Ora x

Questa volta, però, si è trattato di una smaterializzazione diversa.
E' strano a dirsi.
Non siamo stati noi a perdere consistenza e arrivare in un altro mondo.
Appena ci siamo accorti della stranezza, abbiamo smesso di ridere e ci siamo guardati intorno. Siamo rimasti immobili mentre il mondo ha iniziato a sfumare, perdendo i colori primaverili che ci hanno accompagnato finora. I palazzi sono invecchiati di fronte i nostri occhi, si sono ricoperti di macerie, altri addirittura caduti in una nube di polvere scura e soffocante. Quando la città smette di vibrare, io e Giuseppe ci stacchiamo e sentiamo chiaramente di essere rimasti in Giappone, ma parecchi anni dopo. E' l'alba, o forse le prime ore del mattino, la gente urla e trema di fronte a noi, riparandosi all'interno delle case e giungendo le mani in segno di preghiera. Giuseppe stringe di nuovo la mia mano e serra la mascella.
Mi guardo affianco e non vedo più il kimono, faccio vagare lo sguardo sulla fine della strada e provo a vedere se riesco a scorgere la porticina in legno da cui Kinuye mi ha fatto entrare nella sua casa da geisha. Ma non la vedo. Al posto del piccolo edificio, vedo un cumulo di macerie e il mio cuore salta un battito. Ingoio a vuoto e abbasso lo sguardo sul mio orologio che oscilla contro il petto.
La mano mi trema quando tento di stringerlo tra le dita.
Prima che possa scorgere le coordinate, un respiro smorzato mi giunge all'orecchio.
"Rose, vi prego di non andare nel panico, sto provando ad aggiustare l'arco una volta per tutte prima che scatti l'ora x."
Sgrano gli occhi. Abbasso lo sguardo sull'orologio e vedo le coordinate storiche in cui siamo caduti.
Il respiro mi si smorza e gli occhi si riempiono di lacrime quando riconosco la data.
Vorrei non crederci.
Avrei preferito capitare in qualsiasi altro posto nel mondo.
Sei agosto, millenovecentoquarantacinque.
Mi giro verso Giuseppe proprio mentre una lacrima mi solca la guancia e già la immagino rigarmi il cerone bianco che mi ricopre il viso.
Giuseppe mi guarda allarmato e mi circonda la faccia con le sue mani delicate. "Cosa? Che succede?"
Mi lecco le labbra. "Stai per vivere anticipatamente qualcosa prossimo al futuro del tuo tempo."
"Cioè?" mi chiede, ingrandendo i suoi occhi.
Ingoio a vuoto e devo dirglielo.
Non so se questa volta riusciremo a sopravvivere.
Un'altra lacrime mi scivola sulla guancia e Giuseppe me la raccoglie al volo. "Dimmelo, Rose, ti prego."
"Sono le otto del mattino" inizio, sentendo degli spari poco distanti e le braccia che si ricoprono di brividi. "Fra quindici minuti, l'aeronautica militare statunitense della Seconda Guerra Mondiale sgancerà la bomba atomica su questa città."

Stiamo correndo per le strade, scansando macigni e gente che urla, che cade sotto il colpo di pistole. Una strana nebbia ci ingloba.
"Dobbiamo trovare un riparo!" urla Giuseppe terrorizzato.
So già che, se Nicholas non dovesse aggiustare in tempo l'arco, nessun riparo riuscirà a mantenerci in vita.
Le persone ci spingono, tentando di raggiungere le loro case.
Il rumore degli aerei si fa sempre più forte sulle nostre teste.
"Non avrei voluto che tu vivessi questo ancor prima del previsto" dico, e sono convinta che nonostante il trambusto, Giuseppe mi abbia sentita eccome.
Si blocca in mezzo alla strada e mi stringe le spalle con le sue mani. "Non siamo arrivati sin qui per morire, Rose. Non possiamo perdere la vita così."
"Forse ci sono quasi!" urla Nicholas nel mio orecchio.
Ci siamo inoltrati troppo oltre nella città. Non riusciremmo a ritornare indietro nemmeno se ci indicassero la strada. In questo momento, nessuno guarda nessuno negli occhi, ognuno pensa per sè in luce del pericolo imminente.
Abbasso lo sguardo sull'orologio.
Mancano cinque minuti scarsi.
Gli aerei supervisionano la città e ci sorvolano in movimenti circolari. Giuseppe tiene stretta la mia mano e guarda in alto, verso il cielo. Stringe la mascella. "Perché l'uomo è così malvagio" lo sento dire, e vorrei davvero dargli una risposta.
Ma non ce ne sarà mai una.
Riprendiamo a correre e sento le lacrime gelarsi sulle mie guance. Giuseppe si guarda intorno, poi in una via scorge una forma ad arco, così gira in quella direzione ed inizia a correre ancora più velocemente di prima.
Ed è solo quando arriviamo vicino all'arco che le urla della gente diventano disumane e quasi animalesche. Sollevo lo sguardo, rivolgendolo verso il cielo.
E la vedo.
La bomba appena sganciata che cade rapidamente su di noi.

Giuseppe si accosta al mio orecchio e urla contro il cip all'interno di esso. "Porca puttana, Nicholas! Portaci via da qui!"
Rabbiosamente mi stacco l'orologio dal collo, rompendo la catenina che me lo tiene legato ad esso.
Non ha più senso ormai.
Il terrore mi scorre nel sangue e non mi sento chiaramente lucida.
Finalmente Nicholas ci degna di una risposta.
Mi dice una cosa così impossibile che quasi non voglio crederci.
"Che ti sta dicendo?" mi urla Giuseppe, sollevando lo sguardo verso il cielo mentre la bomba continua la sua caduta. "Parla, cazzo!" dice, scuotendomi per le spalle. Stringo gli occhi e lascio che lacrime più pesanti abbandonino i miei occhi arrossati a causa del trucco e del pianto.  "Rose." Giuseppe mi guarda negli occhi, strigendo le mani intorno alle spalle. Ha la mascella serrata.
"Ha aggiustato l'arco" dico e mi scappa un singhiozzo. So che non c'è tempo da perdere, ma non ce la faccio a dirglielo. Non posso.
Non ci credo che non c'è nessuna alternativa.
Io non posso lasciarlo morire così.
"E allora cosa stiamo aspettando?!" sputa Giuseppe ad un millimetro dalle mie labbra. "Muoviti! Stringi questo cazzo di orologio e andiamocene prima che di noi non rimanga nemmeno l'ombra."
Altri singhiozzi scappano dalle mie labbra.
"Mi ha detto un'altra cosa."
Giuseppe impreca in dialetto brindisino. "Cosa cazzo ti ha detto?!" esplode.
"Ha studiato i comportamenti dell'arco e il perché non riusciamo a giungere a destinazione. Solo adesso ha capito tutto e l'ha riparato. L'arco non riuscirà mai a sostenere il peso di due persone."
Si immobilizza.
La città è caduta nel silenzio.
Si sente solo il ronzio della bomba nella sua inevitabile caduta.
So che ha capito.
Ma non ho la forza di dirlo a voce alta.
Gli trema la bocca e serra gli occhi. Una lacrima scivola sulla sua guancia ed è un colpo cuore.
"Quindi finirà così" dice. Sento chiaramente il cuore non battere più nel petto. "Uno di noi rimarrà qui a morire mentre l'altro tornerà a casa sua, finalmente." Annuisco e stringo l'orologio in mano. Giuseppe con un gesto delle braccia mi prende e mi mette sotto l'arco. "Torna a Nova Historia, Rose" dice, e un'altra lacrima abbandona il suo occhio. "Torna a casa e salvati."
Sgrano gli occhi e un gelo improvviso mi investe.
"No-"
"Io non so nemmeno se sopravvivo alla mia, di guerra. Tu hai una vita davanti, al sicuro e in condizioni sicuramente migliori! Fallo per me, Rose. Ti prego."
"Ma- ma io-" Mi stringo l'orologio al petto.
Solo uno di noi può tornare a casa.
Solo uno sopravvivrà.
Vorrei maledirmi.
Maledire il mio lavoro, la mia vita, il futuro a cui appartengo e il bene che voglio a Giuseppe.
"I miei giorni sono comunque contati e lo sai benissimo. Nessuno di noi due ha la certezza che, al termine di questo viaggio, io possa continuare a vivere comunque o abbastanza a lungo. Sono un partigiano, dannazione!" La bomba continua a scendere. Impiegherà al massimo due minuti. "Promettimi solo che non ti dimenticherai di me, Heiderose Berger." Inizia a piangere e si fionda sulle mie labbra in questo bacio salato che sa di paura e disperazione. "Addio" mi sussurra.
Non posso.
Non ce la faccio.
"E' ora" mi dice Nicholas con l'affanno.
Faccio scontrare la mia mano contro il petto di Giuseppe. Lui abbassa lo sguardo e si ritrova il mio orologio intertemporale in mano.
Mi stacco da lui. "Addio."
E si smaterializza di fronte i miei occhi, da solo.
Sento solo un urlo disumano nell'orecchio, Nicholas che impreca e sbatte violentemente i pugni contro il suo bancone. Mi porto una mano vicino al cip e lo disattivo.
Ora sono sola.
La bomba continua a cadere e vado incontro alla morte.
Forse sono una stupida.
Forse è un semplice sacrificio, il mio.
Ma non potevo lasciare che Giuseppe morisse qui, dopo questo lungo viaggio intrapreso solo per riportarlo a casa sua.
Stringo gli occhi e sento il ronzio della bomba sempre più vicina.
Chissà cosa c'è dopo la vita.
Chissà se sentirò dolore o se è solo un attimo in cui il mio corpo si smaterializzerà una volta per tutte.
Cado sulle ginocchia, senza forze e con il cuore che pompa più rapidamente il sangue nelle vene, come se volesse effettuare quanti più battiti possibili prima che cessi il suo lavoro definitivamente.
Spero davvero che la mia anima possa riposare in pace, dopo tutto questo.
Le lacrime infradiciano il mio viso e i singhiozzi mi smorzano il respiro. Voglio solo che questa attesa estenuante finisca.
Giunti a questo punto, prima muoio, meglio è.
Mi sembra quasi di tornare con la mente alla Rivoluzione Francese, quando stavo per perdere la testa.
Solo che forse, nonostante la paura e il terrore che ormai costituiscono interamente il mio misero corpo, questa volta è diverso, perché so che Giuseppe è a casa.
So che lui sta bene, può riprendersi la sua vita e continuare a viverla, sia anche per solo qualche misero mese. Non importa. Gliel'avevo promesso.
Apro gli occhi e li punto sulla bomba.
Cinquantametri.
Trenta.
Sono in pace, nonostante tutto.
Dieci metri.
Cinque.
Un rumore mi arriva alle orecchie e delle mani mi si stringono intorno al busto, trascinandomi.
Mi smaterializzo.

N/A
Il 6 agosto 1945, quando la Seconda Guerra Mondiale è ormai agli sgoccioli, gli Stati uniti hanno gettato la prima bomba atomica su Hiroshima, seguita dopo tre giorni da quella su Nagasaki, portando alla resa del Giappone.

In questo capitolo Rose fa smaterializzare Giuseppe, rimanendo in città da sola ad affrontare la situazione quando all'improvviso due mani la stringono e la fanno scomparire.
Chi sarà mai? :-)

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Un bacio ❤

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