XVI

(Abigail Lewis)

«Vedi, Ryo, ogni pianta è diversa» gli spiegai paziente, mentre mettevo un po' di aceto di sidro di mele per trattare l'acqua dei vasi. «Questo fiore si chiama anemone, ha sfumature viola, rosa e rosse. È molto fragile e quando sboccia dura molto poco. La dalia al contrario si sviluppa molto velocemente, anche se l'umidità che c'è adesso è molto nociva per lei. Queste invece sono le peonie, io le ho tutte rosa. Le trovo molto belle. Erano il fiore preferito di mio padre, hanno effetti decongestionanti e antinfiammatori.»

Tornai dentro casa, presi dell'acqua tiepida e annaffiai le margherite.

«Queste dovresti conoscerle. Sai che fiori sono?» gli domandai, ma ovviamente non ottenni nessuna risposta.

Da quando era iniziato il mio periodo di ripresa in ospedale, e quindi era cessato il pericolo per me, Ryokku non si era fatto più vedere, né mi parlava. La base per ottenere un rapporto di fiducia era chiacchierare, del più e del meno, non importava. Quel periodo mi sarebbe servito per instaurare un vero rapporto, ma di Ryo non c'era nessuna traccia. Lo avvertivo nella mia anima, qualche volta mi punzecchiava quando facevo i dispetti al Demone di Drew, una lontra, altre restava assopito e guardava il mondo attraverso di me. Molte volte mi dispiaceva che non interagisse con niente e nessuno, nemmeno con i suoi altri compagni.

Non ce la facevo a rimanere ferma. Le mie giornate si erano fatte irrimediabilmente più lunghe e vuote, non potevo allenarmi o tornare al lavoro. Ciò che mi rimaneva era passeggiare per l'infermeria vuota, aspettare il dottor Grimm con le medicine e gioire quando Andy passava a trovarmi, prima e dopo il suo turno.

Erano passate quasi due settimane da quando Damian mi aveva segregata là dentro, ma fu un tempo sufficiente per permettermi di studiare il posto e riuscire a trovare una via di fuga.

Quello era il giorno dell'udienza, il venti dicembre. Non volevo scappare o nascondermi da qualche parte, tuttavia ero tornata a casa per vedere come stavano le mie piante, annaffiarle, e farle vedere a Ryo.

Non persi troppo tempo con il Demone. Non aveva intenzione di rispondermi, ma io non l'avevo di arrendermi. Parlare troppo e di cose stupide era la mia specialità.

«Si chiama margherita. È un fiore che tutti considerano banale perché cresce dappertutto, ma a me piace tantissimo. Ricorda molto il primo bocciolo di primavera. Esiste un linguaggio dei fiori, sai? È una specie di florigrafia, ogni pianta ha un suo scopo di comunicazione, nell'Ottocento erano molto sviluppati gli allestimenti per esprimere emozioni e sensazioni. Per esempio la rosa vuole significare la passione, i girasoli il rispetto e le piccole margherite la purezza.»

Tolsi delle foglie eccessive dalla gerbera e la spostai verso la debole luce del sole. Non avevo fertilizzato le piante da due settimane e i risultati stavano uscendo fuori, non potevo chiedere di farlo fare a Andy perché aveva già assassinato il mio nuovo vaso di violette (lo aveva ficcato impunemente sotto il getto d'acqua e si era meravigliato quando le radici, come viscere, si erano agglomerate nel lavandino) e non sapeva come farlo. Oltretutto ogni pianta aveva un bisogno di una quantità di luce del sole diversa e per mio fratello erano tutte uguali.

Usavo un fertilizzante in comune a tutte, di "compromesso", dato che tutte le richieste di materiali al di fuori del Nido dovevano essere inoltrate e ricevere l'approvazione da un funzionario del Distretto.

Nebulizzai il fertilizzante direttamente sul terreno e in quel momento notai un'ombra formarsi nel cemento del balcone. Mio fratello si appoggiò accanto alla portafinestra aperta e mi osservò con le braccia conserte, senza parlare.

«È ora?» domandai, alzando gli occhi su di lui.

Lui alzò le spalle e affilò lo sguardo. «Ti ho cercata in infermeria, la guardia all'ingresso ha quasi avuto un infarto quando ha constatato che eri scomparsa. Si prenderà una sfilza di insulti per colpa di una ragazzina con problemi di iperattività» giocò, eppure non lo trovò divertente. Gongolai. «Cosa stai facendo?»

«Mostravo a Ryo i miei fiori, ma non mi pare che gli interessino in questo momento. Gli avevo promesso che lo avrei fatto e dato che oggi potrebbero accusarmi di alto tradimento non volevo fargli credere di averlo usato solamente per i miei scopi» risposi sincera.

«Ma tu lo hai usato per i tuoi scopi» mi corresse.

«Sì, ma non solamente!» mi agitai. «Non voglio avere come compagno un automa che fa ciò che deve per dolore di stomaco, voglio che sia mio amico. Ho visto dove vive, ho visto il suo mondo, ed è desolante. Non lo hanno mai trattato come un vero essere vivente, solo come un mostro. A lui piacciono i fiori e papà ha sempre detto che a chi piacciono i fiori non può essere una persona cattiva.»

Andy alzò un sopracciglio. Avevamo affrontato mille volte quell'argomento, ma non volevo abbandonare la mia versione dei fatti: Ryokku era un mio amico, non uno strumento. Lui aveva vita propria, gusti e sentimenti. Mio fratello mi aveva ripetuto che era stupido considerare un Demone senz'anima e corpo un amico, aveva tentato anche di uccidermi, però lui considerava Ally come la sua più fedele compagna e per me erano solo sinonimi.

«A me non piacciono i fiori. Mi ritieni una persona cattiva?» mi sfidò con tono freddo.

Oh, no. Il tono da interrogatorio. Pessimo segno.

Andy si chinò verso terra e un osso del ginocchio scricchiolò.

«Tu sai che sei mia, vero?» mi domandò, inclinando la testa. «La tua vita appartiene a me, posso farne ciò che voglio, così come il tuo corpo, la tua testolina e la tua personalità. Sono io quello che ti ha trovato quel giorno a Londra, che ti ha addestrata, che ti ha dato un tetto sopra la testa, cibo sempre pronto e la raccomandazione per l'incarico di sorvegliante. Ti sei dimenticata tutto quello che ho fatto per te?»

Scossi la testa, piena di vergogna. «No, assolutamente. Perché mi stai dicendo questo?»

«È giusto un avviso. Non tradirmi, Penny. Non pensarci nemmeno. Credimi, non vorresti sapere cosa succede a chi mi volta le spalle. Se i Mordecai ti chiamano, non scodinzolare presso loro tutta energica e ansiosa. Tu devi la vita a me, non a loro. La tua gratitudine e il tuo amore verso i miei confronti mi sono dovuti. Sei una mia proprietà, quindi, se devi scegliere tra loro e me, scegli me. Te lo ricordo per precauzione, dopo non osare lamentarti.»

Lo guardai e provai del terrore. Se usava quel tono con me significava che avevo fatto qualcosa di male o lui era di pessimo umore, in ogni caso io ci ero in mezzo. Mi ripeteva spesso che ciò che avevo costruito aveva come basi la sua vita e ne ero convissuta bene, ma quell'affermazione era diversa, diretta.

Non mi stava sgridando per essere scappata senza permesso, mi sembrò quasi un elogio.

«Andy, tu sai che non ti tradirei mai» gli dissi. «Tu sei l'unica persona che ami in questo mondo, ho fatto di tutto per salvarti da quel Demone e non ho fatto niente di male. Non abbandonerò un compagno, non lo farei mai.»

Lui mi fissò, poi fece un sorrisetto compiaciuto. «Oh, che bello quando mi rinfreschi le orecchie con questa dolce melodia sottomessa. Ma, ricorda, io non sono un tuo compagno, io sono tuo fratello, il suo salvatore, il tuo superiore, nonché tuo Dio» recitò.

«Sei insopportabile» soffiai, sgusciando via dal terrazzo e correndo a lavarmi velocemente le mani.

«Perché non mi chiami "grandissimo tenente fratellone Andrew"?» optò.

«Lasciami in pace, Andy!» mi lamentai stremata.

L'ultima volta che ero entrata al Distretto era stato per intrufolarmi di nascosto e mio fratello mi aveva subito scoperta. Avevo promesso a me stessa, sia per lo spavento sia per la punizione per aver infranto le regole, che non ci avrei mai rimesso piede di mia volontà.

Il Distretto era funzionale e le ale servivano a scopi ben precisi: a), indire assemblee principali e discutere sui piani futuri, b), monitorare il Nido e, c), punire i trasgressori. Io ovviamente appartenevo totalmente e senza altre ragioni alla categoria C.

Mio fratello mi tenne stretto un polso e proseguiva a fianco seguendo il mio andamento. Camminavo lenta e gli davo fastidio, era palese, eppure non aggiunse nulla e mi lasciò nel mio stato catatonico.

Dietro di noi ci teneva d'occhio una guardia, si era presentata come Tom.

Non ci furono attese di alcun tipo prima di entrare nel primo ufficio sulla destra. Tom aprì la porta e Andy mi fece cenno di entrare, alzando il mento per darmi un'idea di come mostrarmi. Per lui era semplice, si cacciava spesso nei guai, ma nessuno gli aveva mai fatto una predica come si deve; Louis, i suoi amici e persino il generale capo d'armata lo adoravano e mettevano i servizi resi all'Esercito prima del suo comportamento sopra le righe. Io al contrario non ero nessuno, ero famosa a Louis e Erik per la mia mania di cacciarmi nei guai e il mio cognome precedeva i miei disastri, come era solito dire il colonnello Erik.

Secondo Louis e Andy non avevo fatto nulla di male, avrei solo dovuto dire le motivazioni che mi avevano portata a stringere un Patto illegale con un Demone e attendere la loro sincera sentenza. Entro un'ora avrei saputo se avrei continuato a vivere con Ryokku e mio fratello o se il generale mi avrebbe esiliata dal Nido per tradimento. Ciò che speravo era che non fraintendessero di volontà loro le mie parole e i miei intenti.

Gli uffici del distretto avevano sempre avuto un'aria tetra, seppure fosse mattina e il tempo fuori era dei migliori – contando che era già inverno e il cielo era di un grigio chiarissimo – nemmeno la luce omogenea riusciva a dare a quel posto un aspetto meno spaventoso. La famiglia Mordecai, senza nessuna eccezione, era radunata alla tavolata e mi guardò con aria critica, analizzando minimamente i miei movimenti. Persino i Demoni erano radunati, ognuno accanto al proprio Dominatore.

Un uomo era al centro dell'ala, lo riconobbi subito: era il dottor Calvin, il secondo scienziato più conosciuto e rispettato al Nido. Lavorava nei primi laboratori, quelli ad accesso limitato e con tecnologie ultra moderne, da sempre era stato il fedele cane di punta dei Mordecai. Portava avanti le ricerche che gli chiedevano, abbandonava ciò che riteneva superfluo e si dedicava assiduamente al suo lavoro senza perdersi in giochi e diletti, al contrario del dottor Grimm.

L'uomo con il camice reggeva una cartella giallastra. «Togliti i vestiti, Baskerville.»

«Cosa?» domandai, convinta di non aver sentito bene.

«Togliti i vestiti, devo farti alcuni esami preliminari. Accertamenti.»

Andy fece un passo avanti, il suo viso era fermo e aveva un'espressione di puro fastidio. «Gli accertamenti li ha già fatti. Sta bene» sottolineò mio fratello, quasi ringhiando.

«Non ne dubito» lo sminuì. «Ma il mio collega, il dottor Grimm, è solito a dimenticarsi di qualche passaggio durante le visite o gli esami preliminari. Se è tutto a posto non deve temere nulla.»

Il dottor Calvin non aveva mai adorato Grimm, lo sapevano tutti.

«Avanti, spogliati, non facciamola troppo lunga» mi spronò.

«Credi che qui nessuno abbia già visto un corpo di un'adolescente?» si intromise scontrosa Abigail Lewis.

Non l'avevo vista, era in piedi dietro Damian, eppure la sua presenza si era mescolata passivamente con l'ambiente scuro. Era una sua caratteristica, emergeva solo quando parlava, ma era continuamente presente. Era l'assistente personale di Damian, talvolta lo sostituiva nelle questioni più amministrative o lo seguiva nelle missioni più semplice, specie quelle di intermediazioni con le altre agenzie segrete.

Abigail era la sorella maggiore di Fae, la sottoposta di Andy. Era da sempre stata chiara la sua naturale predisposizione a servire i Mordecai, nel suo caso specifico Damian. Non sapevo l'origine delle loro ostilità, i Lewis erano una buona famiglia al Nido, ma come tante stava scomparendo. Erano rimaste solamente le due sorelle e avevano preso strade diverse; Abigail aveva scelto Damian, mentre Fae era rimasta fedele al suo amico d'infanzia.

Abigail sventolò in aria una mano con fare sbrigativo. I suoi capelli biondi, raccolti in una treccia legata con un nastro nero, non si mossero. «Avanti, non abbiamo tutto il giorno. C'è un'assemblea in corso. Togliti i vestiti.»

Andy non si mosse. «Da quando il gran consigliere da ordini? Il bel capo ti ha passato i poteri o è solo per fare bella figura?»

Abigail sbatté gli occhi e arrossì, guardando di sottecchi Damian. Lui sospirò e con un gesto del mento la fece indietreggiare. «Come sempre non capisci lo scopo, Baskerville. Vogliamo un referto medico istantaneo e pulito, ci fidiamo del dottor Grimm, ma la prudenza non è mai troppa qui. Nessuno la guarderà come pensi tu. La tua è protettività o gelosia?»

«Damian!» lo chiamò Alma, le guance rosse. «Ciò che le state chiedendo è... sconveniente! È una ragazza, non una prigioniera, dobbiamo trattarla comunque con rispetto!»

Lanford sospirò. «Stiamo solo perdendo tempo.»

«Qui il rispetto dobbiamo portarlo unicamente a John Baskerville, per i servigi che ha reso all'Esercito, non ai suoi due figli inetti. Be', un figlio e la trovatella bastarda» lo interruppe Khol rigido.

Andy abbrustolì di collera, stringendo i denti. «Il Demone non le ha fatto niente.»

«Grazie per la tua parola, ma non l'ho chiesta» rispose Damian sereno.

«Non chiederai nemmeno un...»

Il generale Mordecai alzò la mano e nessun altro presente osò fiatare. «Se la ragazza non vuole può accomodarsi nella stanza a fianco. Abigail seguirà il dottor Calvin per vedere se è tutto a posto, poi tornerà qui e si inizierà con l'assemblea, se è meglio. Non abbiamo tempo da perdere con questioni come l'imbarazzo.»

«No, va bene» affermai decisa. «Fate ciò che dovete fare. Lui non mi ha fatto del male.»

Ryokku a malapena mi parlava, non aveva mai più fatto un passo falso con me. Se mi fosse posta imbarazzata o remissiva avrebbero pensato che avevo qualcosa da nascondere, in più rimanere da sola con Abigail mi disturbava.

«Allora avanti, Baskerville, togliti la maglia» esclamò Erik con aria divertita. «Se pensi che ci crogioleremmo gli occhi nel guardarti sei fuori strada.»

«Fottiti, stronzo» mugugnammo tra i denti io e mio fratello, attenti a non farci sentire.

Alma sbatté i pugni sul tavolo, adirata e non le importò di ricevere in cambio occhiate di ammonimento. «Erik, tu sei davvero un...»

Mi tolsi la maglia e i pantaloni, agglomerandomi ai miei piedi. Mi pesarono, mi misurarono e mi fotografarono con una macchinetta fotosensibile che permetteva di vedere sotto gli strati superficiali di pelle.

Damian e Erik non mi tolsero gli occhi di dosso nemmeno per un secondo, lo fecero per farmi imbarazzare e sentire nel torto, in cuor mio feci del mio meglio per non arrossire ed eseguii ogni richiesta del dottore, mi piegavo, tossivo, muovevo le dita in base a ciò che lui diceva. Io ignoravo l'utilità di questa cosa.

«Abbiamo finito? Posso rivestirmi?» domandai.

«È un vero peccato, stavi quasi per piacermi, Baskerville» mi prese in giro Erik. «Ma le puttanelle dei Demoni non fanno per me, magari dovesti chiedere a Louis. A te piace trascorrere il tuo tempo con le merde, vero, fratellino?»

Il dottor Calvin mi passò i vestiti e con gran furia me li rimisi addosso, piuttosto scontenta. Compilò alcuni fogli e poi andò verso il generale Mordecai. Abigail si chinò a sussurrare qualcosa all'orecchio di Damian, ma lui pareva perso nei suoi pensieri e osservare un punto lontano nell'ala.

«Mi fa piacere che ti interessa, fratellino, con chi passo il mio tempo. Non sarà che le tue preferenze stanno oscillando?» lo punzecchiò Louis.

Andy sogghignò contento e io lo imitai. Louis 1 – Erik 0.

«Attento a te» lo avvertì furibondo, sistemandosi sulla poltrona.

Quando il generale finì di leggere il foglio del dottore, rizzò la schiena e mi guardò dritta negli occhi. «Penny Baskerville, sei citata per alto tradimento. L'assemblea ha inizio.»

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