Sarajevo

Tiro un grosso respiro, prima che il fiato mi venga smorzato dal corpetto che le assistenti mi stanno stringendo. Tento di abituarmici, facendo respiri più rapidi e sottili, ma ogni fiocco che fanno è una sofferenza. Il seno mi sta per scoppiare.
"Trattieni il respiro un'ultima volta!" mi dice Eliane, preparandosi a stringere gli ultimi laccetti, ovvero quelli più in alto.
"Non è quello che sto facendo da dieci minuti, ormai?!" sbotto, ma la voce mi viene meno quando stringe e chiude i laccetti in un delicato fiocco sottile.
Le assistenti mi guardano compiaciute, poi prendono la gonna e me la infilano da sopra la testa. Mi raccolgono i capelli corti in un'acconciatura molto semplice sulla nuca e mi spolverano le guance di terra per rendere il mio colorito leggermente più abbronzato.
Mi fanno passare intorno al collo l'orologio intertemporale e mi allacciano al polso il display registratore. Mi installano il cip nell'orecchio e con una ciocca bionda tentano di nascondermelo.
Mi guardano, allontanandosi leggermente.
"Sei perfetta" mi dice Eliane con in mano ancora il pennello pieno di polvere scura.
"Una perfetta poverella" risponde Grace, dandomi poi le spalle.
Alzo gli occhi al cielo e mi metto sotto l'arco metallico, sistemandomi e tenendo stretto in mano l'orologio intertemporale.
"Mi raccomando" mi dice Nicholas, il Ricevitore, nonché il mio migliore amico qui dentro, "l'avvenimento già lo conosci. Studia i comportamenti della gente e soprattutto le loro abitudini. Ah, e sta' attenta."
"Nonostante ci sia tu che mi controlli attraverso il tuo schermo?"
"Sì, ma se ti dovesse succedere qualcosa non ho alcun potere per salvarti. E' una giornata rischiosa, quindi sii vigile."
"Come sempre" appunto, prima di schiacciare i tasti del mio orologio appeso al collo per inserire le coordinate temporali.
Destinazione: ventotto giugno millenovecentoquattordici, Sarajevo.
Le luci laser che partono dall'arco metallico mi attraversano e mi frammento in tantissime e minuscole particelle, prima di materializzarmi nella città di interesse, ricomponendomi rapidamente.
Mi guardo intorno, attenta che nessuno mi veda. Avvicino il display del polso alle labbra. "Sono a Sarajevo."
"Bene" la voce di Nicholas mi passa attraverso il cip nell'orecchio. "Ora vai lungo il fiume, tra..." piccola pausa, "Cinque minuti Gavrilo Princip dovrebbe sparare l'arciduca."
"Fortunatamente Nathan ha già studiato tutti gli avventimenti bellici."
"Sì, ma non significa che tu sia immune, e lo sai benissimo. Muoviti."
Alzo gli occhi al cielo, allontanando il polso dalla bocca e, con occhi circospetti, avanzo lungo la via deserta. Non c'è nessuno, sono tutti lungo gli argini del fiume ad assistere alla sfilata dell'arciduca e di sua moglie su un macchina rumorosa. Noto un grossa folla occupare la fine della via, così mi schiarisco la gola e ci passo attraverso. Il cip all'orecchio funziona come un traduttore. Mi traduce simultaneamente cosa la gente possa dirmi. Urla concitate mi giungono alle orecchie, assordandomi. Uno sparo rieccheggia per aria e basta solo che io mi metta in punta di piedi per poter vedere la scena. Gavrilo Princip è tenuto fermo dalle guardie e trascinato via, mentre l'arciduca Francesco Ferdinando si tiene un pugno stretto contro la gola per limitare la perdita di sangue, con l'altra mano che tenta disperatamente di stringere quella della moglie. Sofia ha una profonda ferita sul petto.
"Sofia cara! Sofia cara! Non morire! Vivi per i nostri figli!" urla l'arciduca.
"Non è niente" risponde lei, sebbene i suoi occhi si stiano già chiudendo. Sollevo la manica del braccio e avvicino il display alle labbra.
"Video in arrivo!" Giro il polso verso la folla e inizio a filmare la situazione, zoomando sugli abiti dei feriti. La gente corre e mi spintona, tanto da farmi persino cadere per terra. Proteggo il display con l'altra mano.
"Bella visuale" commenta Nicholas al mio orecchio e alzo gli occhi al cielo.
Mi rimetto in piedi, seguendo una calca di donne che si riparano in un bar all'angolo. Una signora mi afferra per il braccio libero e mi strattona verso l'interno. "Muoviti, fanciulla, non possiamo rischiare!"
Anche se so benissimo cosa accadrà, faccio la finta tonta, assumendo un'espressione sorpresa. "Cosa rischiamo?"
"Una guerra, una guerra!" urlò una donna al mio orecchio. Ha un vistoso cappello sulla testa con le piume che si muovono seguendo i suoi movimenti. Il suo abito è il più ingombrante di tutti.
Ha un naso aquilino, con un neo proprio sulla piccola gobbetta da cui esce un pelo nero. Le sue labbra sono pitturate di rosso ma si nota chiaramente una screpolatura al di sotto di esso e le sopracciglia non sono definite.
"Mh" mugugna Nicholas al mio orecchio, "quasi quasi ci faccio sopra un pensierino!"
Ho l'orologio che mi penzola sul petto stretto e il display girato verso le donne per riprendere e riportare tutto in sede.
"Una guerra?" chiedo.
"Sì!" mi risponde Naso Gobbo, immobilizzandomi con i suoi occhi piccoli e azzurri. "Se dovesse scoppiare una guerra subito dopo questo attentato, è la fine. Non ci riprenderemo più, ci verrà tolto tutto. I figli maschi, i mariti...i titoli! Saremmo tutti uguali sotto il colpo delle bombe!"
La guardo con occhi stretti, girandomi a vedere le espressioni delle altre donne. Una appoggia una mano sulla spalla di Naso Gobbo, annuendo. "Lo so, lo so" dice, tirando su con il naso.
"Scusatemi!" irrompe una voce chiara e sottile. Una ragazza di appena diciotto anni irrompe sulla scena di fronte i miei occhi. "E noi che non abbiamo già niente? Che fine faremo?"
Ha un vestito rattoppato, leggermente più grande della sua taglia. Le spalline le scendono sulle braccia e i capelli scuri sono disordinati. Ha le mani e le unghie sporche di terra.
"Non è un problema mio" risponde Naso Gobbo, squadrandola.
"Ma se lei ha detto che saremmo tutti uguali!"
Chiudo gli occhi e do le spalle alle donne, riaprendo la porta del bar ed uscendo allo scoperto. "Dove vai!?" mi urlano dietro, ma fortunatamente richiudo la porta alle mie spalle, ignorandole. Ho un compito, devo svolgere il mio lavoro, non posso restare chiusa in un bar con donne che litigano.
La piazza è stata sgombrata, ci sono solo mendicanti che si sussurrano qualcosa. La loro barbe sono ispide, i piedi scalzi e i vestiti strappati. A parte alcune guardie sparse, la gente si è dileguata, mettendosi in salvo.
Vedo un gruppo di bambini piccoli - avranno almeno sei, sette anni - che giocano seduti in cerchio appena all'angolo di una via. Hanno tra le mani dei sassolini e se li lanciano piano, recuperandoli al volo. "Ehi voi" dico, avvicinandomi piano.
Sento uno sbuffo arrivarmi alle orecchie. "Tu sì che sei ottima nell'approccio" dice Nicholas.
"Taci!"
"Ma non ho detto niente!" dice una bambina con occhi spaventati. Mi abbasso sulle ginocchia, sentendo il tessuto tirare, fin quando il familiare rumore di uno strappo non mi fa immobilizzare. Mi porto una mano sul retro e sento la gonna essere strappata. Sgrano gli occhi.
"Tranquilla, piccola, non ce l'ho con te."
"Sei proprio cogliona" mi dice Nicholas e sono davvero tentata di strapparmi il cip dall'orecchio solo per non sentirlo.
"A cosa state giocando?" chiedo, filmando i loro movimenti. "Sembra divertente" fingo, vedendoli lanciarsi piccoli sassolini che tentano di recuperare al volo.
"Stiamo giocando a "Prendi il sasso"."
"Originale" dice Nicholas.
"Ah, e consiste solo in questo?" domando. La piccola annuisce.
"Come mai avete questa faccia?"
Il bambino affianco a lei storce la bocca in un smorfia arrabbiata. "Perché i nostri genitori stanno organizzando la nostra partenza."
"Per dove?" chiedo.
"Per le campagne. Sono convinti ci sarà la guerra, e quindi ci porteranno via per proteggerci."
"Lo fanno per il vostro bene!" dico, cercando di abbozzare loro un sorriso, ma tutto quello che ricevo in cambio è impassibilità.
"Non avremo più la nostra famiglia."
"Saremo da soli."
"Moriremo di fame!" mi dicono a raffica e tutto quello che posso fare e mettermi in piedi - con la mano ancora sul tessuto strappato - e allontanarmi piano, vedendoli continuare a giocare con il sassolino che tengono stretto in pugno. Vedo un bambino del gruppetto che si mette in piedi e scaraventa il proprio sasso lontano, lungo la via, frustrato. "Io non voglio lasciare la mia mamma e il mio papà!" urla, proprio mentre il suo sasso cade al di là del limite e finisce nel fiume.
Mi allontano rapidamente, abbassandomi la manica del braccio, quando una guardia mi blocca. "Dove è diretta?" mi chiede.
Ingoio a vuoto, sentendo la sua mano stringere il mio braccio. "A casa della mia padrona" rispondo subito.
Per fortuna la guardia annuisce. "Non uscire più di casa, d'ora in poi. Non è più sicuro."
Il suo alito puzza di fumo e tossisco, liberandomi dalla sua presa. Il sole è alto nel cielo e c'è una certa foschia che permea l'aria. Cammino un po' in giro per la città, stando attenta a scansare gente che mi passa accanto correndo, con al seguito un'infinita quantità di bagagli. Forse sarà ormai mezzo giorno, quando una donna anziana è affacciata alla sua finestra e mi guarda dalla sua altezza. "Ehi tu" mi chiama.
Sollevo la testa, incontrando il suo sguardo. "Sì?"
"Hai pranzato? Ti vedo messa abbastanza male."
"In verità-" Non mi fa finire la frase che chiude la finestra e me la ritrovo a piano terra, con le braccia spalancate.
"Vieni, ho un po' di pane per te. Mettitelo da parte, non si sa quanto riusciremo a resistere."
"Che ansia" commenta Nicholas.
Annuisco. "Lei è molto gentile."
La donna anziana mi sorride e mi accoglie nella sua umile dimora, facendomi attendere nell'ingresso. Un uomo è seduto al tavolo di fronte a me, a capotavola, e mi squadra dalla testa ai piedi masticando qualcosa. La donna riappare da un angolo con un fagottino in mano. "Prendili e fuggi via."
"Davvero, signora, lo tenga per lei. Io posso provvedere da sola." Non posso proprio tornare in sede con qualcosa che non appartiene al mio mondo. Sarei licenziata e punita duramente. "Mi sentirei in colpa se non bastasse per voi."
"Abbiamo un campo di grano qui vicino e delle riserve di farina nei sacchi, ce la faremo bastare fin quando tutto tornerà ad essere tranquillo."
"Rose, lascia subito il pane, sai che non puoi portarlo qui!" mi urla Nicholas all'orecchio, e in risposta me lo scuoto per zittirlo. Il suo ronzio continuo è più fastidioso di quello di una zanzara che ti sorvola l'orecchio per tutta la notte.
"D'accordo" rispondo alla signora. Sono sicura che non accetterà un rifiuto come risposta. "La ringrazio infinitamente."
Lei sorride, poi mi spinge piano fuori di casa. "Va', ora. Torna a casa."
Annuisco e la saluto con un gesto della mano. Mi affretto a camminare per strada, scansando bambini che corrono e le mamme che li inseguono, prima di imbattermi in un mendicante che riposa con un cappello abbassato sulla faccia. Ha una ciotola ai suoi piedi. Apro il fagottino che la signora mi ha dato e gli poso le pagnotte fresche nella ciotola. Il tintinnio del metallo lo fa mettere seduto e il cappello gli cade dalla testa. Associa la pagnotta al mio corpo ancora fermo lì e mi sorride, gettandosi sul panino e addentandolo affamato.
Lascio il fazzoletto accanto alla ciotola e mi allontano, infilandomi in una via deserta.
"Sto tornando" dico al display, scorrendo su un tasto digitale che spedisce il materiale raccolto in sede. Lo spengo e prendo il mio orologio in mano, girando gli ingranaggi con le coordinate del mio tempo.
Mi accerto che non ci sia nessuno e mi metto sotto una specie di arco che assomiglia a quello che abbiamo a Nova Historia, così mando il segnale e dei raggi perpendicolari mi passano attraverso, nebulizzandomi.
Quando riapro gli occhi, sono in sede. Le donne si affrettano a liberarmi dall'abito ingombrare - è anche strappato, ma dettagli - e mi passano il solito camice bianco e pulito. Nicholas muove le dita freneticamente sulla tastiera, decifrando i video e i messaggi e spedendoli negli Archivi, nella sezione apposita.
"Ottimo lavoro" mi dice, spostando finalmente gli occhi dallo schermo riflesso nei suoi occhiali a me. I suoi occhi azzurri sono accentuati dalla luminosità del display, i suoi capelli marroni sono tenuti in maniera ordinata sulla fronte. "Aggiungiamo nuove e importanti dettagli sul millenovecentoquattordici."
Faccio degli ampi respiri - finalmente liberi da quel corpetto smorza-fiato - e mi appoggio con le braccia incrociate al suo bancone. Così come io sono stata definita "Idonea" ai viaggi nel tempo, successivamente il test mentale e di preparazione fisica a cui sono stata sottoposta prima di essere assunta, così Nicholas - invece - è stato eletto "Ricevitore", ovvero si preoccupa di riordinare le informazioni che riceve dal suo Idoneo (ognuno ne ha uno da sorvergliare, quindi in questo caso sono io) per spedirle nei giusti spazi degli Archivi.
"Ah!, se solo non ci fossi io a lavorare con te, chissà cosa-"
"Avrei avuto un altro assistito, semplice."
Alzo gli occhi al cielo. "Pranziamo insieme?"
Mi guarda, abbassando il capo per scorgermi al di sopra della montatura degli occhiali. "Ti sembra il momento, Heiderose? Sto smistando le informazioni."
Faccio picchiettare le unghie contro il bancone. "Non chiamarmi così. E poi, so benissimo che hai già spedito il materiale. Ti aspetto in mensa tra cinque minuti." Mi stacco dal bancone, dandogli le spalle. Proprio mentre inizio a camminare, lo sento raggiungermi. "Ah, e poi non rompermi le palle così tanto quando sono in missione."
"Ma sai bene che mi diverte" mi risponde, infilando le mani nelle tasche del camice. "Darti fastidio è la mia priorità."
"Vedremo quanto lo sia, quando ti sentirai centinaia di mosche ronzarti vicino le orecchie in piena notte."
"Non lo faresti mai, Rose."
Mi giro a guardarlo e un piccolo ghigno mi appare sul viso. "Non ne sarei così sicuro."

N/A
Okay, credo sia arrivato il momento di pubblicare almeno il primo capitolo della storia, in cui Heiderose è già in azione.

Innanzitutto, benvenuti in questa nuova avventura. Spero che la lettura di questa storia vi accompagni e vi faccia sorridere almeno un po' e chissà, magari vi potrà aiutare a ricordare alcuni eventi storici (quelli veritieri, ovviamente) in modo più semplice e divertente!

L'attentato di Sarajevo nel 1914 è l'evento che ha scombussolato il mondo più o meno un mese prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale.
Le parole dell'arciduca e di sua moglie, così come le dinamiche immediatamente successive allo sparo, sono storicamente accertate.

Ribadisco che il compito di Rose è quello di studiare gli aspetti folkloristici di alcune epoche del 1900, ovvero il secolo che le è stato affidato. Nicholas, il Ricevitore, raggruppa le informazioni raccolte dal display di Rose e le spedisce - riorganizzate - negli Archivi, ovvero i centri in cui viene posta la storia da recuperare.

Lasciatemi qualche commento e chiedetemi qualsiasi cosa vogliate! :)

Gli aggiornamenti saranno regolarmente ogni sabato e mi concentrerò sulle pubblicazioni soprattutto dopo che The War (l'altra mia storia - a proposito, dateci un'occhiata 😘) sia terminata.

A presto ❤

(Trailer di Running out of time)

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