Minuti contati
"Era ora, ragazzi, davvero" dice Francesca, mentre ci accoglie a casa sua. I suoi genitori sono a lavoro, Elisa si deve preoccupare delle sorelle ed Elda ha delle commissioni da fare, così la terza componente del loro gruppo ci ha invitato a pranzare da lei. "Si vedeva lontano un miglio che vi desideravate, mi chiedevo semplicemente quando sareste esplosi."
Giuseppe stringe le labbra, sorridendole. Si gira a guardarmi senza dire niente e lo capisco, perchè sappiamo entrambi che non c'è niente tra noi, o almeno, niente che possa durare.
Penso che siamo dalla stessa parte: non osare troppo, perché il nostro tempo è contato.
Ci goderemo semplicemente il momento, per quanto questo sia possibile.
Francesca si mette dietro ai fornelli. "Se avete bisogno di andare al bagno o più semplicemente di stare un attimo da soli, andate pure." Si sporge giusto un attimo per guardare Giuseppe negli occhi. "Il bagno dei maschi è il primo sulla destra, quello delle femmine viene dopo; la mia stanza la troverete in fondo al corridoio." Sorride, e ritorna a mettere qualcosa in pentola. Usciamo dal salotto e ci dirigiamo lungo il corridoio su cui si affacciano diverse porte chiuse. Giuseppe si ferma di fronte la prima a destra, e anche se non c'è nessuno, bussa prima di entrare.
"Beh, mi sembra ovvio" dico ironicamente, "solo quando eravamo a Potenza dovevi entrare nel bagno senza bussare, tra l'altro mentre indossavo l'assorbente."
Giuseppe sventola la mano. "E' acqua passata. Si impara dall'esperienza." Mi fa l'occhiolino e si chiude la porta dietro. Io vado un po' più avanti, entrando nel secondo bagno a destra, dalle piastrelle rosa. Mi chiudo dentro e mi fermo di fronte lo specchio, appoggiandomi con le braccia sul bordo del lavandino. Ho uno strano sorriso sulle labbra, gli occhi luminosi e allegri, i capelli scompigliati. Mi abbasso per sciacquarmi il viso, beandomi della sensazione di freschezza.
Rimango con il viso bagnato mentre continuo a guardarmi allo specchio e d'un tratto rivedo tutto quello che ho passato negli ultimi giorni. Per quanto cose abbiamo passato, sembra proprio di aver vissuto un'eternità di eventi, la maggior parte rischiosi.
Sono stranamente tranquilla, adesso, e non me lo spiego questo sentimento.
Non abbiamo ancora risolto niente e Giuseppe non è ancora a casa sua.
Non mi sarei mai immaginata che un tipo come lui mi nascondesse un segreto del genere, ovvero una promessa sposa lontana. Non me lo sarei mai aspettato. Non che lui non meriti un donna, intendiamoci, ma che tra i suoi ricordi riaffiorasse proprio quel viso che lo ha tenuto distante da me.
Non ho intenzione di gioire di questa notizia, dell'annullamento, perché so che è il destino che gli spetta quando tornerà nel suo tempo. Non voglio crearmi illusioni o sogni in cui possa nascondermi per vivere egoisticamente bene.
La sua compagnia è stata preziosa in questi ultimi tempi, però nonostante tutto, è anche giusto che Giuseppe si riappropri di ciò che è suo. Mi asciugo rapidamente il viso e mi sfioro il cip nell'orecchio.
"Nick?" chiedo, sperando il mio amico sia tornato.
Non ricevo alcun tipo di risposta in cambio, nemmeno un sospiro. Il nulla. Il nostro collegamento è ancora interrotto.
Esco dal bagno e Giuseppe esce improvvisamente dal suo, scontrandoci e facendomi finire contro il mobile posto lungo il corridoio. Produco un forte rumore. "Tutto bene?" urla Francesca dalla cucina, facendo alzare la sua voce oltre il rumore di qualcosa che frigge.
"Sei un coglione" dico, afferrandomi la spalla dolente.
Giuseppe scuote le sue, indifferente. "Che ne potevo sapere." Lo blocco prima che possa tornare in cucina. Lui mi guarda e aggrotta le sopracciglia.
"Comunque" dico, mordendomi il labbro superiore e tirandomelo con i denti, "promettimi che niente degenererà."
Giuseppe fa un lieve sorriso. "Non sono nato ieri, Rose, non lo permetterei mai. C'è sempre la realtà a cui dobbiamo tener conto, non possiamo fare finta di essere da soli ed isolati in un bolla al di là del tempo e dello spazio a cui siamo intrinsicamente legati. Siamo persone mature, ce la caveremo."
Quando torniamo in cucina, in silenzio, Francesca sta portando i piatti sulla tavola apparecchiata. Ha preparato una semplice pasta con i pomodorini, un petto di pollo e le patatine fritte come contorno. Il rumore della frittura permea ancora l'aria. "Non sono ancora pronte, ma voi iniziate pure a mangiare, io arrivo subito." Ci accomodiamo e Giuseppe si siede esattamente davanti a me, iniziando a pulciare con la forchetta i pomodorini, scansandoli.
Evito accuratamente il suo sguardo per un tempo che pare lunghissimo, poi Francesca torna e si siede a capotavola. "Comunque, se vi può consolare, conosco una ragazza che da tanti anni contempla segretamente un ragazzo senza fare mai il passo avanti. Sono felice che voi due ce l'abbiate fatta, nonostante tutti i divari che ci possano essere di mezzo."
"Sì, ma tra noi - lo sappiamo benissimo - non ci può essere altro, Francesca" dice Giuseppe, portando il primo boccone vicino alle labbra. "Non possiamo fingere che sia tutto normale."
So che ha ragione, so che dice ciò che ho sempre pensato... Però una cosa è fare rimanere tali pensieri nella mia mente, un'altra è esporli così, come se non consistessero in qualcosa di importante. Scuoto la testa.
La paronoia no, eh?
Non posso permettermela.
Non devo.
Un bacio non cambia niente.
Il pranzo passa così, tra un chiacchiera e un'altra, fino a quando non si presentano a casa di Francesca sia Elisa, sia Elda, pronte a vedere la ship dal vivo.
Ed io continuo a non capire in che lingua parlino.
Iniziano a scherzare con Giuseppe, parlando in dialetto e citando alcune frasi che davvero non riesco a comprendere in nessun modo, quando all'improvviso sento un fruscio nel mio orecchio.
Aggrotto le sopracciglia e mi allontano dal resto del gruppo che continua a ridere allegramente di qualcosa che non capisco e che sembra essere una strana lingua arcana tra loro. Mi porto la mano all'orecchio e sento il suono farsi più udibile man mano che i secondi passano.
Finalmente la voce di Nicholas mi arriva al timpano e tiro un sospiro di sollievo. "Nick?" lo chiamo.
Mi risponde subito, con uno strano tono freddo e distaccato. "Dimmi."
Aggrotto le sopracciglia. "Finalmente ti fai vivo, come vanno le cose?"
Si schiarisce la gola. "Non riscontro nessun miglioramento. Sono appena tornato dal convegno e ho perso tantissimo tempo nel gestire tutto il materiale storico che mi hai mandato per spedirlo negli Archivi prima che qualcun altro possa vederlo."
"Bene."
"Heiderose" dice poi, e lo sento digitare qualcosa. "Sto ripristinando i dati e ho notato che avete fatto amicizia."
Mi giro a guardare le tre ragazze che parlano con Giuseppe e stringo le labbra. "Ci hanno aiutato."
"Stai cambiando la storia, Rose! Stai facendo tutto quello che non avresti dovuto nemmeno pensare di fare!" Il suo tono è infervorato e capisco subito che lui sappia. Ogni cosa.
"Non cambierà niente."
"E' già cambiato tutto, Heiderose. E qui la situazione sta sfuggendo di mano."
Sento il gelo calare tra di noi. Poi un terribile pensiero si fa spazio nella mia testa. "Hai intenzione di mollare tutto?" gli chiedo con voce tremante. Ho paura di sentire la sua risposta. Nicholas sospira pesantemente contro il mio orecchio. "Nick."
"Che c'è?" dice con tono distaccato.
"Non lasciarmi" chiedo, e risulta quasi una supplica.
Passano alcuni secondi prima che possa sentire la sua voce nel mio orecchio. "Non lo farei mai, Rose." Si zittisce, riprendendo a digitare e a colpire qualcosa. Ingoio a vuoto e desidererei che tra noi non cambi niente. Se perdo Nicholas, il suo aiuto e la sua amicizia, non saprei come fare.
Mi giro a guardare Giuseppe ed incontro il suo sguardo preoccupato che mi analizza dall'alto in basso. Ingoio a vuoto e il cuore inizia a battermi forte. Si alza in piedi e viene verso di me, sotto occhiate divertite delle tre ragazze che si mettono a sussurrare e a sorridersi in una sottile complicità.
Giuseppe si abbassa su di me, guardandomi attentamente negli occhi azzurri. "Che succede?"
"L'arco è attivo" dice Nicholas improvvisamente, quasi interrompendo Giuseppe sulla domanda. "Trovate un posto in cui andarvene. Ho inserito le coordinate del tempo del tuo amico, sperando sia la volta buona."
Afferro la mano di Giuseppe e stringo le labbra. "Dobbiamo andare."
Le tre ragazze mi hanno sentito e si avvicinano a noi, guardandoci con un velo di tristezza e dispiacere negli occhi. "Dove andrete?" mi chiede Elisa, mentre Elda e Francesca si stringono intorno a Giuseppe per abbracciarlo.
Scuoto la testa, lanciandogli un'occhiata. "Si spera nel suo tempo."
Elisa mi cinge le spalle e mi lascia un bacio sulla guancia. "Buon viaggio" mi sussurra all'orecchio. "Un'ultima cosa. Lascia che io parli della vostra storia. Mi permetti di scriverne una?"
Le sorrido, accarezzandole la spalla. "Ma certo e buona fortuna per tutto."
Saluto Elda e Francesca che a fatica si sono staccate da Giuseppe, Elisa lo abbraccia con forza, poi la padrona di casa ci invita ad uscire fuori, sul balcone, dove una veranda è sormontata da una parete arcuata fatta di mattonelle rosse. "Mi raccomando a voi due" dice, mentre ci posizioniamo sotto l'arco.
Giuseppe sorride a loro tre. "Grazie di tutto." Poi mi prende entrambe le mani e mi guarda negli occhi. Sento il peso dello zainetto in cuoio sulle spalle e tiro un grosso respiro.
Giuseppe stringe le labbra, poi ci smaterializziamo improvvisamente.
Cadiamo di botto su un pavimento di pietra levigata in una via deserta.
Mi sollevo sulle braccia mentre sento Nicholas imprecare nel mio orecchio. Capisco all'istante che non siamo per certo nel tempo di Giuseppe. Mi metto in piedi e mi guardo intorno, spazzolandomi i jeans dalla polvere che si è depositata sopra. Giuseppe si porta i capelli indietro, girandosi per cercare di capire dove siamo. Si muove piano lungo la via, accarezzando le pareti di queste casette mal messe e fatte di pietra, basse e amalgamate come se costituiscano un minuscolo villaggio. Giuseppe si sporge in avanti per non farsi vedere e rimane qualche secondo a contemplare la via affollata poco distante prima di tornare rapidamente da me.
"Ho un terribile presentimento" dice con occhi sgranati, "quindi chiedi cortesemente al tuo amico di dirti dove diamine siamo finiti."
Gli appoggio una mano sulla spalla. "E' grave?"
"Se è quello che penso, sì. Molto grave, Rose."
Ingoio a vuoto e mi appoggio una mano sull'orecchio. "Dopo aver imprecato per cinque minuti, potresti cortesemente dirmi dove siamo finiti?"
"Vedi nel tuo orologio, io non posso perdere nemmeno un momento, ho letteralmente i minuti contati" mi dice Nicholas con l'affanno mentre lo sento colpire violentemente qualcosa di metallico.
Abbasso lo sguardo sul mio orologio e sento defluire il sangue dal mio viso. Ho come l'impressione di aver sentito il cuore saltare un battito. Giuseppe mi toglie l'orologio di mano e guarda le coordinate storiche in cui siamo finiti. Sembra che l'arco, invece di migliorare, stia peggiorando di volta in volta, oppure ha una mezza intenzione di ucciderci.
"Rose, dobbiamo andare via" mi dice Giuseppe ad un palmo dal mio naso. Inizia a sbottonarsi la camicia bianca e con gli occhi mi ordina di spogliarmi. Mi guardo intorno e non posso permettermelo, non c'è nemmeno una bancarella nei dintorni in cui io possa comprare i vestiti del tempo. "Non indugiare, muoviti!" mi urla Giuseppe.
Mi guardo disperatamente intorno e intravedo una signora con un cesto tra le braccia da cui straripano dei vestiti. Mi nascondo dietro una colonna e tiro Giuseppe verso di me, facendomelo finire addosso. Il suo petto è esattamente contro la mia guancia. Aspetto che la signora ci superi prima che io possa uscire allo scoperto e camminare in punta di piedi verso di lei. Allungo la mano quel tanto che basta ad acciuffare dei capi che sporgono oltre il bordo del cestino. Li tiro, sperando che la signora non ci noti.
Non sembra essersene accorta, così indico a Giuseppe una rientranza nella parete. "Lì, lì!" dico, mentre sento le mani rendersi umidicce e il sudore freddo imperlarmi la fronte. Mi spoglio velocemente, infilando i capi dentro lo zainetto di cuoio, poi giro tra le mani il tessuto che ho tirato dal cesto della donna. Un abito corto, di cotone e stretto in vita. Mi tolgo le scarpe, girandomi a controllare che Giuseppe non mi stia spiando, così rimango scalza ed inizio ad infilare il vestito, facendolo passare prima per la testa.
Il mio compagno di viaggio si sfila i jeans e prende l'altro vestito che ho appoggiato a terra. E' troppo piccolo per la sua taglia. Tenta di infilarlo, ma l'unico risultato che produce è uno strappo nel tessuto che si estende fino in vita. Continua ad indossarlo, cercando di sistemarselo come meglio può. Mi porge gli abiti che si è appena tolto e provo a metterli nello zainetto di cuoio che sembra esplodere. Le scarpe non ci entrano. Giuseppe le prende in mano, mantenendole con sole due dita, poi mi fa cenno di seguirlo. "Oggi più che mai" dice con l'affanno, "non possiamo perdere tempo."
Usciamo sulla strada principale, la gente è vestita proprio come noi e non sembra prestarci molta attenzione. Ci sono molte persone sparse nei dintorni che occupano la visuale di strade secondarie in cui possiamo nasconderci. Giuseppe mi afferra la mano con l'altra, tirandomi e immischiandoci nella folla. Fa caldo, tanto caldo, sembra proprio che l'aria si sia immobilizzata quasi a presagire quello che avverrà tra pochissimo.
"Rose, muovetevi, cercate di trovare un arco, mentre io do le ultime botte a questo cazzo di-"
Ho smesso di sentire Nicholas al mio orecchio perché improvvisamente il pavimento inizia a vibrare. La gente si immobilizza, non sapendo che fare, poi tutti iniziano a guardare verso la montagna.
La terra trema sempre più violentemente e il sangue mi si gela nelle vene. Giuseppe si immobilizza e mi guarda disperatamente, con occhi sgranati dal terrore.
Poi, l'esplosione.
Le persone iniziano ad urlare, con la terra che sembra sul punto di aprirsi in due.
Guardo la montagna e il gelo ha preso possesso del mio corpo.
E' proprio vero, quando dicono che nel massimo momento del terrore gli uomini non sanno cosa fare, si immobilizzano, non riuscendo a pensare ad altro.
E mentre il mondo trema, guardo la montagna da cui ha iniziato a uscire fumo nero e denso che si propaga nel cielo azzurro, oltre alla prime pietre che piovono dal cielo e ci finiscono addosso.
Il fuoco zampilla e la lava cola lungo il fianco del vulcano.
Il Vesuvio si è svegliato.
Io e Giuseppe stiamo per assistere alla distruzione di Pompei, nel settantanove d.C.
Non sappiamo dove andare, ma l'istinto ovviamente ci dice di correre nella direzione opposta rispetto a dove il vulcano sia.
Giuseppe stringe la mia mano, non la molla nemmeno per un istante. I piedi mi fanno male e il terrore quasi non mi fa vedere più la strada.
Il fumo cala su Pompei, la foschia non permette di vedere più nulla, le pietre continuano a caderci sopra e a farci male. Ci ostacolano il passaggio.
La lava continua a scendere, perpetuando il suo cammino di distruzione.
Non è così che voglio morire.
La voce di Nicholas mi urla all'orecchio, ma non riesco nemmeno a capire cosa mi stia dicendo, le urla della gente terrorizzata e segnata occultano la sua voce.
Io non sono destinata a ciò. Io e Giuseppe dobbiamo salvarci.
Ci abbandoniamo il foro, la piazza principale, alle spalle, ma l'ingresso di Pompei è occupato, tutta le persone hanno pensato la stessa cosa. Nessuno riesce ad uscire dalla città, moriremo tutti sepolti dal magma.
Giuseppe si guarda intorno, cercando di trovare un muro da poter scavalcare, ma c'è gente dappertutto. Faccio lo sbaglio di vedermi le spalle e il fumo è così nero che sembra ucciderti solo guardandoti. La lava non la si scorge più, ma la temperatura è incredibilmente aumentata e sembra quasi che la pelle sia sul punto di sciogliersi come la cera di una candela.
Il peggio arriva quando delle pietre bollenti ci cadono sulla pelle scoperta, bruciandoci e lasciandoci delle cicatrici. Le urla si mischiano ai pianti, alle spinte, e alla tosse che inizia ad occupare i polmoni di tutti.
Mi sento il petto chiuso in una morsa, impossibilitata a respirare. Inizio a tossire, recuperando aria attraverso i risucchi, ma il fumo opprime ogni cosa. La gente inizia ad accasciarsi intorno a me, e quando li vedo sento gli occhi farsi lucidi. Inizio a lacrimare, ma non mi pare di stare piangendo.
Giuseppe stringe ancora di più la mia mano e vedo una lacrima abbandonare il suo occhio.
Il fumo non ci permette più di vedere.
Ho solo voglia di stendermi a terra, chiudere gli occhi e aspettare.
Ma non posso.
Dobbiamo farcela.
Giuseppe inizia a tossire violentemente, piegandosi in due. Vorrei dargli dei colpi sulla schiena, ma non riesco nemmeno a calmare la mia gola che brucia. Sento il bisogno di respirare.
Ho bisogno di rinfrescare i miei polmoni. Giuseppe spinge la gente con il braccio libero, colpendo a destra e a manca le persone con le nostre scarpe nel vano tentativo di recuperare un po' di spazio per passare. Si gira a controllare che io ci sia ancora, in piedi, a seguirlo. La gente si mette tra noi, minacciando di far mollare la nostra presa.
Giuseppe stringe ancora di più la mia mano. Un violento colpo di tosse mi prende alla sprovvista. Una donna urlante mi si scaglia contro e mi fa cadere di lato. Sento le dita di Giuseppe staccarsi da me e sparisce tra la folla. Mi porto una mano alla bocca e, quando la scosto, la vedo interamente sporca di fuliggine. Gli occhi continuano a lacrimarmi. Ho le mani appoggiate per terra e tento di rimettermi in piedi. Non posso mollare.
Non vedo Giuseppe.
Non lo trovo. Mi metto in piedi, spostando la gente con le mie braccia esili, ma non vedo i suoi capelli, non scorgo le sue spalle. Mi inoltro nella folla, continuando a spingere le persone per ritagliarmi un po' di spazio.
Arrivo di fronte l'apertura dell'entrata di Pompei con gli uomini che si danno dei forti spintoni per passare per primi. Riesco ad approfittare della mia statura per passarci in mezzo, uscendo dalla città.
Mi guardo intorno, sperando che Giuseppe sia qui, fuori dalle mura. Giro rapidamente la testa ma non lo vedo.
La lava ha ricoperto tutto il vulcano che ribolle come una zuppa in pentola. Esplode, di nuovo, facendo tremare la terra e facendoci cadere sulle ginocchia. Alzo lo sguardo sulle figure rimaste in piedi e lo vedo.
Al centro della folla.
Ancora all'interno di Pompei.
Ritorno sui miei passi e rientro in città, spingendo la gente. Trattengo il respiro, ma non so quanto fumo io abbia ormai inalato. Un paio di mani forti mi si stringono intorno alle spalle e mi fanno girare di scatto. Giuseppe è davanti a me, con le guance rigate di lacrime che hanno lasciato il segno sulla pelle scurita dal fumo. "Non lasciarmi mai più!" urla, fiondandosi sulla mie labbra in un rapido bacio. Mi prende per mano e usciamo dalle mura della città, superando gli uomini che litigano tra di loro per uscire per primi.
Iniziamo a correre, sebbene le gambe siano instabili.
Giuseppe inciampa e cade per terra, tirandomi con sè.
"Rose, Rose!" urla Nicholas con voce rotta e affannata al mio orecchio. "Ce l'ho fatta, alzatevi, alzatevi! Trovate un arco, trovatelo! Rose!"
Giuseppe tenta di sollevarsi sulle braccia, il suo viso storpiato in una smorfia sofferente. "Non-"
Alzo lo sguardo, ancora stesa per terra, e non vedo nulla. Niente. La campagna è desolata.
Non c'è nessun arco qui.
Mi guardo dietro e la città è così piena di persone che tentano di abbandonarla passando attraverso l'ingresso che non ce la faremmo mai a cercare un arco lì dentro.
Non ce la faremmo nemmeno ad arrivare.
La lava è vicina.
Si sente.
Si percepiscono le vibrazioni dell'aria e il caldo soffocante.
"Giuseppe" dico in un sibilo, accostandomi al suo orecchio. Non ce la faccio a mettermi in piedi. "Ti giuro-" inizio a tossire, mentre lui continua a provare a mettersi in piedi, "io avrei voluto portarti a casa."
Giuseppe stringe i denti e lascia che dalle sua labbra esca un ruggito rabbioso mentre tenta a tutti i costi di mettersi in piedi. "Io non posso permetter-" Non continua. Lascia uscire l'aria dalle sua labbra, tossendo e sputacchiando sul terreno sotto di noi. Dall'ingresso di Pompei la gente inizia a riversarsi fuori, tentando di acchiappare la salvezza. "Non possiamo morire, Rose." Si mette in piedi, aiutandomi.
Il caldo è soffocante e tutto quello che voglio fare è chiudere gli occhi.
"Rose, trovate un arco per favore, non posso fare niente altrimenti" urla Nicholas, sbattendo le mani sul suo bancone. Riesco a sentirlo. E' lì, a Nova Historia, dove voglio tornare.
Stringo le labbra, sentendo i muscoli indolenziti.
Mi coglie un senso di debolezza improvviso.
"Andiamo" dice Giuseppe, mettendomi in piedi ed iniziando a camminare. "Non possiamo mollare in questo modo."
Lo guardo e, questa volta, inizio a piangere. Le lacrime bruciano sulla mia pelle.
Uno starnuto mi scappa, la fuliggine mi è entrata persino nel naso.
Giuseppe mi tira dietro, con i passi sempre più lenti. C'è solo terra rinsecchita intorno a noi, alberi spogli e foglie per terra. Giuseppe scorge due alberi piegati a formare un arco.
"Forse ce la facciamo, Rose, forza!" Mi tira e quando arriviamo sotto l'albero, non succede assolutamente niente. Una donna mi da uno spintone e quasi mi accascio, ma Giuseppe mi tiene a sè. "No, non ti permetto di lasciare tutto" dice contro le mie labbra.
Mi prende in braccio, stringendomi al suo petto. Sento la testa pesante. Chiudo gli occhi.
Ritorno con la mente al mio primo incontro con Giuseppe, quando mi ha tenuta in braccio per una caviglia slogata. E' strano come tutti cambi improvvisamente, considerando che molto probabilmente stiamo andando incontro alla morte.
Nicholas urla al mio orecchio. "Rose, no, sii vigile, apri gli occhi!"
Ma non ce la faccio. I passi di Giuseppe si fanno più lenti. Un urlo frustrato mi giunge alle orecchie ma non riesco più a capire a chi appartenga.
Non riesco più a respirare.
"Rose, Rose! C'è una grotta lì, poco più avanti, cazzo, dietro quella piccola foresta."
Vorrei dirlo a Giuseppe, ma non ci riesco.
Le mie labbra abbandonano solo sussurri.
Giuseppe continua a camminare, poi sento il suo respiro farsi più rapido.
Forse sta correndo.
Forse ha trovato qualcosa.
Vorrei davvero dargli il mio cip, almeno Nicholas lo aiuterebbe.
Non so quanto tempo passa.
Sento solo la debolezza che mi attira verso terra, sebbene ci siano le braccia di Giuseppe a tenermi.
Poi all'improvviso si inginocchia, lo sento. Ha difficoltà a respirare. Il suo capo è chinato su di me, e lo sento sussurrare. "Fa' che vada bene" prima che una nuova esplosione rimbombi per aria e faccia smuovere tutta la terra. Un caldo impressionante ci investe, poi le mie membra si sciolgono e, come per miracolo, ci smaterializziamo.
N/A
È più forte di me, non posso lasciare che tutto fili liscio ahahahah
Dunque, in questo capitolo Rose e Giuseppe salutano Elisa, Elda e Francesca, smaterializzandosi in un'altra epoca a dir poco disastrosa.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che la coppietta vi piaccia tanto quanto piace a me 😍
Lasciatemi qualche commento, dai! Voglio sapere cosa ve ne pare e cosa pensiate possa accadere a Rose e Giuseppe.
Un bacio e alla prossima! ❤
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