Posto giusto, tempo sbagliato

I nostri corpi si ricompongono di fronte ad una statua alta, illuminata da due fari posti sulla base che proiettano la luce sulle figure scolpite in un groviglio confuso.
Siamo in mezzo ad una piazzetta, con delle palme altissime poste al centro. Sollevo lo sguardo e vedo le foglie degli alberi piegate a mo' di arco a causa del vento.
Incredibile.
Giuseppe si stacca dalla mia presa e si va a sedere sulla base della statua, con un fascio di luce proiettato direttamente sul viso. Non c'è molta gente intorno a noi. Guardo l'orologio intertemporale che mi ciondola sul petto e scorgo la data inseritasi.
Siamo nel XXI secolo. Mi porto un dito all'orecchio, con gli occhi puntati su Giuseppe che si guarda le dita della mano con le labbra strette. Le chiude a pugno, come se fosse arrabbiato e volesse colpire qualcosa o qualcuno.
Spero qualcosa.
"Nicholas, perché non ci hai avvisato?" chiedo al mio migliore amico. "Ci siamo smaterializzati all'improvviso, tra la gente, avrebbero potuto vederci!"
La sua voce suona dura contro il mio orecchio. "Guardavano come ebeti il cielo e la stella cadente scomparsa da un pezzo. Farvi smaterializzare così è stato un incidente."
"Hai inserito le coordinate, non è stato per niente un fatto casuale."
Uno sbuffo mi arriva al timpano e assottiglio gli occhi, mentre Giuseppe si accarezza le nocche della mano, con la mente persa chissà dove.
Se ripenso a solo qualche istante fa, mi sento a disagio.
Concentro tutta la mia attezione sulla voce al mio orecchio. "Avevo inserito le coordinate poco fa, ma l'arco non ne voleva sapere, di partire intendo. Così ho spinto l'asse metallico e d'un tratto si è azionato. Vi avrei avvisato, altrimenti. Ti pare?"
Annuisco. "Va bene."
"Ora però" continua Nicholas, abbassando la voce. "Devo partire per il convegno. Ti prego, Rose, non fare stupidaggini."
"Perchè dovrei farne, scusa."
"Non so esattamente per quanto starò via a causa di alcune modifiche nel programma, per cui cerca di non rischiare la vita o alterare la storia."
Il collegamento si interrompe. Faccio un lungo sospiro, poi mi guardo intorno e solo adesso mi accorgo di due ragazze immobili poco distanti da me.
Una ha i capelli corti a caschetto, scuri come i suoi occhi, una spessa montatura di occhiali sul naso e un neo sulla guancia. Ha la mano che schiaffeggia ripetutamente il braccio dell'amica al suo fianco, con la bocca spalancata per la sorpresa.
La seconda ragazza con i capelli di un biondo scuro, a metà tra il riccio e l'ondulato, ha gli occhi spalancati, contornati da una sottilissima linea di eyeliner. Ha le labbra a cuoricino, mentre la ragazza con il caschetto le ha colorate con un rossetto abbastanza scuro per ingrandirle.
"Ce sta succedi?" sbottano insieme. Non capisco, parlano in dialetto?
Sento un rumore alle mie spalle e noto Giuseppe essere scattato in piedi, con le braccia spalancate. Lo vedo mentre si avvicina alle ragazze e le prende entrambe tra le braccia, stringendole contro il suo petto. Aggrotto le sopracciglia. Ma cosa..?
"Non ci credo" lo sento dire, poi si allontana da loro, tenendo le mani appoggiate sulle braccia delle ragazze che sembrano sentirsi spaesate. "Parlate in dialetto, il mio dialetto!" esulta, poi si gira a guardarmi con un sorriso che va da un orecchio all'altro. Porta di nuovo il suo sguardo sulle ragazze. "Siamo a Brindisi, vero?"
Quella con il caschetto annuisce e fa un passo indietro per togliersi dalla presa di Giuseppe che le guarda con ammirazione. "V-voi.." prova a dire, ma la vedo ingoiare a disagio. Cerca lo sguardo della sua amica che ha gli occhi puntati sulla mano di Giuseppe stretta intorno al suo braccio. Ci appoggia sopra la sua, invitandolo a mollare la presa. Continua a tenere gli occhi puntati sull'amica.
Ho la netta sensazione che loro ci abbiano visto.....
Fanno entrambe un altro passo indietro e Giuseppe le guarda come dispiaciuto.
"Non è possibile" dice quella riccia, scuotendo il capo.
"E' come se stessimo vivendo una fanfiction!" esclama l'altra.
Aggrotto le sopracciglia. Fanfiction? Ma che diamin-
"Siete comparsi così, all'improvviso!" dice la ragazza con il caschetto e gli occhiali. "Dal nulla! Non c'era nessuno qui!" Si gira verso l'amica. "Dammi uno schiaffo, voglio svegliarmi."
"No, dai tu a me un pizzico" dice l'altra.
"Sentite" dico, avanzando verso di loro. Avranno più o meno diciotto anni. Porto le mani in avanti, come a voler dire che non ho intenzione di fare loro alcun male. C'è uno strano venticello, ma non fa freddo. Anche se le due ragazze hanno entrambe un giubotto di pelle addosso. "Non abbiamo intenzione di farvi -"
"Siete apparsi in un istante!"
"Ma che cazzo!"
"Ascoltate, vi preghiamo di non attirare l'attenzione, la situazione è complicata e vi siete trovate al momento sbagliato, nel posto sbagliato" dice Giuseppe, stringendo le labbra. Poi indica me e se stesso. "Vi racconteremo tutto, se ci promettete di non dare in escandescenze, è importante mantenere il controllo."
Schiaffeggio Giuseppe, sollevando le sopracciglia. "Cosa pensi di fare?" esclamo.
Il ragazzo smuove le mani, mordendosi un lato delle labbra. Vedo il suo movimento e mi vengono i brividi a pensare che quelle labbra siano state sul punto di baciarmi. "C'hanno visto, non possono non sapere."
Guardo le ragazze che sembrano sul punto di voler scappare. Sorrido, guardandole. "Un secondo solo.." Mi giro, afferrando Giuseppe e facendolo voltare. "Sei pazzo, per caso?"
"Vuoi lasciarle andare via dopo che ci hanno visto materializzarci qui? Non pensi divulgherebbero la stranezza? Pensaci, Rose!" Si rende improvvisamente conto della nostra vicinanza, così allontana di scatto il suo viso dal mio.
Ci rimango male, ma provo a non farglielo notare. "Cambieremmo la storia, non possiamo lasciare che accada."
"E' già cambiata, dal momento in cui ci hanno visto. Non facciamo peggiorare la situazione, evitiamo che possa degenerare in qualche modo." Si gira verso le ragazze, sorridendo loro. "Prima di tutto, io mi chiamo Giuseppe."
"Come mio padre" sussurra una delle ragazze, incrociando le braccia al petto. Sembra a disagio.
L'altra ha una smorfia disgustata dipinta in viso. "Okay."
"Potremmo parlarvi un attimo?" chiede Giuseppe, sorridendo con apprensione.
La ragazza con il caschetto lancia una rapida occhiata all'amica, "Guarda" dice, mostrando i denti. "C'è suo padre che ci sta aspettando, dobbiamo tornare a casa e non possiamo perdere tem-"
"Per favore" dice Giuseppe, "due minuti."
"Davvero" risponde la bionda. "Tutto questo è strano e non abbiamo intenzione di perdere tempo con voi." Si girano e vanno via, allontanandosi.
Giuseppe rimane immobile, poi si volta verso di me. Scuote la testa. "Cosa ho sbagliato?"
Lascio un lungo sospiro, poi gli appoggio una mano sulla spalla e gli indico il porto di fronte a noi. "Lasciale andare, non interferiamo. Vediamo un po' dove siamo" gli dico, spingendolo in avanti per farlo camminare. Passiamo in un piccolo sentiero tracciato nel prato, poi attraversiamo la strada e ci troviamo di fronte un lungo corso illuminato da lampioni posti a cinque metri gli uni dagli altri per tutta la lunghezza. C'è un bar sulla destra, in fondo, da cui esce una musica di sottofondo che accompagna la gente durante la passeggiata. Alcune panchine di marmo sono occupate da donne anziane o da ragazze con le gambe incrociate che gesticolano animatamente con le mani, raccontandosi esperienze di vita. Il braccio di Giuseppe sfiora il mio mentre camminiamo. C'è un monumento dall'altra parte del porto, illuminato dal basso e con una strana rientranza nella parte alta. "Quello lì" dice Giuseppe guardando in quella direzione, "è il Monumento al Marinaio."
"Che strana forma" dico, guardando una leggera gobba nella parte posteriore facilmente visibile.
"Rappresenta il timone di una nave, costruito dopo la Prima Guerra Mondiale per ricordare i seimila caduti durante le battaglie navali."
"Oh."
"C'è una visuale bellissima, lì, sulla cima, dove si nota il profilo di quella recinzione."
Lo guardo, stringendo le labbra. Non vedo niente, ma okay. "Potremmo salirci, se ti va. Perché sai, staremo qui per un po' di tempo."

Giuseppe mi guarda, continuando a camminare. Passiamo accanto al bar e lo superiamo. Fortunatamente ho addosso i pantaloni - senza tasche -, perché questa brezza sta iniziando a darmi fastidio. "In che senso?" Gli spiego ciò che mi ha detto Nicholas poco fa, e annuisce. "Allora sì, avremo tempo a sufficienza per girare un po'. Questa città, nonostante sia il luogo in cui sono nato, mi è completamente estranea. E' cambiata così tanto..."
Annuisco, nonostante non possa capire cosa passi per la sua testa. Passiamo accanto ad un imponente scalinata che porta verso due grandi colonne poste quasi a controllo del porto alla nostra destra. "Qui, le due colonne, dovevano celebrare la fine della Via Appia, solo che n'è rimasta solo una integra perché l'altra è misteriosamente crollata. I resti erano rimasti così tanto tempo sparsi nei ditorni che alla fine sono stati portati a Lecce, impiegati nella costruzione della colonna in piazza Sant'Oronzo. Nonostante le varie modifiche e ricostruzioni - e una colonna più alta dell'altra,-  rimangono uno dei simboli della mia città."

"Hai mai pensato di fare la guida turistica?" chiedo, presa dal suo racconto.
Giuseppe sorride, scuotendo la testa. "No, lo sto facendo solo per te." Ingoia a vuoto, riprendendo a camminare. Lancia una rapida occhiata alla scalinata, prima di superarla e avanzare lungo il corso pieno di gente. E' calato un certo disagio tra noi.
Poi all'improvviso inchioda i piedi per terra, guardando un portone alla sua sinistra. Mi metto al suo fianco, osservando il basso edificio che abbiamo di fronte e dallo sguardo offuscato di Giuseppe capisco si tratti di un luogo molto personale. Una signora apre un lato del portone, stringendo la mano del suo bambino e dicendogli qualcosa mentre tira il pomello dorato verso di sè, richiudendolo. Giuseppe segue la coppia con lo sguardo e lo sento tirare su con il naso.
"È casa tua?" chiedo, rompendo il silenzio.
Giuseppe annuisce piano, riportando lo sguardo sull'edificio. "Era casa mia" puntualizza. Vedo la signora con il bambino allontanarsi rapidamente mentre Giuseppe prende un ampio respiro. "Sono passati più di settant'anni."
Gli prendo la mano e gliel'accarezzo dolcemente, stringendo le labbra. "Mi dispiace" sussurro e lui si gira a guardarmi, abbozzandomi un sorriso triste.
"Tranquilla, avrei dovuto metterlo in conto." Scioglie la presa dalla mia mano, si porta due dita agli occhi e li stringe forte, poi tira su con il naso e riacquisisce compostezza. Riprende a camminare senza dire niente. "Scusami, comunque" dice, dopo quasi cinque minuti di mutismo. "Per prima, intendo."
Non c'è alcun bisogno che specifichi, so bene a cosa si riferisca. "Non fa niente."
"No, perchè non voglio che le cose tra noi cambino solo per quel.." ingoia a vuoto, "bacio mancato."
"Giuseppe, basta."
"Non voglio che tra noi ci sia disagio. Siamo stati bene, fino ad ora, non era mia intenzione rovinare tutto."
"Ehi" dico, fermandolo. Poco più avanti ci sono dei camioncini in cui vendono panini, con i tavolini posti sul retro e le file interminabili alle casse. "Non hai rovinato niente, non mi sono fatta mica film mentali." Che idiota. Abbozzo un sorriso. "Sono cose che possono capitare, è stato sicuramente l'ambiente ad averti indotto così vicino a me."
"E' che mi sento in colpa."
Rimedia adesso!, vorrei urlargli, invece mi schiarisco la gola. "Mettiamoci una pietra sopra."
Lui annuisce. "Va bene." Riprendiamo a camminare, superando i camioncini e giungendo nei pressi di alcune pizzerie poste lungo tutta la parete sinistra. Giuseppe si guarda intorno, con gli occhi ben aperti. "E' tutto così diverso!" esclama. Passiamo accanto alla gente che mangia seduta ai tavoli, con i camerieri che ci tagliano la strada reggendo tra le mani piatti di pizza da distribuire. I tavoli sono tutti all'aperto, situati sotto un grande gazebo che ripara dal venticello. Procediamo, sentendo l'acquolina in bocca a causa di tutti quei profumi.
Giungiamo vicino ad un piccolo locale, non illuminato tantissimo, con scritto sull'insegna "L'Aragonese."
"E' un pub" dico, guardando le persone sedute intorno ad alcuni tavoli di fronte l'ingresso del locale. Giuseppe si aggrappa al mio braccio e indica verso un tavolo in particolare. Ci sono le due ragazze di prima, sedute, che parlano tra di loro e sembrano quasi esterrefatte.
Mi tira e andiamo verso di loro, nonostante abbia cercato di impuntare i piedi per terra per frenare l'inevitabile. "Ci si rivede" dice, appoggiandosi al loro tavolo. Le ragazze ci guardano ancora più infastidite di prima.
"Si può sapere cosa cazzo vuoi?" sbotta quella bionda, sgranando gli occhi.
"Non avevate detto che il padre di una di voi due era già arrivato per venirvi a prendere?" dico, assottigliando lo sguardo.
La ragazza con il caschetto è seduta di fronte l'amica e cerca disperatamente di guardarla negli occhi. La biondina prende la borsa dal suo fianco e si mette in piedi, facendola passare sulla sua spalla. "Sì, ce ne stiamo andando."
"Ma-" dice l'altra, indicandole lo scontrino con il conto già pagato ancora prima che le ordinazioni possano arrivare.
"Non fa niente" dice la biondina, "ce li facciamo restituire, e smettetela di starci addosso."
La ragazza con il caschetto prende la sua borsa e provano a liberarsi di noi, ma Giuseppe tenta di bloccarle con uno scatto del braccio. "Per favore!"
"Sparisci, maniaco!" gli urlano contro. La gente seduta ai tavoli intorno ci guarda e temo possa scatenarsi un putiferio. Solo che la loro uscita di scena viene bloccata dalla cameriera con il vassoio in mano. Due bibite e due panini.
"Ecco a voi" dice. Guarda le ragazze che se ne stanno per andare. "Non sono per voi questi?"
"Sì" dice Giuseppe, togliendo dalle mani della cameriera il vassoio e prendendolo tra le sue. Lo appoggia sul tavolo. "Sono per loro."
La cameriera sorride, mentre Giuseppe le spinge delicatamente per farle sedere.
"Lasciaci andare!" esclamano le ragazze, svincolandosi dalla sua presa.
Mi fermo dinanzi loro. "Sentite, non vogliamo creare scandali o cercare di attirare l'attenzione di tutti. Siete le uniche a cui Giuseppe ha deciso di parlare."
Sbuffano e si siedono al tavolo, mettendo quanta più distanza possibile tra noi e loro. Giuseppe si siede accanto alla biondina, io vicino a quella con il caschetto. Prende il bordo del vassoio e lo mette tra lei e l'amica, quasi a togliercelo davanti. "Chi cazzo siete?"
Giuseppe si passa le mani sul viso, sbuffando. "Non vogliamo darvi fastidio, davvero, è solo che avete visto qualcosa che non avreste dovuto vedere." Le ragazze si guardano. "E quindi temiamo possiate dire qualcosa al riguardo."
Caschetto Scuro sgrana gli occhi e tira fuori il telefono. Vedo di sfuggita stia eliminando qualcosa. "Okay" dice poi, riponendo il cellulare di nuovo in tasca. "Che volete dirci?"
"Non ci crederete, sappiatelo."
"Allora non dirlo, lasciamo tutto così come sta." La biondina incrocia le braccia sotto il seno.
Allungo la mano verso di lei. "Io sono Rose."
"Piacere, 'Sta Pizza" e sorride sarcastica.
"Elda!" esclama l'altra con tanto di occhi.
Mi giro allora verso Caschetto e le sorrido. "Grazie dell'informazione, e tu sei..?" dico, allungando la mano verso di lei.
La stringe titubante.  "Elisa."
"Bene, ragazze" dice Giuseppe, unendo le mani davanti alla bocca. "Cosa avete visto?"
"Vi ho visto apparire all'improvviso, come se pezzi di qualcosa di quasi luminoso andassero ad incastrarsi e formassero il vostro corpo" dice Elda, guardandoci con circospezione. "Quanto può essere vero, tutto ciò? Come avete fatto?"
"E poi" dice Elisa al mio fianco, "ho visto lei che parlava da sola." Mi indica.
Tocco il mio orecchio. "Ho un cip, inserito proprio qui che mi permette di capire la vostra lingua."
"Sicuramente" dice Elda, ironica.
"Io sono tedesca, ma vivo a Toronto da troppi anni. Lavoro per Nova Historia, un programma di recupero storico che mi permette di viaggiare nel tempo e registrare dettagli culturali di particolari epoche. Opero nel Novecento e raccolgo indizi sul tempo in cui mi trovo."  Mostro loro il mio display al polso, inquadrandole. "Sorridete!"
Elisa ci appoggia sopra la mano e mi scosta il braccio, "Continua."
"Il problema è che lui" indico Giuseppe, "in uno dei miei viaggi, si è attaccato a me e l'ho trasportato in sede, il che va contro le regole. Mi avrebbero sbattuto fuori a calci in culo, ma proprio mentre cercavo di portarlo nel millenovecentoquaranticinque - sì, proviene da lì -, il mezzo che mi permette di viaggiare nel tempo si è rotto. Ho un amico che è rimasto a Toronto e con cui sono sempre in contatto. Si chiama Nicholas ed è la persona con cui stavo parlando quando mi avete vista."
"Da quando l'arco si è rotto, abbiamo viaggiato per parecchio tempo, rischiando anche la vita a dir la verità, e ora siamo qui. Io sono un partigiano brindisino - ecco perché vi capisco senza alcun tipo di cip nell'orecchio - che all'inizio aveva perso la memoria, ma pian piano l'ho recuperata e ora ricordo tutto di me, ogni singola cosa."
"Bella storia, complimenti" dice Elda, annuendo.
"Avete mai pensato di scriverci un libro?" commenta Elisa, poi solleva un mano, aspettando che Elda le lasci il cinque.
"A quello ci pensi tu" dice l'amica ed entrambe dicono un "Agah" che non ho idea a cosa appartenga.
Che strana generazione.
"L'ho detto io che non ci avreste creduto."
"Ma è impossibile crederci, andiamo!"
"A vostra insaputa, o almeno non più" dico, prendendo l'orologio intertemporale in mano per controllare le coordinate storiche, "dall'altra parte del mondo in un futuro remoto penseranno di fondare Nova Historia, di conseguenza non posso dirvi altro."
"Tipico" dice Elda. Getta lo sguardo su Giuseppe al suo fianco. "Com'è combattere nelle lotte partigiane?"
"E' una merda, a dirla tutta." Giuseppe si smuove i capelli, mentre le due ragazze prendono i loro panini in mano e li spezzano in due. "E' tutto così complicato e sofferente. Perdiamo sempre pezzi della nostra squadra, temiamo che i nostri cari possano soffrire e soprattutto che i tedeschi abbiano la meglio."
"Vuoi uno spoiler?" dice Elda, strappando il suo panino a metà. "Vincerà l'Italia."
Giuseppe sorride, "Sì, credo di averlo capito." Mi lancia un'occhiata, poi Elda gli offre la metà del suo panino. "Oh, grazie."
Elda sorride e addenta la sua parte, poi vedo Elisa porgermi la sua. "E' solo con prosciutto cotto e mozzarella, ma spero ti piaccia."
Annuisco. "Tranquilla, grazie."
Effettivamente, non è male. Giuseppe fa fuori la sua parte in due minuti, mentre io ci metto un po' di più. Elda e Elisa sorseggiano la loro Coca-Cola, lasciandone giusto un po' per noi.
"Vi pagheremmo la metà che abbiamo consumato, ma non abbiamo denaro" dice Giuseppe, sfilando la cannuccia di Elda e bevendo direttamente dal bicchiere.
Lo imito, poi esco dal reggiseno i ticket che mi sono rimasti di mia nonna. "Abbiamo solo questi bigliettini per comprare la birra in Germania."
"Siete stati a Berlino?" chiede Elda, pulendosi le labbra con il tovagliolo.
Non so se ci stia prendendo in giro, o è sinceramente interessata. In ogni caso, scuoto la testa.
"No, una città poco conosciuta."
"Dove siete stati prima di venire qui, a Brindisi?" chiede Elisa, leccandosi le labbra. Ora che la vedo da vicino, noto una spessa linea di eyeliner sui suoi occhi.
"A Parigi, durante la Rivoluzione Francese e anche durante l'Esposizione Universale, poi ad Alessandria d'Egitto, a Potenza, nel Principato di Monaco, in Germania e ora a Brindisi." Sorrido.
Elda annuisce, poi socchiude gli occhi. "Quindi venite dal futuro."
Dico di sì con la testa, mentre Giuseppe scuote il capo. "Io dal passato, tanto per essere precisi."
"Dateci una sola ragione per credervi" dice Elda, mordendosi il labbro inferiore. "Diteci perché - nel caso tutto ciò fosse vero - non dovremmo dire niente a nessuno."
Giuseppe tira un grosso sospiro, poi appoggia entrambe le mani sul tavolo. Guarda Elisa ed Elda negli occhi. "Non avrei- non avremmo alcuna ragione per mentirvi. Dateci voi una sola ragione per cui dovremmo farlo."
"Ah, non lo so" dice Elisa, "siete voi che vi siete materializzati di fronte a noi."
"Allora metteci alla prova" risponde Giuseppe, abbozzando un sorriso. "Non sono un tipo che riesce a mantenere le bugie. Tento sempre di tenere tutto per me, e davvero, vorrei proprio riuscirci, ma sono una buona persona. Mi impongo di non dire niente per non suscitare infelicità, ma non ci riesco. Scoppio. Provo così disperatamente a tenere le cose per me da indurmi a soffrire più di quanto farei se dicessi la verità. Mettetemi alla prova" dice, guardandomi poi negli occhi. Riporta subito il suo sguardo sulle ragazze, "E vedrete che diciamo la verità. Uso il plurale perché se non ho mentito io, non ha mentito neppure lei" dice, indicandomi e sorridendomi.
Elda ci guarda, poi vede Elisa e stringe le labbra. Una forte folata di vento freddo ci fa rabbrividire. Elda apre la sua borsa e tira fuori una sciarpa verde con dei fiori dipinti sopra. Elisa si libera della sua - grigia e nera - e me la porge. "Non avete delle giacche, usate queste."
Giuseppe vede quella che Elda gli sta porgendo e solleva un sopracciglio. Vede poi quella di Elisa e sorride a labbra strette. "Vi va se facciamo scambio?"
Alzo gli occhi al cielo, prendendo io quella verde con i fiori rosa e Giuseppe quella grigio e nero. "Che c'è?!" esclama, mentre mette la sciarpa sulle spalle a mo' di mantellina, "e' più mascolino."
"Grazie" dice Elisa, sarcastica.
"No, non volevo dire che- oh, fanculo" risponde Giuseppe, schiaffeggiandosi la fronte.
Scoppiamo tutti a ridere mentre io mi circondo le braccia con la sciarpa verde acceso. "Grazie, in ogni caso" dico ad entrambe.
Sorridono, mettendosi in piedi e portandosi le borse in spalla. "E' un inizio, no?"
Giuseppe ed io ci guardiamo. "Cioè? Ci credete?"
L'unica cosa che abbiamo in risposta è un sorriso.

N/A
Ed eccoli qui a Brindisi, ma l'aspetto temporale purtroppo non coincide e quindi 🤗🤗 i nostri viaggiatori si sono persi nuovamente e devono rimanere in città per un bel po' questa volta!

Spero che il capitolo sia di vostro gradimento :)

Kaspercoffee spero piaccia anche a te :) :) :)

Alla prossima!
Un bacio 💜

P.s ovviamente le foto allegate in questo capitolo sono di Brindisi. In alto, la piazzetta in cui si sono materializzati e dove hanno incontrato Elisa ed Elda. Le altre, rispettivamente, il Monumento al Marinaio e le Colonne Romane.

P.p.s Lasciatemi qualche commento e continuate a votare :)

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