VI
«Che cazzo ci fa lei qui?» sbottò inacidito Drogo, non appena mi vide arrivare con Andy.
Erano le cinque e mezza del mattino, il sole sarebbe sorto un'ora più tardi, eppure già molte persone erano sveglie, andavano nella mensa per una prima colazione o uscivano dai loro alloggi con le facce stanche e ancora assonnate.
La mattina, quando il Nido era ancora deserto e perlopiù pacifico, era il mio momento preferito. Dei lontani uccelli selvatici cantavano giulivi, l'aria era fresca e odorava di acqua di fiume e terra, il cielo era come un telo azzurro-grigio, teso e senza nuvole.
Sbadigliai sonoramente e di riflesso lo fece anche Andy, mi passò il suo giubbotto verde militare e ci affogai dentro, socchiudendo gli occhi beata, osservando Drogo con aria esausta. La mattina non ero una persona particolarmente energica senza un buon caffè e una rilassante colazione, assomigliavo ad Andy, fatta eccezione che quella mattina lui non era per nulla nervoso e si era divorato ben metà scatola di fette biscottate con marmellata. Io non ero riuscita a toccare cibo.
«Penny farà il test con te» rivelò schietto mio fratello.
Drogo alzò un sopracciglio, evitando di guardarmi. Stava sicuramente rimuginando a qualcosa di serio, conoscevo quell'espressione irritata, eppure stava tenendo a freno la lingua. Le ferite del giorno prima sul suo volto si erano arrossate ed erano più vistose. I supervisori facevano domande in giro, ma tutti sapevano che Drogo metteva palesemente naso e parola in questioni delicate.
La lezione gli era servita.
«Penny non avrà mai un Demone» sancì severo Drogo, facendo finta che non ci fossi.
«Hai qualcosa da ridire sulle mie decisioni?» rimirò Andy. Drogo scosse la testa. «Farà l'esame prima di te. Calcolerò così i vostri livelli. Se lei non ce la farà, è escluso che tu ci riesca. Sei più debole di lei. Se non avrete la forza necessaria per dominare un Demone, morirete. Questo non è un gioco, lo avete voluto voi e io vi ho accontentati.»
«Ai Demoni non piacciono gli umani deboli, soprattutto le donnicciole» ringhiò Drogo, stringendo i pugni.
«A chi ti stai riferendo?» sogghignò l'altro con una beffa.
Aspettammo pazientemente che un gruppo di ragazzi ci passasse accanto per andare nella mensa, nel Settore D. Salutarono il loro tenente colonnello e io feci finta di parlare con Drogo, in modo da non far insospettire, per via della nostra sosta, alcunché.
Strofinai il naso nel cappotto invernale di Andy e sonnecchiai. «Ti pare modo di trattare la tua ragazza?» sbuffai, fingendomi palesemente offesa.
Lui strinse le labbra. «Non prendere decisioni senza consultarmi. Pensavo che certe cose non ti interessassero» vociò piano, come se non fosse sicuro su quel che dicesse.
Per la verità non ero smaniosa di avere un Demone tutto mio, avrei così cambiato la routine della mia vita e non sapevo se ero pronta ad accettarlo, tuttavia era meglio provare per sapere prima quanto fossi adatta ad essere una Dominatrice, anziché avere ripensamenti troppo tardi.
Alzai le spalle, facendogli intuire il mio poco interessamento alla cosa.
«Non per niente sei una raccomandata. Ti va proprio di starmi tra i piedi? Non sei per nulla carina.»
«Cosa dici? Sono carinissima» obiettai, sbattendo un piede a terra con teatralità.
«Muori.»
«Avevo anche chiamato una mia piantina con il tuo nome» mi lagnai e indicai il ragazzo biondo a Andy.
Entrambi mi rivolsero un'occhiata poco gradita.
«Era un cactus» specificò Drogo.
«E tu per ringraziarmi lo hai gettato oltre il cancello» finii.
Quando ancora io e Drogo eravamo amici da piccoli, mio padre mi aveva regalato una piccola piantina grassa. Non crescevano fiori colorati nelle campagne di Londra, così quando l'Esercito gli acconsentiva di uscire o poco prima di tornare da una missione, andava al Westfield Stratford e comprava dei fiori da riportare a casa. Il nostro piccolo balcone era disseminato di ipomee viola e rosa, le sue preferite, ed era l'unico al Nido a distinguersi dalla massa grigia dei condomini. Un giorno mi aveva portato come regalo una piccola pianta grassa, dato che mi dimenticavo spesso di annaffiare le piante in sua assenza. Non avevo mai visto un grusone, tondeggiante e pieno di spine come se fossero peli. Mi feci male più volte con quella pianta, ma me ne presi cura fino a quando morì.
La chiamai 'Drogo' perché il suo aspetto mi ricordava quello del mio amico, piccolo, pieno di aculei e sempre arrabbiato. Quando lui lo venne a sapere, la gettò dalla finestra e non mi rivolse la parola per una settimana di fila, offeso fino al midollo.
Quando mio fratello decise che fosse abbastanza sicuro, tirò Drogo per la maglietta e studiò la sua espressione con serietà, cercando di intravedere qualche spiraglio di ripensamento. Avevo sentito molti soldati dire di compagni che erano morti per via dei Demoni, mangiati o schiacciati dal loro potere, ma anche qualcuno lamentarsi della scelta fatta: un soldato era libero di scegliere l'arma che più gli piaceva, tuttavia l'ospite all'interno era tenuto nascosto. Era come un uovo di Pasqua con una sorpresa misteriosa all'interno.
Una volta stipulato il Patto non si poteva annullarlo, solo la morte o l'Oblivazione funzionavano e nessuno sapeva dire quale fosse peggio.
«Hai detto a qualcuno che venivi qui?» domandò Andy senza muoversi.
«A nessuno» sancì Drogo, stringendo le labbra. «Il vecchio dorme ancora.»
Andy fece un passo indietro. «Mezz'ora vi basterà.»
«Non sapevo che i Patti si facessero in così poco tempo» mi intromisi dubbiosa.
Andy agitò una mano per farmi tacere. «I Patti in sé durano pochi minuti, è più la preparazione che allunga il tempo. Si deve abilitare l'energia, ridimensionare i campi di contenimento, verificare l'ampiezza degli amuleti e cose del genere. Sai cos'è una fase REM? È più o meno la stessa cosa. Quando sogni di notte pensi che sia durato ore, invece è solo un minimo lasso di tempo» spiegò in breve.
«In pratica dormiremo?»
«Vi farete un bel viaggetto mentale. L'attività celebrale rimane invariata, se non addirittura molto elevata, ma il vostro corpo sarà in uno stato di rilassamento muscolare. Normalmente i risvegli sono molto duri, perciò a volte si fanno stendere i Dominatori e li si lega, in caso che uno di loro venisse posseduto.»
Drogo aveva gli occhi affascinati mentre Andy gli spiegava in brevi parole ciò che sarebbe successo nella sala, dagli effetti sul suo corpo ai possibili sintomi futuri. Pareva che fosse tornato al bimbo di sette anni incantato davanti ai cartoni delle Tartarughe Ninja. Io, al contrario, che non pensavo minimamente a me stessa, mi chiesi cosa fosse successo a Andy nel suo Patto con Alderyu. Non me ne aveva mai parlato, seppure non aveva mai avuto un'ampia voglia di parlare del suo Demone. Sapevo solo che era stato uno dei più giovani Dominatori a stringere un Patto con un Demone nero, cosa che dimostrava la sua abilità naturale, ma fino a quel momento non avevo saputo attribuire i suoi crampi notturni o i suoi emicrania ad Alderyu.
Potevano esserci delle conseguenze molto gravi, dopotutto un umano avrebbe dovuto fare spazio nella sua anima ad una presenza sconosciuta, pesante e velenosa.
«Ci sono due entrate per il Settore F» bofonchiò Andy, salutando un soldato di passaggio, usando un sorriso finto quanto una moneta. «L'entrata diretta è al Distretto, i Mordecai tengono sott'occhio tutti i Patti stipulati per registrare le armi, i nomi e i ranghi. Se uno di loro ci scopre, siamo morti. Letteralmente. Louis mi taglierà via le dita, mi accusa sempre di essere menefreghista verso i miei sottoposti. Passeremo dai laboratori, il dottor Grimm mi ha dato le chiavi d'accesso.»
«Come hai fatto ad avere le chiavi da lui?» mi allarmai, sollevando un sopracciglio.
«Non le ho rubate» precisò l'ovvio. «Gli ho detto che era un esperimento e non ha resistito alla mia bella presenza. Ora andiamo, prima che qualcuno ci inviti ad andare da qualche parte.»
Non avrei mai pensato che prima o poi sarebbe arrivato il momento in cui anche io, nel mettermi in un guaio, mi sarei fatta due domande. Sapevo la differenza tra bene e male, ma quella faccenda era solamente stupida. E ci ero cascata con tutte le scarpe. Non dissi a nessuno che ci stavo ripensando.
Entrammo nel complesso dei laboratori, ognuno dei quali era una specie di capsula di vetro quadrata dentro al quale c'erano tavoli, macchinari in funzione o ampolle pieni di liquidi verdi e neri di cui ignoravo l'utilità. Ogni stanza era divisa dall'altra da un divisorio trasparente che fungeva da muro e da lavagnetta, sul quale vi erano attaccati vari fogli o scritti appunti. Dal soffitto basso pendevano una serie di luci al neon azzurrognole, quasi bianche, terribilmente forti.
C'erano molte persone già al lavoro, tutte con una tuta o un camice bianco. Normalmente gli scienziati non possedevano un Demone, non era richiesto loro la leva, ma alcuni piccoli uccellini o topi si aggiravano qua e là sui tavoli, osservando con aria criptica i loro Dominatori.
Oltrepassammo i corridoi principali, i tecnici non badarono a noi, sia perché avevano costantemente lavoro sia perché Andy era davanti a noi, camminava risoluto come se stesse passeggiando in un parco. La sua nonchalance mi metteva i brividi. Drogo camminava dietro di lui, cercando di non sorridere per l'eccitazione. Io ero dietro di loro come un cane tirato al guinzaglio.
Attraversammo i magazzini primari, passammo da una porta chiusa, usando la chiave del dottor Grimm, girammo a destra e a sinistra, entrammo in un'altra ala per poi trovarci davanti ad una piccola scala ripida, un po' nascosta dietro a degli scatoloni.
«Drogo» lo chiamò Andy, «tu scendi per primo. Penny, tu davanti a me.»
Mentre scendemmo per quella stretta e ripida scala poco illuminata, continuai a fissarmi i piedi, attenta a non cadere e ruzzolare giù. In ogni caso sarei atterrata su Drogo, ma era la sua reazione finale a farmi desistere sul farlo apposta. Non dovevo innervosirlo troppo, l'equilibrio mentale era fondamentale in prove come quelle, per questo molti cadetti prima di stipulare un Patto venivano esonerati da quasi tutte le attività. Nel caso in cui ce l'avessi fatta, sarebbe toccato a lui. Non sapevo cos'era peggio: subirmi il Drogo che aveva ottenuto il suo Demone senza un allenamento o quello che aveva fallito, dandomi le colpe.
«Potremmo scegliere l'arma che vorremo una volta là?» domandò Drogo. «Oppure dovremmo fare una specie di esame di compatibilità o stronzate simili?»
«Scegli quella che più ti ispira e basta. Di solito si va per gusti e abilità; se ti piace lo scontro ravvicinato farai affidamento su una spada o un'arma a mano. Altrimenti, se preferisci restare dietro, ci sono fucili, lance o archi. Ciò che non sai è chi è l'ospite, perciò una volta scelto non puoi tornare indietro, non se lui non te lo permette.»
«Cos'hanno differente i Demoni normali da quelli neri?» si incuriosì.
«È solo un nome convenzionale. Se avessi studiato lo sapresti» dissi lì per lì, alla bell'e buona. «I Demoni neri derivano dai sette Mastini dell'inferno e ottengono lo stesso ramo del peccato originale. Hanno un potere maggiore, per questo sono i più difficili da controllare. I Dominatori che ci riescono sono di per sé un'élite, vero?»
Sentii mio fratello fare uno sbuffo divertito. Drogo si girò verso Andy per verificare che le mie informazioni fossero corrette e quando lui gli annuì, potei vedere una certa invidia negli occhi del mio amico. Non avevo frequentato nessuna lezione del corso per gli apprendisti Dominatori, ma avevo avuto sia mio padre sia mio fratello che lo erano, perciò avevo acquisito informazioni passive per molti anni della mia vita.
«I Demoni neri hanno una volontà tutta loro, non seguono gli impulsi del Dominatore. Normalmente un Demone normale si piega e si adatta all'umano in cui entra in contatto, uno nero non lo fa. Se tu dici A, un Demone nero non ti dirà mai A, se non è il suo pensiero. Può dirti l'intero alfabeto o un numero. Uno normale si limiterà a rispondere a sua volta A. Possono manifestarsi nel mondo esterno senza una forma fisica definita, lasciando defluire la loro magia attraverso il Dominatore...»
«Ecco perché un Dominatore di quella classe ha il settanta per cento di probabilità in più, rispetto ad uno qualunque, di venire divorato vivo» berciai stizzita, lanciando una veloce occhiata a mio fratello.
Andy non era mai stato violento, o almeno non troppo. Non si era mai lasciato andare agli impulsi dettati da Alderyu e ciò denotava una grande resistenza. Cedere era come lasciare aperta la porta del proprio animo più profondo. Mio padre mi diceva sempre che i Demoni, benché fossero delle creature maligne, dovevano essere trattate degnamente. Non mi ricordavo il nome dell'arma di papà, se fosse un rango alto o cose simili. Molti soldati cadevano in missione, non era mai una notizia inaspettata finché non tocca a te.
Il Demone di papà si era rivoltato contro di lui? Aveva infranto quella fiducia?
«Quindi posso sceglierne uno di quel rango?» uscì Drogo.
«Hai sentito quel che ti ho appena detto?» ripetei.
«Puoi scegliere chi vuoi» borbottò Andy senza darci peso. «Ma una volta che il Patto con un Demone nero si è formato, è impossibile da sciogliere.»
«Pensavo che anche quelli di classe normale non si potessero sciogliere» constatai.
Mio fratello cominciò a stancarsi di quelle domande. «Dipende dal Demone. Più potente è, più attecchisce e si ingloba all'animo del Dominatore. Non puoi liberartene. Quelli normali si scollano più facilmente.» Saltellai giù per gli ultimi scalini e intanto pensai ad una cosa. Quando Andy notò la mia espressione capì subito cosa mi frullasse per la testa e la scosse furibondo. «Anche nell'ultimo caso non potrete cambiare idea. Tornare indietro non si può, scegliete bene cosa fare d'ora in poi, se volete andare avanti o no. L'Oblivazione strappa il Demone dall'umano e rompe il Patto, ma lacera anche la vostra anima. Credetemi, preferirete morire che subire quell'intervento.»
Non avevo mai assistito ad un'Oblivazione, ma mio fratello sì. Me lo aveva descritto come una specie di intervento senza bisturi, molto doloroso e sofferto da tutte le parti. Non riuscivo proprio ad immaginare cosa fosse.
«Quindi da quale Mastino deriva il tuo Demone?» domandò Drogo a bruciapelo e, nonostante tutti gli anni passati a fianco di Andy e Alderyu, non mi era mai passata per la testa una domanda del genere.
«Invidia» lo liquidò Andy con tono sottile.
Buffo, mio fratello non era stato mai invidioso di nessuno in vita sua. Era sempre il contrario.
Non sapevo moltissime cose sui Demoni e all'improvviso mi vennero in mente centinaia di domande. I Demoni potevano assumere sembianze semi-umane, perciò avrei avuto davanti uno strano mostro deforme, molti di loro avevano corna, code e squame. Non sapevo se ero pronta.
Andy lasciò in sospeso le nostre domande e da come si mosse Drogo doveva averne ancora, la sua bocca si spalancò come se volesse urlargli dietro qualcosa, poi si trattenne. Ci trovavamo in un altro corridoio, stavolta più largo del precedente, a due vie. La via a destra portava alla superficie, verso il Distretto sorvegliato.
Andy percorse la lieve discesa opposta, attento, la spada gli sbatteva regolarmente sulla coscia sinistra, osservando le due guardie alla porta del Settore F. Non mi ero mai spinta fin lì, non riconoscevo nulla. Si fermò davanti ad una delle guardie e iniziò a parlare, dubitavo che i soldati ci avrebbero lasciati facilmente passare indisturbati, ma è ciò che fecero e si tolsero dalla via.
Non ci credetti. Il bastardo era pure carismatico. Oppure li aveva minacciati. Scelta più plausibile.
Io e Drogo corremmo verso Andy, spalancammo le porte e entrammo nella sala. Era un'ala enorme, simile ad una tazza rovesciata. Dovevamo trovarci molti metri sottoterra, proprio sotto il campo d'allenamento. L'aria che si respirava era cattiva, fredda e quasi pesante. I condotti di ventilazione funzionavano bene, ma erano le onde emesse dai Demoni e dai loro sigilli protettivi ad emanare quella fetida sensazione di pesantezza. La sala era scavata nella pietra e nella terra, si sentiva l'odore ed era sostenuta da enormi pilastri decorati con facce e ghirigori infernali. Il pavimento roccioso era dissestato e pieno di sassi vari che si facevano sentire attraverso la suola spessa dei miei anfibi neri. Il soffitto era percorso da una resistente rete metallica piena di spuntoni metallici per impedire ai Dominatori posseduti interamente di volare. Quella sala era progettata, più che per la sicurezza di una singola persona, per contenerne una posseduta.
Il centro era definito da un cerchio perfetto scavato nella roccia come se fosse una runa antica, dentro si divideva in sei porzioni uguali che si convogliavano verso un piccolo circolo, poco comodo anche per una persona sola. Definii due triangoli esatti, sormontati dall'altro, e le rispettive sei punte puntavano a diversi punti. Le sei porzioni divisorie avevano tutte un cerchio con un simbolo diverso dentro. Non ne riconobbi nemmeno uno.
«Allora, dove è la bestia dai denti aguzzi?» ringhiò Drogo pieno di sé, stirando i muscoli.
Andy mi indicò. «Accanto a te.»
Per un momento il ragazzo saltò spaventato, quando capì che lo avesse preso in giro arrossì furibondo e io tirai in alto le mani, ondeggiandole come se fossi un fantasma.
«Sei una merda» mi insultò Drogo corrucciato.
«Il bambino mi ha messo il muso!» lo apostrofai.
«Occhi aperti!» urlò Andy e, a poco a poco, mettemmo a fuoco le forme indistinte nell'ombra.
L'intero perimetro era disseminato di armi vari: spade e coltelli incastrati nella roccia, fucili accatastati accanto alle pareti, asce, falci, archi sparsi come mine in giro. Era quasi impossibile non calpestarne una. L'unica parte non contaminata era il perimetro del cerchio magico, liscio e spianato come se fosse livellato naturalmente.
«Corso base anti-Demone» esclamò Andy, battendo le mani affinché lo guardassimo. «Avete due modi per vincere un Demone: sconfiggerlo fisicamente, farlo arrendere al vostro volere e non farvi toccare dal suo, oppure resistergli a livello mentale. Cercheranno in tutti i modi di entrarvi in testa, sconvolgervi e farvi desistere. Fatelo, e morirete.»
Ci indicò il pavimento, invitandoci a scegliere la nostra futura arma. Mi guardai in giro e diedi un'occhiata con calma. Drogo mi passò davanti e afferrò un'enorme falce nera incastrata al suolo, con il manico rivolto verso l'alto, leggermente ricurvo come un fusto d'erba piegato dal vento.
Era un'arma del tutto ingombrante per conto mio. La lama disegnava un semicerchio quasi perfetto, ma ciò limitava i movimenti di un Dominatore, in più pareva pesante e doveva per forza essere usata a due mani per equilibrarla. La sua area di azione era varia, ma era una buona soluzione per una difesa stretta.
«Hai scelto un Demone nero. Hai occhio» fece Andy e percepii il suo sarcasmo implicito.
«Come si chiama questo stronzo?»
«Non ne ho idea. Se ti accetta te lo dirà lui, funziona così. Avrai accesso ai dati personali del tuo Demone una volta completato il Patto» rispose Andy. «Prendi qualcosa di più contenuto. Una falce ha un raggio d'azione medio, in battaglia se non hai riflessi e lucidità potresti ferire o intralciare i tuoi stessi compagni. Vola basso, Costantine.»
Drogo ci pensò, poi fece una smorfia disgustata, spingendomi la falce tra le braccia. Per pura fortuna la lama non mi ferì. La sua sconsideratezza era folle.
«Prendila tu, allora» mi disse con tono amichevole. «Un'arma inutile per una ragazza inutile.»
Fece per afferrare un'altra spada quando Andy lo tirò indietro. «Ti ho detto uno alla volta, idiota. Non posso badare ad entrambi se vi trasformate in Demoni nello stesso momento. Penny va per prima, ricordati l'accordo. Tu» mi chiamò spazientito «hai scelto?»
Non risposi. Non volevo nessuna arma in particolare, così annuii distratta e afferrai saldamente la falce. Non volevo far perdere altro tempo a mio fratello quando io stessa avevo una voglia di proseguire al pari di un cesto vuoto.
La falce aveva una bella linea, era leggermente curva con una specie di decorazione che si allungava dal manico sopra la lama. Era semplice, mi andava bene dopotutto, ma era terribilmente pesante e il peso era interamente concentrato verso la parte tagliente. Pendeva vertiginosamente verso il suolo, come se volesse tornarci. Ciò fece ridere Drogo. Mi sentii ridicola.
«Entra nel cerchio magico interno» mi ordinò Andy. Lo feci. «Appena ti do il via, fatti un piccolo taglio. Il sangue attiverà il contatto. L'amuleto protettivo intorno a te ti proteggerà, quindi non morirai e molto probabilmente ti terrà lontano dalla possessione demoniaca. Fai comunque attenzione, i Demoni neri pensano e agiscono in base alla logica, non all'istinto.»
Nel tempo in cui Andy fece partire la corrente, l'aria si condensò. Non era possibile utilizzare allo stesso momento l'energia elettrica sia nel Distretto e sia nel Settore F. Di solito quella nel Settore era attiva nel momento in cui si stipulava un Patto per tenere gli altri Demoni dentro i loro contenitori.
Verificò dal suo Pad che tutto fosse nella norma e Drogo mi osservò con le braccia incrociate.
«Attenta a non diventare un mostro mangia-uomini, o mi toccherà tagliarti la testa!» scherzò vivace.
L'opzione doveva rallegrarlo molto.
«Spiritoso» sibilai e la falce mi scivolò a lato, sbattendo per terra e producendo un gran baccano.
La sistemai subito, seguita dalle risate di Drogo. Sembrava fatta di una lega metallica, ma non era così. All'impatto con la roccia non si era scalfita né graffiata, il colore nero e l'ineguagliata durezza derivavano dalla presenza di un Demone al suo interno. Quasi tutte le armi erano nere, eccetto per qualche sfumatura più chiara.
Percorsi con il dito il manico, credendo di avvertire una leggera vibrazione o una scossa. Niente. Chissà se era normale. Era dura come l'acciaio, fredda come il ghiaccio e liscia come il cristallo.
«Trovalo spiritoso dopo che avrai tentato di mangiarmi» sputò Andy con una smorfia.
Ridacchiai. «Mi uccideresti davvero?»
Lui mi sorrise di sbieco, passandosi un dito sulla linea del collo. Io e Drogo ammutolimmo e per un secondo avvertii un sibilo indefinito provenire da qualche angolo della sala, lo stesso che avevo sentito nella riunione dei Mordecai il giorno prima. Era la spia della corrente.
«Quando vuoi» mi spronò Andy, tornando di buon umore. Drogo fece un passo indietro, fissandomi intensamente. «Ci vediamo una volta tornata alla realtà. E attenta alla loro coda. Quegli infami la usano spesso!» esclamò contento, come se non vedesse l'ora di saltellarmi vicino e gettare via la falce dalle mie mani, apostrofando il mio orgoglio.
Poggiai un dito sulla lama interna e, prima che potessi ripensarci, mi tagliai, facendo zampillare il sangue lungo quel rasoio liscio.
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