XLIII
In quell'occasione per la prima volta feci una cosa che non avevo mai fatto: falsificare un rapporto.
Era scorretto, oltre che profondamente illegale (e una parte di me si sentì uno schifo, perché stavo rallentando la missione e mettendo in pericolo la squadra), ma quando sia il generale Smith sia Mordecai ci chiesero cosa fosse successo, io e Drogo demmo la stessa versione dei fatti. Non inventammo niente, escludemmo solo Will dal processo, tuttavia raccontammo per filo e per segno la vicenda della professoressa Jefferson e sul fatto che Will non era un loro alleato, bensì un risvolto inaspettato che persino a loro aveva dato grattacapi.
Will non era nato da un Mastino e né aveva avuto rapporti con esso, semplicemente qualcosa, o qualcuno, gli aveva passato lo stesso odore. Il filo conduttore, dunque, non era Will, ma un altro.
Andy e la sua squadra arrivarono senza ricevere una mia chiamata, un'ora prima della fine delle lezioni e con una giustificazione improvvisa ci fece uscire. Avevamo ancora il viso e le mani un po' sporche, sotto i vestiti eravamo pieni di graffi vari e polvere, soprattutto io. Appena salì in macchina nemmeno provai a trattenermi dallo scoppiare a piangere e persino Drogo rimase senza parole.
Io e lui non accordammo una versione, eravamo unisoni nel pensare che Will non poteva essere coinvolto oltre. Dovevamo saperne di più prima di procedere con le indagini, ma entrambi sapevamo che Andy, l'OverTwo e il Nido avrebbero preso quel fatto come la prova decisiva: Will Baker era una minaccia.
«Questa è stata una nostra mancanza» si accusò il generale Smith, scuotendo la testa e o'Riley non poté che stringere le dita. «Abbiamo controllato anche i professori, ma erano perlopiù esami generali e non abbiamo rilevato niente di strano, nemmeno in questi mesi di sorveglianza.»
Lo studio pareva minuscolo con tutte le persone lì stipate come pezzi di carne in uno scaffale.
«I Mastini sono noti per avere ottime capacità di mimetizzazione, così i loro sottoposti» lo liquidò il generale Mordecai. Louis era dietro di lui, seduto alla tavolata del Distretto insieme ai suoi fratelli. Si mangiava le unghie e leggeva con aria impensierita il rapporto provvisorio. «L'importante è che non ci siano stati feriti.»
«Feriti?» sbottò Drogo. «Quel coso ha fatto volare Penny dal tetto! È un miracolo che sia ancora viva! Dovete rintracciare quella cosa.»
Andy mi strinse più forte mentre Karen gli finiva di medicare i tagli superficiali. «Calmati, prima di tutto» mormorò mio fratello debole.
«Siamo sulle sue tracce» si raccomandò o'Riley. «Ma è molto probabile che abbia cambiato aspetto e la scia si è persa oltre la Baia, in mare. Non ci arrenderemo.»
Non volevo accusare nessuno, il mostro era sfuggito e nessuno poteva stare dietro ad una creatura diretta del Mastino, a parte un suo simile. I Demoni del Nido erano tutti troppo deboli, persino Alderyu era sigillata per via del suo enorme potere distruttivo, i selvatici non avevano alcun interesse ad allearsi con noi. Come aveva detto Hejji, quell'aura era totalmente diversa dalle altre dei Demoni, non li richiamava, per quanto era feroce era un segnale di pericolo.
Solo i Mastini del Re potevano eguagliare le sue capacità, tuttavia erano rinchiusi all'Inferno a fare la loro guardia perenne.
«Il perimetro è sicuro, generale?» domandò l'uomo allo schermo.
L'altro annuì. «Abbiamo registrato le onde emesse dall'essere e non sono state più emesse, non nelle miglia che circondano l'intera città. Appena il liceo chiuderà del tutto, una squadra farà degli interventi sul posto e rileverà più dati possibili. I vostri ragazzi sono al sicuro, glielo garantisco.»
«Questo lo aveva già detto, mi pare» ringhiò scontento. «Cosa voleva da voi, esattamente, ragazzi?»
«Ha detto solo che c'erano stati dei ritardi nel loro piano e che qualcosa li aveva intralciati. Pensava fossimo noi» ribadì Drogo con voce neutra, scaldandosi le mani.
O'Riley compilò meglio il modulo sottomano. «Poteva attaccarli molto prima... La vostra idea dell'evacuazione è stata ottima, potevano esserci danni peggiori.»
Il generale si sentì chiamare e annuì, poi tornò a noi. «Per ora credo basti così, voglio che i ragazzi per il periodo di tregua non svolgano altre mansioni inerenti al loro incarico. Tenente colonnello, vorrei che tornasse al Nido per un paio di giorni per discutere in privato della situazione, non le ruberò oltre del tempo necessario. Karen avrà le tue veci in assenza, Keith e Lancer seguiranno la famiglia come di consueto. Ho saputo che si sposteranno dalla nonna per la fine dell'anno, può capitare qualcosa, quindi state all'erta» fece sicuro. «Quando starete meglio, finite il resoconto.»
«Le invieremo i dati terminali quanto prima» si intromise discreto o'Riley.
«Che sia chiaro» terminò il generale Mordecai. «A voi non piacciono i nostri metodi, ma nemmeno a me l'uso di Demoni come alleati senza sicurezza piace. Non voglio che siano intromessi altri esseri.»
«Ho lavorato personalmente molte volte con quegli esseri e le posso assicurare che mi fido più di loro che di alcuni miei colleghi umani. Doveva essere lei al comando quando c'è stato l'attacco a New York, un paio d'anni fa.»
«La conversazione è finita» lo liquido e il monitor divenne nero.
Karen sospirò pesantemente mentre il generale lo insultò con poco garbo. L'aria che si respirava era carica di tensione, specialmente dall'uomo e da Andy. Non era tanto il pericolo di essere attaccati, ma di non avere la certezza che ciò che stavamo cercando fosse veramente a San Francisco e non avessimo buttato mesi di ricerca nel cesso.
«Questo è ridicolo, se avessimo il consenso unanime quei team potrebbero lavorare molto più velocemente di noi!» si lamentò il generale Smith, gonfiando il petto con superbia. «Pericolosi, poi! I vostri lo sono, intrappolati come bestie, ecco...»
«Generale» lo interruppe mio fratello, «mia sorella è stata appena attaccata da uno di quei mostri e non sono stati di certi i nostri a farle questo, non voglio che apra bocca su questo.»
Molti uomini per farsi sentire alzavano la voce, altri riuscivano ad incutere più rispetto e autorevolezza rimanendo con tono costante e freddo. Andy era uno di quei casi.
«Vuoi una tazza di tè?» mi domandò, facendomi una carezza.
«Al limone» lo pregai.
«E limone sia.» Si alzò, dandomi un bacio. «Ne faccio un po' anche per te, principessa.»
Keith seguì Andy fuori dallo studio e feci un profondo respiro, stringendomi meglio la coperta di pile nelle spalle. Stavo uno schifo, ma Will doveva stare peggio: solo, spaventato e senza risposte. Volevo andare da lui quanto prima, ma dovevo assicurarmi di non avere i due topi alle calcagna. Muoversi in quei giorni era troppo rischioso.
Mi sistemai sulla sedia. «Cos'è successo a New York?» domandai curiosa e Drogo alzò gli occhi, eccitato di sapere quella notizia. Il generale guardò verso la cucina, pensando che non doveva essere una buona idea parlarne quando il tenente colonnello gli aveva esplicitamente detto che non voleva che sapessi. «Per favore. Io non credo che tutte le creature siano fondamentalmente malvagie, nemmeno i Demoni. Ryo mi ha salvato oggi, poteva lasciarmi morire e tentare di fuggire, ma non lo ha fatto.»
L'uomo si pettinò la barba ruvida e Karen, finendo di fasciare il polso al ragazzo, sollevò gli occhi. «Si tratta dell'attentato del ventiquattro agosto?» domandò.
Annuì. «Si trattava di un caso molto simile a questo» confermò «ma è stato risolto interamente dalla famiglia reale, dato che era direttamente coinvolta. Prima che la famiglia reale diventasse sovrana, c'era un luogo dove molte creature che volevano protezione sfuggivano alla furia umana. Lo chiamavano il Quartiere, poco oltre il confine con l'Alaska, molto a nord. Il mio capo è l'unico a cui permisero di passare. Accoglievano tutti, vampiri, licantropi, semidei, ibridi. Persino la regina.»
«La regina?»
«Prima che acquisisse il titolo, certo» mi spiegò. «Girano molte leggende sulla sua figura, la gran parte sono false. Dicono che impersoni la Morte e che con il passaggio della sua falce angelica faccia appassire tutto. Si invaghì del principe, alla fine, ma un angelo caduto lo fece con lei. Al suo rifiuto dichiarò guerra agli altri popoli, voleva distruggere tutto e lo scontro finale avvenne il ventiquattro agosto a New York. Fu un vero massacro, per la maggiore intervenne il Nido a dare supporto in battaglia, noi ci limitammo alla protezione dei cittadini. Cose come quella... non le dimentichi mai» raccontò con un velo allo sguardo.
«Mia sorella e mio fratello parteciparono» disse Karen e il generale si stupì.
«Sono ancora vivi?»
Annuì. «Mi dissero che tutte le strade erano tappezzate di piume rosse.»
«Lei l'ha mai vista la regina? Com'è?» chiese Drogo affascinato.
O'Riley sorrise per tenerezza. «Non esce dal suo regno da molto, a volte però si fa viva con il capo e scorrazza in giro per il mondo. Dicono che sia la donna più bella che esista, bella quanto una rosa e letale come il veleno.»
«E il principe?» rimarcai.
Il generale ridacchiò. «Perché lo chiedi, vuoi essere una principessa?» Annuì furtivamente e feci finta di indossare una tiara con diamanti. «Prima che la incontrasse, era famoso per i guai che creava. Un diavolo in persona. Con un solo sguardo poteva far innamorare chiunque. Chiunque a parte me, che dovevo risolvere i problemi che creava. Una volta persino ha osato volare in riva al mare alle Hawaii, Dio, che finimondo che c'era! Poco prima dello scoppio della guerra vennero alla base per chiederci consiglio; un ragazzo umano, poco più grande di Baker forse, era rimasto coinvolto. Nathaniel... Nate....»
«Nathan Walden, signore» lo corresse o'Riley.
«Giusto, grazie al padre caduto in una battaglia in oriente, entrò in possesso di una reliquia sacra, le stesse che usiamo e salviamo noi, e la sua aura cambiò, non era più quella di un umano, bensì quella di un angelo.»
«Che gli successo?» strepitai allarmata e subito mi zittii per paura che Andy mi avesse sentita.
«Grazie al suo coraggio salvò molte vite, molti di quegli oggetti non possono essere staccati dal proprietario e dato che il ragazzo l'aveva preso come un comune oggetto regalato dal padre defunto, lo tenne molto stretto. Quando le acque si calmarono, il capo gli diede un riconoscimento e gliela regalò, ma per quanto glielo offrisse non entrò mai a lavorare con noi. Entrò con la madre nel programma di protezione testimoni e lo persi di vista, dovrebbe aver finito il college a quest'ora, forse si è fatto una famiglia, non so.»
«Ma è vivo» sottolineai per trovare conferma.
«Certamente» disse o'Riley. «Il ragazzo non c'entrava nulla, era stato aggredito e la regina lo aveva salvato da un attacco da parte degli angeli caduti. Appena è stato sicuro è stato rilasciato. Pensavate gli facessimo il lavaggio del cervello?»
Drogo cercò di ridacchiare con aria nervosa.
«E se... Questo succederà anche a Will? Lo proteggerete?» feci insicura.
«Questa è una situazione diversa» mi spiegò il generale. «Non sappiamo la vera natura di Baker, uno di quei cosi potrebbe essere coinvolto con lui, potrebbe essere stato anche posseduto. È ancora un sospettato, la creatura per me era lì per lui, non per voi due.»
«Diciamo che era più un "luogo sbagliato, momento sbagliato"» citò vago Drogo.
Mi alzai fiacca e andai via dallo studio. Era impossibile far capire al generale che Will non c'entrava in quell'assurda questione, che ne ero immischiata più io che lui, senza dire la verità e farmi scoprire. Una verità che forse avrebbe potuto salvarlo, o nell'altro cinquanta per cento condannarlo per sempre in una vita come la mia. Modificare un rapporto era una cosa, rivederlo e smaltellarlo da zero era un'altra, molto più letale. C'era poco da scherzare, se fosse stata una missione meno importante me la sarei cavata con una sanzione, tuttavia con l'OverTwo coinvolta e interi reparti messi all'erta solo per colpa delle mie parole false la punizione sarebbe stata peggiore.
Will aveva solo me e Drogo dalla sua parte.
Sgattaiolai in cucina e notai che Keith stava parlando con mio fratello. Tolse la bustina di tè in ammollo nell'acqua e la buttò, mescolando con un po' di zucchero.
«Te ne devi andare davvero?» domandai.
Andy sospirò e Keith tolse il disturbo. «Solo per due, tre giorni al massimo. Non mi va di allontanarmi» mormorò distante, si avvicinò e mi passò una ciocca di capelli ramati dietro l'orecchio. «Temo che tu possa fare qualcosa che non mi vada bene.»
Rabbrividii. «Non essere stupido. Lo sai che non lo farei. Sei l'unica persona a cui tengo.»
Lui mi passò il tè e il calore mi riscaldò la pelle, infiammando leggermente i graffi presenti. Andy mi guardò. Non era affatto convinto, il suo sguardo tradiva le sue parole. Feci del mio meglio per non fargli presagire un cambio di umore e la cosa migliore era riuscire a fare la vittima giusto il necessario.
«Voglio che rimanga così, allora» terminò freddo. «Sei la mia sorellina e devo proteggerti.»
Annuii e bevvi l'infuso, nonostante scottasse come fuoco. La presi come la mia punizione.
Non seppi nulla di come l'OverTwo continuò le indagini o seguì le piste fuori da San Francisco, fino al nuovo rientro al liceo il mio titolo fu sospeso ed ebbi il solo ordine di non fare niente. Pensai che il generale Mordecai non volesse che finissi in qualche pericolo, avrei dovuto ringraziarlo per l'opportunità di riposarmi, eppure mi diede molto più tempo per pensare.
Quel mostro era arrivato con chiare intenzione: scoprire perché Will Baker aveva la stessa scia di odore del Mastino. Allora cosa c'entravo io, perché aveva detto che il mio sangue era uguale al suo? Era ben peggio dell'avere l'odore in comune, questo poteva trasferirsi in molti modi, specie con i poteri di un Mastino; il sangue uguale significava che quell'essere molto probabilmente sapeva chi fossi, da dove venissi... e chi erano i miei veri genitori.
Non me ne era mai importato, quei ricordi erano persi definitivamente e piangere o perderci tempo sopra non faceva per me. Avevo l'opportunità di sapere finalmente da dove venissi e perché mi avevano lasciata da sola, a Londra. Qualcosa mi bloccava. Avevo paura. Non del Mastino, bensì su quello che avrebbe potuto rivelarmi, ancora peggio, su quello che avremmo potuto avere in comune.
No, pensavo più volte, se davvero avessi avuto qualcosa in comune con lui, gli esami avrebbero dovuto rivelare qualcosa per forza. Non solo quelli con il dottor Grimm o quelli attitudinali, anche Ryokku se ne sarebbe accorto per forza. I malefici e le protezioni del Nido funzionavano solo sui Dominatori, quindi dovevo per forza esserlo. Odiavo quella sensazione.
«Festeggi il fatto che me ne vada?» esclamò Andy, venendo in cucina un paio di giorni dopo.
«Non dire stupidaggini!» lo attaccai ferita, pulendomi le mani sporche di crema rossa in uno straccio.
Lancer mi stava dando una mano con una torta, ma stava facendo solo un gran pasticcio, dato che per lui mescolare l'addensante con latte e gelatina non faceva differenza. Stava mangiando le fragole che avrei dovuto mettere sulla torta per Will. Gli diedi un pugno e lui saltò via, deglutendo con fatica quella squisitezza.
«Finiscila di mangiarmi le fragole, non si trovano più in questa stagione» mi lagnai, prendendo la vaschetta di plastica.
Ne passai una a mio fratello e gliela misi tra i denti, dato che si stava finendo di mettere la giacca. «Oh, è davvero squisita» si complimentò, leccandosi le labbra.
«Quando tornerai?»
Lui sospirò. «Il due, c'è una perturbazione pericolosa verso gli ultimi giorni dell'anno. Il pilota vuole essere sicuro della sicurezza.»
Questo significava che, ancora, avrei dovuto passare l'ultimo giorno dell'anno da sola.
«Perché non posso avere un cellulare? Mi sentirei più tranquilla se potessi chiamarti ogni tanto» dissi, riuscendo persino a sembrare arrabbiata e infelice allo stesso tempo.
Il suo sguardo diventò più freddo. «Lo sai perché.» Perché avrei potuto distrarmi dalla missione. Perché avrei potuto entrare troppo in confidenza con quel mondo, essere uguale ai miei amici che lui considerava superficiali. Perché avrei potuto dimenticarmi di lui. «Starò bene, sono sempre tornato a casa. Dov'è la principessa?»
«Fuori» finii delusa. «Sai che odia non fare niente.»
«Voglio che sia a casa per le cinque.»
Piuttosto improbabile sapendo che Andy partiva alle tre del pomeriggio. Non mi avrebbe ascoltata e non avevo il modo di contattarlo, non avendo un cellulare con me. Jessica e le altre mi consideravano strana a non avere social come Facebook o Instagram, seppure li ritenessi un po' inutili, però oramai avevano capito bene come fosse il carattere di mio fratello e capirono quando i nostri "no" erano veti assoluti.
«Lo avviserò io.»
«Non voglio che vai in giro di notte, hai capito?» mi avvertì. «Non fare niente di stupido o avventato in questi giorni, rilassarti ti aiuterà. Il mio avvertimento dell'altra volta è ancora valido, se succede qualcosa la colpa sarà tua, leggera o pesante che sia te la vedrai con me. Non disubbidirmi, o lo saprò.»
Lancer fece una smorfia sorpresa. «La tengo d'occhio io, sono un membro valido del team, no?»
Lancer non aveva né sorelle né fratelli, non aveva idea di cosa volesse dire avere un adolescente in casa, specie una ragazza. Io ridacchiai aspramente, premeditando gli scherzi che avrei potuto fargli, mentre Andy lo guardò con biasimo, alzando un sopracciglio.
«Hai un pezzo di fragola incastrato tra i denti» gli fece notare e Lancer cercò immediatamente con l'unghia di disincastrare quel pezzetto tra gli incisivi.
O'Riley entrò dalla porta, aveva le chiavi di casa, e si presentò da mio fratello, chiedendogli se fosse pronto per partire. Prese la borsa nera a terra, salutò cordialmente me e Lancer (ancora intento a non sorridere per paura) e uscì.
«Accompagnami fuori» mi spronò Andy, spingendomi piano con la mano. Fuori faceva un freddo cane, tirava un vento gelido e una nebbiolina infestava le strade più lontane alla mia vista. «Non starò via a lungo, di' a Karen se ti serve qualcosa. Le mie regole le sai. Credo fermamente che questo periodo possa servire a rinfrescarti le idee.»
«Riguardo a cosa?»
«Sulle priorità che devi avere.»
Non dissi nulla, perché altrimenti gli avrei rifatto il verso e probabilmente l'ultima cosa che avrei avuto da lui sarebbe stata uno schiaffo. Partì subito e per la prima volta mi augurai che gli succedesse qualcosa di terribile, giusto per togliergli quel sorrisetto sfrontato dal viso. Non mi era mai capitato di odiarlo per un periodo così lungo, di solito cercavo di capirlo o lasciare perdere quella sensazione. Doveva essere l'aria di San Francisco a rendermi così irascibile verso i suoi confronti.
Il giorno successivo Lancer venne a casa nostra tutto il giorno, a tenerci d'occhio. Drogo gettava occhiate continue al PC e al soldato, capii subito che la sua intenzione era quella di andare da Will il giorno stesso. Sapevo che i genitori di Will sarebbero andati fuori città, aveva una nonna che abitava in periferia ed era anziana, perciò era un'occasione d'oro: Keith li avrebbe seguiti e Karen era impegnata con il generale. Era una donna efficiente e la adoravo perché evitava di stare con me e con Drogo, dato che non ci sopportava. Lancer avrebbe dovuto tenere d'occhio me, Drogo e Will.
Per tutto il giorno non facemmo niente, non guardammo il televisore, non leggemmo o litigammo. Drogo nascose persino il telecomando per mettere Lancer all'angolo e fargli capire che dopotutto eravamo dei pigri e annoiati ragazzi. Ci sedemmo sul divano e facemmo i compiti, senza mai staccare gli occhi dai libri.
Li finimmo tutti per quanto volessimo che si togliesse dalle palle, non evocammo nemmeno Hejji o Ryokku, e persino il Demone di Lancer, una volpe dalle sfumature marroncine, parve voler esplodere di noia.
Dopo mangiato, andai da lui e con tutta la leggerezza del mondo gli dissi: «Devi andare al supermercato, mi servono gli assorbenti. Li ho finiti.»
Lui tossì amaramente. «Che cosa?» Chiuse la rivista che stava sfogliando per la terza volta.
«Le vostre femmine perdono sangue ogni mese» lo informò con brio la volpe seduta sul tavolo. «Non lo sapevi? Dopotutto, non sei molto perspicace.»
Lancer mi guardò. «Puoi andarci anche da sola, stupida mocciosa» ringhiò imbarazzato.
«Andy mi ha detto che non posso uscire. Se lo facessi la colpa sarebbe tua. Mi dai il permesso?» domandai.
Avevo bisogno che se ne andasse lui, non io. Se mi fossi allontanata, anche insieme a Drogo, avrebbe preso a sorvegliare Will e il piano sarebbe andato in rovina.
Lancer ebbe un sussulto. Aveva capito che mio fratello non scherzava affatto quando si parlava di me e non si sognò nemmeno di provare a videochiamare il Nido, fare un giro estremo di voci solo per chiedergli se potevo uscire a comprare degli assorbenti.
Lancer inclinò la testa e Drogo gli alzò il dito medio.
«Stessa situazione, caro» lo intimidii. Se avesse mandato Drogo avrebbe bighellonato in giro tutto il tempo. «Mi fa male la pancia, tantissimo! Sto male e anche camminare è una tortura. Io e Drogo non possiamo uscire e se non ti sbrighi scommetto che il pavimento diventerà la nuova opera di Warhol.»
La volpe emise una risatina animalesca. «Oh, mi piacerebbe assistere alla mostra.»
Lancer saltò in piedi. «Che devo fare?» bofonchiò allarmato.
Gli allungai una lista. «Prima di tutto devi passare al supermercato per prendere gli assorbenti, mi raccomando, quelli con le ali e con la confezione viola. Poi fai un salto in farmacia a prendermi qualcosa per questi dolori e infine in pasticceria... Sì, sai, i dolci fanno bene in questo periodo» raccontai svagata, poi feci finta di avere un crampo. «Sto per morire! Devi andare, ora!»
«E va bene!» urlò svogliato, prendendomi alla sprovvista, rubandomi dalle mani il foglietto.
Andò nello studio, aprì un cassetto sotto la scrivania e ne tirò fuori un aggeggio metallico, molto simile ad un lettore di codici a barre. Lo osservai con cura e prima che finisse me ne andai, stendendomi sul divano.
Gli orecchini che portavamo avevano una chiusura speciale, non potevano essere tolti manualmente.
«Ti puzzano i piedi» mi disse Drogo.
«E a te le ascelle, ma per educazione non te lo dico mai» replicai gongolando, aspettando che Lancer riapparisse.
Presi la mano di Drogo e la spinsi sul ventre, lui continuò a farsi gli affari suoi e intanto me la premetti sulla pancia. Il ragazzo tornò in soggiorno e notai subito che l'orecchino che portava era scomparso. Lo appoggiò in una mensola alta e si tastò affannosamente le tasche, in cerca delle chiavi. Drogo gliele tirò e Lancer le prese con foga.
«Ottima mossa, schiavetto» esclamò ridendo Drogo.
«Una parola e siete morti» ci minacciò, seppure né io né Drogo facemmo grosso caso a quelle parole idiote.
Uscì di casa e la prima cosa che facemmo fu alzarci e dividerci, lui andò alla finestra per controllare che finalmente svoltasse l'angolo e ci lasciasse in pace e appena mi diede il via libera, andai nello studio e presi il lettore nascosto. Ero sicura che ce ne fosse uno in casa, ma mettermi a spulciare tra i piani e i cassetti senza lasciare casino era impossibile. Per fortuna Lancer era molto più idiota di Keith e Karen.
Ovviamente Andy lo aveva nascosto da me ed era vietato usarlo. Neppure Lancer voleva dare spiegazioni su quelle tappe fuori programma.
«Ottima mossa. Quanto ci hai pensato?» chiese Drogo e si avvicinò.
Sbloccai il meccanismo e gli tolsi l'orecchino, poi fu il mio turno.
«Mi serviva una scusa decente, in modo tale che se Andy l'avesse scoperto non sarei finita nei guai. E poi gli assorbenti mi servivano davvero» spiegai.
Drogo annuì furtivo, prese entrambi gli orecchini e li nascose sotto il divano, in un angolo d'ombra, impossibile da notare. Il GPS poteva essere molto preciso a riguardo.
«Tra quanto tornerà l'idiota?» domandò, afferrando le giacche e lanciandomene una.
«L'ho fatto correre alle estremità della città, inoltre la pasticceria è in una zona vietata alle macchine e dovrà farsi un bel pezzo a piedi, sempre se trova parcheggio a quest'ora. Metà assorbenti hanno i pacchi viola, poverino. Direi che per due ore non sarà un problema. Tu hai registrato Kakekitsu?»
«Sì, se torna prima del previsto lo sapremo. Hejji si occuperà di tenere sotto controllo il perimetro. La torta» mi ricordò all'ultimo.
Girai i tacchi, la tirai fuori dal suo nascondiglio e la coprii per bene, uscendo in strada. «Dio, quanto ti amo» gli sussurrai con aria seducente.
Lui mi guardò dall'alto in basso, facendo una smorfia disgusta, poi ridacchiò con ironia. Ci avvicinammo alla casa di Will, rischiando di scivolare in una lastra fine di ghiaccio.
«Pensi che ci crederà?»
«Se non è impazzito lo farà di sicuro» riconobbi, suonando il campanello.
Ci aprì pochi secondi dopo. Non era cambiato affatto, aveva i soliti capelli arruffati, lo sguardo perso, le spalle basse e quel colorito pallido, così strano da vedere ad un americano in quella parte di paese. Tutti a scuola avevano ancora un'abbronzatura ambrata, dovuto al fatto che il bel tempo era rimasto fino a novembre inoltrato prima di fare posto alle gelate.
Will ci guardò, tremò e guardò oltre le nostre teste, sperando di intravedere qualcuno. «Entrate» disse piano, lasciandoci passare. «I miei sono fuori, torneranno più tardi. Andiamo di sopra.»
Non ero mai stata in camera di Will e la trovai esattamente come me l'ero immaginata: non era molto grande, o forse sì, non c'era quasi spazio per muoversi liberamente in tre dato l'ammasso di cose che custodiva con cura. Le mensole erano ricolme di Funko Pop ancora nella scatola, videogiochi impilati con cura, manga e libri da collezione. Il letto, con le coperte di Harry Potter, era sfatto, la scrivania piena di fogli volanti con schizzi di disegni non finiti, compiti e testi di scuola con qualche strappo qua e là. Sul pavimento, come mine vaganti, erano disseminati alcuni calzini o bottiglie di plastica vuote.
Sperando che non lo notassi, calciò sotto il letto un paio di calzoni. «Okay, mi avete promesso di darmi delle spiegazioni. Ho fatto come mi avete detto, sono stato zitto.»
«Qualcuno ha tentato di avvicinarsi a te?» domandò Drogo cauto. Will negò. «La cosa che ti ha attaccato è fuori circolazione, puoi stare tranquillo. Qui nessuno ci sentirà.»
«L'avete u-uccisa?» balbettò insicuro.
Io e Drogo ci guardammo e piano si sedette sulla sedia della scrivania. Appoggiai la torta sul comò e lo imitai, sedendomi sul letto e tentando di farlo rilassare. Continuava a tenere le braccia incrociate in una posizione di difesa ed era incredibile, eravamo noi a rischiare la pena di morte spiegandogli tutto.
«No, non noi. Un'altra agenzia che... ci aiuta.»
Will lo guardò, poi studiò me. «Siete agenti segreti? Tipo Men in black?»
Alzai un sopracciglio, non capendo. Presi una fetta di torta e la passai al mio amico. Studiò la fragola tagliata con cura e diede un morso alla confettura e alla base di biscotti sbriciolati, mugugnando di gusto.
Drogo sospirò. Non sapeva da dove iniziare e non aveva tutti i torti, noi conoscevamo tutto da quando eravamo entrati al Nido e non ci eravamo mai dovuti fermare a spiegare qualcosa da zero. Era difficile.
«Mi avete promesso di rispondere alle mie domande!»
«Be', è complicato, cazzo!» si imbestialì il ragazzo biondo. «E tu di certo non aiuti.»
«Basta iniziare da qualche parte» ringhiò Will agitato, sporcandosi di panna.
«Okay, basta così. Abbiamo poco tempo» mediai, prima che uno di loro perdesse la calma. Invitai Will a sedersi e lui si abbassò, mettendosi a schiena contro il muro, accanto alla porta e al termosifone acceso. Diedi un pezzo a Drogo, dato che stava aspettando. «Risponderemo alle tue domande, se le hai.»
«Oh, puoi giurarci che le ho!» esclamò, quasi ridendo con ansia. «Voglio sapere chi siete, da dove venite e cosa avete a che fare con me. Non siete semplici studenti, vero?»
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