Oasi americana
La testa mi gira e non riesco nemmeno ad aprire gli occhi.
L'aria non passa attraverso il naso, mi sento la gola ostruita e le braccia e le gambe immobili.
La presa di Giuseppe è salda intorno al mio corpo e sento chiaramente la materializzazione ridarmi consistenza e peso.
I rumori sono ovattati, mi sembra quasi di essere sospesa in una bolla di sapone.
E' la voce rotta di Giuseppe che mi arriva alle orecchie. "Vi prego, vi prego, aiutatemi!" urla, e capisco stia correndo, a fatica, ovunque noi siamo.
Nicholas mi sussurra alle orecchie come se non volesse disturbarmi. "Rose, resisti, per favore. Non lasciarmi proprio tu."
Vorrei dirgli che sento, sento la sua voce e quella di Giuseppe, ma niente abbandona le mie labbra.
Giuseppe parla con qualcuno, continuando a chiedere aiuto. Poi si accovaccia per terra, tenendomi ancora contro il suo petto. Appoggia le sue labbra sulla mia fronte. "Rose, respira, ti prego."
Sento dei passi e dei piccoli urletti intorno a noi.
Poi la voce di un uomo. "Ho richiesto soccorsi" dice con la sua voce, mentre sento una presenza accostarsi a me e portarmi due dita alla gola. "Com'è successo?" chiede.
E' Giuseppe che gli risponde, lasciandosi scappare qualche colpo di tosse che scuote persino me. L'uomo si sporge, controllandomi il viso. "E' stato un incendio" dice e lo sento prendere circondare con le dita il mio orologio intertemporale. "Eravamo ad una festa in maschera e le candele hanno bruciato i festoni. Lei era rimasta chiusa in bagno. Il locale adesso è stato liberato dalle fiamme" inventa, ingoiando a vuoto. I suoi respiri mi arrivano fin sulla fronte.
Le palpebre mi tremano.
Sento dei rumori chiassosi intorno a me, poi vengo sollevata di peso e stesa contro qualcosa di rigido. "E' viva, ma ha bisogno di ossigeno" dice una terza voce, dopo essersi accostata alla mia bocca. Vengo trascinata via, sentendo gli scossoni della terra sotto di me. Poi è come se cadessi nel buio.
Non ho idea di quanto tempo passi, non ho idea se sono viva o dove io mi trovi.
L'unica certezza che ho è che sto respirando.
Sento l'aria raschiarmi la gola, passarmi attraverso il naso in dense quantità.
Le palpebre mi tremano un po', ma finalmente riesco a sollevarle. Una luce abbagliante mi investe.
Sono su un letto, coperta da un leggero lenzuolo e le braccia adagiate su di esso. Mi guardo la pelle, completamente sporca di fuliggine. La prima cosa che provo a fare è muovere le dita.
Mi tremano, ma riesco a sollevarle. Riesco a spostare anche, lentamente, il braccio e le gambe sotto il lenzuolo. Giro piano la testa e vedo Giuseppe steso in un letto al mio fianco, con gli occhi chiusi e la bocca aperta. E' come se stesse dormendo. Abbasso gli occhi verso la punta del mio naso e scorgo una mascherina che si appanna ogni volta io rilasci un sospiro.
Mi sento meno indolenzita di prima, quasi come se fossi rimasta in stand-by, ferma in una posizione scomodissima. Una figura appare da una porta sul lato.
Ha un camice bianco e le mani nella tasche. Mi guarda e mi lancia un sorriso. Ha un filo di barba sul mento, gli occhiali sul naso e un neo sulla guancia. Il suo cognome è italiano. "Salve, signorina Berger."
Sgrano leggermente gli occhi.
L'uomo solleva una mano, avvicinandosi alla mia. "Non si spaventi, è al sicuro adesso." Lancio uno sguardo a Giuseppe che, intanto, si gira, dormendo sul fianco. Gli hanno ripulito in parte il viso. "Sono il dottor Marconi, e mi sono preoccupato di somministrarle ossigeno per ripulire i canali respiratori ostruiti. Un altro po' di inalazione, e lei non sarebbe qui."
Confortante. Mi giro a guardare Giuseppe che dorme.
Vorrei parlare, ma la maschera mi nasconde la voce. Il dottore mi si avvicina e controlla i dati su una cartellina posta su un comodino. Sfoglia i documenti, inumidendosi il pollice e l'indice della mano.
All'improvviso sento un movimento alla mia destra e scorgo Giuseppe imporsi sul gomito, guardandomi con occhi ben aperti. "Come sta?" domanda, come se non si fosse accorto io stia sveglia. Sollevo una mano e solo a quel punto Giuseppe si mette seduto e scende dal letto, inginocchiandosi accanto al mio e prendendo la mia mano tra le sue. "Ehi" sussurra.
Il dottore si sposta e ci guarda. "Sta molto meglio rispetto a quando siete arrivati. Il fumo le aveva quasi completamente ostruito i polmoni."
"Ma potrà uscire dall'ospedale?"
Il dottore gli sorride. "Ma certo! Aspettiamo un'altra oretta e potremmo sfilarle la mascherina." Il medico si abbassa sul mio viso e controlla la condensa sui bordi della plastica. "A giudicare dal fatto che stia appannando la mascherina, direi abbia ripreso a respirare in maniera migliore. Passerò più tardi" dice, salutandoci con un gesto del capo e uscendo dalla stanza. Mi guardo intorno, girando la testa verso sinistra. Il sole è basso nel cielo, sta tramontando, e la sua tenue luce filtra attraverso le persiane della finestra leggermente socchiusa.
"Rose" sento una voce al mio orecchio. Chiudo gli occhi, cercando di dedicarmi alla sola voce di Nicholas. "Mi dispiace tantissimo, non avrei mai voluto farvi correre un rischio del genere."
"Non..farlo" sussurro, sperando lui mi possa sentire. Sposto lo sguardo sul mio polso e non trovo il mio display, nè il mio orologio appeso al petto. Sgrano gli occhi, cercando di vedere quelli di Giuseppe. Mi porta una mano al lato della testa.
"Cosa? Che è successo?"
Ho la gola secca, le parole mi escono sottilissime. Indico con lo sguardo il mio polso e avvicino il braccio al petto. Giuseppe vede il mio gesto e aggrotta le sopracciglia. Poi sembra essersi accorto di tutto e subito. "Oh, i tuoi attrezzi." Si abbassa e tira fuori da sotto il letto il mio zainetto in cuoio, aprendo la taschina esterna e facendo uscire l'orologio e il display. "I dottori mi avevano ordinato di toglierteli e ho pensato di metterli qui." Mi aiuta ad indossarli, ma prima tento di vedere la data segnata sull'orologio intertemporale. Ci troviamo nei ruggenti anni Venti americani.
Un'ora e mezza dopo, sono in piedi nel corridoio dell'ospedale di New York, con Giuseppe che mi aiuta a camminare tenendomi fissa una mano appoggiata alla schiena.
"Cosa ti hanno fatto?" chiedo sottovoce, abituandomi a respirare a ritmi regolari. Mi sembra quasi di essere rinata. Giuseppe ingoia a vuoto, facendomi procedere a piccoli passi verso l'uscita.
Prima però si ferma di fronte un piccolo bar nei pressi del pronto soccorso. "I miei polmoni non erano compromessi come i tuoi. Non dico che non ho respirato, ma la mascherina mi ha aiutato a riprendere subito compostezza." Vedo il suo petto coperto di nuovo dalla camicia bianca. Poi sollevo lo sguardo su di lui. "Come- come siamo arrivati qui? Non c'era niente-"
"C'era un gruppo di alberi dietro cui si nascondeva una minuscola grotta alle pendici di una collinetta. Penso si trattasse di una tana di un qualche animale, rimane il fatto che era abbastanza arrotondata da permetterci di fuggire via." Abbozzo un sorriso.
"Siamo a quota due" dico, mordendomi un lato delle labbra. Abbasso lo sguardo su di me, vedendomi i vestiti che ricoprono il mio corpo su cui sono presenti ancora tracce di quello che abbiamo affrontato. Giuseppe solleva un sopracciglio.
"Riguardo cosa, esattamente?"
Punto i miei occhi nei suoi, guardando l'oscurità che li ingloba. "Al fatto che tu mi abbia salvato la vita per due volte, rischiando la tua."
Giuseppe alza gli occhi al cielo. "Non è un gioco in cui la conta deve essere sempre al primo posto, Rose. Non fare la stupida."
"Il fatto è che-"
"Senti" mi blocca, spingendomi per farmi sedere su una sedia addossata alla parete. Si abbassa su di me, dando le spalle all'ingresso del bar. "Non iniziamo a dire quanto tu ti senta gratificata per ciò che faccio e dal mio" fa le virgolette con le dita, "essere l'eroe del momento." Mi accarezza la guancia.
"E' solo che tu fai tutto questo per me" dico, abbassando lo sguardo sulle mie mani, "mentre io non ho fatto neanche il minimo per te, riportandoti a casa."
Giuseppe stringe le labbra, tirando un grosso respiro. Si sporge su di me e mi lascia un lungo bacio sulle labbra. Chiudo gli occhi, avvicinandomi ancora di più a lui e tenendolo stretto a me appoggiando una mano sulla sua guancia. Quando si stacca con uno schiocco, continua a guardarmi negli occhi. "Non è colpa tua, Rose." Si allontana. "Vado a prendere qualcosa" dice, inoltrandosi verso il bar. Abbasso lo sguardo, prendendo in mano l'orologio e stringendomelo tra le dita.
"Nick" chiamo, sperando mi risponda subito.
Un sospiro pesante mi giunge alle orecchie. "Sono qui."
"Okay" dico, guardando le coordinate dell'orologio.
"Vuoi qualcosa? Anche se da qui posso fare ben poco.." Ha un tono amareggiato.
Scuoto la testa, anche se non mi può vedere. "Mi accerto solo che tu ci sia."
"Rose" dice in tono dolce e allo stesso tempo severo, come se mi volesse far capire qualcosa che ancora non mi è chiaro. Qualcosa che spero rimanga così per sempre. "Nonostante tutto, io non posso rinunciare a te." Si zittisce.
"Ti voglio bene, Nick" sussurro contro il display, chiudendo gli occhi.
"Anche io te ne voglio."
Ritorna Giuseppe con due tazze in mano. Me ne porge una. "Ci vuole un po' di caffè, adesso, sebbene sia completamente diverso - e anche più schifoso - di quello italiano."
Abbozzo un sorriso. "Me lo farò bastare."
Si siede accanto a me e beviamo la bevanda calda. Guardo al di là delle porte scorrevoli dell'ospedale, sentendo i rumori della città ogni qualvolta vengano aperte. Le luci delle strade iniziano ad illuminarsi. Giuseppe si lecca le labbra, accentuando un brivido di ribrezzo. "Mamma mia, che schifo ho appena bevuto."
Lo guardo, socchiudendo gli occhi. La tazza mi riscalda le dita. "Ma che dici, è più buono del solito."
Giuseppe mi guarda, gettando la tazza di cartone nel cestino, poi ritorna da me, rimanendo in piedi. "Ah, già. Scusami, tu sei di Toronto, per te questo è oro."
"Cosa vorresti dire, scusa?" dico con tono finto offeso.
Alza gli occhi al cielo. Mi stende una mano. "Ora alzati, fiorellino, si passeggia per New York."
Sollevo un sopracciglio, mettendomi in piedi. Mi aiuta, riportandomi una mano sulla schiena. Nonostante l'ossigeno pulito che mi sia circolato in corpo, mi sento ancora molto stanca e debole. "In questo stato?"
Giuseppe annuisce, appoggiando la sua fronte contro la mia. "Sì, esattamente in questo stato."
Il cielo è scuro, le strade sono illuminate e le macchine rumorose sfrecciano a gran velocità. I palazzi alti si erigono di fronte i nostri occhi. La serata è molto tranquilla, non c'è vento e si sta benissimo. Giuseppe mi tiene per un fianco, come se solo grazie a lui io stia in piedi. Ho la mano appoggiata sulla sua e un sorriso sulle labbra. "Davvero ci stiamo comportando come una coppia?" domando, vedendone una che ci passa affianco esattamente nella stessa posizione. L'uomo ha i baffi, i capelli laccati all'indietro e un completo elegante, la signora invece ha un vestitino che le accarezza le ginocchia, un cappellino in testa e un neo sotto il naso sicuramente disegnato.
Giuseppe mugugna rumorosamente. "Tecnicamente siamo un uomo e una donna che si sostengono a vicenda, appena usciti dall'ospedale e reduci di un evento tragico. Non so quanto possiamo assomigliare a quei due che ci sono appena passati accanto."
Noto alcune ragazze che mi guardano, indicandomi con il dito e con le sopracciglia sollevate. "E credo non siano ancora abituate a vedere noi donne indossare i pantaloni, i jeans addirittura."
Giuseppe guarda di sfuggita i vestiti che abbiamo addosso - quelli che Elisa, Elda e Francesca hanno comprato per noi -, poi si abbassa sul mio orecchio. "E lasciale guardare, noi, insieme, siamo più sexy."
Scoppio a ridere, appoggiando la mano sul suo petto. Ci fermiamo a guardare le vetrine dei negozi, i ristoranti, la gente che parla con tono acceso e che solo io riesco a comprendere.
Giuseppe è completamente estraneo a questo mondo, non conosce nemmeno la lingua. E' stata solo fortuna che il dottore che ci ha aiutato sia stato italiano. Un gruppo di gente è concentrata intorno ad una piazza elegantemente addobbata con luci e festoni. Man mano che ci avviciniamo, una musica allegra ci giunge alle orecchie. Ci avviciniamo, sporgendoci un po' di più in avanti per vedere chi sia in pista. Ci sono donne che fanno sventolare i loro abiti, facendo piroette o danzando con i loro uomini, la maggior parte di essi con i sigari pendenti sulle labbra. Le ragazze si divertono, flirtano e scherzano con i ragazzi loro coetanei, con i capelli impomatati e i vestiti colorati con cui ci giocano, tenendo le gonne strette in due pugni e sventolandole a ritmo di musica. Giuseppe stringe la presa contro il mio fianco e le sue dita scavano nella mia pelle. Mi fa quasi il solletico.
Poi toglie la sua mano e stringe la mia, facendosi largo tra la calca. "Balla con me, Rose."
Mi lascio scappare un sospiro dal naso. "Giuseppe, no."
"Non accetto una negazione come risposta. Non dalla ragazza che mi ha spinto a ballare controvoglia nella piccola piazzetta tedesca."
Alzo gli occhi al cielo mentre la musica cambia e si fa ancora più movimentata. Sicuramente è una canzone conosciuta da tutti perché ancora più gente si fionda al centro della pista, divertendosi a ballare. Giuseppe stringe la mia mano e ci inoltriamo tra la folla. Mi prende le braccia e se le fa passare intorno al collo. "Questa volta non è il caso" dico, cercando di sfilarmi dalla sua presa. Ma lui mantiene strette le mie braccia a circondargli il collo. "Sono stanca, Peppe, non ce la faccio a muovermi come avrei fatto invece in altre circostanze."
Giuseppe sbuffa, poi appoggia le sue mani sui miei fianchi. "E chi se ne frega dei passi giusti da danzare? Siamo liberi di fare quello che vogliamo. In questa folla, non ci guarda nessuno, siamo solo noi due." Iniziamo ad ondeggiare delicatamente, come abbiamo fatto a Potenza... Quasi una vita fa. E' strano pensare quante ne abbiamo passate, sebbene sia trascorsa a malapena una settimana.
Appoggio la testa contro il suo petto e Giuseppe si stringe a me, accarezzandomi i capelli con la sua guancia ricoperta da una sottile e curata barba. "E' assurdo" mi dice.
Mi stacco per guardare i suoi occhi e scorgo un luce allegra riflessa in essi. "Cosa?"
"Ogni volta che rischiamo di morire o ci troviamo in un luogo molto pericoloso, ci salviamo catapultandoci in un luogo più tranquillo, quasi come un'oasi di pace nel deserto asfissiante."
Mi strappa un sorriso. "Hai ragione" dico, pensandoci. Lui si abbassa e mi lascia un bacio sulle labbra, rapido e a stampo.
"Ancora non mi sembra vero che io possa baciarti."
Stringo le labbra, accarezzandogli una guancia. "Ma non sarà sempre così" dico, più a me stessa che a lui.
Giuseppe storce il naso. "Sarà così" dice, dandomi chiaramente certezza che mi abbia sentito eccome, "fin quando noi continueremo questo viaggio. Niente dura per sempre, lo sappiamo entrambi, e prima o poi finirà questo percorso. Ma non pensiamoci, okay? Godiamoci il momento, perché sicuramente è irripetibile."
E ha ragione.
E' strano, il tempo.
Ogni momento è diverso dal precedente. Vorresti viverlo per sempre, ma va ben oltre la nostre concezioni umane e ci ritroviamo a vivere sempre qualcosa di apparentemente simile, ma profondamente diverso. Come questo momento. Io e Giuseppe abbiamo danzato più volte, insieme.
Ogni volta diversa dall'altra, per circostanze e tempo. E devo dire che, nonostante la stanchezza, preferisco di gran lunga questo ballo che qualsiasi altro fatto in altre epoche.
Annuisco. "Hai ragione."
Mi sorride. "Nessun rimpianto, nessun rimorso." E mi fa appoggiare la testa sul suo petto. Sento il suo cuore battere e chiudo gli occhi, lasciandomi cullare più da questo suono che da quello della musica che ci arriva alle orecchie.
N/A
Ed ecco qui i nostri due sopravvissuti al Vesuvio finiti in America.
Ma - come ha detto Giuseppe - questa è solo un'oasi. I problemi non tarderanno a tornare di nuovo nei prossimi viaggi, mentre l'epilogo si fa sempre più vicino.
Non mancano molti capitoli, quindi vi chiedo: cosa pensate possa accadere? Ma soprattutto, riuscirà Rose a riportare il suo compagno di viaggio a casa?
Un bacio e alla prossima!
P.s in bocca al lupo (seppur un po' in ritardo) a chi sta facendo gli esami di maturità e a chi sta portando a termine quelli di terza media! ❤
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