XL
Per quanto il mio gesto fosse stato molto egoista e pericoloso, non me ne pentii. Andy non seppe nulla di quel fatto e credo che nemmeno sospettò che potessi fare una cosa del genere. Ero preoccupata per la sua reazione negativa, perché sapevo che mi avrebbe punita e avrebbe cercato di rimandarmi al Nido usando tutte le sue forze, ma avevo più paura di perdere la sua fiducia. Andrew sapeva molto bene come ferire ogni persona e con me ci riusciva meglio degli altri.
Alderyu, nel poco tempo in cui rimaneva nel mondo esterno, mi lanciava occhiate lunghe e ambigue. Di sicuro nemmeno quella vipera aveva capito le mie intenzioni, e anche se avesse registrato un aumento dell'aura di Ryokku, non aveva prove per azzardare una simile ipotesi. La segretezza era la base del nostro rapporto con gli umani. Probabilmente ero stata la prima ad infrangere quel tabù e il fatto di non essere stata punita mi fece credere di aver, sotto sotto, fatto la cosa giusta.
Hurley non parlò mai di ciò che aveva visto, né disturbò più Will nel mese avvenire. Quanto a me evitava persino di guardarmi o starmi troppo vicino, temendo che il mostro che lo aveva aggredito emergesse ancora. Il suo ego non si abbassò, temette unicamente di non poter avere difese se Ryokku avesse deciso che Hurley era un buon compromesso oltre il mio sangue. Comunque, giorno dopo giorno, Will cominciò a rilassarsi venendo a scuola, non gettava occhiate preoccupate quando doveva andare in bagno o quando usciva dal cancello.
Passammo molto tempo insieme e scoprii appunti importanti non scritti nel rapporto, il quale si inspessiva settimana dopo settimana grazie alle inutili note di Keith e Lancer. Amava i libri di fantascienza, come Harry Potter e Star Wars, e soprattutto i videogiochi e tutte le cose che provenivano dal Giappone. Lo affascinavano la cultura orientale e tutto ciò che era animato o disegnato in stile fumetto.
Le cose però non andavano avanti bene nell'indagine e quella era la parte più dura; ogni weekend dovevamo fare rapporto sia all'OverTwo sia al Nido e, come al solito, ripetevamo la stessa identica cosa: «Niente aggiornamenti.»
La situazione per le altre squadra era uguale. Non c'era traccia del Mastino, a volte comparivano nuove scie e si attaccavano a persone diverse senza spiegazione, l'unica cosa strana era che alcune volte scomparivano nel nulla senza lasciare traccia. Gente senza importanza, ma sempre con un motivo per restare: una madre di famiglia, una donna in carriera, un giovane ragazzo del college.
Non tutti scomparivano, molti di loro puzzavano di Demone e altre squadre, come quelle del Nevada o del Maine si imbatterono in qualche selvatico.
Con il passare di questa incertezza costante, la casa divenne meno rigida e vuota e cominciò a sembrare animata: a volte lasciavamo gli zaini in giro, i libri sul tavolo, le tazze sulle mensole, tutte cose che in una famiglia erano normali e servì a rincuorarmi. Sarebbe stato difficile separarmi da tutto quello, una volta finito.
A volte sentivo mio fratello parlare con Louis o con Damian, si scambiavano opinioni e non si giungeva a niente di completo e i dubbi aumentavano. Possibile che le scie non portassero a niente di concreto e non ci fossero testimoni, umani o demoni che conoscessero ciò che stava succedendo? Stavamo perdendo tempo e si trattava di qualcos'altro? Oppure davvero Will sapeva qualcosa e la sua falsa innocenza mi aveva dato alla testa?
Sapevo ciò che Andy mi avrebbe detto: 'Ami le cause perse, ecco perché ti piace quel ragazzo', usando quel tono freddo e saccente. Il mio per Will era un genuino affetto e avevo smesso da tempo di considerarlo un sospettato. Se fosse scomparso sarebbe stato chiaro che fosse innocente o l'esatto opposto?
Ero del tutto confusa.
Louis mi mandò un pacco da casa. Insieme a Bill, aveva mandato alcuni vestiti, il vecchio peluche di Drogo (poco felice di essere preso in giro dal padre), una scorta di tè inglese di varietà diverse, una bottiglia di vino rosso per Andy e persino il mio regalo di Natale in anticipo di quasi un mese eccessivo: un sacchetto di semi di elleboro.
Non li avevo mai piantati a casa, prediligevo le piante che dovevano essere piantate nel periodo primaverile-estivo, perché prendersi cura dei fiori in inverno era davvero dura. A San Francisco perciò il piccolo cortile interno era vuoto, non c'era nemmeno spazio per un albero o un capanno per gli attrezzi ed era diviso dalle altre proprietà da una mera recinzione di legno.
Almeno, in quel pezzetto misero di terra, non incontrai molti sassi e passai la vanga solo una volta, togliendo le erbacce che i vecchi proprietari avevano dimenticato. Lo misi in una zona coperta sia dal sole sia dalla pioggia, scavai una piccola buca di venti centimetri e i misi i bulbi. Colmai la zolla e la comprimetti.
Ryokku si sedette vicino a me, con le mani a penzoloni oltre le ginocchia. Gettai una veloce occhiata alla staccionata e alla porta, per vedere se qualcuno lo potesse vedere, ma per sorpassare la divisione il legno ci sarebbe voluto un doppio salto. Mi preoccupavo più per la reazione di Andy.
Non dissi nulla a Ryo e lui continuò a guardarmi lavorare.
«È una delle tue piantine speciali?» domandò, trattenendo a stento un sorrisetto.
Annuii. «Louis mi ha fatto un regalo, non ho potuto portare quelle che avevo e temo che con l'inverno qui sarebbero comunque morte. L'elleboro è una pianta invernale e molto resistente, richiede poca cura.» Gli feci vedere l'immagine.
«Oh, verranno così? Rosse o bianche?»
«Non ne ho idea... C'è scritto?»
«Non so leggere tutti i vostri caratteri.»
Ridacchiai stupidamente e non parve contento. Di solito era il contrario. «Vuoi darmi una mano?» Lui annuì. «Okay, ti insegno un paio di cose: io ho già piantato i fiori e setacciato il terreno per togliere erbacce e sassi. Anche se sono di poca cura, devi essere costante e annaffiarle regolarmente per favorire il radicamento.» Si guardò in giro e trottò fino al tubo dell'acqua, lo afferrò e tornò da me, spruzzando il getto sopra la zolla con cura. «Reidrata anche questa zona. È un terreno asciutto, perciò dovremo metterci dell'humus sopra.»
Lui ascoltò paziente la mia discussione, assorto nelle parole e nell'immagine di quelle rose rosse di Natale che sarebbero presto sbocciate. Mi ascoltava davvero, annuiva e compattava con cura la terra con le zampe pelose. Mi aveva vista molte volte farlo e notai che copiò i miei movimenti. Ryo era davvero un caso unico.
«Tra un anno dovremmo vedere i primi risultati» dissi.
Ryokku aprì la bocca. «Un anno?»
«Volevi vederli subito?» Annuì stizzito. «Be', non so da voi, ma nel nostro mondo i fiori sbocciano una volta l'anno e raramente possono essere piantati in inverno. Non possono sbocciare da un momento all'altro, è un'altra loro caratteristica. Devi prendertene cura e se lo fai bene vedrai i suoi frutti.»
«Potresti essere morta tra un anno.»
«Potrai vederli comunque tu, allora, anche senza di me. Uno, due, tre anni. Sono fiori che fioriscono nello stesso posto per molti anni prima di morire. L'inverno è lungo e freddo, magari potranno tenerti compagnia.»
Non gli piacque la mia frase nemmeno un po', forse per il futuro in cui io fossi morta o se semplicemente l'ipotesi di aspettare un anno lo annoiava a morte. La sua espressione divenne più cupa e tornò ad appollaiarsi a terra, corrucciato e furente.
«Li aspetterò insieme a te. Non morirò così in fretta, te l'ho detto. Non vincerai» ammiccai e gli diedi una leggera spinta. Usò la coda come perno per non scivolare sul prato, fece una smorfia e giocò con la terra. «Pensi che ho fatto la cosa giusta con Hurley?»
Ryokku non mi guardò. «Tu stai chiedendo la mia opinione quando sai già cosa ti dirò. A volte mi ricordi un cucciolo smarrito e corri dal tuo amato fratello maggiore, altre hai la forza e l'intraprendenza di una regina. Devi perdere qualche pedone per vincere il gioco.»
«Ti sto chiedendo la tua opinione come amico» spiegai paziente e lui alzò lo sguardo un poco, prima di riabbassarlo. Gli presi la mano e la tolsi dalla terra, pulendogli il pelo con attenzione. Non amava sporcarsi e di rado al Nido usciva quando non ero in casa. «Cosa faresti se fossi in Will?»
«Ti abbraccerei» rispose semplicemente.
Lo guardai e il mio respiro diventò più pesante per qualche motivo. Gli occhi di Ryokku erano cambiati in quei mesi passati insieme, erano sempre curiosi e saettavano da un oggetto all'altro, tuttavia si concentrava più su di me, non li assottigliava con diffidenza. Quelle pagliuzze che gli roteavano negli occhi palpitavano più forte quando gli ero davanti.
Il Demone alzò la mano dalla mia e mi sfiorò il collo. Un brivido gelato mi percorse la schiena e mi solleticò le gambe.
Saltai in piedi e mi allontanai. Sapevo che dovevo dirgli qualcosa, perché era confuso sull'aver fatto qualcosa di male, eppure non riuscii a trovare nulla di decente da dire e se lo avessi trovato, non avrei avuto fiato.
Rientrai in casa in fretta e per distrarmi corsi da Andy, aiutandolo a preparare la cena. Normalmente mi piaceva quando Karen, Keith e Lancer non venivano a cena da noi nei weekend, quel giorno avrei voluto che ci fossero. Avevo bisogno di persone intorno a me per non farmi pensare, le parole di Andy non servirono a calmare quel torpore che il mio corpo continuava a produrre. Avevo i brividi e tremavo piano come se fossi emozionata e non riuscivo a capire cosa diamine fosse.
Era sempre stato diverso, a differenza di mio fratello, con Ryokku non mi aspettavo mai un rimprovero o che alzasse la voce contro di me. Quei brividi mi facevano tremare la pelle, dal collo fino ai piedi, Andy mi amava da morire e io lo stesso, però non era il genere di amore che volevo: non era da cotta del liceo, di folli fughe di sera insieme, da sogni impossibili. Andy era solo... il mio intero mondo.
Will e Ryokku mi facevano tremare il cuore ed era bello, perché alcune volte, quando ero sola e mio fratello mi ignorava, credevo di non poter provare niente di concreto. Ero stanca di rincorrere la persona sbagliata, con Will potevo confidargli il mio sogno di entrare nella squadra di cheerleading, scherzare sul compito mal fatto di letteratura e passare intere ore a guardare film orribili, parlando di scemenze. Le persone come lui, quelle che mi ascoltavano e non mi giudicavano, mi resero dipendenti da quella felicità che non avevo mai provato.
Ryokku era... speciale. Non parlava, aveva gli occhi fissi, le mani immobili. Mi prestava solo attenzione. E mi bastava. Mi piaceva. Perché di attenzioni io non ne avevo mai avute. Se avessimo supposto che il giorno dopo mi fossi svegliata e lo avessi amato sarebbe stato sbagliato. Lui era un Demone. Io un umano, anche se a volte mi consideravo peggiore di lui.
Cos'era sbagliato poi?
Nel mondo comune un ragazzo poteva amare un ragazzo. Una ragazza una ragazza. Qualcuno poteva amarli entrambi o non amare niente. Andava bene. Perché io no? Ero cresciuta con pochi e acuminati dogmi a cui non potevo trasgredire, mio fratello mi aveva insegnato che il mondo era un posto difficile e oscuro. Non lo avevo mai capito.
Se gli insegnamenti di lui, o del Nido in generale, erano errati, perché le mie emozioni lo erano comunque?
Quando l'inverno entrò nel suo girone e il clima soleggiato lasciò posto a venti gelidi, nebbie improvvise e piogge torrenziali, arrivarono i test di fine sessione, quella autunnale. La prossima sarebbe stata quella di gennaio fino a marzo. Dovemmo dare gli esami in tutte le materie, persino Will riuscì a prendere C- in ginnastica, dicendo alla professoressa che se lo avesse bocciato sarebbe tornato alle sue lezioni più spesso. Le suonò come una minaccia.
Per quanto mi riguarda, ebbi buoni risultati come media. Non ottimi per colpa di storia e letteratura, ma buoni. Drogo non si salvò in fisica.
«Hai preso D in fisica!» lo canzonai, saltellando in soggiorno. Lo trovai con i piedi sul divano a guardare la TV e a sfogliare una rivista di sport. «Sei uno scemo, sfigato e senza C! Ha-ah!» cantai per gioco.
Mi scoccò un'occhiataccia lunga e mi lanciò un cuscino. Risi più forte.
Mio fratello mi diede uno spintone per togliermi di mezzo e si avvicinò a Drogo con aria furente. Gli tolse con furia i piedi dal poggiolo e Drogo saltò con diffidenza, mormorando imprecazioni di fastidio.
«Ma che cazzo ti prende?» sibilò.
Andy lo prese per la felpa e lo alzò di peso. Data la posizione scomoda del ragazzo, quasi ci mancò che ci rotolasse via. «Ti avevo avvertito di non giocare con me, ragazzino, ma sei come un verme sotto la scarpa: schifoso e inutile. La questione della valutazione rimane, credi che non sappia andare online e vedere i tuoi stupidi voti? Ti avevamo fatto entrare con il massimo in tutto e ora hai una D in fisica! Credi che sia uno scherzo la tua copertura, solo perché passi il tuo tempo in quella scuola di merda?»
Drogo allargò gli occhi e lessi in quello sguardo l'esatto timore della volta prima, quando aveva fatto a botte con Hurley e Andy gli aveva servito lo stesso trattamento. Al contrario, in quelli di mio fratello c'era una strana furia che non riuscivo a comprendere.
Drogo deglutì e nonostante l'attimo di incertezza, simile al mio, afferrò il polso di Andy e si liberò. «Non mettermi le mani addosso» lo avvertì.
Il sorriso di Andy si glaciò. «O?» domandò. «O che mi fai? Me lo spezzi, mi lanci il riccio contro? Chi ti farà rimanere qui?» Drogo ci pensò. Andy era il caposquadra e anche se avevamo commesso vari errori in quei mesi ci aveva fatti restare con sé. «Tuo padre non ha mai avuto la decenza di rimetterti in riga.»
«Nemmeno il tuo.»
Quando lo colpii non riuscii a trattenere un urletto spaventato. Gli tirò un pugno sul naso e il ragazzo inciampò all'indietro su un gamba del tavolo, finendo quasi steso sulla poltrona. Drogo si appiattì sul pavimento, aveva una mano premuta sul viso, eppure riuscivo chiaramente a notare l'umido dei suoi occhi. Era caduto, era stato ferito e picchiato varie volte nel corso della sua vita, anche durante gli allenamenti veniva costantemente placcato, nonostante ciò non lo avevo mai visto versare nessuna lacrima.
Il dolore che infliggeva Andy era diverso, perché ti faceva credere di essere tu l'origine del problema. La cosa che odiava di più era parlare di papà.
«Andy, basta! È solo un voto!» urlai. «È solo una D, la recupererà in seguito!»
Ero sempre stata dalla sua parte, non mi ero mai opposta alle sue decisioni o punizioni, lui diceva di fare ogni cosa per il mio bene, ma alcune erano veramente ridicole. Tutti avevano carenze in qualche campo, Drogo non era disciplinato, tuttavia aveva cominciato a darmi ascolto, più di me a Austin.
«Andy!» lo chiamai. «Gli fai male!»
Bloccò i pugni del ragazzo, stringendo le dita attorno ai suoi polsi e lo immobilizzò. «Se non chiudi quella dannata fogna, Penny, ne farò anche a te!»
Strinsi i denti e lo spinsi via, cercando di allontanarlo da Drogo, il quale con un paio di calci riuscì ad indietreggiare e a tirare su il moccio. Andy appoggiò una mano a lato e non si stabilizzò, allora mi guardò e mi dedicò una delle sue migliori occhiate sinistre.
«Perché sei così?» lo attaccai.
«Perché sono io che devo badare a voi due!» rispose a tono. «Sono io quello che vi fa restare qui, anche se sapevi benissimo che ero contrario al tuo viaggio alla scoperta di te stessa. L'unica cosa che ho preteso è che eseguiste i vostri compiti alla lettera, senza "se" e senza "ma". Perché vuoi fare di testa tua?» Mi afferrò il braccio e mi scosse. «A questo mondo tutti dobbiamo scegliere da che parte stare, e può non farti piacere, può non farne anche a lui, a siamo qui grazie a quelle.»
«Allora perché a me sembra che io non posso scegliere?»
«Non puoi!» urlò furente. Mi strinse meglio. «Tu non devi volere niente! Non devi scegliere niente! Sono io che lo farò per te, l'ho sempre fatto e lo farò! Va' in camera tua, Penny, ti ho già spezzato il braccio una volta e lo posso rifare» mi avvertì e quel doloroso ricordo della mia infanzia mi trafisse la mente. Il labbro mi tremò di paura. «Vai via.»
Respirai e mi arrabbiai. «No!»
Non potevo continuare a stare dalla sua parte se credevo che fosse sbagliata. Bill aveva dato molte libertà al figlio e lui stesso, sbagliando, aveva capito cosa fosse meglio fare o no. Andy aveva saltato quel processo, non mi aveva mai fatto sbagliare in pace.
I suoi occhi si gelarono e massimizzarono la presa. L'aria che avevo trattenuto mi uscì in un singhiozzo disperato e cercai di sganciare il suo agguanto, tirai e agitai il braccio. Mollò di colpo e io caddi a terra.
«Tu non capisci proprio un cazzo!» mi aggredì con furia, dandomi uno schiaffo. Urlai e mi raggomitolai in me stessa per proteggermi. «Se ti dico una cosa devi farla, non mi interessa se non ti piace o non vuoi. Sono io che decido e tu sei mia!»
Drogo lo caricò come aveva imparato a fare a football, piegando le gambe e scaricando tutto il peso sulle spalle e sulla schiena. Gli saltò addosso e rotolarono a lato, mentre ebbi appena il tempo di strisciare indietro.
«Non osare metterle le mani addosso; lei non è tua!» lo affrontò Drogo.
La faccia di Andy divenne più rossa di quel che era e seppure fosse disteso a terra, sotto Drogo, continuò a sopraffarlo. Lo trattenne con le gambe e lo picchiò forte. Mi aggrappai alla schiena di mio fratello per tentare di trattenerlo e farlo calmare, stringendo troppo forte il collo. Mi scaraventò in avanti e finii sul ragazzo, urtando sia la sua spalla sia il tavolinetto basso.
Andy si massaggiò il collo e si rialzò per primo. «Vi siete alleati?» domandò con spirito. «Questa volta credo che non ci saranno discorsetti per voi, rompervi qualcosa sarà più efficace e avete molte ossa tra cui scegliere.»
Mi spinsi su Drogo, cercando riparo e lui rimase immobile.
Ryokku e Hejji Igel comparvero davanti a noi, pronti a difenderci. Era raro che uscissero in modo così repentino, però il loro arrivo e il loro assetto di difesa era chiaramente parallelo a tutte le emozioni provate in quei pochi minuti: paura, rabbia, spavento.
Ryokku mosse le dita, pronto ad affondare le unghie in qualcosa di morbido e caldo, alzò le ali e le mise sopra di noi, in una specie di tenda sicura. Hejji aprì la bocca e i suoi occhi diventarono due fessure lunghe e sottili, il suo aspetto genericamente tenero scemò quando gli artigli crebbero come spuntoni e le zanne emersero sporgenti dalle gengive. Aveva file intere di denti appuntiti, come uno squalo.
Andy si prese la testa tra le mani e ululò straziato delle imprecazioni contro di noi. Quando faceva così, specie a casa, era un brutto segno. Non lo avevo visto spesso in quelle condizioni, a volte bastava che alzasse le mani per darsi una calmata e se proprio era di cattivo umore, non mi curava. Quelle rare volte emergeva quell'anima mostruosa con cui era diventato famoso: aveva bisogno di distruggere qualcosa.
La figura sbiadita di Alderyu comparve davanti ai due Demoni e pensai che nonostante tutto Ryo era un Demone nero e Hejji sapeva controllare il fuoco, magari con fortuna avrebbero vinto o lo scontro non sarebbe nemmeno iniziato, tuttavia la figura della lince divenne evanescente come fumo e si disperse nell'aria. La piccola nube si tinse di colori più scuri, parve fiammeggiare e battere a ritmo dei nostri cuori spaventati, si alzò e cominciò a prendere forma in qualcosa che nemmeno io avevo mai visto.
«Andy!» lo chiamai spaventata, notando che Alderyu si stava scatenando.
Ryo abbassò il capo, era molto alto, ma quella cosa lo superava di molto. Hejji sibilò malinconico e perse l'audacia con cui era entrato, rimpicciolendosi sempre di più di fronte a quell'essere.
«Andy, richiamala, ti prego!» lo supplicai.
I due Demoni sembravano delle marionette di legno davanti a quella cosa. Non avevo mai visto Alderyu in forme diverse da quella di lince, ero curiosa di sapere che aspetto avesse, ma in quei secondi mi resi conto che sarebbe stato meglio di no.
Nella stanza calò il gelo, come se Alderyu stesse risucchiando a sé ogni traccia di calore. Alzai le braccia per proteggere me e Drogo, mentre Ryo fece lo stesso con noi.
Mio fratello impugnò la sua spada e la alzò, sferzando di netto la figura avvolta dalle fiamme. Alderyu si spezzò in due e la polvere si scurì, svanendo nel nulla. La luce nel soggiorno smise di sfarfallare e le tende di ondeggiare, tremai forte e non ebbi il coraggio di staccarmi da Drogo. Né lui da me.
Andy ci guardò a lungo, lo scosse un brivido e se ne andò. Uscì di casa di fretta, udimmo la porta sbattere con troppa energia e rimanemmo soli. Hejji Igel fece finta di scoppiare a piangere e rintanò sul divano, abbracciando un cuscino.
Ryokku si voltò e alzò una mano, come se volesse toccarmi. Drogo si mosse per prima e mi analizzò il volto e il polso, dove mi aveva colpita. Il Demone fece un passo indietro.
Deglutii forte e sbattei gli occhi. «Stai...» borbottai «stai bene? Ti sanguina il labbro.»
Drogo annuì vago e mi guardò. «Perché sei intervenuta? Se non lo avessi fatto non ti avrebbe fatto nulla.»
In verità era il contrario. Non avevo mai reagito a Andy perché credevo fosse giusto così, in fondo mi aveva trovata e mantenuta per anni. Da quando ero arrivata a San Francisco mi ero resa conto che la mia gratitudine non doveva essere mescolata con la totale passività. A modo mio, ero simile a Will.
Stavo cambiando, e anche Andy.
«Molte volte in queste situazioni avrei voluto che qualcuno lo facesse» raccontai vaga. «Era solo una D... Anche con una F non...»
Mi alzai e deambulai in cucina, aprii il congelatore e presi un sacchetto di pesce surgelato. Glielo porsi e lui se lo premette sulla ferita, gemendo appena.
«Ti ha davvero rotto il braccio?» domandò a bruciapelo.
«Una volta sì.»
«Perché?»
«Gli ho detto che papà era morto a causa della sua incompetenza. Non l'ho mai visto tanto arrabbiato. È stata la prima volta che lo ha fatto e in cui ho provato a reagire, ma presto ho imparato che in quel modo peggioravo solo le cose. Pensavi che la mia vita fosse divertimento e pacchia, vero?» Lui arrossì. «Lo credono in molti. Ora sai come ho vissuto. Avanti, ti medico io la ferita.»
Lo aiutai a rialzarsi e gli pulii la ferita con cotone e disinfettante.
«Se vuole continuare a picchiarmi può farlo, di certo non gli darò ascolto. Farò come voglio e farò in modo che ne sia valsa la pena» sentenziò Drogo e in un modo tutto suo, doloroso e ribelle, aveva ragione.
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