Parigi, Esposizione Universale

Sono forse le sette del mattino quando un bussare fortissimo alla porta mi sveglia, facendomi spaventare a tal punto da farmi cadere oltre il bordo del letto e finire addosso a James che è tutto rannicchiato su se stesso.
"Oddio!, perdonami!" dico ad un centimetro dalle labbra di James da cui esce un gemito di dolore soffocato.
"Rose!" sento una voce fuori dalla porta chiamarmi.  Con gli occhi ancora strizzati per il sonno, mi sollevo da James che si stringe le braccia intorno allo stomaco, rotolando all'interno del suo sacco a pelo. "Rose!" chiama ancora Nicholas da fuori la porta, sbattendo furtivamente il pugno sul legno. Mi avvicino zoppicando al bancone, schiacciando il pulsante. La porta si apre all'improvviso e Nicholas cade rovinosamente per terra, appoggiando le mani appena in tempo prima di sbattere il mento contro il pavimento. "Rose!" dice, mettendosi in piedi e venendomi addosso. Mi afferra per le spalle, scuotendomi. "La macchina è pronta, ho aggiustato l'arco!"
"E ti sembra modo di dirmelo?" chiedo sarcastica. "Che ora è?"
"Le sei e mezzo del mattino. Sbrighiamoci, prima che la zona si affolli e tutti notino la presenza di quel partigiano!" conclude, indicandolo.
James si mette seduto, continuando a non uscire dal suo sacco a pelo. I suoi capelli sono arruffati e sollevati sulla fronte. "Buongiorno" dice. "Chi mi da un paio di mutande?"
La mia bocca forma un ovale perfetto. "Sei nudo?" chiedo, basita.
Nicholas accenna un conato di vomito.
"Ti pare io rimanga con le stesse mutande per più di un giorno? Da quando sono qui ho indossato i pantaloni senza boxer, e devo dire il tutto sia stato abbastanza scomodo."
"Per Dio!" dice Nicholas, sollevando le braccia verso il cielo. "Te ne vado a prendere un paio pulito dai miei."
"Molto gentile" dico, andandomi finalmente a chiudere in bagno, socchiudendo la porta d'ingresso quel tanto che sarebbe bastato a Nicholas per tornare in camera mia.

Dopo essermi lavata e vestita, e dopo aver fatto indossare a James gli stessi vestiti che aveva addosso quando è arrivato qui, seguiamo Nicholas lungo il corridoio, attenti a non far rumore.
Sfilo l'orologio intertemporale dalla mia camicetta e attivo il display. Io e James ci posizioniamo sotto l'arco - ovviamente Nicholas ha disattivato momentaneamente le telecamere - e inserisco le coordinate.
"Speriamo bene" dice il mio ricevitore al di là del suo bancone, digitando qualcosa sullo schermo. Faccio ruotare gli ingranaggi e metto la data di interesse, afferrando subito dopo la mano di James, gelida al tocco e anche un po' umidiccia.
"Hai paura?" gli chiedo, guardando il suo profilo elegante e definito.
Lui annuisce senza guardarmi. "Tanta."
Stringo di più la presa intorno alla sua mano e aspetto qualche secondo prima che - insieme - ci smaterliazziamo.
La voce di Nicholas nell'orecchio è ben udibile e sebbene sia scomposta in minuscole particelle, viaggiando nella dimensione intertemporale, lo sento benissimo urlare contro la mia testa. "No, no, no, no, no!" dice e quando riapro gli occhi, vengo letteralmente gettata per terra. James cade sul fianco e si lamenta, prendendosi la spalla. Mi scuoto la terra di dosso e mi metto subito in piedi, porgendo la mano a James che la afferra.
"Che è successo?" chiedo a Nicholas, mentre mi guardo intorno. Non è per niente il boschetto in cui ho trovato James, nel sud Italia. "Dove cazzo siamo finiti?" ribadisco, continuando a vedere la zona circostante. Siamo in una via deserta, alla fine della quale si scorge una via colma di gente che guarda estasiata qualcosa che io non posso vedere da quella distanza.
"Heidorose" dice Nicholas, con voce tremante. "Solitamente, se qualcosa va male, vai in panico?"
Sgrano gli occhi. "Nick, non girare intorno alla questione. Parla!"
"Che sta succedendo?" chiede James, mentre fa ruotare la spalla indolenzita.
"No, perché io sto per svenire" sento la voce all'orecchio dirmi. Mi appoggio la mano contro di esso, trattenendo il respiro.
"Non ti azzardare, Nick, non permetterti di svenire per-"
"Rose, l'arco si è rotto mentre eravate in viaggio. Il carico elettrico che ha affrontato è stato troppo potente. Tecnicamente, siete persi nel tempo."
Rimango immobile.
"Rose, non mi pare di ricordare qualcosa della mia vita. E' normale?" mi chiede James, mentre si guarda alle spalle. "Niente mi è familiare in questo posto."
"Nicholas" dico, ignorando il partigiano al mio fianco. "Mi stai dicendo che-"
"Non siete giunti a destinazione e non so nemmeno come farvela raggiungere, nè come far tornare te in sede."

"Tranquilla, Rose, ce la facciamo!" tenta di consolarmi James, picchiettandomi sulla spalla. Quando nota che le lacrime non smettono di scendermi lungo le guance, si sporge e mi stringe in un forte abbraccio. Mi aggrappo con le mani alla sua schiena e mi stringo al suo petto, mettendo la testa nell'incavo del suo collo. La sua pelle ha un profumo delizioso.
E' strana la situazione che sto vivendo.
Le lacrime abbandonano copiosamente i miei occhi, eppure mi guardo attorno e rimango impassibile. Come se avessi affettato una cipolla e le lacrime ne fossero una conseguenza.
Solo che qui non ho una cipolla davanti.
Ho solo un'epoca in cui non dovevo giungere, con la possibilità che non possa più tornare nel mio tempo e per giunta con un partigiano che mi costerà il lavoro e la mia vita sicura.
Adesso tutto è in balia del tempo, l'unica cosa con cui possa rapportarmi.
"Adesso scriverò un permesso in cui chiedi un congedo momentaneo dal lavoro per portare tuo cugino a fare delle visite necessarie e a cui non puoi proprio mancare. Sperando che Campbell se la bevi."
Annuisco alla voce di Nicholas nel mio orecchio.
"E se rimarremo qui per sempre?" chiedo a nessuno in particolare.
James mi risponde per primo. "Non ti preoccupare. Non sei sola. Male che vada, intraprendiamo una nuova vita insieme - e non intendo in quel senso. Ci facciamo compagnia a vicenda."
Mi stacco da James e lo guardo negli occhi. "Facile dirlo per te, non hai più alcun ricordo tangibile della tua vita passata."
"Non rimarrai lì, Rose. Te lo prometto. Dovessi andare in capo al mondo a trovare qualche ingegnere che ne sappia più di me, io ti riporterò qui, puoi starne certa" dice Nicholas, rincuorandomi nonostante la lontananza.
"Non è una cosa carina da dirmi" mi risponde James a quello che ho detto prima, offeso. "E' brutto non ricordare niente, nemmeno più chi sono. Vorrei proprio vedere te al mio posto. E' già molto se non do in escandescenze, ma mostri - invece - un tale ottimismo in una situazione del genere."
"Ma quanto perbenismo" sento Nicholas dire volto a James, per questo non glielo dico a voce alta.
"Ora" dice il partigiano, prendendomi la mano e stringendomela. "E' inutile piangerci addosso e andiamo a studiare dove siamo finiti."
Con il palmo della mano mi asciugo le lacrime dalle guance e gli sorrido, tirando su con il naso. "Okay."
Mi lascio tirare ed iniziamo ad attraversare la via deserta, prima di sbucare in una specie di piazza gremita fino in fondo. Un giardino immenso si estende di fronte i miei occhi, abbellito da piscine e fontane graziosissime, con gente che si appoggia sui bordi in marmo con gli ombrellini per ripararsi dal sole oppure con il braccio incastrato a quello del compagno.
James si guarda attorno, prima di bloccarmi per le spalle facendomi girare d'un tratto verso la direzione in cui sono puntati gli occhi di tutti. Un grandissimo cartellone è posto tra la gente e tutti hanno lo sguardo perso in altezza. Quando capisco di che si tratti, parto dal basso verso l'alto per ammirare la magnificenza della Tour Eiffel inaugurata durante l'esposizione universale.
La gente la osserva in tutta la sua struttura, le assi di ferro, la punta che da quella distanza sembra minuscola, come se la si potesse stringere tra pollice ed indice.
Gli operai vengono premiati e la gente esulta, inaugurando quel simbolo che farà di Parigi la città dell'amore.
James quasi sorride di fronte la struttura in ferro che ci è davanti e che tutti ammirano come increduli di fronte l'operosità umana e di cosa le mani possano creare.
"Non ricordo nulla di me" lo sento dire, con gli occhi persi verso il cielo azzurro sopra di noi. "Ma di una cosa sono sicuro, che Parigi non l'avevo mai vista." Sorrido, stringendo le labbra. "E tu?"
Annuisco. "Ma solo per il mio lavoro. L'ho visitata in altre epoche, per cui non ho idea di come sia adesso."
James mi fa cenno di aver capito, poi abbassa lo sguardo e si guarda intorno. Alcune persone ci additano, facendo delle strane smorfie in viso. Aggrotto le sopracciglia, poi sento una donna bisbigliare dietro di me e mi giro di sottecchi, scoprendola mentre parla di me.
"Ma guarda questi due, sguatteri che lasciano il lavoro così, all'improvviso."
La donna ha il naso all'insù, occhi piccoli e labbra arricciate, infastidita. Mi giro per affrontarla di fronte.
"Scusami?!" dico, sollevando un sopracciglio. "Ma come ti permetti a parlarci in questo modo!"
La donna fa un passo indietro, scostando l'ombrello sotto cui si sta riparando dal sole.
"Sai che è una fiera? Sai, vero, che solo i nobili possono prenderne parte? A giudicare il vostro vestiario, non mi pare voi lo siate. Siete sicuramente due ragazzi che hanno semplicemente portato a termine una delle vostre solite bravate!"
James si mette in mezzo a noi, allargando le braccia e dandomi le spalle. "Mi scusi, signora, ma a prescindere da qualsiasi cosa noi abbiamo fatto o siamo, non ha alcun diritto di parlarci attraverso questi termini, nè la nostra presenza dovrebbe infastidirla. Siamo semplicemente due ragazzi in piazza, non stiamo recando alcun fastidio nella nostra contemplazione del monumento e non stiamo interferendo in nessuno dei vostri interessi. Quindi, senza tirarla troppo per le lunghe, ci giri intorno e prosegua la sua passeggiata senza giudicare. Buona giornata." Mi prende per mano e superiamo la donna, che ci guarda con la bocca spalancata e gli occhi quasi sul punto di uscire dalle orbite.
Giro la testa verso James e sorrido a trentadue denti. "Hai...parlato in francese?"
Lui si blocca in mezzo alla strada e mi guarda, sgranando gli occhi scuri. "Davvero? L'ho fatto? Non me ne sono nemmeno reso conto."
"Sapevi di conoscere la lingua così bene? Io l'ho parlata grazie al cip nell'orecchio, ma tu.."
James ingoia a vuoto e lascia vagare il suo sguardo per terra, in pensiero. "Io..non me lo ricordo."
Si rabbuia e non voglio che il suo ottimismo - disperso in aria - possa rovinare questa spiacevole situazione di un tempo che non ci appartiene. "Ma guarda un po' che bella becchettata hai fatto alla signora" dico, cambiando subito discorso.
James riprende a camminare, sollevando di nuovo lo sguardo sulla folla. "Mi fanno girare le palle tutte queste discriminazioni, come se noi le stessimo rovinando la fiera" mi risponde, portandomi via e lasciandoci la Tour Eiffel alle spalle. "Ora pensiamo ad altro."
"Ai vestiti!" dico, puntando l'indice della mano libera verso la vetrina di un negozio. "Quelli che abbiamo addosso non sono consoni alla situazione. Non puoi essere vestito da soldato in giornate di festa, in particolar modo a Parigi!"
James si morde l'interno della guancia. "Hai ragione."
Ci nascondiamo in una via lì accanto e avvicino il mio display - che nel frattempo sta riprendendo tutto - alle labbra. "Nick, sai se per caso agli Idonei spetti un badget?"
"Di che tipo?" chiede il mio migliore amico che nell'ultimo quarto d'ora è stato praticamente muto.
"Denaro."
"Oh" sembra illuminarsi. Mi sopraggiunge uno sbuffo alle orecchie. "No. Non hai denaro da utilizzare nei tuoi viaggi, sebbene questo non sia stato in programma."
"Allora?" mi chiede James. "Ti ha detto che abbiamo soldi?"
Scuoto la testa, "No."
"Bene, allora si fa come i vecchi tempi...cioè questi...cioè...hai capito" risponde, scompigliandosi i capelli.
Aggrotto le sopracciglia. "In che senso?"
Lui lascia la presa sulla mia mano e si avvia sulla strada principale, guardandosi attorno. Entra in una...birreria, suppongo.
Lo seguo e lo vedo interagire con un signore al bancone, mentre tutti gli uomini seduti ai tavoli in legno sbattono i loro boccali vuoti contro il bordo del tavolo in legno.
"Okay" sento dire al proprietario, prima che venga con me con due bicchieri di birra in mano. "Ho parlato con tuo cugino e avete bisogno di soldi." Mi fa prendere i due boccali in vetro con violenza. "Dunque guadagnateveli."
Sgrano gli occhi, vedendo James sfilare tra i tavoli in legno, ritirando i bicchieri già svuotati e ponendoli su un vassoio che regge con una mano sola. Mi avvicino a lui. "Che significa, tutto ciò?"
"Che non abbiamo la pappa pronta," mi dice lui, sfilandomi accanto e lasciando che il suo fiato caldo mi colpisca l'orecchio, "dobbiamo procurarci un po' di soldini."
Lo vedo interagire con gli uomini mezzi ubriachi, sorridendo loro e raccogliendo i loro boccali, poi quando mi vede ancora lì impalata, mi sprona con un cenno del capo, così inizio a scivolare tra i banconi, servendo birra a uomini puzzolenti e che cercano di rimorchiarmi, sebbene sia vestita come un maschiaccio.

Due ore e cinque litri di birre versati dopo, - ininterrottamente, tra l'altro, per una sfilza di clienti che sembravano volessero bere come unica azione della giornata -, sento Nicholas riprendere a parlare nelle orecchie. "Non male, però. Saresti brava a fare la cameriera." Lo ignoro, mentre il proprietario della birreria ci lascia i soldi in mano e ci invita ad andarcene.
James li conta e sorride, chiudedoli in pugno. "Bene, dobbiamo averne cura" mi dice.
Conto le mie monete e annuisco. "Sì, ma prima dobbiamo prenderci dei vestiti."
"Non ti piace l'idea di pranzare?"
Lo guardo, aggrottando le sopracciglia. "Pranzare?"
"Hai quel gigantesco orologio appeso al collo e non ti viene in mente di guardarne l'ora, di tanto in tanto?" Alza il viso verso il cielo. "A giudicare dalla posizione del sole, dovranno minimo essere le due del pomeriggio."
"Ah, allora andiamo a mangiare da qualche parte!"
"C'è una pasticceria lì, potremmo vedere se hanno qualcosa.." chiede James, superandomi e andando già in direzione del locale. Stringo le monete in pugno e le infilo nella tasca del pinocchietto. James sorride di fronte la vetrina ed entra nella pasticceria, mentre io rimango fuori. Ora che sento questo profumo venirmi alle narici, il mio stomaco brontola. Decido, nel frattempo, di filmare la zona circostante e noto due bambini giocare vicino al bordo del marciapiedi, con due trenini stretti in mano mentre li fanno muovere su e giù lungo la strada.
"Il mio è il più veloce" urla il più piccolo, correndo davanti a quello che presumo sia suo fratello, sono praticamente identici.
"No, il mio lo è" dice l'altro, superandolo con un salto. Li riprendo mentre continuano a giocare, quando James mi appare alle spalle con un cornetto in mano.
"Devi assolutamente mangiarlo" dice, porgendomi il mio mentre il suo è già sotto i denti. "E' la cosa più buona che abbia mai mangiato. Come fai a vivere di quello che la mensa di Nova Historia ti offre se ci sono tante bontà in giro."
"Perché io vivo a Toronto, James, non a Parigi. E poi questi cornetti" dico, infilando la punta in bocca per assaporarla, "non si trovano da nessun'altra parte." Il boccone mi fa andare in estasi.  James annuisce, sporcandosi le labbra di zucchero a velo. "Mi è capitato di mangiarne qualcuno prodotto nelle cucine di Nova Historia, ma niente è paragonabile a questa meraviglia."
"Hai ragione, davvero. E' un sapore così singolare che se lo avessi mai mangiato, me lo sarei ricordato senza dubbio. Questo è un altro punto che mi fa assicurare il mio non essere mai venuto a Parigi."
Annuisco, continuando a mangiare il cornetto con bramosia.
James lo finisce prima di me e si ripulisce le labbra con un tovagliolino. "Dovresti riprendere come lo fanno" dice, indicando la vetrina. Un uomo sta lavorando la pasta, amalgamandola con movimenti decisi e scattanti. Giro il display in quella direzione. "Approfittane, potrebbe essere un vantaggio per il tuo lavoro, trarre importanti momenti costumistici di Parigi."
"Sì" dico, guardando l'uomo mentre piega la pasta e inizia ad arrotolarla. Ne taglia piccole parti, chiudendole alla punta e arcuandole leggermente, appoggiandole su un vassaio da mettere in forno. Prepara già lo zucchero a velo da soffiare sopra.
"Mi sta venendo fame a guardare voi che masticate e il pasticcere che cuoce i cornetti" dice Nicholas al mio orecchio, poi un urlo. "Rose! Rose!"
"Che c'è?" dico, appoggiando la mano all'orecchio.
"Tornate vicino quella specie di arco! Subito!"
"Hai aggiustato quello metallico?" chiedo, prendendo la mano di James e trascinandolo con me. Lui sgrana gli occhi, quasi felice, sebbene non senta niente di quello che il mio ricevitore urli al mio orecchio.
"Probabilmente sì, muovetevi!" dice Nicholas, mentre svolto a destra e mi posiziono sotto l'arco da cui io e James siamo arrivati. La strada è ancora deserta. Gli tengo la mano ben stretta.
"Nicholas ce l'ha fatta. " Indico le nostre mani unite con un cenno del capo. "Non lasciarla nemmeno per un attimo. "
"Non ci tengo proprio a provare a fare una cosa del genere" mi dice eccitato, poi all'improvviso dei raggi tremolanti ci passano attraverso e, mentre sento il peso corporeo venirmi meno, sospesa in aria e smaterializzata in un secondo, sento un sussurro provenirmi alle orecchie e uno scatto.
"Cazzo."
E subito capisco che, adesso, qualcos'altro è andato storto.


N/A
Che la corsa nel tempo abbia inizio!
I nostri due viaggiatori ne passeranno davvero delle belle, sappiatelo.

Lasciatemi qualche commento, voglio sapere se la storia vi stia piacendo o meno!

Un bacione!

(Vi lascio nuovamente il trailer di questa storia, magari riuscite ad indovinare dove possano mai andare :-))

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