XIV
(Augustus Grimm)
Mi risvegliai in infermeria.
Non riuscivo ad aprire gli occhi, era come se le palpebre si fossero incollate l'una all'altra. Le sentivo pesanti, sonnolente, come se non si volessero più aprire. Mi parve di udire degli scorci di dialoghi, eppure non seppi né riconoscere le voci e né capire le parole. Delle immagini frammentate vorticavano nella mia testa: rividi mio padre nel balcone di casa, Drogo allenarsi, i miei amici Wyatt e Grace, Andy e persino le ali da pipistrello del Demone.
Qualcosa mi tratteneva a forza, mi otturava i sensi. Dovevo svegliami, lo sapevo, ma il mio cervello non era d'accordo. Tentai di slegarmi con la forza da quelle catene che mi immobilizzavano, mi concentrai e iniziai a muovere piano le dita, fino a quando non riconobbi che lo stessi veramente facendo. Serrai gli occhi e poi li aprii.
«Dio, Penny!» La faccia di Lottie era davanti alla mia, a pochissima distanza. I suoi occhi si inumidirono subito e mi prese tra le sue braccia, stringendomi e singhiozzando. «Ti sei svegliata, che Dio ti benedica...»
Mi sentivo confusa, spenta, ma in qualche modo pacifica, come se fosse tutto a posto. Non mi sentii così bene da quando, parecchi anni prima, ero riuscita a correggere tutti i miei sorvegliati e per un mese non ebbi nessun lavoro. Il calore di Lottie mi rassicurò, come se mi fosse mancato del contatto umano da anni.
«Dio? Qui è il merito è di Andrew e del dottor Grimm» la corresse con fare acerbo Rylee, ma anche lei mi sorrise con fare sollevato.
Lottie voltò la testa e si staccò da me per lasciarmi respirare. I suoi lunghi capelli mori le cadevano disastrati sulla fronte, fasciata da una garza di stoffa. Guardai Andy, poi tentai di alzare le braccia verso di lui, eppure non ebbi le forze necessarie. Mio fratello socchiuse le labbra, poi mi gettò le braccia attorno al collo e mi abbracciò con tutte le sue energie. Non parlò. Era ciò di cui avevo bisogno. Affondai il naso nel suo collo e annusai il suo buon profumo.
Lottie, Fae, Rylee e Drew ci guardarono senza muoversi. Portavano tutti l'uniforme nera e con le stringhe di diverso colore, a seconda dei loro ruoli, al contrario di mio fratello, il quale indossava una semplice camicia bianca e dei pantaloni comodi.
«Pensavo che saresti morta nel sonno» confessò quasi in colpa Andy, stringendomi più forte e scoccandomi dei baci sulla testa.
«In verità» si impicciò Drew «lo pensavamo tutti, ma se avessimo osato dirlo ci avrebbe spiaccicato la testa nella sbarra del letto.»
Sbattei gli occhi e mi lamentai forte. Andy mi aiutò a mettermi a sedere. Cominciò a farmi male dappertutto, soprattutto il petto, come se un lottatore di sumo avesse deciso di rendere i miei polmoni e i miei organi interni un delizioso budino. Dentro la mia testa cominciò a farsi sentire un lieve ronzio assiduo, temetti di avere qualcosa nelle orecchie, ma le ritrovai fasciate, come la mia intera mano destra. Il braccio sinistro era invece percorso da lividi e qualche crosta, un ago era infilato direttamente nella vena e, guardando un liquido chiaro sgocciolare dalla IV fin dentro il mio organismo mi fece vomitare.
Buttai fuori in un cestino apposito una poltiglia giallastra e liquida.
«Mi...» borbottai stancamente, pulendomi la bocca. «Mi fa malissimo il petto...»
Era insopportabile, un formicolio misto ad un bruciore persistente. Con la mano non fasciata mi afferrai un lembo del camice che indossavo, sperando di toglierlo a forza e vedere cosa mi desse così tanto malessere. Appena provai a togliermelo, Lottie annaspò e con le guance rosse mi bloccò, mentre Andy mi rimise a posto la camicetta azzurra senza battere ciglio.
«Andy che roba è?» domandai agitata. «Cosa mi è successo?»
Lui espirò, guardò i suoi compagni di squadra e poi indicò il corridoio. «Andate a chiamare il dottor Grimm, ditegli che si è svegliata. Andate tutti, per favore, ho bisogno di parlare da solo con lei.»
L'infermeria divenne irrimediabilmente più silenziosa. Dovevano essere le ultime ore della mattina, o primo pomeriggio, perché quel giorno c'era uno strano sole, accecante e bianco, e illuminava tutta l'ala senza ombre. C'erano decine di letti e tendine, eppure non c'era nessuno a parte me. Tutti i rumori erano soffusi per via della medicazione attorno alla mia testa, il Nido era da sempre stato un luogo caotico, tuttavia in quel momento regnava la pace più assoluta. Era strano. Non mi piaceva. Era fuori dal mio ordinario.
Mi sbottonai la camicetta e mi guardai il petto. Sopra il cuore, c'era tatuato un simbolo nero, una specie di macchia che assomigliava allo scheletro di un cranio animale, racchiuso in un cerchio perfetto con piccole lancette ad ogni polo, come un orologio. Guardai Andy, chiedendogli spiegazioni e lui rimirò il marchio, sospirando, per nulla notando oltre sul mio corpo.
«Mi hai tatuata mentre dormivo?» gracchiai allibita.
«Non ti ho tatuata e quello non è un tatuaggio, testa di cazzo» mi corresse, scontento che lo avessi accusato su due piedi. «È una runa. Una runa protettiva. La hanno tutti i Dominatori.»
Mi coprii il petto con nervosismo, scettica. «Ti ho visto benissimo. Conosco il tuo corpo. Tu un tatuaggio del genere non ce l'hai.» Fece per correggermi, ma fui più lesta. «Runa, come ti pare. Non hai nessuna runa.»
Lui si grattò il mento, pensoso. «Sono rune speciali, vengono assorbite dalla pelle e non lasciano tracce. Quando un Demone prende il sopravvento di un essere umano, da qualche parte sul suo corpo esce il simbolo che vedi nel cerchio; è il loro marchio. È un meccanismo di prevenzione.»
«Prevenzione a cosa?»
Lui sospirò e si pulì il mento dal sudore. «Ecco perché tutti gli aspiranti Dominatori seguono un corso specifico prima di stringere un Patto, Penny, per evitare queste domande.» Lo incenerii. Non mi andava affatto di scherzare. «Ti sei Sincronizzata al tuo Demone. Il Patto oramai è concluso, è ufficialmente tuo e sei una Dominatrice. Normalmente i Demoni cedono una minima parte della loro energia al soldato scelto, ma è una percentuale davvero bassa, seppure permetta di fare cose che ad un comune essere umano sono impossibili. I Dominatori si differenziano da un umano qualsiasi per la resistenza mentale, fisica e genetica, per la naturale predisposizione all'accettazione dei loro geni. Sai bene che quando un Demone prende il sopravvento, la forza e tutte le funzioni aumentano, ma c'è un periodo preciso, piuttosto contenuto, dove un Dominatore può superare il livello di sicurezza e acquisire più forza.»
«Sì, la possessione» ribadii.
«No» sputò deciso. «Stammi a sentire. Tu non sei stata posseduta, ci sei andata vicino, ma il processo non si è concluso. Non hai perso totalmente il controllo, ti sei fermata. Ti sei sincronizzata al Demone. Nella possessione perdi te stessa, i ricordi, i desideri, le emozioni, ma nella sincronizzazione rimani lucida, combatti nel tuo stesso corpo e rimani cosciente. È un processo molto rischioso, pochi corrono il pericolo. La sincronizzazione è una linea sottilissima che divide il Patto e la possessione.»
«Tu eri pronto a farlo, vero?» sillabai. «Per salvare tutti, dico. Ti saresti sacrificato anche conoscendo i rischi?»
«Se lo hai fatto tu, che sei una mocciosetta con il moccio al naso, pensi che io mi sarei tirato indietro? È il mio compito proteggere i miei sottoposti, Penny, non chiedere cose che già sai» mi richiamò furente, alzando il tono di qualche ottava. Il suo sbalzo di umore non lo capivo. «Di norma la runa si applica prima di un Patto, non dopo, per prevenire questo genere di cose. Impedisce che il Demone prenda il controllo usando le tue emozioni.»
«Il maleficio che lo tratteneva si è indebolito... Ora può usare me per interagire con il mondo esterno...» Mi tastai il petto. «Fa comunque un male cane...»
«L'abbiamo fatto di fretta, avevi perso i sensi e stavi quasi per essere divorata da quel mostriciattolo che adesso vive dentro di te. Di solito si fa con il sangue del Demone scelto e quello del soldato, il vincolo che tiene serrato entrambi così diventa più saldo, ma tu ne avevi già perso molto, così ho riempito i buchi con il mio. Non ci dovrebbero essere problemi comunque.»
Sollevai stanca gli occhi. «Mi piace il tuo "dovrebbe". Non era sicuro che funzionasse?»
«È diventato sicuro quando ha funzionato.»
«Be', mi fa piacere non averti deluso, allora» ribattei. «Perché sono ridotta così? Cosa ho fatto?» feci a raffica e gli occhi di Andy si ingrandirono all'improvviso, non avendo il tempo necessario per formulare una risposta. «Perché qui non c'è nessuno? Stanno tutti bene? E Korey? Korey che fine ha fatto, è morto?»
«Tieni a freno la lingua e ossigena il cervello» mi apostrofò, dandomi un po' più di spazio sul lettino.
Riempì un bicchiere di plastica con dell'acqua fresca e me lo passò, cosicché mi rinfrescassi la bocca. La bocca e la gola erano bollenti, l'acqua mi servì e i giramenti di testa passarono quasi subito, eppure avevo ancora un gorgoglio allo stomaco. Non osai permettermi di dire che volevo qualcosa da mangiare.
«Korey è vivo, non temere. Sta molto meglio lui, rispetto a te. Il Demone non lo ha ancora lasciato, Damian lo ha catturato quando tu sei crollata. Le sue ferite si sono rimarginate subito, lo hanno indebolito con dei malefici. È chiuso in una cella di sicurezza, non può scappare da sottoterra. I Mordecai stanno decidendo cosa farne.»
Farne.
Una parola orrenda. Significava che Korey non avrebbe più avuto possibilità di parola, né lui né qualcun altro vicino. Korey Johnson oramai non esisteva più. Non avevo idea di quanto i miei sforzi alla fine erano serviti.
«Mi uccideranno, non è vero?» domandai, stringendo le dita nel lenzuolo bianco.
Era il minimo. Avevo trasgredito alla regola più importante di tutte, messo a rischio più di una trentina di soldati d'élite e avevo interferito nella missione. Quanto meno quel gesto mi sarebbe costato molto, se non la sospensione perenne dal mio incarico. Avrei preferito morire piuttosto che subire un interrogatorio e venire esiliata insieme a Andy.
«Non lo permetterò. Non permetterò che qualcuno ti tocchi. Te lo giuro» promise lui, sollevando un angolo del labbro superiore.
Il dottor Grimm era uno degli scienziati di maggiore spicco al Nido, come quasi tutti gli altri era un perito scientifico e tecnico, ma lui era da sempre stato il mio pediatra, fin da quando misi piede al campo, piccola e malaticcia. Era un uomo di mezz'età, con dei folti capelli castani, sbiaditi per via dell'età, e dei mustacchi eccentrici, come il suo comportamento. Presumevo fosse per quello che non era mai entrato veramente nelle grazie dei Mordecai: era un uomo veramente intelligente e creativo, ma era solito non portare facilmente a compimento un progetto. Andava e veniva come gli pareva e di certo nemmeno Damian era mai riuscito a farsi rispettare più di tanto.
Quando mi si piazzò davanti, mi puntò una torcia nell'occhio e dovetti sbattere più volte gli occhi prima di smettere di vedere dei puntini neri nella vista.
«Dottor Grimm! Mi ha reso cieca!» esclamai per scherzare.
Lui agitò una mano. «Ah, sì? Cieca?» Annuì. «E quante dita sono queste?»
Mi alzò il dito medio. Ridacchiai.
«Una!» lo imitai, sollevando il mio.
«Ottimo! E tu, Andrew, sai contare?»
Andy alzò a sua volta il medio, senza sorridere. Scosse la testa e mi tolse le coperte dalle gambe, piegandole ordinatamente verso la fine del lettino. «Ora che ha avuto la conferma che ho ottenuto il mio ruolo leccando culi e contando fino a uno, può visitarla?» lo spronò Andy, indicandomi. «Mi ha detto di avere mal di pancia.»
«È naturale» lo liquidò il dottore. «Per tre giorni è stata senza mangiare nulla, nutrendosi solo dei composti endovenosi. La sua è fame.» Mio fratello mi gettò un'occhiataccia, del tipo "mi sono preoccupato per te inutilmente, stupida ragazzina". «Come ti senti? Avverti qualcosa di anormale o fuori posto?»
«Oh, no» borbottai incerta. «L'opposto, direi.»
Andy e i suoi compagni mi guardarono attenti, quasi sorpresi, mentre il dottor Grimm aspettava che continuassi. Non sapevo se mi stavo immaginando tutto, provavo del vero e proprio dolore fisico, ma dentro, mentalmente, stavo bene. Era strano, tranquillo, sereno. Quando ero piccola, dopo che mio fratello mi aveva sgridato per essere caduta da un albero, ci salii un'altra volta e mi arrampicai fino al ramo più alto, finendo per non riuscire più a scendere. Volevo farlo preoccupare. Mio padre, il quale era appena tornato da una missione, mi venne dietro e cercando di aiutarmi a scendere senza farmi male, cadde. Non si fece male, solo qualche graffio, ma scoppiai a piangere senza controllo. Mi mancava il fiato, non riuscivo a respirare per la paura e il dolore, ma ero felice che fosse lì con me.
«Mi sento bene... È come se fino ad adesso avessi vissuto senza un pezzo e ora si fosse rimesso al suo posto» tentai di spiegare alla bell'e buona.
Andy si corrucciò. Lui aveva capito a cosa mi riferissi. I Demoni dimoravano nell'animo di un umano e per farlo avevano bisogno solo di un piccolo buco, una mancanza. Erano pericolosi poiché cercavano di prendere il controllo e soggiogare l'animo, ma appianavano tutto il resto, si rendevano il perfetto tassello mancante e riempivano tutte le lacune.
Il dottor Grimm fece finta di essere preoccupato, poi balzò in piedi. «Tutto normale, allora!»
«La visiti e basta, non è uno psicologo» lo interruppe Andy.
«Oh, no!» recitò. «Guai a esserlo qui! Se uno non ha problemi allora non si può dire essere nato umano.»
«Sono malata?» chiesi preoccupata.
«Data la tua risposta, dovrebbero esserlo tutti. Specie il tenente colonnello» finì, strizzandomi l'occhio con complicità. «In ogni caso, i tuoi riflessi sono nella norma. Data l'entità del trauma, in tre giorni ti sei ripresa molto bene. Hai un sistema immunitario straordinario, Penny. Un mese o due, con l'aiuto del tuo amico, e ben presto potrai alzarti e correre come prima. Hai fatto un bel po' di baccano, ma più miri alla vetta e più rischi di farti male. Per fortuna ti hanno riportato in vita» canticchiò contento.
Alzai un sopracciglio. «Cosa?»
Andy fece una smorfia e Drew alzò timidamente la mano. «Ecco, è possibile che un sottoposto di Damian ti abbia accidentalmente sparato.»
«Damian mi ha sparato?» Aprii la bocca.
«Un sottoposto» ridisse Drew, usando un tono a mano a mano sempre più basso, notando gli sguardi d'odio di Andy, Rylee e Fae.
Evidentemente erano partiti con l'opzione "non dire niente".
«Un sottoposto di Damian mi ha sparato?»
«Per sbaglio...»
«Per sbaglio? Come puoi sparare a una persona per sbaglio?»
«Penny, stavi diventando incontrollabile, eri un animale e stavi per aggredire delle persone. Damian aveva dato l'ordine di prenderti e sparare al sergente Ko... al Demone, ma vi muovevate troppo veloci e il colpo è stato impreciso» fece eco Lottie.
«Louis Mordecai ha fermato il Demone» disse Fae rigida. «Quando siamo arrivati il tuo cuore non batteva più. Andrew ha continuato a rianimarti per due minuti, fino a quando non hai cominciato di nuovo a respirare da sola.»
Il dottor Grimm alzò le mani in aria e le agitò. «E ha fatto un ottimo lavoro! Ti ha riportato nella terra dei vivi... Seppure ti ha incrinato leggermente una costola per l'enfasi. Se fossi morta non ci sarebbero stati problemi, ma sei qui!»
«È vero, sei viva e vegeta!» esclamò Drew.
«Be', più o meno» lo corresse il dottore. «Ti era cresciuto già un canino nell'arcata superiore, te l'ho estratto sul momento con un paio di pinze. Per fortuna la possessione si è fermata e il Demone ti ha aiutato ad assorbire le cure. Per un paio d'ore non era sicuro che riuscissi a farcela, ma Alma ha avuto un'idea formidabile!»
«Uccidermi?» buttai lì.
Fece finta di non sentirmi, mentre Andy mi pizzicò il braccio, facendomi tacere. «Il Demone, ovvio! Avevi perso troppo sangue affinché riuscisse a curarti come si deve, perciò abbiamo riattivato il collegamento con delle trasfusioni. Ha svuotato più di quattro sacche di sangue, e meno male che il tuo gruppo sanguigno è AB.»
Sbattei gli occhi, convinta di non aver sentito bene. Non ricordavo molto di ciò che era successo, ma faticavo a credere che quel Demone, lo stesso che aveva cercato di farmi uccidere persone innocenti, era lo stesso che poi mi aveva lasciata andare e curato le ferite. Lui non aveva nulla da dare a me.
«Spero tu non te la sia presa» aggiunse il dottore, venendomi più vicino. Immerse la mano nella tasca del suo enorme camice da laboratorio e ne tirò fuori una minuscola fiaschetta di vetro, con dentro un dente. Me lo porse. Andy guardò la mia reazione. «A molti Dominatori non piace che altri si mettano in mezzo ne legame con il Demone, era l'unica possibilità che avevamo di avere la certezza di salvarti.»
Guardai il dente con attenzione. Non era umano, era impossibile, era più lungo e sottile, lo smalto che avvolgeva il canino aveva cominciato a degradarsi e il bianco a diventare una calca marrone sporco. In cima, sulla corona, c'erano ancora tracce di sangue.
«Non... Non importa...»
«Sono felice di sentirtelo dire, avrai tutto il tempo per parlare con il Demone e con tuo fratello più tardi, ora vorrei controllare le tue ferite e fare rapporto. Mi stanno con il fiato sul collo e devo seguire con il protocollo. Ho il tuo consenso, Penny?»
«Oh, certo» risposi gentilmente, restituendogli l'ampolla.
«Tienila pure. Proviene pur sempre dalla tua bocca. L'ho già analizzata. Ero su di giri!»
Evitai di chiedergli cosa dovessi mai farci con un mio dente caduto, anzi, strappato dalla bocca, però non me lo feci ripetere due volte, per curiosità e per stanchezza, così lo posai sul comodino accanto al lettino.
«Un po' di privacy, ragazzi» disse il dottor Grimm, rivolgendosi ai sottoposti di Andy.
Rylee, Lottie e Fae fecero un passo indietro, mentre Drew, non avendo capito, rimase a guardare l'uomo posare una cartella sul letto e infilarsi i cuscinetti dello stetoscopio nelle orecchie. A quel punto Rylee tirò un pugno a Drew e lui si animò, facendosi da parte e Andy chiuse il pannello divisorio, tirando la tendina.
«Fai un bel respiro» mi disse gentilmente il dottor Grimm e inspirai a fondo. Dopo un po' annuì. «Hai dolore da qualche parte?»
«Il torace» ammisi. «Da quando mi sono svegliata, in pochi secondi ha cominciato a darmi fastidio.»
Scoprì leggermente la camicetta sul petto, ignorando la runa e tastando con le dita, delicatamente, notando la mia espressione tirata, la macchia scura attorno allo sterno. «La terza costola si è incrinata, ma sei stata fortunata. Se si fosse rotta avrebbe potuto perforarti un polmone con un moncone, ma è rimasta al suo posto. L'ematoma è passeggero.»
Guardai il viso di Andy e lui, non guardandomi in faccia, osservò le mosse del dottore. Tenni gli occhi su di lui per un po', se mi avesse rivolto uno sguardo avrei potuto capire se fosse frustrato o arrabbiato, ma non incrociò mai i miei occhi e pensai che forse l'avevo fatta davvero grossa quella volta.
«Hai un leggero trauma cranico non commottivo, nulla di serio. Finché le tue condizioni non si stabilizzeranno, preferisco non darti anestetici o morfine varie. Sopporta il dolore per qualche giorno, la fase critica è passata» aggiunse, cambiandomi la medicazione attorno alla testa.
«Mi fa male...» mi lamentai.
«È normale» mi bloccò l'uomo. Mi morsi il labbro. «Dolori, ronzii, formicolii e stanchezza sono sintomi comuni, del tutto prevedibili. Sarebbe più strano se non li avessi. Volevo tenerti coperte le orecchie per sicurezza, so che è fastidioso, ma tieni la medicazione ancora per qualche giorno. Te la toglierò non appena le tue condizioni non si stabilizzeranno... Apri la bocca e fammi le gengive... Ah... Ottimo, hai quella zona infiammata, ma d'altra parte non ti ho causato cicatrici o danni visibili... No, direi che va bene... Molto bene... Denti in salute, nessun sanguinamento, seppure hai un alito pesante!» ridisse più forte e io mi umettai le labbra, deglutendo un sapore amaro. «Mi preoccupa solo la mano.»
La mano destra e l'intero avambraccio erano fasciati da parecchi strati di garze sterili. La pelle, al di sotto, la sentivo sporca viscida. Il dottor Grimm mi disse che mi ero fratturata molte ossa carpali e per togliermi i frammenti aveva dovuto operarmi d'urgenza. Quando mi tolse l'ultimo strato di bende, vidi con orrore una cicatrice ancora fresca, rossastra, che mi percorreva dal mignolo fino alla curva del polso. C'erano ancora i segni dei punti. La pelle in quella zona era gonfia, rosso scura.
«Ho fatto il possibile. L'estetica è passata in secondo piano. Il Demone ha accelerato la guarigione, ma nelle tue condizioni è stato un intervento invasivo, ho dovuto aprirti la pelle per tirare fuori tutti i frammenti. Era come se fossi passata sotto un torchio. Non è piacevole, lo so, ma pensa a me mentre faccio una cosa del genere! Non hai avuto problemi ai vasi sanguigni e ai tendini, vedila in questo senso. Poche ore fa ho dovuto amputare due dita ad un ragazzo poco più grande di te.»
La sua affermazione avrebbe dovuto farmi stare meglio, eppure non ci riuscì.
«Dottor Grimm,» lo chiamai «lei sa cosa è successo? Ha visto?»
«Poco... Quasi nulla» chiarì. «Lizbett e Senza Nome sono intervenute per cercare di fermarti, ma hai evitato la sua illusione. In pochi ci riescono, di sicuro dovrai spiegarlo ai Mordecai.»
Mordecai?
«Avevo detto a Khol che non doveva farle intervenire, lavorano al laboratorio e non sono soldati, ma non ne ha voluto sapere nulla!» si lamentò l'uomo scontroso.
«A loro le brecce non piacciono. O la loderanno per la sua capacità di elaborazione o manderanno alla gogna Senza Nome, lo sappiamo tutti e due, dottore» lo anticipò Andy freddo.
«Lizbett è uno dei Demoni Neri più forti e antichi del Nido. La temono. Potrebbero ammonirla per la poca serietà, non è abituata agli scontri, quella ragazzina, ma rimproverarla per un errore di Khol è troppo.»
«I Mordecai temono solo una cosa, e non sono i Demoni, mi creda.»
«In ogni caso ti sei fermata. Per qualche motivo lo hai fatto. Presumo sia stato un riflesso, la tua espressione in quel momento era molto combattuta» continuò il dottor Grimm.
«Come mi sono fermata?» feci eco incredula.
Lo ritenevo impossibile. Ricordavo le parole, i pensieri e le sensazioni del Demone. Lui bramava la battaglia, lo scontro e il sangue da quando il Patto si era generato completamente. Avevo sentito crescere il suo desiderio dentro di me, montare la sua voglia di spingersi oltre e liberare il suo vero potere. Non si sarebbe fermato, anche a costo di uccidermi. Era un doppio ponte.
«Te l'ho ordinato io» fece Andy schietto. «Te l'ho ordinato e tu ti sei gettata a terra in ginocchio.»
Deglutii.
"Ordinato".
Se mio fratello aveva usato quel termine significava che io avevo commesso un grosso guaio e lui era al limite della sopportazione umana. Eseguivo le sue richieste giusto per non essere punita, specie quando era fuori dai gangheri. Era stato un riflesso bello e buono; quello dell'autoconservazione. Se il Demone aveva sentito il mio terrore in quel momento doveva essersi arreso, oppure io non lo avevo più ascoltato e il terrore delle conseguenze aveva preso il sopravvento.
«Sì, molto strano...» biascicò l'uomo. «Il rapporto!» esclamò improvvisamente, dandomi una pacca sulla mano per distrattezza. Urlai disperata e lui saltò in piedi, scusandosi ma ridendo. «Scusa, scusa! Torno tra poco, tu intanto riposati. Ti porto qualcosa da bere, intanto? Vuoi del succo, del latte? Latte! Il latte ti farà bene!»
Lasciò un minimo di spiraglio e notai Drew farmi un cenno positivo, alzando i pollici verso l'alto. Lo salutai con la mano sinistra e feci un sorrisetto divertito quando mio fratello si alzò e chiuse nuovamente la tenda. Mi sistemai il bavero della camicetta e provai ad allacciarmi i bottoni da sola, cosa non semplice. Andy, dopo una manciata di secondi passati a sentire i miei sbuffi teatrali, si scocciò e si decise ad aiutarmi.
«Grazie, mamma» esclamai.
«Taci e crepa.»
Mi osservai la mano dilaniata e la mossi piano, facendo una smorfia.
«Cosa stai guardando?» mi domandò lui, sollevando un sopracciglio.
«È così brutta?»
«Sì, sembra che uno zombie abbia tentato di strapparti la mano e che un medico drogato ci abbia pisciato sopra dopo averla infilzata con un moncherino arrugginito» sghignazzò, credendo di essere divertente.
Gli feci capire di non essere in vena per il suo umorismo.
Si sollevò le maniche della camicia, le arrotolò fino al gomito e mi mostrò le braccia. Conoscevo ogni centimetro del suo corpo, lo osservavo da anni e a memoria potevo riconoscere le sue vecchie ferite sulle braccia e le cicatrici che gli percorrevano la schiena.
«Guarda, io ne sono pieno. Ti ho raccontato la storia di ognuna di queste. C'è persino la tua, di quando hai deciso di mordermi fino a farmi sanguinare dopo averti tolto Tetto dalle braccia» tentò di farmi ridere.
Roteai gli occhi.
«Questa è nuova, invece» disse e si allargò il colletto della camicia, facendomi intravedere un cerotto marroncino. Sollevò un angolo e scorsi l'angolo di una ferita ricucita, ancora infiammata. «Me la sono fatta durante lo scontro, quando il Demone ci ha sbalzati via. Tu non ti sei mai fatta male gravemente, non hai mai avuto i segni di uno scontro sulla pelle, ma la prima cosa che insegnano ad un Dominatore è vedere le proprie cicatrici come un bene, un traguardo. Ancor prima di sapere come si tiene una spada o come disarmare l'avversario, non tutti sanno accettare i propri limiti e i propri errori fatti. I Demoni ti curano, ma non fanno mai scomparire del tutto i segni. Sì, è brutta, ma almeno sei ancora qui a guardarla.»
Sapevo che aveva ragione. Non mi importava granché della mano, una cicatrice non era nulla a confronto di ciò che avevano passato molti altri soldati ed ero fortunata a non avere danni permanenti, eppure sentivo il bisogno di sentirmi triste per qualcosa. Era un'emozione mia o del Demone? Non lo sapevo più. Era tutto confuso.
«Saresti un bravo insegnante» gli dissi dolce. Lui gongolò. «Se almeno una volta a settimana ti presentassi alle lezioni.»
Si morse il labbro e fece per alzare il braccio scherzosamente. «Chiuderemo in fretta questa storia, vedrai. Mi spiace averti obbligato ad intervenire.»
E a me spiaceva che pensasse di avere qualche colpa.
«Sei stato richiamato?»
«Non più di altre volte. L'attenzione si è concentrata su di te.»
«Drogo come sta? Si è ferito?»
«Integro» rispose freddamente.
«È venuto a trovarmi?» giocai scherzosa.
«Preoccupati per te stessa, questa volta» fece retorico e benché avessi detto quella frase per burla, la sua reazione mi intristì e mi fece capire che non si fosse né preoccupato per me né fatto visita.
Drogo non avrebbe mai chiesto a Andy mie notizie per vari motivi.
«Guarirai, lo hai sempre fatto.»
Sembrava leggermente turbato da qualcosa, probabilmente una delle mie domande gli aveva fatto sorgere dei dubbi, così mi sporsi e gli diedi un lieve bacio per tranquillizzarlo. Come aveva detto il dottor Grimm, il peggio per me era passato.
Rylee scostò piano la tendina. «Andy, vieni un momento.»
«Cosa c'è? Problemi?»
«Il dottor Grimm è tornato... Insieme a Abigail. C'è un comunicato per te, noi siamo stati chiamati all'appello al Distretto. Fae si è già alterata, non so che cazzo...»
«Ora arrivo» rispose sbrigativo, lasciando la mia mano. «Stai qui, vedi di dormire.»
Non feci nessun umorismo a proposito del fatto di lasciare la stanza e mettermi a correre in giro, annuii e quando lasciò l'infermeria un cupo silenzio esplose nella stanza. Delle voci parlavano lontano, alla fine del corridoio, impossibili da distinguere o interpretare. Cercai di chiudere gli occhi, tuttavia ero così stanca che non mi addormentai affatto. L'ago nel braccio stava cominciando a prudere. Per passare il tempo presi il contenitore con il mio dente dentro e lo osservai con aria critica. Non avrei mai pensato che un pezzo del mio corpo avesse potuto destare così interesse.
Un brivido freddo mi scosse il corpo e tremai.
Il mio Demone, sotto forma di corvo, se ne stava appollaiato sul cordolo della vetrata aperta, fissandomi con aria di rimprovero.
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