Oktoberfest

E' la nonna che mi fa risvegliare. Sollevo di scatto la testa da sopra il cuscino, guardandomi intorno. Appena metto a fuoco, ricordo dove mi trovo. Giuseppe mi è praticamente addosso con le gambe, steso in orizzontale sul letto. Guardo mia nonna che sorride. "E' buio, Rose, forse è il caso che vi svegliate."
Annuisco, scostando le gambe di Giuseppe e mettendomi seduta sul bordo. Mi stiriracchio le braccia, sbadigliando. "A questo punto, avrei potuto fare un tiro continuo fino a domattina."
Nonna solleva un sopracciglio. "Non credo tu voglia perderti l'Oktoberfest, vero?"
Mi metto in piedi, divenendo lucida di colpo. "Davvero? E' in città!?"
"Certo, ti pare io ti dica una stupidaggine?"
"Ma ci sarà anche la piccola me."
"E quindi?" fa nonna, scrollando le braccia. "Se non sbaglio, ti interessavano più i gonfiabili che la birra. Forse ora le tue priorità sono cambiate." Mi sorride, accarezzandomi i capelli alle punte. "Non vi incontrerete, tranquilla."
Annuisco, girando intorno al letto. Prendo le mani di Giuseppe tra le mie, iniziando a tirarlo letteralmente fuori dal letto. "No, mamma, aspetta.." bofonchia. Alzo gli occhi al cielo, poi quando il suo sedere cade per terra, si sveglia di colpo, girandosi a guardarmi sollevando la testa. Si stropiccia i capelli. "Solo una cosa" dice, mettendosi prima in ginocchio e poi in piedi, "perché?"
Gli prendo la mano. "Ho qualcosa da mostrarti."
Gli indico le scale, ma prima che entrambi possiamo scendere nonna Heiderose ci blocca, schiarendosi la gola. "Un attimo solo" dice, estraendo qualcosa dalla tasca del suo grembiule. Ha in mano due mentine e dei ticket. "Avete un alito terribile, non potete stare tra le gente in questo stato." Scoppio a ridere e prendo la mia tra i denti. Poi mi lascia i ticket in mano. "Fanne buon uso." Li infilo nel reggiseno, sorridendole.
Giuseppe è ancora assonnato, gli occhi stretti e i capelli sfatti. Fa un inchino scherzoso mentre accetta la mentina dalla nonna. "A più tardi, signora." La mette in bocca ed inizia a masticarla. Quando scendiamo le scale, lo sento espirare con violenza. "Cazzo" dice, sventolandosi la mano davanti alla faccia. "Mi si è gelata la lingua!"
Sorrido, giocando con la mentina in bocca, poi prendo la mano di Giuseppe e usciamo fuori di casa, guardandoci intorno nel caso la piccola Rose appaia di soppiatto. Ma so per certo che è già sui gonfiabili con i suoi amici di infanzia. Sono quasi spinta dalla curiosità di andarli a vedere, piccoli e spensierati, mentre scivolano sulle superfici inclinate, anche solo per ricordarmi i miei vecchi amici che non ho più sentito dopo essermene andata a Toronto.
Giuseppe continua a fare degli strani versi con la bocca. "Spero almeno questa mentina dia l'effetto sperato."
"Se rimarrò accanto a te per tutta la serata, allora puoi averne una conferma."
Mi fa il verso, poi mi viene accanto. La landa è totolmente all'oscuro. C'è la luna piena, affiancata da alcune nuvole che si illuminano solo quando sono sul punto di coprirla. Le stelle sono luminosissime. Rimango con la testa sollevata verso il cielo per un tempo infinito, tanto che i nervi iniziano a farmi male.
Giuseppe mi scuote la spalla. "E quello cos'è?" chiede, indicando una specie di funivia che è stata appena messa in funzione. Sorrido e gli indico quella direzione.
"Il nostro passaggio" rispondo, avviandomi dove un gruppo di gente si è già formato. Sono delle piccole navicelle che sorvolano tutta la città, fino ad arrivare al Festival dall'altra parte di essa. E' un lungo sentiero posto a serpentina, in cui le bancarelle si susseguono una dopo l'altra. C'è solo una zona al centro adibita alla danza popolare, cicondata da lampadine luminose e un siparietto sul lato da cui mettono la musica. Un po' come i vecchi tempi.
Attendiamo il nostro turno in fila. C'è solo una coppia di fratellini che ci anticipa. Giuseppe sbatte il piede per terra, con lo sguardo perso sul gelato che uno dei due sta leccando con desiderio. Una navicella è in arrivo e i bambini si preparano a salire.
"Ma se gli sfilassi il gelato di mano e lo buttassi via solo per toglierli dalla fila?"
"Ti disconoscerei, Peppe."
Si immobilizza al mio fianco, girando di poco la testa per guardarmi. Ha le labbra schiuse e gli occhi stretti. "Come mi hai chiamato?"
"Perché?" chiedo, aggrottando le sopracciglia. I bambini salgono sulla navicella e partono alla velocità della luce. La prossima è lontana una quarantina di metri, mentre dietro di noi la fila si allunga sempre di più. Guardandomi alle spalle, noto la foresta con i suoi alberi alti e mi viene la pelle d'oca.
Giuseppe si lecca il labbro inferiore. "E' che.. Solitamente mi chiamavano così a Brindisi."
"Davvero?" chiedo, mentre la navicella si ferma dinanzi a noi. Le porte scorrevoli si aprono ed entro per prima, afferrando la mano di Giuseppe per farlo affrettare. "Chi?" domando, vedendo le porte trasparenti richiudersi dinanzi a me. Non gli do il tempo di rispondere che gli indico il vetro appena chiuso. "Adesso guarda."
Giuseppe aggrotta le sopracciglia e si gira verso il vetro. Partiamo in un attimo, volando sopra la vastità del prato scuro per la notte. Giuseppe appoggia una mano sul vetro, perdendosi a guardare al di là di questo. Arriviamo sulla città, sorvolando ad una velocità impressionte che sembra sfocare tutti i colori. Le luci sferzano il viso, passiamo oltre i gonfiabili su cui i bambini saltellano e sfioriamo i tetti degli imponenti palazzi. Passiamo accanto al campanile della città, così vicini da quasi sfiorare i mattoni che lo costituiscono. Giuseppe si guarda attorno e mi giro a notare il suo profilo colorato dalle luci della città sotto di noi. E' sereno. Quasi felice, oserei dire. Abbassa lo sguardo sui suoi piedi, vedendo il pavimento della navicella trasparente e l'infinità di gente che superiamo, volando, sospesi nel vuoto. Sorride e mi mostra i suoi denti bellissimi.
"E' come se.." Si interrompe, finendo di masticare la mentina che invece mi si è sciolta sulla lingua cinque minuti fa. Lo guardo, ricambiando il suo sorriso.
"Come se?"
"Stessimo volando, Rose" continua, guardandosi attorno. "C'è solo questo vetro ad isolarci dall'aria sferzante."
Annuisco, stringendo le labbra. La navicella inizia a rallentare e Giuseppe stacca la mano dal vetro delle porte, facendo un minimo passo indietro.
Quando si ferma, usciamo all'aperto e quasi mi sento barcollare. Il movimento della navicella è stato così rapido da minare il nostro equilibrio umano. Gli altri sono ben stabili sulle proprie gambe, forse è un problema solo mio, dovuto al fatto che non abbia usato queste navicelle per ben diciotto anni della mia vita. Giuseppe mi prende per mano e mi trascina verso le bancarelle. "Cos'è questo posto?" mi chiede, girando su se stesso.
Mi libero dalla sua presa e allargo le braccia come a voler abbracciare il mondo attorno a me. "L'Oktoberfest!" esclamo.
Giuseppe sorride a denti scoperti. "Mi vuoi fare ubriacare?" chiede legittimamente.
Scoppio a ridere, dandogli un leggero spintone. "Certo che sì. Non dirmi che sei astemio!"
Giuseppe ride a sua volta, sollevando le sopracciglia e facendo schioccare la lingua contro il palato. "Ma neanche per sogno! Ti ricordo che sono lo stesso uomo che ha bevuto vino con te a Torino."
"Era vino bianco, non conta!" dico, facendo un vago gesto della mano. Iniziamo a camminare l'una accanto all'altro.
"Signorina Heiderose, è sempre alcol. Stasera esigo di vederti ubriaca."
"Ci tengo a renderti tale!" dico, facendogli l'occhiolino. La gente ha già i bicchieri in mano intorno a noi, sorseggiandoli oppure facendoli fuori in un attimo. Alcuni pezzi di vetro sono già finiti per terra. Li scanso, saltellando. Ci fermiamo alla prima bancarella.
"Due bicchieri, per favore!"
L'uomo annuisce, prendendone due dallo scatolo alle sue spalle. Li appoggia sul ripiano, stappando una bottiglia di birra dal lato. Lascia il tappo sul ripiano, producendo un tintinnio. Inizia a versarla nei calici, producendo poca schiuma. Gira la bottiglia in mano per evitare che goccioli, poi allunga la mano verso di me. "Due ticket."
Annuisco e li tiro poco elegantemente fuori dal reggiseno. Ne ho otto, tutti piegati tra loro.
Grazie, nonnina.
Ne strappo due e glieli do in mano. I restanti li rimetto nel reggiseno. Poi l'uomo ci porge i due bicchieri. Giuseppe gioca un po' con il calice prima di sorseggiare la birra. La assapora, prima di darmi un giudizio.
"E' molto amara, questa."
Annuisco. "Già."
"Che tipo di birra é?"
Scuoto le spalle. "Non ne ho idea."
Giuseppe fa per girarsi per vedere a quale marca lo stand appartenga, ma lo tiro via. "Dai, su. Non pensiamo al nome-"
"Ma magari ci avvelenano!" dice scherzando.
"Sarà sicuramente qualche specialità tedesca che non avrai più occasione di provare, in quanto unica nel suo genere." Tracanno un altro poco dal mio bicchiere, sentendo la schiuma pizzicarmi il labbro superiore.
Giuseppe stringe le labbra, annuendo. I suoi occhi sono fissi su di me. "Già. Unica."
Lo prendo sottobraccio, riprendendo a camminare tra la gente. Ovunque ci sia una fila più lunga, significa che la birra è migliore. Poco più avanti ce n'è una, ma prima di poterla raggiungere una donna ci blocca in mezzo alla strade. "Assaggiate questi Strudel, signori, sono ottimi! Veniamo da un villaggio qui vicino!" Ci porge il dolce in un fazzoletto di carta, sorridendoci.
La ringraziamo e dividiamo lo Strudel a metà. Indico la sua parte con un gesto del capo. "Prima tu."
"Perché mai?"
"Perché io l'ho sempre mangiato, idiota. Sei tu quello che sta provando tutto per la prima volta."
Annuisce con il capo, appoggiandosi un dito al mento con fare pensoso, "Sì, ha senso." Addenta il dolce, sporcandosi leggermente la bocca. Se la pulisce con il piccolo tovagliolo, facendo cadere tutte le briciole. Un gemito di piacere fuoriesce dalla sua bocca ancora piena.
"Io..Io.."
"Ti piace?" domando, prendendo un pezzo dal mio.
"Lo amo, Rose!"
Mi lecco le labbra, raccogliendo le poche briciole che mi sono rimaste attaccate. "Meno male, altrimenti ti avrei picchiato fin quando non avresti affermato il contrario."
Scuote il capo, finendo la sua metà. Per poco il contenuto non esce tutto di fuori. Lo mantiene con le altre dita, strafogandosi. Scoppio a ridere e non importa che la gente ci stia osservando. "Che scena patetica" bofonchia tutto sporco.
Gli sfilo il tovagliolino di mano e lo aiuto a pulirsi, gettandolo nella pattumiera accanto a noi.
"Sei un maiale."
"Sei tu che mi fai diventare ingordo!"
Alzo gli occhi al cielo, finendo la mia parte di dolce con calma e senza sporcarmi. D'altronde, ero abituata a mangiarlo così.
Arriviamo alla fila di fronte un nuovo stand di birra e mi finisco quella che ho nel bicchiere. Storpio la bocca in un'espressione disgustata. "Prima mangio un dolce e poi bevo la birra... Mmmh" mugugno per finta. "Che bontà."
Giuseppe ha un conato, così si scola tutta la birra rimanente, facendo una smorfia. "Ho bisogno di rifarmi la bocca prima che la bile mi risalga."
Aspettiamo il nostro turno, osservando questa volta i camerieri che spillano la birra da piccoli rubinetti attaccati alle botti. La gente assapora la birra, annuendo soddisfatta.
"Deve essere buona" ipotizza Giuseppe, indicando la gente che, pian piano, abbandona la fila.
Annuisco. "Ovviamente. Ti porto sempre nelle parti migliori."
Quando tocca a noi, porgiamo i bicchieri svuotati ai camerieri e li vediamo mentre li riempiono piano con la birra che esce zampillando dai barili. Si crea un po' di schiuma che increspa la superficie del calice. Ce li riempiono fino al bordo.
Do altri due ticket e afferro delicamente il bicchiere per l'asticina in vetro, facendolo scontrare leggermente con quello di Giuseppe in un rapido brindisi.
La smuove un po' in bocca, facendola aderire al palato per gustarla meglio.
"Mi piace più questa di quella di prima."
Sollevo un sopracciglio. "Ormai sei un esperto intenditore" rispondo, sollevando il bicchiere e guardandolo oltre il bordo.
Lui annuisce, bevendosi mezzo calice senza riprendere fiato. I suoi baffi sono sporchi di schiuma bianca. Si passa due dita su di essi, schifandosi. "Hai ragione, sono un maiale che non sa nè bere, nè mangiare decentemente."
Lo prendo di nuovo sottobraccio, passeggiando lungo il sentiero segnato dal festival. Ogni tanto, ci passano delle navicelle sopra le nostre teste, piene di gente che guarda in basso.
"Quando ero piccola" inizio a dire, dopo aver preso un altro sorso di birra, "mio padre e mio nonno venivano sempre qui. Non bevevano tanto, andavano sempre allo stesso stand."
"Mentre tu-"
"Rimanevo con mamma e nonna di fronte i gonfiabili. Non permettevo mai loro di andare con gli uomini della famiglia, le tenevo sempre egoisticamente con me."
"Che bambina cattiva."
Annuisco. "Le vedevo sempre sbuffare e la loro noia mi divertiva, perché sapevo che comunque sarebbero rimaste con me."
"Avevi solo una decina d'anni, dopotutto."
Stringo le labbra, bevendo altra birra. La sensazione amara mi brucia un po' la gola, adesso.
"Già."
Un uomo mi taglia improvvisamente la strada, andando a parlare con una donna dall'altra parte della via. E' molto più giovane di lui, quasi sulla trentina, mentre il signor Breuer - lo riconosco - ne ha cinquanta. Ha la barba brizzolata, gli occhi ben aperti e la mano allungata al fianco che quasi sfiora quella della donna di fronte a sè.
Sgrano gli occhi. Vedo dall'altra parte della strada una donna sulla cinquantina che sta parlando con il cassiere dello stand, completamente ignara di cosa suo marito stia facendo. Mi blocco in mezzo alla strada e Giuseppe mi imita. "Che è successo?" chiede, prendendo un sorso dal suo calice.
"Non posso crederci!" dico, guardando attentamente l'uomo che ora ha uno sguardo rabbuiato, perso sulle labbra della donna avanti a sè che gli sta sussurrando qualcosa vicino al viso. La confusione intorno fa credere loro che nessuno potrebbe vederli.... Ma eccomi qui. "Quel signore lì, lo vedi?" dico, afferrando Giuseppe per una spalla e facendolo voltare in quella direzione. Mi metto in punta di piedi per sussurrargli all'orecchio. "E' il direttore della banca, famoso per la sua alta infedeltà nei confronti della moglie. Mi stupisco ancora di quanto la signora Breuer possa essere ingenua."
"Perché mai? Come fai a saperlo?"
"Sorvolando su tutte le dicerie che scorrono nella vie di questa città, devi sapere che il figlio dei Breur, Aartur, era un mio caro amico. Quando non ero da mia nonnna, ero con lui e altri amici della mia stessa età. Lo stesso Aartur mi diceva che, quando era con noi, gli sembrava di vedere il padre in banca che parlava animatamente e con interesse con una semplice commessa." Indico la donna che abbiamo poco più avanti. "Ovvero lei."
"E cosa ti fa pensare che la moglie non lo sappia già, ma stia cercando di portare avanti la scena?"
Alzo gli occhi al cielo. "Una volta vide il marito nudo nel letto, coperto da un semplice lenzuolo. Aveva l'affanno. Pensava si fosse preparato per lei, mentre nell'armadio nell'altra stanza, chiusa, c'era lei, la commessa della banca di cui era direttore."
Giuseppe sgrana gli occhi. "Che schifo, Rose! E voi bambini parlavate di queste cose a soli otto anni? A quell'età si gioca a carte, ad acchiapparello, a nascondino oppure al gioco del fazzoletto, non si pensa a questi gossip di cattivo gusto per voi!"
Gli do un leggero schiaffo sul braccio, proprio mentre la signora Breuer si gira e il marito si scosta dalla donna più giovane, facendo finta di avere un dolcetto in mano appena comprato. Si volta verso la moglie, stampandosi un bel sorriso in viso e porgendole il piccolo dolce. La signora Breuer gli da un bacio sulla guancia e lo prende sottobraccio, avviandosi via e allontanandosi da me.
Guardo Giuseppe. "Sei tu il ragazzo proveniente dei vecchi tempi. Devo ancora ricordarti del fatto che tu provenga da un altro secolo, mentre io dall'epoca in cui la tecnologia è in rapida avanzata verso l'avanguardia?"
"Non c'è niente di tecnologico in queste storielle di infedeltà!"
"Per non parlare del fatto che il loro stesso figlio ce lo raccontò."
Giuseppe alza gli occhi al cielo e riprendiamo a camminare. Pian piano, il rumore della folla intorno a noi viene quasi superato da una musica che aumenta sempre più di volume. Finisco la mia birra, appoggiando il mio mio bicchiere sul bordo dello scaffale di una bancarella. Lo sento, dopo, frantumarsi a terra.
Pazienza.
Prendo quello di Giuseppe, strappandoglielo di mano mentre finisce di bere. Una goccia gli scivola sul mento, così gliela raccolgo con il pollice e me lo asciugo sulla sua camicia - ovvero quella di mio nonno, ma questi sono solo dettagli. Lascio il bicchiere sullo stesso scaffale di prima e quando afferro la mano di Giuseppe, sento il rumore di altri vetri in frantumi alle nostre spalle. "Ti odio quando fai così" dice Giuseppe, mentre lo trascino verso la musica, ormai, poco più avanti.
Per la fretta, calpesto diversi piedi e do alcune spallate, ma solo una mano mi blocca in mezzo alla strada. Giro di scatto la testa e quando incontro gli occhi di mia nonna mi tranquillizzo.
"Dimmi tutto" le dico, sorridendo.
Nonna mi accarezza la guancia, stringendo le labbra. "Sei così bella.. Non voglio dimenticarti."
"Ma nonna" dico, prendendole la mano con dolcezza. "Non me ne sto andando-"
"Non sai nemmeno tu quando l'arco possa tornare in funzione, quindi voglio godermi questi minuti quasi fossero gli ultimi."
Le sorrido. Mi sporgo verso di lei e le lascio un sonoro bacio sulla guancia rugosa. "Ti voglio bene, questo ricordalo sempre. Non temere che, una volta grande, te ne possa volere meno di prima. Il mio cuore ti riserva un posto dentro di sè, da sempre."
Nonna annuisce e mi picchietta dolcemente la spalla. "Mi raccomando, tesoro mio. Non demordere mai e continua ad essere come sei, simpatica, dolce ed allegra." Ad uno stand al nostro fianco c'è un gruppo di vecchiette, presumo amiche - pettegole - della nonna.
Sento una piacevolissima musica provenire dalla piazzetta più avanti, così faccio un passo e mi stacco da nonna. "Amo questa canzone!" dico, ricordandomene le parole in tedesco. Mi sembra quasi di canticchiarla nella mente. "Non voglio perdermela!"
"Vai, piccola mia e stai attenta a non farti scoprire!" saluta mia nonna.
Giuseppe le fa un cenno del capo ed io le sventolo la mano mentre trascino il mio amico. "Ci vediamo!" urlo, ma la musica sicuramente avrà ovattato la mia voce.
Giungiamo alla piazzetta illuminata da svariati colori proiettati da un congegno fissato sulla testa del dj. Giuseppe incrocia le braccia al petto, con gli occhi fissi sulla gente che balla la danza tipica della mia città. Ci sono molti giovani e, tra essi, riesco a scorgere qualcuno che conoscevo. Mi sembra quasi di essere entrata nella mia testa, rivivendo alcuni ricordi che stando a Toronto avevo rischiato di perdere. Sorrido, vedendo le coppiette danzare oppure ragazze che ballano l'una accanto all'altra quasi come in un ballo di gruppo. Giuseppe vede attentamente i passi di danza e scruta i movimenti delle braccia, cullando la testa a ritmo della canzone.
Gli prendo la mano e lo trascino con me in pista. Nessuno dovrebbe riconoscermi, fortunatamente il dj sta giocando con le luci ed è difficile ormai riconoscere i volti nella folla.
"No, no!" Giuseppe oppone resistenza, "non voglio essere parte di questa figura di merda!"
"Ma a Potenza hai danzato con me!" dico, continuando a trascinarlo.
"Era un lento, Heiderose, un cazzo di lento in cui devi ondeggiare, non ballare con passi cadenzati e quasi sospesi per aria!"
Scoppio a ridere, ma ormai siamo al centro. "Non è difficile, e so benissimo che conosci i passi. Li hai studiati per qualche minuto, si ripetono sempre."
"No."
"E dài!" dico ad un palmo dal suo naso.
"Ho detto no."
"Si fa così." Aspetto che la canzone termini il ritornello per poter cogliere il ritmo dei passi ed inizio a danzare di fronte Giuseppe, che ha incrociato nuovamente le braccia al petto.
Ballare in questo modo mi fa quasi tornare ai miei otto anni, quando saltavo sui gonfiabili e abbozzavo qualche passo di questa danza tipica. Eravamo troppo piccoli per andare in piazzetta, ci dilettavamo su qualcosa su cui, cadendo, avremmo rimbalzato senza farci male.
Chiudo gli occhi, muovendomi insieme alla canzone che assomiglia a quel tipo di musica ripetitiva e che si protrae per diversi minuti. Giuseppe ride di fronte a me, scuotendo la testa. Mi avvicino a lui, liberandogli le braccia e muovendole insieme a me. Appoggia poi le mani sui miei fianchi e guarda i nostri piedi vicini. Inizia a muoversi impacciatamente e proprio mentre inizia ad abituarsi alla consequenzialità dei passi, il dj cambia musica. E' sempre movimentata e tutti la ballano un po' come vogliono, destreggiandosi in mosse bizzare e stravaganti. Giuseppe non si muove più di tanto, ha le sue mani aggrappate ai miei fianchi e mi guarda ridendo.
I suoi occhi sono stretti a causa del suo sorriso e il viso si illumina di svariati colori che si susseguono. Mi attira a sè, facendomi appoggiare la testa sulla sua spalla. Si abbassa per sussurrarmi qualcosa all'orecchio mentre intorno a noi la piazzetta si riempie di gente che si destreggia a ritmo di questo nuovo suono. Ho un leggero affanno.
Il suo respiro mi accarezza la pelle. "Sai, io e tua nonna abbiamo una cosa che ci lega."
"Il fatto che tu abbia addosso i vestiti di mio nonno?" dico, ridendo.
Lui scuote la testa. "No. Che entrambi non vogliamo dimenticarti."
Mi scosto dalla sua spalla mentre lentamente ci fermiamo al centro della piazzetta e la confusione si concentra intorno a noi. Il tempo sembra immobilizzarsi. Un leggero venticello sposta i miei capelli sul viso, facendo ondeggiare gli alberi intorno a noi. Giuseppe si abbassa su di me, inclinando leggermente la testa. Improvvisamente, mi ritrovo ad andargli incontro, piegando il mio viso in direzione delle sue labbra.
I nostri nasi si sfiorano, il mio respiro si scontra con il suo e le nostre bocche sono distanti qualche millimetro. Eppure, si blocca.
Non prosegue.
Se solo articolassi la "u" con le labbra, sfiorerei le sue.
Il cuore mi batte a mille, il respiro quasi accelerato e sento dentro di me il bisogno di baciarlo. Ne sento una necessità improvvisa, forse alimentata da questo indugio.
E' fermo, non osa lasciarmi un bacio.
Lo vedo strizzare gli occhi con rabbia e rilasciare il respiro dal naso, pesantemente. Si allontana da me. "Non posso" lo sento bisbigliare a causa della musica troppo alta. Abbasso lo sguardo sulle sue mani ancora aggrappate ai miei fianchi. Il freddo delle sue dita oltrepassa il tessuto dei vestiti puliti.
Un urlo mi fa girare verso una signora che sta indicando il cielo sopra di noi. "Una stella cadente!"
Sollevo lo sguardo, sperando di cogliere la scia della stella per togliermi dalla mente questo momento imbarazzante, ma i miei occhi incontrano solo l'impalcatura di un vecchio arco di marmo, risalente a molti secoli prima.
Abbasso gli occhi su Giuseppe e ci smaterializziamo di colpo, senza alcun preavviso.

N/A 🍻
Erano così vicini.... ma vabbè :-)

Che ve ne pare ? L'Oktoberfest di cui ho parlato in questo capitolo è un festival della birra che si tiene in Germania, a Monaco di Baviera, gli ultimi due fine settimana di settembre e il primo di ottobre. Ovviamente non è come l'ho descritto, l'ho plasmato come ho voluto e l'ho ambientato in un altro posto, allontanandomi dalla sua vera composizione di stand, diversi palcoscenici e luna park :)

I nostri Rose e Giuseppe sono sempre più affiatati... :-)

Vi aspetto al prossimo capitolo (Kaspercoffee apprezzerà 😉😉)
Lasciatemi qualche commento e votate!
Un bacio! 💜

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