alzò gli occhi verso di me, gli sferrai un pugno. Era l'ultima cosa che mi sarei aspettata di fare, ma lasciai libero sfogo a questa mia voglia. Doveva capirlo: non era una cosa cattiva pensare a se stessi, ma c'erano molte altre persone che prima o poi avrebbero contato su di lui, io prima di altre.

Il ragazzo aprì la bocca e ne uscì un lamento strozzato. Lo aiutai a rimettersi in piedi e poi lo tirai con me, per fuggire via. Bill ci venne incontro con aria allarmata, Andy si mise sulla sua strada e lo fermò alzando una mano, sedendosi poi a terra con noia.

Drogo camminava a stento, buttava un piede in avanti e poi l'altro, sforzandosi di non gravare il suo peso su di me e rischiare di cadere con la faccia a terra. Mi infilai nel primo vicolo davanti a noi, quello che portava al settore B. Non era una buona idea avere un terreno di scontro ridotto, o almeno nel mio caso. La falce era ingombrante e non potevo tenere testa a mio fratello in modo ravvicinato. L'unica opzione valida era andare verso i condomini.

«Lasciami, lurida testa di cazzo o...»

Non sapevo se si zittì per la fitta allo stomaco o perché non sapeva cosa dire, io lo anticipai veloce per non fargli sentire lo stacco. «Non preoccuparti» lo rassicurai. «Riposiamo qualche minuto ed elaboriamo una strategia.»

Drogo piantò i piedi a terra, si liberò con un gesto brusco dal mio appiglio e mi allontanò con una spinta, storcendomi il braccio. Non mi fece male, capii che non era il suo principale intento e infatti si allontanò alla svelta, come se temesse che gli avrei gridato contro.

Cercai di respirare piano. «Senti, so che non sono per te un compagno di squadra ideale, ma almeno per oggi cerchiamo di andare d'accordo. Lo hai visto anche tu, tuo padre e mio fratello sono dei mostri insieme.»

«Dovevi darmi una mano!» s'imbestialì e la sua faccia, già rossa, si scurì. «Hai un Demone nero, usalo!»

Scossi la testa. «Se mi avessi ascoltato per un secondo ti avrei felicemente detto che Ryokku non ha nessun Dono, non è magico!» Sembrò sbiancare un poco e il suo ringhio rabbioso di assottigliò in una linea dritta, quasi stupita. «Può controllare un po' il mondo esterno, ma il malefico gli impedisce di usare tutto il suo potere. Nello scontro può pareggiare con Bill, ma ha una portata troppo ampia per far allarmare Andy. L'unica è il tuo fuoco.»

Lui alzò un braccio, liquidandomi. «No, al contrario. Non avrei mai pensato di dirlo, non al tuo cazzo di Demone, ma è meglio se non possiede Doni. Il Demone nero del vecchio è di Tipo X, entro un raggio stabilito annulla tutti i poteri e i Doni.»

C'erano diversi tipi di Demoni neri, i più comuni erano quelli di attacco e di supporto. I primi avevano degli attacchi fisici più potenti rispetto a quelli normali, quelli di supporto erano utili nelle battaglie, restando nelle retrovie potevano aumentare l'energia di un compagno per un lasso di tempo prestabilito. Lizbett era di tipo evanescente, quelli che usavano attacchi mentali ed erano i soli ad avere un'area illimitata. Bill era di tipo X, uno dei più rari insieme al Demone-gatto. Era un bel grattacapo.

Non avevo mai visto il vero potere di Alderyu, sapevo solo che aveva un Dono molto singolare d'attacco.

«Dobbiamo mettere fuori gioco Bill prima di tutto. Se non hanno fatto sforzi per impedirci di andarcene, dubito che ne faranno adesso, è come il gioco del gatto e del topo» calcolai e il ragazzo si tolse con furia della terra dalla faccia. «E noi siamo nel loro labirinto. Di Bill me ne occuperò io, se è restato in disparte significa che ha lui la bandiera. Miriamo a lui prima di tutto. Singolarmente nessuno di noi ha possibilità contro Andy, ma se ci teniamo abbastanza alla larga e...»

Drogo mi saltò vicino e mi spinse a terra, facendomi cadere la falce dalle mani. Questa sbatté contro un muro e si incastrò nel canale di scolo. Stavo ancora parlando quando mi ritrovai a terra e mi mangiai il resto della frase, incredula.

Teneva i pugni serrati, la spada tremava leggermente, come le sue spalle. La sua espressione era tornata iraconda e menefreghista come pochi minuti fa, sporca per via della terra e leggermente bagnata di sudore e umiliazione.

«Chi ti ha dato il comando, si può sapere? Credi che solo perché sei arrivata prima ai corsi e tuo fratello mette sempre buone parole per te ti puoi permettere di darmi ordini?» tuonò acido. «Chi ti credi di essere?» Respirò piano e il suo petto ebbe uno spasmo, forse un singhiozzo divertito. «Oh, forse ti aspetti ancora che strisci ai tuoi piedi per la raccomandazione in questa missione? Non fare la finta tonta, l'avevo già capito da un po'. Non è stato il generale Mordecai o uno dei suoi figli a notarmi, sei stata tu a insistere di farmi passare. E come non dare retta alla migliore ragazzina dei corsi? Lei, sempre così perfetta e abile in tutto, che fa la missionaria con un caso perso. Commovente.» Arrossii un po'. «Pensavi che fossi così stupido da non accorgermene?»

«Chi te lo ha detto?»

Che domanda stupida. Lo sapevo bene anche io chi era la spia.

«Oh, gli occhi del tenente merdoso hanno accertato i miei dubbi. Perché prendere il quarto se si ha a disposizione il secondo e il terzo prima? Ci hai messo becco tu, non sono stato solo io» sentenziò.

Ponderai sul mentirgli. Non avrebbe giovato a nulla, se non farlo alterare ancora di più. Mio fratello aveva una bella tattica: distruggere i legami di fiducia all'interno. I sentimenti di amarezza e vergogna avrebbero poi fatto il resto.

Mi rialzai prima di parlare e ripresi la falce. La tenni bassa. «E se fosse così cosa faresti?»

Sollevò la spada. «Attaccami.» Alzai un sopracciglio. Avevo di sicuro sentito male. «Alza il tuo inutile Demone nero e attaccami.»

Aprii la bocca, sbigottita. «Sei del tutto scemo? Siamo nel bel mezzo di una simulazione e tu vuoi litigare? Avremo tutto il tempo di farlo dopo!» tentai di farlo ragionare. «Andy vuole solo metterci l'uno contro l'altro, pensaci!»

«Be'» esclamò lui ridendo. «Se ci vogliono così tanto, non sarà un test fallito a stabilire se parteciperemo o no, ti pare?»

Lui non sapeva affatto dell'accordo con il generale e con Damian. Non avevo nessuna intenzione di dirglielo, non sapevo come avrebbe reagito, tuttavia non gli sarebbe piaciuto essere messo in mezzo alle mie questioni solo per capriccio. Dopotutto ero stata io stessa a legare il mio futuro al suo.

«Guarda che sapevo benissimo di non essere tra i migliori, la mia forza è stata l'unica cosa che ho potuto sfoggiare nelle prove. In tutti questi anni non hai fatto altro che ripeterlo anche tu: "Se sei forte e sei stupido non vali niente". Chi mai mi avrebbe affidato una missione simile?» si derise freddo.

«Io. E lo sai.»

Scrollò le spalle e un brivido le percorse. «Loro volevano te. Non me. Non so cosa hai fatto o detto, ma se il generale ha chiesto direttamente di te significa che vali più di me. Il tenente colonnello lo ha sempre detto: noi due siamo diversi. Tu sei la migliore. Per tutto il tempo in cui ero un sorvegliato pensavo che tutti avessero torto, che non sapevano il mio valore, eppure dopo aver passato i corsi e aver stretto un patto con un Demone ho capito che in fondo avevano ragione! Questo vuol dire che fino ad adesso ho solo sopravvalutato me stesso e le mie capacità.»

Non mi ero mai resa conto di quanto le mie parole di scherno lo avessero ferito. Lui per me era un po' come Andy, forte, quasi invincibile, con un pessimo carattere e la voglia di migliorarsi costantemente. Forse avevo usato male le parole, non credevo che potessero arrecargli un simile danno. Tutti gli anni in cui si era creduto superiore, non capito, improvvisamente gli erano crollati da sotto i piedi. Il suo mondo, il quale era costruito sulle sue ideologie, era finito anche a causa mia.

«Voglio che mi attacchi, Penny.»

Mi irrigidii. Non usava mai il mio nome completo, a parte quando era veramente incazzato. Ero nei guai. Ma il tempismo era davvero sbagliato.

Scossi la testa e cercai di farlo ragionare. «Mancano meno di dieci minuti, ti prego!»

Lui non si mosse e io mi alterai. Era ancora lo stronzo egoista che conoscevo. Se il test fosse andato male io sarei rimasta al nido con Damian e non mi stava affatto bene. Lui al massimo avrebbe chiesto di partecipare ad altre missioni con una squadra adatta e per via dei suoi buoni risultati avrebbe ottenuto qualcosa. Io no.

Il suo problema era quello di non vedere oltre la sua prospettiva.

«Che cazzo è quello sguardo?» mi attaccò. «Sei solo una piccola ragazzina e ora vuoi ribellarti? Perché non inizi a farlo dal tenente merdoso o forse le sue continue raccomandazioni fanno al caso tuo? È per questo che sei così famosa?» Non risposi. «Forza, dimmi qualcosa! Attaccami!» Mi diede una spinta. «Io sto aspettando! Avanti, fallo!»

Mi colpì nuovamente e io piombai a terra. Mi pulii dalla polvere e mi rialzai.

«Non fare quella faccia!» sputò. «Se mi guardi in quel modo mi fai venire il voltastomaco, mi fai sentire come quel merdoso. Nemmeno con lui hai il coraggio di alzare la voce. Non hai mai avuto un briciolo di personalità tua, mi stupisco che tu abbia un Demone come quello. Per quanto ti abbia preso in giro anche da piccoli, mi restavi fottutamente attaccata come una spugna. Anche se sei stata sempre inutile per me, tutti ti elogiavano! Mi hai sempre guardato con aria di superiorità con i tuoi cazzo di occhi, dall'alto in basso!» Alzò il pugno. «Reagisci!»

Colpii con forza il suo polso e per il poco preavviso non riuscì ad evitarlo. Evitai il suo colpo, lo colpii sulla pancia, infierendo sulle sue condizioni e lo spinsi con una spallata lontano.

Non li avevo mai odiati, né Drogo né Andy. Non era nella mia natura odiare qualcuno, per ora solo Erik aveva il posto in prima posizione. Andy era mio fratello, lo amavo oltre ogni limite umano e non importava cosa pensasse la gente di lui. Solo io avevo visto quanto in realtà fosse buono. Drogo, fin da piccolo, era stato il mio eroe, il mio migliore amico. Giocavamo spesso e ogni volta si metteva una coroncina di carta in testa e una spada di legno, pronto a trovarmi e a tirarmi fuori da sotto il letto. Eravamo cresciuti con gli stessi esempi e gli stessi ideali, eppure mi resi conto che mai, io e lui, in tutti gli anni in cui eravamo stati amici e poi estranei, ci eravamo parlati apertamente.

«Quindi sai reagire?» chiese lui.

«Scusami, ma non ho nessuna voglia di prendere ancora il posto del sacco da boxe. Non oggi.»

Senza darmi un attimo di tregua, divampò le fiamme. Non mi avrebbero fatto nessun danno fisico e il dolore avrei potuto sopportarlo, era il terreno di lotta ideale per entrambi.

Come in un'esplosione, la luce mi accecò momentaneamente e udii i suoi chiari passi dirigersi verso di me. Alzai la lama dell'arma e la misi nella giusta traiettoria per pura fortuna. Sbattei contro il muro.

«Credevo che avessi detto che non mi avresti fatto da sacco da boxe» ribatté deciso, giocherellando con delle lingue di fuoco attorno alle sue dita.

Le ombre proiettate sul suo viso gli davano un'aria inquietante.

Drogo era avvantaggiato, il suo Demone poteva controllare quelle particelle. Se con Ryokku le avessi agitate troppo, colpendolo, mi si sarebbe ritorto contro. Lo scontro con le armi per me era inutile, dovevo per forza di modi usare le mani. Doveva averlo capito anche lui, per questo sembrava tenere particolarmente alla difesa. Non era il Drogo che ricordavo, l'essere scorbutico che attaccava soltanto.

«Perché cazzo mi stai sorridendo?» sbuffò e attaccò ancora.

Gli saltai sulle spalle e lo usai come trampolino, facendolo piombare a terra con un buffo suono goffo.

«Probabilmente ti seccherà sentirlo, ma sei davvero migliorato» dissi.

«Cosa?» tuonò. «Dev'essere uno dei tuoi trucchetti! Somigli al merdoso, gli sei troppo attaccata, non gli faresti mai del male!» mi accusò.

«E tu sei troppo orgoglioso, vuoi solo vincere e non pensi!» ribattei.

Caricammo entrambi. Sembrò non darmelo a vedere, in ogni scontro iniziava sempre con un pugno ben assestato, dato che per anni non aveva avuto un'arma vera. Lasciò perdere la spada e mi preparai a colpirlo. Il suo pugno mi volò direttamente in faccia, tra lo zigomo e il naso, mentre il mio calcio lo centrò sulla bocca. Rotolammo entrambi come degli idioti.

Il viso mi faceva dannatamente male. Drogo non aveva quella forza. Gli stimoli che il programma mi aveva dato era in ricordo di mio fratello.

Avevamo entrambi bisogno di sfogarci a suon di pugni, in memoria di tutto quello che avevamo passato. Senza aspettare, gli sferrai un altro gancio diretto.

«Non ho alcuna intenzione di perdere contro di te, inutile o no questo scontro» feci.

Se il generale e il dottor Calvin non avevano interrotto la simulazione doveva essere per ovvi motivi, io non persi tempo a pensarci.

Drogo tirò le labbra in un sorriso frivolo, ricolmo di combattività.

Tutti pensavano che non avessi personalità, era ovvio. Io ero l'ombra di mio fratello, la sua luna che gli girava sempre intorno senza mai farsi vedere apertamente. Mi ero adeguata a tutto, agli insulti, alle supposizioni, alle domande e persino ai suoi gesti, ma volevo il mio spazio. Ero stufa di stare nell'ombra. Anche se per poco, volevo la mia luce.

Non apprezzavo la parte di me egoista e smaniosa di vincere, la tenevo nascosta. Poche volte avevo permesso di farla vedere a qualcuno per timore. Anche lei era me, la Penny che non era una Baskerville, ma solo una ragazzina che non conosceva niente di sé e del mondo esterno. Lei era quella che voleva uscire oltre le mura.

Non l'avrei fermata.

Io e Drogo continuammo a darcele senza ragione, non usammo nemmeno le nostre armi.

«Non credermi se vuoi, ma fin da piccolo tu eri per me un vero soldato. Ero convinta che saresti diventato ciò che io non potevo essere, avevi ciò che io non avevo e non te ne sei mai reso conto! Tu eri importante come Andy, forse anche di più perché mi volevi bene e seppure mi prendevi in giro continuavi a restarmi vicino! Ed è per questo che adesso ho tutto il diritto di prenderti a pugni, sacco di merda!» lo insultai.

Non avevo usato nemmeno la parte minore del potere di Ryokku, comunque la mia velocità aumentò e lo scattò fece tremare alcuni sassi al suolo. Drogo si preparò a parare, pronto. Gli scaricai sulla testa un affondo potente, impossibile da schivare. Abbassò le ginocchia e nel momento in cui pensai di avere vinto, fece slittare i polsi dalla sua difesa, si aggrappò alla caviglia e mi sbatté al terreno.

«Anche se sei un pochino migliorata, lo sono anche io! Più tu vai avanti e più io ti seguirò, non pensare di potermi distanziare oltre, capelli di merda!» recitò e fece un sorriso di sfuggita.

Mi salì sopra e tentò di sganciarmi un altro pugno. Scansai la testa e le sue nocche sbatterono contro la dura terra. Fece un mugugno di dolore e si riprese. Mi immobilizzò le mani e io serrai le gambe attorno al suo collo. I nostri visi erano premuti contro l'altro, sentivo nel suo alito l'aroma pungente di caffè e cioccolato, il suo sudore a contatto con la fronte e i muscoli del petto contro il mio.

Cominciò lui per primo a soffrire a causa di quella posizione. Non poteva alzarsi, non aveva appigli stabili e le sue ginocchia continuavano a scivolare, mentre la schiena doveva continuare a pulsargli per il colpo di Andy.

«Non ti ho raccomandato perché sei forte» ringhiai fuori di me. «Non avrebbero mai preso uno con il tuo carattere, sei rozzo, incosciente e stupido come una scimmia. Ho fatto il tuo nome perché so che diventerai un ottimo soldato, un giorno, perché io sono stata la prima a vedere, oltre il tuo lato orribile, quello incredibile. Sei tu che ti sei fatto scegliere questa volta.»

Spinse la testa all'indietro e per paura che riuscisse a liberarsi serrai meglio la presa. Mi sferrò un colpo alla fronte con il suo cranio e per il capogiro che ne derivò il nodo dei piedi si allentò, permettendogli di liberarsi. Afferrò la sua spada e me la posizionò sulla faccia. La lama arse e vibrò di calore intenso.

Lasciai le mani a terra e mi zittii, ancora arrabbiata. Lui mi osservò con aria irremovibile, respirando veloce, come me. Sembravamo aver corso per miglia intere, cosa non vera. Lo scontro era infine finito e constatai come sempre che lasciare libere totalmente le mie emozioni negative era stato controproducente. Non riuscivo a controllarle, a differenza sua.

Drogo si umettò le labbra e gonfiò il petto. Pensai che dicesse qualcosa di ovvio, del tipo "Ho vinto" o "Sono io il migliore, adesso", invece parlò: «Contro quella velocità e potenza lo scontro è inevitabile. Non possiamo mirare solo alla bandiera, non ce lo consentirà.»

Non parlava affatto di me, dalla sua smorfia e dalla serietà doveva trattarsi unicamente di mio fratello. Non potevo dargli torto, prima o poi lo avremmo dovuto affrontare in ogni caso. Non ci avrebbe mai fatto percorrere la via più breve.

«Io non ho idee su come batterlo! Possiamo solo lavorare sulla distanza» mi difesi.

«No» mi bloccò. «Lui mi ha dato una bella idea, ma a nessuno dei due piacerà.»

«Non abbiamo altre opportunità, mi pare. Avanti, dimmi cosa hai in mente.»

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