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Quando mio padre morì non fu un bel momento per la famiglia. Nemmeno in generale eravamo affiatati come altri gruppi al Nido, molte famiglie nascevano e morivano dentro quelle mura, magari sopravvivendo per tre o quattro generazioni, fino a quando tutti i membri non venivano uccisi o divorati vivi da qualche Demone, ma i Baskerville erano una delle più antiche famiglie dell'Esercito.

Da quel che mi ricordavo, Andy amava suo padre, lo vedeva come il suo eroe da imitare, lo stereotipo di uomo perfetto, soldato d'élite e padre di famiglia. Non avevo mai conosciuto la mamma, nessuna foto, nessuna traccia in casa. John era sempre rimasto solo. Mai moglie, mai altre partner o semplici compagnie, seppure i Mordecai spingessero sempre i soldati a generare nuovi figli con geni sempre più elevati a dominare i Demoni.

Quando John Baskerville morì, il mondo legato alla mia infanzia, ai giochi e alle risate serali attorno al tavolo della cucina scomparve con lui e rimase solo Andy. Soffrì più di me e non ne parlò più. Andy era una di quelle persone che si sentivano in dovere di farsi carico della sofferenza degli uomini.

Quando Andy lasciò la mia mano capii che il suo era un puro atto di suicidio. Fu come assistere alla sua piena e incondizionata morte per il famoso "bene superiore" di Damian.

Mentre ci stavamo dirigendo verso il punto di raccolta oltre le porte del Nido, non feci altro che ripensare a mio padre e agli avvenimenti che lo avevano portato alla morte. Rimuginai alle istruzioni di mio fratello e guardai Drogo camminare a piccoli passi davanti a me, sorreggendo Lottie, la quale sobbalzava ad ogni boato proveniente alle nostre spalle. Un uccellino le svolazzava vicino alla testa senza cantare, tenendo d'occhio entrambi.

Uscimmo in fretta, lasciandoci alle spalle il massacro. Non vedevamo più il Demone. Ricevemmo delle istruzioni precise: Drogo si sarebbe occupato di Lottie e l'avrebbe seguita, in quanto a me sarei dovuta tornare dal sergente Turner per seguire i miei sorvegliati (sempre se non se la fossero filata prima), e aspettare altre direttive.

C'era gente di tutte le età fuori dalle mura, protetti da quegli strati innumerevoli di cemento, calce e acciaio, nei punti massimi alti fino a cinque metri. C'erano tantissimi bambini con gli occhi lucidi, alcuni senza nessun genitore vicino, accanto agli educatori infantili. I più fortunati avevano almeno un parente, un padre non Dominatore o una madre non adatta alla battaglia. I ragazzi se ne stavano tutti per conto proprio, in piedi con le spalle alte, senza un'arma e le facce bianche come una lastra di marmo.

E poi c'ero io, con l'uniforme nera da sorvegliante imbrattata di sangue e terriccio, la coda scomposta, il viso sporco e una spada che trascinavo a terra, disegnando una lunga striscia ovunque passassi.

Mi distaccai da ogni possibile pensiero, positivo o negativo che fosse, perché non volevo avere nessuna speranza, fino a quando un urlo gutturale si levò oltre le mura e fece gemere di paura tutti i presenti. Le guardie alzarono le loro armi e i bambini gridarono impauriti.

Ciò che mi fece tremare non fu l'idea che quella bestia fosse a pochi metri dal cancello principale, bensì il grido sguaiato di un soldato. Non sapevo quale emozione ci fosse davvero dentro quel suono, se fosse paura o dolore, seppi solo che fu orribile.

«Chiudere le porte!»

Io, i sorvegliati e altri ragazzi ci avvicinammo alle porte e guardammo una frazione della scena d'azione. Il Demone aveva ferito molti soldati, alcuni erano a terra o stavano allungando le distanze mentre Damian e Andy erano gli unici ad essere davanti al mostro, essendo i più forti. La bestia pareva essere cresciuta di stazza, i due ragazzi erano più alti del metro e novanta e di fronte a Korey parevano formiche scheletriche.

«Non ce la faranno...» borbottò una donna dietro di me.

«Papà!» urlò un bambino pieno di lacrime. «Il mio papà ha bisogno di aiuto!»

Non dissi nulla.

«È contro le regole intervenire in battaglia senza le armi adeguate» spiegò una guardia lì vicina, a testa bassa e la voce flebile. «Se vogliono un aiuto devono venire di qua. Non abbiamo potere oltre quella linea.»

«Non possiamo sacrificare altri ragazzi...»

«Le porte si chiudono!»

«Dio, fate presto!»

«Qualcuno li aiuti!»

Un cigolio metallico fuoriuscì dal marchingegno del cancello e, a poco a poco, le enormi porte metalliche cominciarono a muoversi e un alito di fuoco fece smuovere tutte le chiome. Il Demone si agitò, non sarebbe potuto uscire se le porte del Nido si fossero chiuse definitivamente, seppure dalla sua avesse un'illimitata disposizione di sangue fresco.

«C'è qualcosa che non va...» borbottò Jack al mio orecchio.

È un Demone nero, pensai, che ti aspetti?

«Non ce la fanno... Questa volta non ce la fanno!» esclamò ansioso, portandosi le mani nei capelli.

Mentre le porte si avvicinarono centimetro dopo centimetro, la folla attorno a me cominciò a urlare più forte: "Lasciate perdere!", "Venite di qua!", "Andiamo! Correte!", eppure nessun soldato osò farlo. Tutti, feriti e disperati, mantennero alta la guardia, si pulirono il sudore in faccia e non indietreggiarono.

Per dei secondi mi parve che l'aria mi mancasse e il mondo ruotasse cento volte più piano, i pianti dei bambini, le urla delle donne e il frastuono delle armi si silenziarono. Guardai mio fratello e pensai: "Morirà. Morirà sotto i miei occhi come Andy ha visto papà", poi sentii qualcosa di fine e duro battere contro la mia gamba e mi resi conto di avere ancora la chiave del dottor Grimm in tasca.

Oh, meditai stupidamente, se Andy lo sapesse mi ucciderebbe!

Lì mi fu tutto più chiaro, una volta per tutte, come se qualcuno mi avesse improvvisamente pulito il cervello da tutte le informazioni inutili e ne avesse conservata una: l'energia della possessione era di gran lunga superiore a quella di un altro Dominatore, ma pari da un nuovo Patto, quindi calcolando un Demone, uno nero, avrebbe potuto tenere testa a Korey se solo l'avessi convinto a stringere un accordo con me.

E io ne conoscevo uno.

Aspettai che il cancello del Nido fosse sufficientemente capiente a farmi passare e non così tanto da permettere a qualcuno di seguirmi ulteriormente. Andy mi aveva cresciuta con un misto di furia e menefreghismo, del partito "fai ciò che vuoi, ma non mettermi nei guai", quindi se morivo in un tentativo assurdo di salvataggio non dovevano esserci problemi. La responsabilità era la mia.

Scattai dentro non appena le mie gambe mi diedero una violenta scossa d'adrenalina, l'universo ricominciò a correre e un frastuono mi invase le orecchie. Sentii una mano provare ad afferrarmi e la guardia di fianco a me urlare: «Ehi, no, non lo fare!» e un altro strillo più acuto, femminile. Sgusciai nella fessura della porta, per un momento temetti di finire schiacciata, eppure strusciai le mani e saltai dall'altra parte poco prima della chiusura totale.

Il mondo esterno si serrò e mi persi un momento nel sentire il mio cuore pulsare emozionato. Ne avevo fatte di stupidaggini, ma quella era più un suicidio fatto su due piedi. Le gambe mi tremavano, la voce mi mancò e la salivazione si azzerò.

Ero nei guai.

Ero nei guai.

Ero nei guai.

Lo scontro era ancora nel vivo, perciò nessuno mi notò con dedita attenzione. Forse qualcuno mi vide e si immaginò fossi una dei tanti soldati in cerca di un rifugio sicuro o che mi fossi allontanata per una ferita inferta. Il Demone era impegnato contro i due soldati migliori dell'Esercito e benché Damian e mio fratello fossero in aperta disputa, nessuno dei due nel combattimento immischiò i sentimenti personali e mise l'altro in pericolo. La loro concentrazione e lavoro di squadra erano fantastici.

Afferrai saldamente la chiave per il Settore F nella mano sinistra mentre con la destra tenni ferma la spada e me la trascinai dietro. Meglio avere una stupida arma come difesa anziché usare il proprio braccio.

Cominciai a correre verso i laboratori, facendo il giro oltre il campetto. C'erano troppi rumori e odori diversi prima che il Demone si accorgesse di me, ma se avesse notato la mia presenza in un attimo di distrazione generale avrebbe trovato subito la mia totale differenza rispetto agli altri soldati.

Entrai nei laboratori, fortunatamente non c'era più nessuno e seppure la luce fosse saltata tutto era in ordine, l'odore di candeggina e disinfettante aleggiava comunque. Attraversai i magazzini, la porta di sicurezza e scesi ancora una volta quelle maledette scale verticali.

Le porte del Settore F erano senza guardie, probabilmente erano andate a sorvegliare altre zone o stavano dando supporto nello scontro, perciò ci corsi incontro e me la chiusi alle spalle. Non sapevo se c'era corrente o meno, ma una debole luce illuminava l'interno della struttura. Tutto era rimasto uguale: le armi a terra, il cerchio protettivo e il cattivo odore.

Gettai via la spada che tenevo in mano.

L'enorme falce nera era ancora dove l'avevo lasciata, all'interno dell'amuleto protettivo. L'afferrai e la guardai immobile. C'erano molte teorie riguardo i Demoni non ancora dominati, se avessero percezione dello spazio oltre l'arma o no, eppure quelli che si erano annidati nell'animo di un Dominatore guardano il mondo con gli occhi del loro umano, vivevano attraverso loro, perciò per me non c'era differenza.

«Ho bisogno del tuo aiuto questa volta» gli dissi, convinta che mi stesse ascoltando.

Quasi rividi la sua faccia svogliata quando non ci fu reazione nell'arma. Di sicuro era un Demone proveniente dal Mastino dell'Accidia.

Il soffitto tremolò e della polvere scivolò a terra. Lo scontro stava continuando. Perdere tempo in quel modo mi innervosiva.

«Benissimo, facciamo a modo tuo allora.» Uscii dal cerchio protettivo e appoggiai la mano sulla lama. «Farai bene ad ascoltarmi questa volta, Demone.» E mi tagliai di netto.

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