Sud della Francia

Non so come, non so quando e non so nemmeno perché, ma quando riapro gli occhi, la prima cosa che sento è una presa rigida intorno al mio petto che mi tiene stretta e qualcosa di duro su cui il mio sedere è appoggiato.
Vi lascio solo immaginare.
Spalanco gli occhi che mi vengono feriti dalla luce del sole che entra dalla finestra e mi libero dalla stretta di Giuseppe, le sue mani unite all'altezza del mio reggiseno e la sua testa vicino al collo. Mi sfilo dalle sue braccia e mi stacco dal suo corpo caldo, scosto la coperta e corro in bagno, chiudendomi la porta alle spalle. Mi ci appoggio contro con la schiena, respirando affannosamente e con una mano portata alla fronte.
Ho dormito abbracciata a Giuseppe?
Cioè, chi ha fatto cosa esattamente?
Eravamo entrambi mezzi nudi e credo che il mio sedere fosse appoggiato su qualcosa che il mio sedere, ne sono sicura, non avrebbe dovuto nemmeno sfiorare.
Dei brividi mi ricoprono tutto il corpo, facendomi ghiacciare le mani e le piante dei piedi.
Vado verso il wc, aprendo la tavoletta e sedendomici sopra.
Quello che però vedono i miei occhi non è stato proprio preso in considerazione dalla mia mente super affollata di pensieri negli ultimi tempi.
"No, no, cazzo, cazzo!" dico, guardandomi intorno nel bagno vuoto.
Quanto posso essere sfortunata?
Che percentuale c'era che mi venisse il ciclo oggi?
Vaffanculo.
"Heiderose!" esplode la voce di Nicholas nel mio orecchio, "fortunatamente non ho visto niente, ma disattiva il fottuto display prima che i miei occhi scorgano qualcosa che potrebbe farmi vomitare."
Spengo subito il display al mio polso, guardandomi attorno.
Sono nel Novecento.
Come diamine facevano le donne prima? Possibile non ci sia nemmeno un mobiletto in cui hanno scorte di assorbenti?
"Nicholas, aiutami!"
"Col cazzo!"
Spalanco la bocca, anche se non può vedermi. "Ma come! Devi solo fare una ricerca!"
Non mi risponde più e questo suo comportamento mi da talmente tanto fastidio da spingermi quasi a strapparmi il cip dall'orecchio.
Mi giro e prendo un po' di carta igienica ponendola sugli slip, poi mi alzo e ritorno verso la porta, aprendola leggermente e facendo sporgere la testa. Giuseppe dorme ancora nel letto, le coperte gli fasciano dalla vita in giù e le braccia sono allungate nella parte di letto in cui avevo dormito io fino a cinque minuti fa. Durante la notte l'asciugamano si è asciugato, così lo recupero dal davanzale della finestra e me lo attorciglio intorno al corpo. Sono ancora inserite le battute alla porta di ingresso, così faccio girare la chiave nella toppa e faccio sporgere la testa nel corridoio, sperando che una qualche signora possa apparirmi nella visuale. Dalla stanza accanto alla nostra, esce una donna con il carrello delle pulizie stretto in mano, così faccio un segno della mano e la chiamo."Scusi!"
Lei si gira, guardandosi intorno prima di incontrare i miei occhi. "Sì?"
"Ho bisogno di lei, e direi urgentemente."
La donna lascia il carrello nel mezzo del corridoio e mi si avvicina, accostandosi alle mie labbra con il suo orecchio ben teso. "Mi dica."
Le racconto un po' di quanto mi è successo e soprattutto la mia mancanza di materiale a disposizione. Si allontana, promettendomi di tornare entro cinque minuti. Richiudo la porta d'ingresso e mi appoggio contro di essa, mantenendomi l'asciugamano sul seno.
Giuseppe respira pesantemente, rilasciando con forza l'aria dalle sue labbra schiuse. I suoi capelli sono scomposti sul cuscino, la testa girata verso la finestra e la luce del sole illumina il suo corpo tonico e muscoloso. Lo guardo, sorridendo.
Non avrei mai immagino di poter dormire accanto ad uno come lui, nè semplicemente di conoscere un uomo d'altri tempi, la cui amicizia sarebbe stata totalmente impossibile.
Quando un pugno bussa dietro di me, riapro la porta e lascio entrare la signora nella mia stanza che, in punta di piedi, mi conduce verso il bagno e chiude la porta alle sue spalle.
Ha in mano un pezzo di stoffa, delle spille e delle mutande pulite. "Siediti sul water, per cortesia."
Obbedisco, spogliandomi dell'asciugamano. Devo dire che la vergogna mi sta colorando le guance a tal punto da farmi diventare un'indiana dell'Ovest.
"Lascia quelle che indossi qui" dice, indicandomi un cestino alla sua destra, "e infila le mutande pulite." Me le porge, dopodiché mi mostra come applicare il tessuto sulla base degli slip, mantenendolo con le spille.
Giuro, vorrei morire in questo momento.
"Perfetto!" dice, mettendosi in piedi e porgendomi altra stoffa. "Questa usala per cambiarti."
"Grazie mille, davvero."
Mi metto in piedi, sollevandomi gli slip e ringraziando la signora. Butto le altre mutande nel cestino quando la porta si apre all'improvviso. Giuseppe è in mutande, un pugno sull'occhio e l'altra mano intorno alla maniglia. "Ma che-"
"Esci!!" urlo, fiondandomi su di lui e sbattendogli le porta in faccia. "Io ti uccido, Giuseppe, ti uccido!" grido contro il legno della porta.
Mi riprendo l'asciugamano, legandomelo al corpo. Guardo la signora che ha gli occhi sgranati. "Non mi sarei aspettata che-"
"Guardi" dico, aprendo la porta e usandola per coprirmi, "grazie mille per la disponibilità ma è meglio che lei adesso esca, non vorrei vedesse una scena come quella a cui potrebbe assistere da un momento all'altro."
La donna delle pulizie solleva le mani in segno di resa, mi sorride e la sento sussurrare qualcosa a Giuseppe prima che esca dalla nostra camera.
"Posso?" mi chiede lui, bussando di nuovo alla porta aperta del bagno dietro cui mi sono nascosta, spiaccicata alla parete.
"No, cazzo, no! Come ti sei permesso ad entrare in un momento così intimo per me!"
"Ma cosa ne potevo sapere io!" si scusa lui, rimanendo comunque dall'altra parte della porta.
Alzo gli occhi al cielo, tenendomi l'asciugamano legato al petto e stretto in pugno. "Certo. Ti sei svegliato e, non trovandomi nel letto accanto a te, non avresti mai potuto pensare io fossi già in bagno, no?" dico, sarcasticamente.
Giuseppe sbuffa. "Sì, okay, va bene" dice con finta accondiscendenza. "Adesso però esci, devo pisciare."
"Ah beh, tu sei entrato dopo essermi messa l'assorbente e con la mutande in mano e ora dovrei uscire lasciandoti pisciare in santa pace?"
Sento una mano sbattere contro la parete. "Tu cosa?!?" urla, mentre spinge di più la porta contro di me, schiacciandomi alla parete più di quanto io già sia.
"Sì, Giuseppe, mi stavo mettendo l'assorbente. Sai cos'è, vero? E' per l'igiene intima di noi donne, utilizzabile in una specifica parte del mese durante la quale le nostre perdite di sangue-"
"Ma che schifo, Rose!"
"E non ho detto ancora niente."
"Basta chiacchiere. Esci da dietro questa porta e abbandona il bagno."
Sbuffo rumorosamente, strisciando lungo la parete e uscendo allo scoperto. Quando lo vedo, mi sento arrossire. Possibile che abbia potuto vedermi in quello stato? Che vergogna, ragazzi.
I suoi occhi mi perlustrano, i suoi capelli sono sfatti e la barba è cresciuta sul suo mento. Sulle sue labbra si delinea un sorriso di scherno. Mi da un buffetto sulla guancia. "Non arrossire, dai. Ho già visto troppo rosso, per questa mattina."
Spingo via la sua mano e lo supero. "Vaffanculo." E mi tiro la porta dietro.

Quando abbandoniamo l'albergo,  ci dirigiamo in un negozio di vestiti in cui spendere le ultime lire rimaste dalla gentile offerta di quel partigiano che aveva scambiato Giuseppe per uno di loro. Ho tra le braccia un nuovo vestito morbido, con una specie di mantellina da mettere sopra le spalle qualora faccia fresco e della nuova biancheria - finalmente.
Anche Giuseppe ha comprato dei nuovi abiti e un paio di boxer, oltre che una borsa in cui riporre una nuova divisa di partigiano da avere con sè nel caso in cui riuscissi a riportarlo a casa.
Cosa che accadrà, ovvio.
O almeno, deve accadere.
Appena pagati, infiliamo i nostri nuovi abiti servendoci dei camerini del negozio. Facciamo a turno, ci manteniamo a vicenda la spessa tenda di velluto con cui coprirci.
Ho sempre paura che Giuseppe possa sporgere la testa e spiarmi, ma poi mi chiedo perché dovrebbe mai fare una cosa del genere.
Perché è un uomo, testa di capra, dice il mio subconscio. Non riuscirebbe ad evitare di guardare una donna nemmeno se fosse ad un chilometro di distanza.
Scuoto la testa per allontanare la vocina fastidiosa nella mia mente, quando mi rendo conto che non ho ancora sentito la voce di Nicholas.
Quando esco dal camerino, lascio che Giuseppe prenda il mio posto e afferro i lembi della tenda, tenendoli allungati per chiuderla.
"Nick? Ci sei?" chiedo, riferendomi al mio migliore amico.
"Sì" mi risponde semplicemente.
"Novità?"
"No" dice rapidamente, "per fortuna si sono bevuti tutti il fatto che tu abbia accompagnato James fuori Toronto."
"Meglio così."
"Ce l'hai con me?" chiede Giuseppe dall'altra parte della tenda.
"No, no, sto parlando con Nicholas" gli rispondo, notando poi una signora passarmi accanto stretta alla manina di una bambina. Si starà chiedendo con chi diamine io stia parlando, essendoci solo un altro ragazza al di là della tenda. Le sorrido a labbra strette, poi giro di nuovo la testa. "Perché non ti sei fatto sentire?" chiedo al mio Ricevitore.
Mi giunge un sospiro pesante alle orecchie. "Perché ho avuto da fare" mi risponde freddamente.
"Oh, riguardo l'arco?"
"Ehm" si schiarisce la gola. "Anche."
"A che punto sei?" chiedo a Nicholas, ma ottengo solo una risposta. Quella di Giuseppe che scosta la tenda, rivelandomi il suo nuovo vestiario e la borsa appesa sulla schiena muscolosa.
"Sono pronto" annuncia, sorridendomi e passandosi una mano tra i capelli lisci e setosi.
"Prendigli una mano, subito!" urla Nicholas nel mio orecchio, "l'arco è in funzione!"
Stringo la mano di Giuseppe e lui guarda le nostre strette, sollevando un sopracciglio. Alzo lo sguardo e noto che il camerino abbia il contorno di un arco incastonato nella parete.
Non faccio nemmeno in tempo a dirglielo che ci smaterializziamo di colpo.
Il nostro corpo riprende forma dopo qualche istante, lasciandoci in una zona totalmente devastata. Case incenerite e seppellite dalle macerie ci circondano tutt'intorno, il fumo intorpidisce l'aria in una fresca giornata di autunno inoltrato e il rumore di alcuni spari satura l'atmosfera intorno a noi. Un'esplosione a due passi di distanza ci fa sbalzare in avanti, urtando contro il terreno duro e fangoso per la pioggia. Io e Giuseppe cadiamo distanti, entrambi finiti in una pozza di fango. Siamo interamente sporchi. Ci guardiamo e la prima cosa che mi dice é: "Ma cazzo, avevamo appena comprato questi vestiti!"
Mi metto sulle ginocchia, guardandomi attorno mentre un carro preceduto da alcune guardie a cavallo ci viene incontro. Un uomo biondo è a capo della spedizione, seduto su un cavallo bianco e i capelli inzuppati d'acqua. Dietro di loro, un folto gruppo di persone attende di essere scortato via. Mi metto in piedi, cercando di guardare come mi sono conciata, poi sollevo lo sguardo sulla cima della collina, dove un palazzo svetta la propria altezza ed è circondato da una profonda coltre di fumo.
L'uomo a capo della spedizione ha la barbetta sul mento, gli occhi azzurri e i capelli tenuti indietro. Mi si accosta con il suo stallone bianco, poi mi porge la mano. "Vi stiamo aiutando" mi dice con un sorriso incoraggiante. Sorrido e afferro la sua mano. Non lo riconosco, forse è una storia che non riesco a ricordare o non ho mai saputo. I suoi denti bianchi mi fanno sentire subito al sicuro, come se effettivamente io facessi parte di quel mondo in cui imperversa la guerra. Mi indica il gruppo di gente accalcata dietro il carro e vado lì, mischiandomi tra loro. Giuseppe mi viene accanto, con le labbra strette e la fronte aggrottata.
"Altri francesi, incredibile" dice a bassavoce mentre viene dato uno scossone ai cavalli e si inizia a camminare. Procediamo lungo tutto il villaggio raso al suolo e noto chiaramente l'uomo biondo a capo della spedizione che ispeziona la zona con i suoi occhi azzurri, le spalle muscolose e l'andatura molle dovuta al movimento del cavallo bianco su cui è seduto. Non c'è nessun altro in giro. Controlla il carro dietro di sè, coperto da uno spesso telo e storce la bocca in una smorfia dispiaciuta, poi indica ai suoi seguaci di tornare indietro. Sento dei pianti alle mie spalle, donne che si tengono i loro bambini stretti al petto e altre che camminano con aria solenne e funebre dietro il carro, lo sguardo perso sul telo davanti ai loro occhi.
Saliamo lungo la collina, sentendo la gravità della situazione farsi sempre più pesante sulla nostra pelle.
"Siete nel milleottocentosettantuno, all'inizio della guerra avvenuta sulle sponde del Principato di Monaco. I due fronti consistono nell'Italia, Francia e il Principato di Monaco da una parte, dall'altra Belgio, Scozia e Germania." Nicholas mi spiega tutto all'orecchio, ed io ci appoggio sopra la mano come a voler sentire meglio. "Ora siete in quel che - all'epoca - rimase di Monaco, villaggio distrutto dai belgi non appena sbarcarono al di là delle coste francesi."
Riprendo tutto con il display, con la gente che mi cammina accanto come se fossimo tutti parte integrante di un corteo funebre, però purtroppo mi pare sia esattamente la verità. Durante la salita della collina un po' di pioggia ci ha colto di sorpresa, lavandoci dal fango che ha incrostato la nostra pelle. Filmo tutto, girandomi di trecentosessanta gradi, con l'esercito nemico che ritorna sulle barche e complotta contro il Principato. Un ampio cancello di metallo viene spalancato dinanzi a noi, così procediamo ancora più lentamente, affiancando una donna con un pesante mantello addosso, il cappuccio calato sulla testa e un abito da sposa tutto bagnato dalla pioggia. Sento il vestito pesante, l'acqua mi gela la pelle. Giuseppe mi guarda e si mette alle mie spalle. Il corteo viene fermato, quasi incuranti che siamo sotto alla pioggia che si fa via via più pesante. Il Biondino a capo della spedizione si è sollevato il cappuccio sui suoi capelli per proteggersi dall'acqua, scende da cavallo con un balzo e si abbassa per parlare con la donna. Mi piacerebbe sentire le loro voci, captare le proprie conversazioni e capire cosa c'è che non va qui.
Mi faccio spazio tra la gente, mettendomi ai lati esterni del gruppo.
"I cannoni hanno puntato dritto sulle case del villaggio, e molte di esse erano piene." La giovane donna muove gli occhi disperata, guardandosi attorno. "Sono stati soffocati dal fumo. Anzi, i corpi di molti di loro non sono stati trovati nemmeno tra le ceneri delle abitazioni."
Un sospiro mi giunge alle orecchie, come se nemmeno Nicholas volesse interrompere il flusso delle informazioni relative al tempo. "Lei è la regina Margot Ameliè Soyeaux di Monaco. E' diventata monarca dopo la morte di re Maurice e successivamente assolta della colpa di omicidio del principe di Scozia. Trattasi di legittima difesa. E' la promessa sposa di Pierre Maximilien Chauveau, re di Francia, l'uomo biondo che vedi accanto a lei. Il matrimonio però non ha avuto tempo a sufficienza per concludersi, i belgi l'hanno interrotto."
"Che sfortuna" mi lascio scappare, guardando la regina portarsi una mano al petto.
Pierre - si è tolto il cappuccio dalla fronte - se l'avvicina e le lascia un sonoro bacio sulla fronte.
"Porremo tutti loro sul retro del castello." Appoggia una mano tra le scapole della regina e la riconduce all'interno del palazzo. Così un gruppo di guardie ci circonda e veniamo scortati all'interno del castello, tra la disperazione e il pianto generale.
Giuseppe si guarda intorno, dispiaciuto. Mi vede rabbrividire una volta superato l'ingresso del palazzo. E' imponente, reale e confusionario. C'è gente in ogni dove, incastrata tra gli angoli, addossata ai muri o in piedi, appoggiata ai corrimano delle scale. Molte donne hanno la testa abbassata sulle ginocchia tirate al petto, i bambini giocano con i propri peluche sul pavimento lucido e le serve del castello di adoperano a sfilare tra la confusione generale, porgendo cibo e bicchieri d'acqua. Una domestica si avvicina ad un gruppo di persone, facendo segno loro di seguirla. Dei medici si preoccupano di curarci e controllarci mentre il carro con i defunti viene portato sul retro del palazzo, con la gente che già si preoccupa se tra i cadaveri ci sia qualcuno di loro conoscenza. Giuseppe è ancora dietro di me e appoggia le proprie mani fredde sulle mie spalle umide prima che una donna ci faccia segno di segurli. La regina è poco più avanti, mentre si guarda intorno e cerca di mantenere stampata in viso la propria austerità di donna reale.
Veniamo scortati tutti in infermeria - nonostante questa sia piena più del previsto - e, una volta accertato che stiamo bene, veniamo fatti uscire e condotti in una stanza adibita ad un grosso dormitorio. Molti letti sono addossati alle pareti, la luna si è levata nel cielo ormai scuro e la gente cerca di trovare conforto tra le braccia di un caro o tra le spesse coperte sui letti. Io e Giuseppe ne adocchiamo uno in fondo alla stanza, appena sotto la finestra chiusa attraverso la quale è possibile osservare le stelle luminose ma purtroppo poco visibili a causa del fumo.
Non ci pensiamo più di tanto, ci stendiamo entrambi sullo stesso letto, io nella parte esterna, lui in quella interna, attaccata al muro. Tira su di noi le coperte e subito un forte tepore ci invade le membra. "Nick" sussurro contro la coperta per evitare che qualcuno mi senta. "Cosa accadrà nei prossimi giorni?"
"Dovete andarvene subito."
"Ma non dipende da noi-"
"Domani la regina indirà una leva militare e tutti i giovani uomini a partire dai vent'anni di età dovranno prendere parte nell'esercito. Se il tuo amico lì dovesse essere scelto, ci sarebbero seri problemi da risolvere."
"Ripara l'arco, allora!"
"Non è così semplice, Heiderose! Ricordati che ho una vita al di fuori del cip che ci tiene legati."
"Sì, certo, ma-"
"Quindi anche io ho bisogno di riposarmi, di nutrirmi. Ho bisogno del mio tempo. Non sono un ingegnere. Farò del mio meglio, comunque. Buonanotte" taglia corto ed io rimango con lo sguardo perplesso perso sul muro frontale della stanza.
Mi giro e incontro subito lo sguardo di Giuseppe che mi osserva attento. "Che ha detto?"
Gli riferisco esattamente quanto mi abbia raccontato e lo vedo storcere la bocca. "Domani dobbiamo trovare un modo per andarcene in ogni caso."
"Domani verrai convocato per la leva! Andrai a combattere!"
"Ti ricordo, comunque, che sono un soldato."
"Sì, ma hai mai combattuto con le spade? O con dei piccoli pugnali? o azionati dei cannoni?"
"No, ma con le pistole me la cavo."
Stringo le labbra. Le sue sono distanti appena qualche centimetro dalle mie. "Non basta solo sapersela cavare con qualcosa in guerra, Giuseppe. Devi essere abile, padrone e sicuro delle tue azioni." Inconsapevolmente, mi ritrovo ad accarezzare la parte bassa della sua guancia, quella vicino alle labbra leggermente schiuse al mio tocco. Il respiro di Giuseppe si scontra contro la mia pelle. E' già la seconda volta che siamo così vicini, eppure questo tipo di vicinanza non è stata spinta dal sonno. "Non voglio che tu possa rischiare di farti del male."
Mi blocca delicatamente la mano, afferrandomi il polso nella sua presa. I suoi occhi marroni sono puntati nei miei. Una nuvola si sposta in cielo e rivela la luna che lo investe con la sua luminosità, quasi a formargli un'aureola dietro la testa. "Non lascerei mai che me ne si faccia." Si sporge su di me e improvvisamente mi lascia un bacio sulla fronte.
Mi sento rabbrividire dappertutto e non penso sia tanto normale come cosa.
Lascia la presa intorno al mio polso, posandomi dolcemente la mano sul materasso tra noi.
"Abbiamo un problema" dico, mordendomi il labbro e cambiando subito discorso. Lui si stacca dalla mia fronte con un leggero schiocco.
Da quando in qua c'è così tanta confidenza tra noi da spingerlo a darmi un bacio?
Avete dormito insieme la scorsa notte, stupida, ripete il mio subconscio. Con il tuo culone hai accarezzato il suo-
"Quale?" dice Giuseppe interrompendo il flusso dei miei pensieri inopportuni.
"Anzi due" riformulo, leccandomi le labbra e sbattendo le palpebre. "Uno, oggi non abbiamo mangiato niente ed è già notte. Questa cosa non mi va a genio. Due, non mi sono cambiata."
D'istinto Giuseppe indietreggia e si schiaccia contro il muro, sgranando gli occhi. "Oddio."
"Non annegherai nel Mar Rosso, fidati."
"Che schifo." Si gira, dandomi le spalle e aggiustandosi la testa sul cuscino. "Domani andiamo a mangiare qualcosa, anche se dovessi essere scelto per andare in guerra."
"La regina Margot non avrà il tempo necessario a sceglierti, ce ne andremo prima. Sono sicura Nicholas ce la farà."
Mi giro, dandogli a sua volta le spalle e appoggiando la mia guancia sulle mani unite sul cuscino morbido. Nella stanza ci sono forse trenta persone, alcune piangono silenziosamente contro i loro cuscini, altre sono semplicemente in piedi, a contemplare l'ambiente e pregando. Chiudo gli occhi, sforzandomi di prendere sonno nonostante la mia mente - al momento - stia cercando di capire a chi appartenga il respiro pesante che mi giunge alle orecchie.

N/A
Prima di iniziare, dedico questo capitolo a Kaspercoffee perché mi ha detto essere parte dei suoi favs! Per non parlare della nuova copertina! L'ha fatta lei, a big shout out!
Love you

Premetto che non c'è mai stata una guerra del genere!
Questo fatto storico è stato integralmente ideato da me e sappiate che le mie due storie Nothing is like it used to be e Nothing is like it used to be - The War si incentrano proprio sulle vicende del Principato di Monaco e della regina Margot!
Per chi già conosce la regina, sappiate che ho pensato fin da subito di farla apparire anche qui, non posso farne a meno! 🤗
Ecco spiegata la sua presenza nel trailer di questa storia!
(Autospam: se vi va, andate a leggerla! Mi farebbe molto piacere!)

Passando al resto del capitolo, che ve ne pare?
Amo troppo Rose e Giuseppe, sorrynotsorry
Spero che la narrazione sia stata di vostro gradimento.
Alla prossima!

Un bacio ❤

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