Questione di prospettiva (e misure)
Io e Giuseppe ci andiamo a riparare all'interno del museo, proprio sotto la mastodontica Statua della Libertà. Ci scrolliamo l'acqua di dosso, inoltrandoci all'interno del locale per mettere più distanza possibile tra noi e la gente che guarda i tuoni squarciare il cielo sopra il monumento, con i lampi che abbagliano i loro occhi attenti. Mi stringo i capelli, lasciandoli gocciolare sul tappeto ai nostri piedi, poi faccio qualche piccolo saltello per far scrollare l'acqua dai vestiti. Giuseppe ride e si passa due dita sui baffi, accarezzondoli come se fossero due bambini impauriti. Mi accosto al suo viso, inspirando l'odore che viene dalla sua pelle. Faccio una smorfia. "Puzzi come un cane bagnato."
"Sempre molto gentile" dice lui, regalandomi un sorriso.
L'orologio mi ciondola sul petto e lo prendo in mano, stringendolo tra le dita.
Controllo la data.
Giuseppe mi si accosta e lo indica con il dito. "E' così strano pensare che un oggettino così minuscolo sia in grado di teletrasportarti."
Annuisco, girandomelo tra le dita. "Presumo sia la magia che la tecnologia mette a disposizione."
Giuseppe si lecca le labbra, sfiorando la superficie dell'orologio con le dita. "Basta infilare una data... Ed è fatta, vai ovunque vuoi."
Annuisco e mi sollevo sulle punte per dargli un bacio sulla guancia. "Esattamente, sebbene io non lo possa mai usare per il solo e puro piacere di viaggiare." Gli indico gli ingranaggi. "Si manovrano questi, li giri fin quando non appare sullo schermo la data di interesse."
"E se inserissimo quella in cui tu mi hai trovato?"
Scrollo le spalle, guardandolo adesso negli occhi scuri mentre un tuono irrompe sopra le nostre teste. "E' quello che Nicholas sta cercando di fare da quando abbiamo iniziato questo viaggio. E' l'arco che non sta più collaborando."
"Dunque tu e Nicholas mettete la data insieme ed è fatta?"
Annuisco. "Sì, oppure può inserirla direttamente lui. E' il suo computer che mi lega all'arco metallico."
Giuseppe solleva un sopracciglio, sfilandomi l'orologio di mano e guardandolo. "Quindi è solo un accessorio, il tuo."
"No, Peppe" dico, scherzando e riprendendomi l'orologio in mano, lasciandolo ciondolare contro il mio petto. "Solo con questo addosso posso smaterializzarmi e sono io che decido quando andarmene, anche senza che Nicholas si metta in mezzo."
Storce la bocca in una smorfia. "C'è una contraddizione qui."
Gli appoggio una mano sulla spalla. "So che per te è troppo da comprendere e il tuo cervello non ce la fa" mi da uno schiaffetto, liberandosi dalla mia presa, "ma tutto quello che c'è da sapere è che io e Nicholas siamo collegati, sia attraverso il cip nell'orecchio con cui possiamo comunicare, sia attraverso l'orologio, ovvero il mezzo che mi permette di smaterializzarmi. E' Nicholas che inserisce le date e, volendo, potrebbe digitarle anche a distanza, permettendomi comunque di smaterializzarmi ovunque serva. Ma posso anche cambiarle io, e decidere se restare o andare via. Ecco perché le inserisce lui e veniamo catapultati in un altro mondo senza che io tocchi quest'orologio. Se avessi voluto, però, lo avrei interrotto e avrei inserito delle coordinate decise da me. I dati sul suo computer sarebbero stati cambiati di conseguenza."
Giuseppe mi guarda, annuendo piano. "Quindi il tutto consiste ed è possibile solo se si è in possesso di quest'orologio."
Faccio di sì con la testa, poi improvvisamente sento uno schiarimento di gola nel mio orecchio. "Nick?" chiamo, sicura sia lui.
"Sì, Rose, ecco, sono pronto. Siete sotto un arco?" mi domanda con la sua voce bassa.
"No" dico, guardandomi intorno.
Giuseppe fa ruotare un dito vicino alla sua tempia, "Sembri pazza se parli da sola."
"Allora vai sotto un arco" mi impone Nicholas, "credo di averlo riparato."
Annuisco, prendo Giuseppe per mano e gli suggerisco di trovare qualcosa a forma di arco.
In fondo al museo scorgo un'insegna curvilinea che segue la linea del soffitto. "Dici che va bene?" chiedo al ragazzo al mio fianco.
Giuseppe solleva la testa. "Credo di sì."
"Bene." Avvicino l'altra mano all'orecchio. "Siamo pronti."
"Vi sta guardando qualcuno?"
"No."
"Okay."
Prendo l'orologio in mano e lo metto sotto gli occhi di Giuseppe. "Vedi" dico, mentre le coordinate storiche iniziano a cambiare sul quadrante. "Le sta cambiando lui. Volendo potrei interromperlo e decidere io la data, basta solo schiacciare questo tasto" dico, indicando il pulsante sul lato.
"Continuo a ripetere che il tuo essere in possesso di quest'orologio sia uno spreco se fa tutto Nicholas."
Alzo gli occhi al cielo. "E va bene, pensala come vuoi."
Termino la frase e ci smaterializziamo.
L'amore.
Cos'è l'amore?
Chi lo sa.
E' quel sentimento che ti spinge a mettere il bene dell'altro davanti al tuo, il prendersi cura degli altri in ogni minima forma possibile. Anche dare da mangiare ad un pesciolino rosso chiuso nella sua boccia piena d'acqua è amore. Ognuno ne da un'interpretazione diversa, chi per giustificare un sentimento, chi per segnalare il proprio attaccamento nei confronti di una cosa o una persona, chi semplicemente manifestandolo nei piccoli gesti.
E oggi ne ho avuto una dimostrazione.
E no, non parlo della mia pseudorelazione con Giuseppe perché... Beh, ancora non riesco a capacitarmi del fatto che siamo due individui che vanno contro la storia e tentano di ritagliarsi un seppur misero angolo di paradiso in cui cedere a delle piccole ed effimere effusioni.
No, parlo di tutt'altro.
Assisteremo ad una dimostrazione di un amore che lega un uomo alla sua creatura, quell'attaccamento tale che nessuno potrebbe mai spiegare perché non ci sono parole che possano farlo.
L'artista e la sua creazione.
Niente di più, niente di meno.
È già calata la notte.
Un fresco venticello ci accarezza le braccia, riempiendole di brividi. Mi guardo intorno e non riesco a riconoscere dove siamo. Abbasso lo sguardo sul mio orologio e aguzzo la vista per scorgere le coordinate nel buio della notte. La luna è alta nel cielo, circondata da innumerevoli stelle.
Non si sente un rumore, riecheggiano nella via solo i miei passi uniti a quelli di Giuseppe, mentre ci spostiamo lungo la via per capire dove siamo. Quando la luce della luna si specchia sul quadrante del mio orologio, vedo la data e mi lascio andare ad un sospiro di sollievo.
Fortunamente non siamo in un luogo pericoloso.
Non per ora, almeno.
Giuseppe mi si accosta e strabuzza gli occhi quando scorge la data. "Mille e cinquecentoquattro?" esclama, e la sua voce suona un po' troppo acuta nella via deserta. Gli tappo la bocca con la mano.
"Zitto."
Si toglie la mia mano da sopra le labbra. "Invece di andare avanti, stiamo tornando indietro. Com'è possibile che proprio quando manca così poco, l'arco decide di spedirci altrove?"
"Di' al tuo stupido compagno di viaggio che non dipende da me" sbotta Nicholas, "ma l'arco - che ha a disposizione tutta la storia dell'umanità - non sostiene il suo peso oltre al tuo e precipita in un particolare contesto storico che non ha niente a che vedere con me. Se potessi-"
Interrompo Nicholas prima che possa dire altro. Guardo Giuseppe negli occhi. "Devi capire che la situazione è complicata. E' già tanto che Nicholas stia facendo tutto questo per noi."
"Beh, penso sia normale che, essendo tuo amico, faccia di tutto per salvarci."
Uno sproloquio mi giunge alle orecchie, ma è così basso ed espresso in tono così sottile che non mi permette di cogliere nemmeno una parola di quello che Nicholas stia dicendo. "Buonanotte" dice il mio migliore amico, staccando il nostro contatto. Alzo gli occhi al cielo. Ultimamente è troppo scorbutico.
Capisco che il peso della situazione sia straziante per uno come lui, abituato a rispettare qualsiasi regolamento, ma fino a prova contraria dovremmo essere io e Giuseppe a sbottare contro di lui per il suo continuo non mettersi d'impegno.
Mi schiaffeggio la fronte.
Ma che sto dicendo.
Nicholas si sta impegnando tantissimo per noi, non posso minimizzare quello che sta facendo, vivendo nella costante paura di essere scoperto come parte integrante di questo viaggio al di là di ogni regola e canone possibile.
Riprendiamo a camminare in silenzio, mentre io mi stringo le braccia per ripararmi. Poi mi ricordo della mia giacchetta blu nello zaino in cuoio. Mi fermo in mezzo alla strada, tirandola fuori e porgendo a Giuseppe il vestito tutto sporco che ha avuto mentre siamo stati a Pompei. Se lo passa sulle spalle per ripararsi dal vento.
Riprendiamo a camminare, quando all'improvviso un rumore sempre più udibile ci giunge alle orecchie. I nostri passi si fanno più rapidi, quasi corrono lungo la strada sterrata, fin quando non arriviamo all'angolo di una piazza immensa, sulla quale si affaccia un edificio enorme con una torre dalla cima quasi merlata, però al contrario, che sembra sorvegliare dall'alto tutta la città. Solo quando vedo Palazzo Vecchio sotto i miei occhi, capisco che siamo nella Firenze del Rinascimento italiano.
Piazza della Signoria si estende di fronte i nostri occhi e il rumore proviene dalla nostra sinistra. Ci sporgiamo in avanti e troviamo un gruppo di ragazzi che stanno cercando di prendere a sassate qualcosa nascosto dietro una gabbia di legno. Un uomo si mette a guardia di questa, spalancando le braccia e rimproverandoli. I ragazzi gli urlano contro, lasciando però cadere le loro pietre per terra e allontanandosi, andandosene verso la parte opposta della Piazza.
L'uomo allunga le sue braccia contro i fianchi e si gira, lasciandosi cadere sulle ginocchia di fronte la gabbia di legno che, capisco, sia aperta nella zona anteriore. L'uomo è robusto, con capelli scuri e barba sul mento, occhi infossati e naso importante. E' vestito in maniera molto povera, con delle ciabatte di cuoio ai piedi e le ginocchia scoperte. Le sue mani, contro i fianchi, sono robuste e dalle dita grosse.
Ho letto molto, su questo personaggio.
Ricordo anche di quando ho lasciato scorrere le dita sulla sua storia, sul suo tormento, sulle sue fatiche e il suo duro lavoro.
Rimango immobile e afferro la mano di Giuseppe, stringendola a me. Ha le sopracciglie aggrottate.
Riporto i miei occhi sull'uomo inginocchiato ai piedi della sua opera, sporgendosi in avanti per controllare se le pietre dei ragazzi abbiano riportato qualche danno, esaminandola come fa un genitore che deve medicare una ferita del suo bambino.
Ingoio a vuoto e lo vedo sollevare lo sguardo sulla sua stutua, lasciando vagare lo sguardo su di essa.
Chissà come si sente un artista nel contemplare la sua opera finita.
Si sentirà sicuramente soddisfatto per aver portato a termine un incarico, ma non oso nemmeno immaginare al senso di vuoto che si sente tra le mani e nel cuore.
Quella mancanza dovuta al fatto di aver speso tutto se stesso nel realizzare qualcosa più grande di lui, quella mancanza dovuta ad aver immesso nella sua opera qualcosa di suo, di profondamente intimo che vede esposto di fronte a sè, completato.
Mi viene da piangere.
Spiego a Giuseppe chi abbiamo davanti, chi è quell'uomo e il suo apporto nella storia culturale di questo Paese tra le migliori e uniche al mondo.
Michelangelo Buonarroti cammina sulle ginocchia e si stende ai piedi del suo David, rimanendo accanto alla sua opera per tutta la notte che precede la sua inaugurazione al pubblico fiorentino.
L'ultima volta che può stare vicino al suo lavoro prima che diventi patrimonio della città e disponibile agli occhi di tutti.
L'ultima volta che può reputare quel David nudo, forte e fiero solo e soltanto suo.
Quell'uomo che si addormenta ai piedi della statua è così ignaro di ciò che farà, è all'oscuro delle opere che gli verranno commissionte e dell'importanza e la fama che acquisterà per l'eternità.
Una lacrima solca la mia guancia e i brividi che sento sulle braccia non sono dovuti, questa volta, al freddo, ma alla visione di un uomo che non ha niente, perennemente insoddisfatto della sua vita e dei suoi lavori, ma che diventerà tra i più importanti del mondo. Ma lui ancora non lo sa.
Giuseppe mi lascia un bacio all'angolo della testa, poi mi indica la strada alle nostre spalle. "Troviamo un posto per dormire, non disturbiamolo" mi dice, tirandomi via e lasciando Michelangelo da solo con il suo David.
Senza soldi, senza un rifugio e senza un punto fisso, io e Giuseppe abbiamo trovato un posto per la notte facendoci ospitare in una minuscola chiesetta dove abbiamo dormito, stesi sulle panche.
Ora, sveglia e con un numero spropositato di persone che mi guardano dall'alto chinati sul mio corpo, mi sento completamente indolenzita e a disagio. Mi metto seduta e guardo i presenti negli occhi che mi osservano come se fossi un alieno.
Sarà forse il mio vestiario?
O semplicemente il fatto che abbia dormito in una Chiesa?
"Sapete come si dice" dico, mettendomi in piedi e soffocando uno sbadiglio; un raggio di sole mi colpisce il viso passando attraverso il vetro del mosaico appeso al muro, "la Chiesa è sempre aperta, pronta ad accogliere chiunque si presenti all'interno."
Esco dal gruppo di gente che mi guarda e mi indica senza ritegno, ma sono troppo intenta a cercare Giuseppe con gli occhi per prestare loro attenzione. Lo trovo seduto sull'ultima panca, con il viso umido e le labbra strette. "Buongiorno" dico, prendendogli la mano e facendolo mettere in piedi, "perché hai le guance bagnate?"
Giuseppe mi guarda negli occhi. "Ti giuro che ero ancora mezzo addormentato quando l'ho fatto" mi risponde, smorzando un sorriso sulle sue labbra. Aggrotto le sopracciglia.
"Ma cos-"
"Mi sono lavato la faccia in quella che credevo fosse un bacinella.. Mi sono reso conto troppo tardi fosse un fonte battesimale."
Scoppio a ridere e mi tappo la bocca con la mano mentre spingo Giuseppe per uscire dalla chiesa in cui, adesso, tutti ci guardano. Il sole è alto nel cielo e ci investe in pieno. Camminiamo procedendo lungo la stessa strada che abbiamo percorso ieri notte per giungere alla chiesa, uscendo nuovamente su Piazza della Signoria dove il David di Michelangelo è in bella mostra. La gente è raggruppata intorno alla statua, la contempla e la ammira in tutte le sue caratteristiche.
Ci sono alcuni, però, che la criticano, in particolare la nudità posta sotto gli occhi di tutti. Michelangelo è ai piedi della sua opera, ringraziando senza troppe cerimonie i complimenti che riceve. Ha le labbra tirate in un minuscolo sorriso nascosto dalla spessa barba scura. E' circondato da innumerevoli uomini mentre in lontananza si sentono delle campane suonare. Un signore in particolare ha intavolato una conversazione con Michelangelo, gesticolando animatamente con le mani e scostandosi di tanto in tanto i capelli mossi da sopra la fronte. Voglio avvicinarmi, ho bisogno di sentire questi uomini parlare.
"Il tuo appoggio è stato gradito" sento dire a Michelangelo, senza alcun tipo di scomposizione. Nè una pacca, nè un abbraccio, nè un semplice gesto del capo. "Chissà David dove sarebbe stato posizionato se tu non avessi proposto questo luogo."
L'altro uomo gli sorride, stringendo le labbra. "Questo e altro, per il magnifico Buonarroti."
"Botticelli!" sento gridare dall'altra parte della strada e l'uomo si gira, spostandosi femmineamente i capelli dietro le orecchie. Cerca di capire chi lo abbia chiamato, poi scuote le spalle e saluta Michelangelo con una pacca sulla spalla. "Alla prossima - che spero non tardi." Dopidichè sparisce nella folla, inoltrandosi verso chiunque abbia urlato il suo cognome. Tento di seguirlo con lo sguardo per evitare di perderlo di vista.
Sandro Botticelli? Ma scherziamo?
Possibile che grazie a questo viaggio io stia vedendo dal vivo questi uomini?
Ah!, se solo potessi vedere la sua Venere, il canone femminile per eccellenza.
Ormai l'ho perso tra la folla, così decido di mettermi sotto il David per guardarlo dal basso. Giuseppe annuisce, guardando la statua pensieroso.
Decido di osservarne ogni minuscolo dettaglio, partendo dai suoi boccoli, dal taglio degli occhi, dalla bocca stretta e carnosa, per poi passare ai muscoli delle sue braccia, ai suoi pettorali e addominali, alle mani leggermente ingrandite... E' strano pensare che Michelangelo abbia fatto nascere una simile creatura da un pezzo di marmo rovinato e messo da parte da qualsiasi artista. Dall'imperfezione, Buonarroti ha dato vita a qualcosa che rappresenta - a distanza di secoli - il modello di perfezione estetica maschile, un connubio di forza, fierezza e..
"Certo, però, che ce l'ha proprio piccolo" dice all'improvviso Giuseppe al mio fianco, con lo sguardo puntato sui genitali scoperti del David. "Da un uomo così imponente mi sarei aspettato qualcosa di più."
Mi giro verso di lui, sollevando un sopracciglio. Intorno a me, sento commenti sarcastici e dimensioni sussurrate. Riguardo l'oggetto in questione, sbattendo le palpebre. "Il fatto è che molto probabilmente quello del David segue i canoni dell'armonia delle forme: avere un membro normale o poco meno - in quest'epoca - è simbolo di perfezione ed eleganza, nonché cura della mente e della virtù più che della passione fisica. Averlo grande era disdicevole, nonché deplorevole."
Giuseppe mi guarda, sbattendo le palpebre e con la fronte aggrottata. "La mia è solo una semplice osservazione."
Sorrido maliziosamente. "E poi, se credi che quello suo sia così piccolo, non oso immaginare quali siano le dimensioni ideali, per te."
Giuseppe si abbassa su di me, poi mi sussurra all'orecchio "Le mie, per esempio" prima di scoppiare a ridere.
Alzo gli occhi al cielo, scuotendo la testa, quando noto Michelangelo girato nella nostra direzione. Ha un'espressione - indovinate un po'? - impassibile. Guarda prima me negli occhi, poi fa scorrere i suoi lungo il corpo di Giuseppe, indugiando sul cavallo dei suoi jeans.
Non dice niente riguardo il nostro abbigliamento, forse non se ne frega nulla o più semplicemente ci squadra dall'alto della sua superiorità artistica.
Ma mi sbaglio. Guarda un'ultima volta il cavallo dei pantaloni di Giuseppe e riporta i suoi occhi scuri su di me, facendomi un occhiolino. "E' solo questione di prospettiva."
Scoppio a ridere mentre invece Giuseppe diviene serio di colpo. Vorrei abbracciare Michelangelo, ma non ne ho il tempo. Si gira ed inizia a parlare con altre persone.
Giuseppe si gira a guardarmi mentre mi scendono le lacrime dagli occhi. Mi sento mancare il respiro. "Quell'uomo è un genio" dico tra un respiro e un altro.
Giuseppe stringe i denti. "Data la sua - quasi certa - omosessualità, spero che quello che prende in-"
Mi fiondo sulla sua bocca, per zittirlo. "Ssh!" Ma continua a parlare contro la mia mano appoggiata sulle labbra.
La sposta con un gesto secco. "-sia appagante." Gli lascio un bacio sulle labbra per farlo stare zitto una volta per tutte.
"Come sei suscettibile."
Alza gli occhi al cielo, lasciandomi un altro bacio sulla bocca. "Pazienza."
Mi sorride contro le labbra, lasciando che le nostre fronti si sfiorino.
"Andate sotto alla Loggia" sbotta improvvisamente Nicholas al mio orecchio. Non mi sono nemmeno accorta che il collegamento tra noi si fosse riattivato. "Ci sono infinità di archi, trovatene uno e proviamo a viaggiare di nuovo."
Mi stacco dal viso di Giuseppe, indicandomi il cip alle orecchie. "Dobbiamo andare."
"Ma no!" Si lamenta. "Avrei voluto restare di più a Firenze! Non l'ho mai visitata."
Lo tiro con me sotto il primo arco, assicurandomi che nessuno ci stia vedendo. Tutte le persone sono raccolte intorno al David, non ci guarderebbero mai. Prendo la mano di Giuseppe. "Tranquillo" gli dico. "Tu tornerai." Ma non ci sarò io, con te.
Lui stringe le labbra e sono sicura che abbia capito lo stesso ciò che a parole non ho detto.
Ci smaterializziamo.
N/A
Eccomi qui con questo nuovo capitolo.
Mi dispiace dirlo, ma il viaggio di Rose e Giuseppe sta per giungere alla linea del traguardo. Non è più molto distante :)
Ma comunque, cosa ve ne pare?
Premetto che adoro Firenze, quindi mi sembrava un peccato non farli capitare lì almeno una volta, per non parlare delle opere d'arte di quella città... adoro.
Per chi non lo abbia mai visto o sentito parlare (un po' improbabile ma va bene) questo è il David:
La statua originale è chiusa all'interno della Galleria Dell'Accademia a Firenze, lasciando una copia in Piazza della Signoria appena di fronte l'ingresso di Palazzo Vecchio.
Lasciatemi qualche commento e votate!
Un bacione grande! ❤
P.s come sono andati gli esami?
P.p.s Auguratemi buona fortuna per il mio plz
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