VII

Alzai gli occhi per cercare mio fratello e chiedergli spiegazioni sul seguito.

Lui non c'era più, così come l'intera ala. Non c'erano più le immense pareti rocciose del Settore F, le numerose armi a terra erano scomparse. L'unica cosa di cui ero certa fu che il pavimento fosse lo stesso, liscio e livellato come l'interno del sigillo magico.

Non tirava un soffio di vento, quando all'improvviso un delicato aroma d'erba mi entrò nelle narici. Assomigliava vagamente a quello dei miei fiori in veranda, solo molto più forte e selvaggio: un forte odore di terra umida, acqua piovana e polline.

La prima cosa che notai fu un albero di fronte a me, comparso dal nulla. Era completamente piegato su se stesso, con i rami spogli verso l'alto, come se nella sua misera forma evocasse una figura pentita. Sembrava un salice piangente, ma il tronco era molto più spesso e i rami intricati tra loro come rovi.

Le alte mura del Nido erano lontane da me, inutili e grigie. Non avevo mai visto il mondo fuori dal cancello, se non qualche scorcio da alcune finestre alte. Il colore dei campi attorno era l'unica cosa che cambiava nel tempo.

Il cielo sopra di me era grigio, in lontananza dei lampi illuminavano il cielo. Il temporale era lontano, non si sentivano ancora i rimbombi. Un animaletto tondo e marrone mi passò su un anfibio, facendomi emettere un gridolino di paura. Il topino di campagna scappò tra degli arbusti, mi guardò per un momento con i suoi minuscoli occhi neri, sollevando la coda rosata dal terriccio sporco.

Ci misi dei secondi netti prima di accorgermi che la falce che tenevo tra le mani era scomparsa. Il cuore mi salì in gola, pronto a saltare via per quella svista. Mi girai allarmata, pronta ad avere qualcosa alle spalle.

Ai piedi dell'albero morto, la falce nera era completamente incastonata nel campo, la lama fendeva la terra e i sassi, pareva non avere nessuna intenzione di essere spostata di un solo centimetro. Mi insultai da sola: ovviamente le armi non avevano un animo o delle emozioni, era stupido credere ciò che pensavo, eppure altrettanto insensato era credere il contrario, di essere soli in un universo di mia proprietà.

Sul manico, benché lungo e sottile come un giunco, se ne stava appollaiata una figura nera, solitaria e malinconica, in netta contrapposizione con la natura silente e chiara oltre essa.

Era un Demone, il primo che vedevo senza un Dominatore. Ero abbastanza lontana da non differenziare nemmeno un suo misero particolare, così accovacciato in bilico sull'arma come un uccello su un traliccio.

Qualcosa mi bloccò il fiato, magari la paura iniziale o la meraviglia, così me ne restai qualche attimo a fissare quella strana figura contorta, incapace di muovermi. Deglutii e sbattei gli occhi, giusto per essere sicura che non fossi rimasta pietrificata.

Aspettai dei secondi, in allerta e tesi le orecchie. Non so cosa mi dovevo aspettare, se un attacco diretto o qualche specie di provocazione, ma lui non osò muoversi e io feci la figura della ebete, restando a debita distanza con un'espressione di terrore dipinta in viso.

No, mi urlai in testa. Non dovevo mostrarmi terrorizzata, non avrebbe potuto farmi alcun male. Ricordai il motivo per cui ero lì: dovevo superare quel test a tutti i costi, ottenere quell'arma e dimostrare a mio fratello che non ero inutile e superficiale come credeva. Avevo ottimi voti, le mie capacità non erano inferiori a nessuno. Dovevo solo dimostrarlo.

Mi mancava l'arroganza e la prepotenza di Drogo, ma di sicuro sapevo da sola che avevo molte più chance di lui di vincere.

«Ehi!» urlai decisa. «Tu sei il Demone di quella falce? Sono qui per stringere un Patto con te, quindi muoviti e dimmi il tuo nome» feci, con voce calma e fredda.

Se fossi stata davanti ad un mio sorvegliato o coetaneo, molto probabilmente, la mia sarebbe stata vista come una sorta di provocazione e si sarebbero messi ad ascoltarmi senza troppe cerimonie, ma lui ancora una volta non si mosse. Prima pensai che fosse sordo, poi che mi fossi proprio immaginata di parlare.

«Sei sordo? Parlo con te!» urlai più forte, perdendo la calma. «Mi chiamo Penny Baskerville e sono una Dominatrice, sono qui per...»

«Fai un sacco di baccano, piccola umana.»

Mi zittii in un secondo, e non perché, per la prima volta, avevo sentito la sua voce, ma perché quella riecheggiò in tutto lo spazio e il suo eco si diffuse in tutti gli anfratti bui della mia testa, facendomi rabbrividire. Era una voce gutturale, roca, come se non avesse parlato per moltissimo tempo. Lo spazio in cui ci trovavamo sembrava immenso, era un mondo intero, tremendamente vuoto e quiete, tuttavia in quel frangente mi parve di trovarmi in una minima stanzetta chiusa.

Il Demone sollevò la testa dalle sue braccia e sciolse il suo abbraccio, sollevandosi in perfetto equilibrio sul fusto della falce, sfidando ogni legge fisica e gravitazionale.

Molti Demoni avevano sembianze umane, non avrei dovuto stupirmi, ma quel mostro mi tolse ogni respiro dal corpo e lo sostituì con una scarica di agitazione.

Avrebbe potuto assomigliare vagamente ad un essere umano con un costume addosso se non fosse stato per il suo viso. C'era qualcosa che non andava: i suoi occhi erano completamente neri, privi di ogni colore, mentre l'iride era di un'intensa sfumatura dorata, brillante come il grano del campo. Il naso era lungo e definito, le labbra sottili e poco colorite, quasi violacee come un cadavere. La pelle era diafana, più chiara e trasparente di un foglio lucido. Per un momento mi sembrò di vedere ogni suo muscolo e vena al di sotto, come fili azzurrognoli intrecciati in un difficile puzzle sconnesso. I capelli corti e neri gli incorniciavano due lunghe orecchie affilate e delle lunghe corna da animale spuntavano dalla sommità della testa, innalzandosi verso l'alto.

Le braccia erano ricoperte da qualcosa di nero, forse scaglie dure o piume, impossibili da distinguere. Le dita delle mani erano lunghe e ossute, con unghie affilate che potevano essere facilmente usate come armi fatali. Come le braccia, anche le gambe, a partire dal bacino, erano percorse dalla stessa strana peluria resistente. Aveva dei grossi artigli al posto dei piedi, simili a quelli di alcuni volatili predatori.

Ero davanti ad un vero mostro.

Lo guardai attentamente, senza poter fare a meno di staccare gli occhi da quella bestia dalle sembianze metà demoniache. Alcune parti del suo corpo erano simili alle mie, era strano essere di fronte a una cosa del genere e pensare che non eravamo così diversi, dopotutto.

Il Demone saltò giù dalla sua arma prediletta e camminò lentamente verso di me, ritto con la schiena. Quasi come se fosse un telo, le sue ali si sollevarono. Erano simili a quelli dei pipistrelli, sottili e venose nella membrana che avvolgeva le ossa principali. Non sembravano per nulla resistenti, erano come delicata carta velina e non mi diedero per niente una buona impressione. Il suo corpo era stranamente esile e non pareva minimamente forte nel nome dei Demoni neri.

A mano a mano che si avvicinò lo guardai inebetita, non sapendo come reagire. Era alto, sfiorava quasi i due metri d'altezza, i suoi arti di bestia lo rendevano aggressivo, mostruoso e stranamente invasivo, come se si prendesse tutta la mia aria e spazio vitale.

Era la mia impressione? Quel mondo era suo, perciò era possibile che tutte le sensazioni che provassi in verità erano controllate da lui. Lo stress psicologico era il primo passo verso la sconfitta. Drogo perdeva spesso perché perdeva le staffe e la consapevolezza di essere messo all'angolo lo soffocava; Andy era diverso, a lui non importava nulla. Prendeva ogni cosa come un gioco ad intuizione, era pericoloso, ma vinceva spesso.

Quando ebbi il Demone davanti capii di essere in netto svantaggio. Non avrei mai potuto vincere fisicamente. Guardai i suoi artigli leggermente ricurvi, tremolando, e lui continuò a studiarmi, fissandomi con quei profondi occhi neri e vacui.

Aveva un bel viso, ma in quei minimi dettagli che potevano essere affibbiati ad un umano di bell'aspetto su di lui perdevano ogni significato. Stonavano. Erano come una nota sballata in un'orchestra armoniosa.

«Il mio nome è Penny Baskerville e sono una Dominatrice dell'Esercito dell'Ordine Demoniaco» mi presentai ancora senza mezzi termini. Lui non fiatò. «Voglio...»

«Non sei una Dominatrice» mi interruppe brusco. «Non hai ancora stretto nessun Patto, sento il tuo odore puro. Nessun Demone ti ha ancora toccata. Sei una semplice umana.»

«Io non sono una semplice umana» ribattei e lui sollevò un sopracciglio nero, sorpreso o divertito.

«Hai ragione, sei più una bestiolina fastidiosa» soffiò diretto. Si curvò leggermente e con velocità mi passò la lingua sulla guancia. Saltai all'indietro, temendo di essere arrossita. Si umettò teatralmente le labbra, gustandomi. «Il tuo sapore è salato. Gli umani normalmente hanno un sapore dolce, tu invece sei come il sale. Non mi piace. Non sarai la mia Dominatrice, non ti accetto. Sei libera di andartene.»

Rimasi impalata come un sasso mentre il Demone si grattò la testa e mi diede le spalle.

Una strana sensazione di rigetto si fece sentire nel mio corpo, forte e persistente. Non potevo costringerlo a stringere un Patto con me, non funzionava così, dovevo farlo cedere o sottometterlo in qualche modo. Se un Demone ti respingeva dal suo mondo non c'era nulla da fare, specie se era in fondo pacifico.

Avrei dovuto accettare il suo atto docile, tuttavia in me si formò un persistente puntiglio di vergogna e frustrazione.

Resistetti a quell'estenuante sensazione, la ignorai e tirai dritto verso di lui.

«Io voglio te» affermai con decisione.

Il Demone si fermò e mi sorrise di sbieco. I suoi canini erano più sviluppati di quelli umani, di un bianco perlaceo. Rabbrividii e per istinto mossi un passo indietro.

Mi afferrò il bavero della giacca militare di Andy e mi tirò più vicino, a diretto contatto con la sua pelle incolore e fredda. Aspettò dei secondi per osservare la mia reazione e io non osai muovermi. La sua presa era più forte e salda di Andy, me ne resi conto subito.

Mi sfiorò con il naso il collo, sentendo bene il mio odore, dopodiché guardò la giacca con fare cupo e sollevò un angolo delle labbra.

«Hai addosso l'odore di un altro uomo, uno molto dolce, a contrario tuo. C'è qualcosa che stona nel complesso, ma chi di voi due? Sei una bellezza davvero sprecata per quell'Esercito, ti vedrei meglio in qualche buco buio a piangere disperata. Le rosse hanno il sangue nei capelli.»

Tirò con impeto la giacca, afferrandomi una spalla per tenermi immobile. Un pezzo di tessuto verde si strappò con violenza e un bottone saltò via, facendo scorgere a malapena la canotta bianca al di sotto. Strillai, ma in un momento riuscii ad afferrargli il polso, scivolai dalla parte opposta e lo scacciai agilmente. Era una delle tecniche base di autodifesa. Mi sorprese molto il fatto che me lo permise direttamente.

«Hai una bella voce» si complimentò ridendo. «Voglio che gridi per me, bestiolina.»

«Stringerai un Patto con me?»

«No» mi liquidò veloce. «Ma se riuscirai ad afferrare la mia falce prima di morire, sarò tuo. Non mi piace sentire l'odore di molti uomini su una donna e tu, credimi, ne hai di tutti i colori. Dovresti farti un bagno, ogni tanto.»

Non capii bene cosa stesse dicendo, ma lo presi come un insulto. Era ovvio che avessi molti odori addosso, girovagavo costantemente per il Nido, toccavo e stavo vicino a moltissimi soldati. Non dovevo dare spiegazioni a lui!

«Va bene» accettai.

Scattai veloce verso la falce incastrata sotto l'albero, non calcolai la distanza né al fatto che per evitare degli attacchi a sorpresa avrei dovuto variare la traiettoria, sarebbe bastato che sfiorassi l'arma a vincere. Ero veloce, molto più di Andy e di altri soldati, gli sprint erano la mia specialità, specie quando ero nervosa.

Qualcosa si attorcigliò alla mia caviglia e inciampai, finendo con la faccia a terra. Prima che potessi girarmi, venni scaraventata via, senza peso. La sensazione che provai in quei due secondi non era come la immaginavo, pensavo che restare a mezz'aria senza peso fosse una delle cose migliori al mondo, ma appena l'aria mi sferzò la schiena e tutti i miei organi vibrarono per lo squilibrio, mi venne da vomitare. Mi schiantai a terra e mi rialzai subito, un po' inebetita.

Il Demone, abile, affrettò a ritirare la coda a sé, nascondendola grazie al piumaggio scuro.

Andy me lo aveva detto. Lo schifoso aveva la coda.

Lui fece un sorrisetto divertito. Non si era mosso.

«Prova ancora.»

Ci riprovai e andai più veloce, tenendo d'occhio i suoi movimenti. All'ultimo secondo, proprio quando fui convinta di riuscire a toccare l'arma, mi saettò davanti e mi catapultò davanti a sé, facendomi fare una ruota completa. Sbattei la schiena a terra e l'aria mi uscì fuori con furia dai polmoni, contratti a causa del colpo.

«Di più, bestiolina» mi animò. «Più desiderio.»

Avevo un brutto presentimento e così andò. Il Demone mi lasciava sempre avvicinare di qualche spanna alla falce, per poi prendermi all'improvviso e allontanarmi, restando acquattato a debita distanza. Era la sua tattica: farmi credere di avere vinto e poi calpestare la mia speranza. Era una tattica comune, avrei evitato volentieri i suoi piani, ma non avevo altra scelta se non quella di avvicinarmi.

Era una cosa impossibile. Ad ogni tentativo la mia forza e la mia velocità scendevano vertiginosamente, i dolori alla schiena e alle gambe cominciarono a farsi sentire presto, mentre lui non si stava nemmeno muovendo. Poteva utilizzare i suoi lunghi artigli per cacciarmi via, le ali o la coda.

Era ovvio che non potessi vincere.

Mi beccai una ferita sulla spalla. Le sue unghie non entrarono nella pelle, ma la squarciarono con superficialità e lacerarono pienamente la giacca verde. Me la tolsi di dosso, capendo che non doveva piacergli. Non era un materiale resistente, era fatto per contenere il calore corporeo durante le lunghe notti d'inverno. In quella situazione mi era d'intralcio in molti modi.

«Già finito le energie? Da come parlavi pensavo ne avessi molte di più!» mi apostrofò. «Non mi piacciono le bestioline che si scaricano subito. Se muori non saresti più divertente!»

Provai allora a combatterlo, avendo capito che avvicinarsi in prima persona all'oggetto di interesse era impossibile. Dovevo perlomeno distrarlo o farlo arretrare un po' per darmi una possibilità. Tuttavia a quel punto avevo già provato tre volte ed ero stata picchiata altrettanto. Feci del mio meglio per restargli a debita distanza, evitare i suoi artigli, ma era difficile tenere d'occhio il suo intero corpo, senza contare la sua forza sovrumana. Capii bene che la tecnica in sé non bastava quando una persona aveva dalla sua la pura e semplice forza. Ecco perché non riuscivo mai a combattere mio fratello ad armi pari.

Finì ancora tutto troppo in fretta. Io ero ancora a terra, distrutta.

Il Demone si avvicinò e posò un'enorme zampa sul mio sterno, con le ossa mobili e plastiche mi afferrò saldamente le spalle e la braccia, bloccandomi. Le sue unghie ricurve erano dure come l'acciaio.

«Sei debole» mi giudicò. «Io non ti voglio.»

«Non è ancora finita.»

«Lo è, bestiolina.» Scosse la testa. «Perché vuoi me?»

Strinsi i denti e dissi di getto: «Voglio un Demone e basta. Voglio combattere.»

«Questa è la risposta più stupida che abbia mai sentito, e tu non sei certo la prima che viene da me e pretende i miei servigi.» Sollevò la gamba e mi alzò con essa, gettandomi via come spazzatura. «Però, di certo, sei la prima che esterna la sua stupidità in maniera così aperta. È una tattica? La voglia di combattere scema prima o poi, io voglio qualcosa di forte, eccitante e pulsante, come la tua carne rossa.»

Mi rialzai comunque e lui mi lasciò fare, acquattandosi per terra e guardandomi fare di testa mia. Non avevo frequentato nessun corso per Dominatori, non sapevo cosa fare né come cercare di persuaderlo, ma ciò che sapevo era che non si stava nemmeno sforzando. Non mi stava per niente mettendo alla prova, non stavamo combattendo, io lo stavo intrattenendo come un gatto gioca con il topo prima di ucciderlo.

«Ammiro la tua risolutezza ma, come ti ho già detto, io non ho intenzione di stringere un Patto con te. Sto bene qui. Preferisco marcire in questo posto che essere al servizio di un esserino debole e malmesso.»

Era un Demone cocciuto e ostinato, molto più di me. L'ultima cosa che potevo fare era mettermi a litigare con lui. Con Drogo era molto più semplice, potevo sfogarmi o rimanere calma, ma alla fine faceva sempre ciò che gli dicevo. Lui aveva qualcosa da perdere, quel Demone no.

Non riuscivo a capire la sua pigrizia, tuttavia avevo sempre giudicato i metodi del Nido troppo costrittivi. Seppure fossero Demoni, non era giusto tenerli imprigionati e costringerli ad ammazzare altri della loro razza, per evitare la loro stessa morte. Se fossi stata in quell'essere, molto probabilmente, avrei anch'io preferito rimanere in quel posto silenzioso per sempre, al contrario di uccidere altri esseri umani.

Con uno scatto mosse la coda e mi fece inciampare, attorcigliandola attorno ai miei piedi. Gli caddi quasi addosso. Mi immobilizzò con uno strattone, stringendo bene le dita scheletriche attorno ai polsi e spingendo le ginocchia sullo sterno per farmi tacere. Boccheggiai impaurita. Era la stessa tecnica di mio fratello. Un animale prima devi metterlo all'angolo, tagliargli ogni via di fuga e poi tagliargli la gola. La carne, diceva, aveva un ottimo sapore quando era imbevuta di terrore.

«Lasciami subito andare!» strillai agitata.

«Volevi vedere un vero Demone, bestiolina?» mi intimò serio, scoprendo i denti. «Pensavi di essere più forte di me? Non hai più volontà di altri soldati, ti prosciugherei come un vaso bucato. Non mi sei utile per nulla, a parte per il tuo delizioso collo.»

Si avventò con i denti dentro la mia gola e sentii la pelle squarciarsi in due parti nette. Non riuscii a deglutire, la saliva mi salì in gola e mi uscì dalla bocca in un rivolo umido. La mia pelle si scaldò in un attimo, coinvolgendo tutte le energie e il calore nel punto focale di unione. I suoi denti erano arroventati. La vena del collo parve pulsare più forte e spingersi contro le sue fauci. Non riuscivo a parlare, qualcosa bloccava le corde vocali.

Il sangue cominciò a colarmi sul collo e tossii forte, non avendo le forze per girarmi e provare a scappare. Come degli ami adunchi, mi teneva serrata a sé con le sue zanne.

Ricordai le parole di mio fratello e di Drogo.

In fondo non ero stata nemmeno capace di essere un giocattolo abbastanza divertente per un Demone. Non ero stata capace di ingaggiare uno scontro o resistergli a livello mentale, tutti i miei sogni e le mie speranze si erano disintegrate grazie al mio stupido orgoglio.

Dovevo saperlo da sola, il non desiderare nulla era un male, seppure molti lo considerassero un bene.

Quando tornai al mondo reale fu come ritornare in superficie troppo velocemente. L'aria mi sferzò la gola, pareva che avessi smesso di respirare per un periodo immenso, la mia vista si colorò di tanti puntini neri e mi salirono le vertigini.

Due mani mi agguantarono le braccia e istintivamente strillai, poi mi accorsi che fosse mio fratello e così mi calmai subito. Mi tastai nervosamente il collo e Andy mi guardò farlo con apprensione, sapendo senza dire nulla ciò che doveva essere successo. Non avevo nessuna ferita, né superficiale né cicatrizzata. Avevo immaginato tutto, era stata un'allucinazione del Demone.

«Ehi, ehi!» mi chiamò con urgenza Andy, afferrandomi il viso per farmi guardare un punto solo. Il suo viso era leggermente sudato, non faceva caldo là sotto, ma la sua fronte era ricoperta da una sottile patina di sudore. I suoi occhi tradivano la sua ansia pungente. «Calmati, è finito.»

Mi aggrappai alla sua divisa. Le gambe mi tremavano. Ricominciai a sentire il freddo sulla pelle.

«Sai dove ci troviamo adesso? Lo sai?» mi interrogò.

Cavolo, pensava che avessi qualche trauma?

«Nel Settore F...» risposi balbettando. «Sto bene...»

«Come si chiama il vecchio orsetto che ti ha regalato papà per il tuo compleanno?»

Lo guardai stordita e deglutii piano. La gola era secca, le labbra disidratate, ma la parte peggiore era la testa: sentivo come se qualcuno avesse trasformato il mio cervello in un budino e io mi fossi messa a saltellare in giro.

Andy mi guardava immobile, massimizzando la presa. Temeva non fossi io.

«Tetto!» esclamai per paura, prima che mi puntasse in faccia la sua spada, come molte altre volte era successo dopo un furioso litigio. «Un orsetto a cui tu hai strappato un orecchio!»

Fece un pesante sospiro di sollievo. Poco a poco lo avvicinai a me e lo abbracciai forte, soffocando il naso nella sua divisa. Senza farmi notare mi pulii il naso e gli occhi. Lui mi lasciò fare, lo faceva sempre quando ero troppo sconvolta o bisognosa di un minimo gesto d'affetto da parte sua.

Si sedette a terra e mi avvolse tra le sue braccia, non proferendo parola.

Drogo mi guardava impassibile vicino alla porta del Settore F, il suo viso era rosso e i suoi occhi ricolmi di furia. Non ci sarebbe stato nessun test per lui. Se avesse saputo quanto era fortunato mi avrebbe sorriso per l'eternità, eppure non lo comprese affatto. Immaginare un mostro era semplice, ancor di più reso dal fatto che molti nostri compagni o conoscenti possedessero un Demone, tuttavia l'averne uno davanti, libero, senza catene, pronto a farti ogni genere di male, poteva scardinare in un momento un muro di sicurezza.

Il cerchio protettivo intorno a me brillava con forza di un'intensa luce chiara. La falce era tornata a terra, incastrata fino al limite senza nessun Dominatore. Quel Demone era tornato a dormire.

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