La Parigi del Terrore

Io e James prendiamo consistenza qualche minuto dopo, e nonostante mi sia sembrato un viaggio più lungo, chissà dove siamo finiti.
Siamo al centro della piazza, sotto un imponente arco e la gente ci guarda con la bocca storpiata in una smorfia di disgusto.
Uomini e donne fuggono per la strada, altri ci additano e solo dopo capisco il perché.
Il parrucchino, gli occhi contornati di eyeliner e gli abiti di lino bianco non credo siano ben visti in...ehm, dov'è che siamo?
"Rose, avete affrontato un viaggio lunghissimo ma non siete nel '45. A maggior ragione, state attenti e nascondetevi fin quando non riparo l'arco. Proverò a non perdere neanche un minuto."
"Dove siamo, precisamente?" chiedo, lasciando la mano di James che si porta le mani chiuse a coppa di fronte il suo....amico lì in basso, coperto appena da un gonnellino bianco.
"Nell'ottobre del millesettecentonovantatre, in pieno regime del Terrore."
"Porca puttana!" dico, riprendendo la mano di James e trascinandolo con me in una via in cui potremmo nasconderci.
Gli racconto tutto e vedo il colorito abbandonare il suo viso. "Ti rendi conto? In questo periodo si sono registrate le più illustri scomparse di uomini della Francia e noi siamo proprio finiti qui? Potremmo morire anche solo dicendo ciao, Rose!"
"Lo so, ecco perché dobbiamo trovare un modo per liberarci prima di tutto di questi" dico, sfiorandomi il tessuto che ho addosso. Inizio anche a sentire freddo. "E poi dobbiamo trovare un posto in cui aspettare i comandi di Nicholas."
"Che vita di merda" mi dice James, appoggiandosi al muro alle sue spalle. La via è deserta, tranne per una porticina aperta affianco il partigiano. Lui incrocia le braccia contro il petto, sbuffando e stringendo le labbra rosee. "Fa pure freddo" dice, accarezzandosi la pelle delle braccia.
Annuisco. "Dobbiamo elemosinare abiti e un rifugio." Mi siedo per terra, incrociando le gambe a mo' di indiana e le mani unite a coppa. Abbasso lo sguardo, cercando di ottenere la compassione di quelle povere anime che si trovano ad attraversare quella via.
L'unica pena che ricevo è quella di James che mi prende per il braccio e mi fa rimettere in piedi. "Non possiamo aspettare qualcuno, dobbiamo andare da qualcuno."
Quasi come se la sua voce fosse stata sentita, dalla porta aperta al suo fianco sbuca la testa di una donna che si guarda intorno prima di incontrare il mio sguardo.
"E voi che ci fate ancora in giro?" chiede, poi con un ampio gesto del braccio ci accoglie in casa. "Non siete di qui, se non vi siete ancora rintanati da qualche parte."
Ha gli occhi cerchiati da profonde borse, le rughe che le circondano lo sguardo e i lati delle labbra raggrinzite. I capelli sono tenuti indietro da una crocchia sulla nuca e un vestito morbido le fascia le gambe corte. Io e James ci scambiamo un'occhiata, prima di accostarci alla vecchia che fa apparire un misero sorriso. "Tranquilli, non ho intenzione di mangiarvi!"
Prende James per l'altro braccio e ci fa entrare dentro casa, chiudendo la porta alle sue spalle. C'è un forte odore di umidità. La finestra sul lato è libera dalle tende ed è l'unica fonte di luce dell'ambiente. Un tavolo al centro della stanza è circondato da sedie messe in maniera scomposta e una tovaglia tutta appallottolata all'angolo.
Ci dice di prendere posto, mentre apre un armadio sopra un fornellino di fortuna. Tira fuori dalle proprie dispense due pagnotte di pane chiuse in un fazzoletto. "Tenete" dice, puntando i suoi occhi su di me. Secondo le regole di Nova Historia non dovrei accettare cibo da personaggi storici, nè portare qualcosa con me proveniente da un'altra epoca. Considerando che ormai ho infranto la legge - tenendo James al mio fianco fino a data da definire -, allora niente può andare peggio di così. Entrambi accettiamo le pagnotte e iniziamo a mangiarle.
"Perché ci sta aiutando?" chiede James in francese, masticando il suo boccone.
La donna si siede di fronte a noi, aggiustandosi la gonna. "Perché questo è un ospizio di mendicità."
"Ah" dico, dopo aver ingoiato. "Noi non siamo mendicanti."
"Mi pare di averti vista seduta per terra, e sono certa fossi tu a giudicare dal vestiario che mi era parso di vedere."
James mi colpisce con il gomito con fare sornione, celando un sorriso.
"Veramente..." Che dico?, "Speravo solo che qualcuno ci aiutasse, in questi tempi difficili."
Un soffio di vento proveniente dalle imposte rotte della finestra mi fa rabbrividire e la donna scatta in piedi. "Ma state morendo di freddo! Dio, che sciocca. Provvedo subito a trovare qualcosa da farvi indossare!"
James rimane con la pagnotta in mano mentre vede la donna allontanarsi in un'altra stanza, poi sposta lo sguardo su di me. "Ti fidi di lei?"
"Non mi fido di nessuno, James, che non appartenga al mio tempo."
"Neanche di me?" chiede, mettendo su un finto broncio sulle sue labbra piene di briciole. Avvicino la mia mano alla sua bocca, pulendola da esse. "Ti sto ancora studiando, signore" dico con un sorriso. Sento un mobile sbattere nell'altra stanza ed entrambi giriamo la testa in quella direzione. La donna anziana si avvicina a noi con le braccia che reggono un abito e un completo maschile. "Spesso i miei ospiti li lasciano qui. Tranquilli, sono lavati, non avrete le pulci."
"Grazie, siete molte gentile con noi."
"Figuratevi." Appoggia gli abiti sullo schienale di un'altra sedia. James si alza per primo, avendo finito la pagnotta, e prende il suo.
"Posso?" chiede, avvicinandoselo al suo petto. La donna annuisce.
"Va' pure nell'altra stanza, non voglio alcuno scandalo in cucina" dice sorridendo. Poi torna a guardare me mentre James si allontana. "Dunque" inizia, vedendomi mentre prendo in bocca l'ultimo boccone. Si avvicina con la sua sedia alla mia. "Da dove venite?"
"Dall'Italia" rispondo.
"E perché siete qui, a Parigi? E' molto lontano, e per giunta vestiti così!"
"Mia madre è di qui" invento, pulendomi tra loro le mani, "io e mio cugino siamo cresciuti qui e poi siamo andati in Italia. Abbiamo deciso di tornare lì per alcuni dissidi con il lato italiano della famiglia - quello dalla parte di mio padre e sua sorella, nonchè la mamma di mio cugino - e volevamo raggiungere nuovamente mia madre a Parigi, prima di...ecco sì, perderci."
"Non ricordi la strada? Viaggiare con questo regime è pericoloso, lo sai?"
"Sono andata in Italia quando ero piccola, per cui non ricordavo molto di questo posto. E poi non pensavo nemmeno la situazione fosse così tragica."
"Tua madre è morta? Perché non è con voi?"
"Lei.." ingoio a vuoto. "Lei non è mai venuta in Italia, è rimasta qui per continuare il suo lavoro di sarta."
"Presso chi lavorava?" chiede la donna e vorrei davvero uccidermi. Non ricorderò mai i dettagli di questa storia, e mi sto inoltrando in un discorso che credo avrà delle falde nel sistema che mi condanneranno.
"Una storia più semplice no, eh?" chiede Nicholas con sarcasmo. Il mio display è attivato e riprende tutta la scena.
"Presso la regina."
"Maria Antonietta?" dice la donna a gran voce, sgranando gli occhi. Temo possa dire qualcosa che mi annienterà, invece mi prende la mano e la stringe. L'espressione sorpresa che ha avuto fino a qualche secondo fa si trasforma in comprensione e sollievo, se non anche un sorta di malizia. "Oh, beh, allora è giusto che tu la raggiunga."
Sorrido. "Grazie."
"Ora è tardi, però." James rientra e il vestito che ha addosso gli sta magnificamente. I pantaloni sono scuri, gli stivali anche e la camicia bianca infilata oltre il bordo della cintura, con le maniche larghe e piene di laccetti. "Vatti a cambiare mentre io preparo i vostri letti. Riprenderete domani mattina il vostro viaggio."
Guardo fuori dalla finestra e scorgo il sole tramontare dietro le case al di fuori del vetro sporco. "Va bene" dico, mettendomi in piedi e prendendo i vestiti.
Mi vado a mettere nella stanza in cui anche James si era cambiato e sento intanto la donna dire. "Tua cugina è davvero una bella donna. Avrà preso da tua zia, una tale bellezza francese non può non essere ereditaria."
Faccio una smorfia con la bocca mentre mi libero dei bracciali e disattivo il display per non spogliarmi davanti gli occhi di Nicholas nascosto dietro lo schermo. "Sono tedesca, idiota!" dico tra i denti, rivolgendomi all'anziana troppo distante per sentirmi.
Mi libero dei vestiti di lino e infilo l'abito, facendolo passare dalle gambe alla vita, poi infilo le braccia e mi allaccio il fiocchetto sulla schiena. Ho ancora i soldi nel reggiseno. Faccio uscire l'orologio e me lo lascio penzolare all'interno del vestito, con la cordicella che mi solletica la pelle del collo. Abbasso lo sguardo sul mio corpo. Sembro una bambolina, ma va bene, mi devo mascherare per non correre rischi.
Quando rientro nell'altra stanza, riaccendo il display e vedo James appoggiato contro la parete e ascolta la signora raccontare. "..ed io ho perso così i miei figli, morti per la patria."
"Mi dispiace molto" dice James in un francese così perfetto da spingermi a pensare che lui, magari, non sia italiano al cento per cento.
"Oh, eccoti qui. Ti sta benissimo" dice la donna, mettendosi in piedi ed indicandoci un'altra porta nascosta dall'armadio accanto al tavolo. "Ho due letti pronti, vi consiglio però di non coprirvi con le coperte, sono un po' sporche."
Ingoio a vuoto, mentre lei ci fa passare attraverso la porta e ci indica i due letti sistemati. La stanza è buia. "Buon riposo" dice, chiudendosi la porta alle spalle. Sentiamo uno scatto, cadendo nella penombra. C'è solo una minuscola candela cha illumina l'angolo con la sua misera fiammella tremolante. James la va a prendere, afferrandola per un piccolo manico mentre io mi siedo sul letto dal materasso duro come una pietra. Quello di James è accanto al mio. Ritorna con la fiammella in mano, appoggiandola piano sul pavimento e stendendosi sul letto dopo aver rivoltato il cuscino.
"Non si sa mai qualcuno ci abbia sbavato sopra."
"Non pensi che la donna l'avesse già girato per questo?"
Il dubbio fa sgranare gli occhi di James che si rimette seduto e prende il cuscino, sfilandolo dalla federa. La lancia dall'altra parte della stanza. "Ora sono più tranquillo."
Seguo il suo stesso esempio e mi stendo sul fianco, con la fiammella che mi tremola davanti e gli occhi di James aperti appena al di là di questa. Stiamo attenti persino a respirare nel caso il nostro fiato possa spegnerla.
"Devi raccontarmi la storia" dice James in un sussurro. "Nel caso la donna mi fa domande a cui tu hai già risposto." Gliela ripeto e lo vedo sorridere. "Ecco perché mi ha detto tu fossi proprio bella, perché hai detto di avere origine francese."
"Quando invece sono tedesca fino al midollo. Ah, comunque tu lo sembri perfettamente. Sicuro di essere italiano? Conosci la lingua meglio di quanto io possa parlarla con il traduttore."
James stringe le labbra e chiude un attimo gli occhi, pensoso. "Credo di ricordare" inizia, separando leggermente le labbra. "A tua insaputa, hai raccontato una mezza verità. Mi ricordo di mia madre che mi accarezzava i capelli prima di dormire, mi guardava fino a quando i miei occhi non si fossero chiusi. Ricordo che mi diceva sempre "Buonanotte" in francese e papà che alzava gli occhi al cielo, non potendo credere che suo figlio sarebbe stato bilingue. Mia madre è francese." Stringe le palpebre, pensandoci ancora un po' su. "Si chiama..si chiama...Marie. Si chiama Marie!" dice, aprendo gli occhi. Il suo fiato colpisce la fiammella che tremola più violentemente, così la circordo con il palmo del mano per riservarla.
"Stai iniziando a ricordare, James! E' meraviglioso!"
"Riesco a scorgere il suo viso, i suoi contorni, il naso all'insu e i capelli biondi.. Le sue labbra articolano il mio nome." Stringe gli occhi. "Ma non ricordo quale sia." Si preme la mano contro la fronte. "Perché, perché non ricordo come mi chiamo!"
Allungo la mano verso il suo polso, stringendoglielo. Gira la testa e la sua guancia accarezza il cuscino. "Ce la farai, James, ricorderai chi sei. Piano, ma ce la farai. I tuoi ricordi sono tutti lì, nella tua testa, lentamente riaffioriranno."
Lui stringe le labbra, guardandomi con i suoi occhi marroni. "E' così brutto non avere i contorni definiti della mia vita, mi sento in un limbo in cui potrei precitare, non riconoscerei nessuno pur avendolo davanti a me."
Lui scioglie la presa dal mio polso e mi stringe la mano. "Anche io ho perso il ricordo delle fattezze di qualcuno.." dico.
"Che bello, è la serata delle dichiarazioni. Io mi ammazzo per riparare questo fottuto arco e voi vi dite i segreti."
Ignoro Nicholas e continuo a guardare James negli occhi. "Non ricordo più bene come fosse mia nonna."
"Davvero?" chiede il partigiano.
Annuisco. "Ricordo i suoi capelli bianchi, i suoi occhi circondati da rughe.. Ma nient'altro. Ricordo la sua presa rigida e le mani callose. Ero piccola, quando se n'è andata. Pagherei per poterla rivedere almeno un'ultima volta e ricordarmela per sempre."
James stringe la mia mano. "Il suo ricordo è nella tua testa, Rose. Se ti concentri, riaffiorirà" mi risponde, utilizzando le mie stesse parole.
"Alcune cose però le ricordo benissimo" dico, "per esempio gli spintoni che mi dava ed io che cadevo nel fango puntualmente."
James ride. "Macchiandoti i tuoi graziosi vestitini tedeschi, immagino!"
"Altrochè" rispondo, e le nostre risate fanno spegnere la piccola fiammella. Cadiamo nel buio più profondo. "Cazzo."
"Fa nulla, dai. Magari è l'ora di dormire." Lascia la presa sulla mia mano e sento il suo materasso spostarsi. "Buonanotte, Rose."
"Buonanotte" gli rispondo, mettendomi in posizione supina. Non faccio nemmeno in tempo a chiudere gli occhi che mi addormento.

E' lo spalancare della porta che ci sveglia, insieme alla luce abbagliante che entra nella stanza. Sollevo di scatto la testa con gli occhi socchiusi, scorgendo delle lame vicino al mio viso. Spalanco lo sguardo quando due mani mi afferrano per le braccia e mi fanno mettere in piedi, trascinandomi. "Ehi, ehi!" urlo, scalciando. "Chi siete? Cosa volete da me!?"
Due guardie afferrano James e gli trattengono le mani dietro la schiena, portandolo fuori dalla stanza. Strattono le braccia, cercando di liberarmi. "Lasciatemi!" urlo.
"Arrestateli!" urla una voce, e mi giro di scatto quando mi rendo conto che la parola sia stata emessa dalla bocca dell'anziana signora. "Sono traditori!"
Spalanco la bocca. "Cosa?!"
La donna incrocia le braccia sotto al seno prosperoso. "Brava signora" dice un'altra guardia, lasciandole sul tavolo una mazzetta di soldi. "Ha fatto bene a tenerli chiusi lì dentro, il governo prenderà le giuste decisioni."
"Lei è una stronza!" urlo, strattonandomi di dosso la presa delle due guardie che mi trascinano fuori di casa.
"E tu una lurida monarchica!"
"Lasciatemi" urla James, ma un colpo di manico di spada tra le scapole lo zittisce di colpo.
"Cammina!" urla una guardia, spingendolo fuori dall'abitazione.
Quando siamo in strada, la gente ci guarda schifata, alcuni si fanno anche il segno della croce mentre io e James veniamo trascinati via.
Inizio ad urlare, chiedendo aiuto. "Sono innocente! Siamo innocenti!"
"Sta' zitta!" mi urla la guardia, prima di darmi uno schiaffo.
"Rose, Rose!" urla Nicholas nel mio orecchio. "Prova a liberarti, ti prego, io non posso fare niente!"
Sento le cinque dita dell'uomo bruciarmi sulla guancia. Riprendo a dimenarmi, ma poi una guardia mi blocca e mi solleva di peso sulla sua spalla, stringendomi un braccio al retro delle cosce. "Lasciami! Lasciami!"
Ma le mie urla sono vane.
Sotto lo sguardo della gente e gli occhi impauriti di James, vengo scortata su un carro e chiusa all'interno di esso. Perdo di vista James. Mi getto contro la chiusura, tempestandola di pugni. "James! James!" urlo, ignorando le occhiate degli altri prigionieri chiusi nel carro. Sono uomini, per lo più. Uomini pieni di lividi e smagriti.
Le lacrime mi solcano le guance e le mani mi fanno male. "Fatemi uscire!"
"Mi dispiace" dice la voce di un uomo dietro di me. "La nostra condanna è stata già decisa."
Mi giro verso di lui, mettendomi in ginocchio. "Io non posso lasciarlo andare così.."
"Tranquilla, vi vedrete sicuramente prima della ghigliottina. Fanno sempre così."
Sgrano gli occhi.
"Cazzo, no!" urla la voce rotta di Nicholas nel mio orecchio. "Scappa, scappa! Butta giù quella chiusura, Rose!"
"Ghigliottina?" dico, con un groppo in gola.
L'uomo abbassa il capo, annuendo. "Sì, moriremo tutti all'alba di domani."

La cella in cui sono stata chiusa è fredda, sporca e buia. Mi aggrappo alle mie braccia, raggomitolata in un angolo. "Non deve finire così" dico, piangendo. "Non posso morire in questo modo."
"Rose, non devi! Non so come farti tornare, non lo so! Ho le mani legate e vorrei venire lì per salvarti, rischiando persino di morire. E' colpa mia, tutto ciò. Sono stato io a farvi partire senza sapere se l'arco fosse completamente aggiustato oppure no."
"E' inutile incolparsi, Nicholas. Non la finiremmo più."
"Tu non puoi morire, Heiderose. Non posso rimanere immobile di fronte alla tua decapitazione."
Le lacrime abbandonano i miei occhi e bruciano contro la mia pelle.
"Mi dispiace che voi tutti moriate per colpa della monarchia" dice all'improvviso una voce dalla cella affianco alla mia. Giro la testa, tirando su con il naso.
Una donna è in piedi, le mani strette intorno alle sbarre. I suoi capelli sono tagliati in maniera rozza, il suo abito voluminoso è macchiato e la pelle bianca sporca di polvere. I suoi occhi sono fissi nei miei e mi commiserano.
"Come?" chiedo.
"Mi hanno incolpato di aver sedotto mio figlio, quando persino la Natura si rifiuta di rispondere ad una simile accusa, e ora paga tutta la Francia."
"Voi siete la Regina?" dico, sgranando i miei occhi arrossati dal pianto.
Maria Antonietta annuisce. "Vogliono eliminarmi, eliminare qualsiasi traccia della Monarchia a favore della Repubblica. Stanno estirpando le radici della mia famiglia e tutti i francesi miei sostenitori. So che non vale niente al momento, ma mi dispiace che voi siate caduta in una simile disgrazia per colpa nostra."
Sorrido di fronte l'ironia della sorte. "Si figuri, io non sono nemmeno francese. Una donna mi ha condannato avendo in mano solo una storia inventata da me, in cui dicevo di essere figlia di una vostra sarta, Vostra Maestà."
"Appellati, di' la verità!"
Scuoto la testa. "Non cambia nulla. All'alba moriremo entrambe, mia Regina."
Maria Antonietta si lascia scivolare contro le sbarre e si inginocchia per terra, calpestando la propria gonna. Accanto a lei, ci sono dei fogli. Li guarda con amarezza. "Il mio testamento giace per terra, lì, nella polvere, senza alcuna utilità. Non lo guarderanno nemmeno, dopo la mia morte."
Stringo le labbra, rimanendo in silenzio. Non c'è niente che io possa dirle, nè che io possa fare. Siamo entrambe due condannate senza alcuna via di uscita.
Una nuova ondata di lacrime mi investe, e mi chiudo le mani a coppa di fronte alla faccia. "Non sono nemmeno riuscita a salvare James" dico a bassissima voce.
Sento uno schiarimento di gola nel mio orecchio e sono sicura Nicholas non abbia più parole da dirmi. Una guardia viene a controllarci e a darci qualcosa da mettere sotto i denti, ma io non ho più voglia di fare nulla.
Sto per morire. E tutto quello che volevo fare della mia vita è svanito in un battito di ciglia. Ho le ore contate. Sento il respiro venirmi meno, la pelle ricoprirsi di brividi e la paura che mi fa contorcere le budella.
Sono sempre stata abbastanza emotiva. Quando leggevo i libri in cui un personaggio sarebbe morto, mi immedesimavo in lui, nei suoi amici, compativo i loro sentimenti e il loro terrore, la paura e il freddo che immobilizzava le ossa.
Ora sento tutto più amplificato, mi sembra quasi di essere loro. Stringo le mani intorno alla gola, questa stessa gola che sarà trinciata da un'ascia tra poco, ormai. Sento i battiti del mio cuore rimbombare nelle orecchie ed inizio a contarli, non volendomi perdere neanche per un solo istante questo suono che mi ricorda ancora di essere qui. Sento l'umido ricoprirmi la pelle, le gocce di acqua che cadono nelle pozze degli angoli, le chiavi delle guardie che tintinnano appena fuori la prigione. Le lamentele degli uomini nelle celle vicine, il respiro rapido di Maria Antonietta e la sua piuma che accarezza il foglio macchiato di inchiostro, il pugno chiuso della mano come a voler colpire in pieno viso l'ingiustizia della situazione.
Inspiro.
Ed espiro.
L'aria difficilmente passa attraverso la gola attanagliata da un groppo che non ne sa di sbrogliarsi.
Non posso salutare i miei genitori a Toronto, le miei amiche a Nova Historia, Nicholas...
Nemmeno James.
L'uomo che avrei dovuto salvare ma che invece ho condotto alla morte.
Un amico, ormai, che avrei tanto voluto riportare a casa in pieno possesso della sua memoria, condannato a morte per una cosa che io ho detto, per una storia inventata.
Insieme, contro una lama affilata.
Che triste storia.
Una storia che avrei voluto riempire di pagine che, purtroppo, rimarranno vuote.
Il tempo passa, posso quasi sentirlo contro la mie pelle infreddolita.
Quando il tintinnio delle chiavi si accentua, sento che è la fine.
La porta della prigione viene aperta, e delle guardie entrano con le proprie chiavi in mano, ognuna diretta verso una cella predefinita. Hanno tutti un cappello in testa, abbassato sulla fronte e in silenzio.
Maria Antonietta mi guarda, serrando la mascella e sollevando il mento.
Lei è la regina, morirà con teatralità di fronte tutta Parigi, sullo stesso patibolo macchiato del nostro sangue, del mio.
Rimango in silenzio, le mani mi vengono legate dietro la schiena con una corda e i polsi perdono sensibilità. La mia guardia mi strattona, mettendomi in fila e tenendomi una mano fissa sulla corda.
Tengo il capo chino per tutto il tragitto.
Non ha nemmeno senso cercare di liberarmi, non ce la farei, circondata da guardie.
Il sole mi ferisce gli occhi, quando vengo fatta uscire all'aperto. La gente urla, appostata sotto alla pedana. Sollevo lo sguardo e incontro quello della lama tenuta in alto. Le lacrime iniziano a scendere di nuovo.
Sono la prima della fila.
"Rose.." La voce di Nicholas all'orecchio mi fa stringere forte gli occhi, mentre salgo i gradini in legno. "Heiderose, ti voglio bene. Anche se dico di non sopportarti, che ne combini una dietro l'altra, non avrei voluto che subissi tutto ciò."
Scuoto la testa, anche se so che non può vedermi. "Spegni il display, Nicholas. Non voglio che tu mi veda."
"No, Rose. Non ti lascio."
Stringo le labbra tremanti, mentre le urla della folla accalcata mi fanno ribollire la rabbia nelle vene. Non è giusto.
Il boia è al mio fianco. Ha un passa montagna sul capo, la divisa scura e le mani inguantate. La corda che dovrà sciogliere per far cadere la lama è alla sua destra. Basta solo che ci giochi un po' con le dita e..
La guardia alle mie spalle mi fa inginocchiare di fronte alla semilunetta in cui inserirò la mia testa.
"A morte i monarchici, a morte!" urla la folla, sollevando le braccia in aria. Sulla pedana in legno non c'è più nessuno. Solo un uomo con una vaschetta tra le mani, esattamente di fronte a me. Mi sale la bile in gola.
Appoggio la testa contro la semilunetta, respirando affannosamente. Il cuore batte veloce, quasi come a ricordarmi che fra qualche secondo scenderà il silenzio su di me.
Guardo la folla, lasciando che le mie ultime lacrime mi solchino le guance. Spero di vedere James, di scorgerlo tra quelle teste e accertarmi che sia ancora in vita, ma non lo vedo. Chiudo gli occhi.
Il boia si accosta alla corda.
Solleva le sue mani inguantate.
Le avvicina al nodo per scioglierlo.
Stringo gli occhi, con la paura che mi fa rizzare i peli delle braccia.
Attendo la lama sul mio collo.
Ma non cade.
Sento un respiro che mi solletica l'orecchio. "Sono qui."
Una lama squarcia l'aria, ma non è quella che colpisce il mio collo. Mi metto dritta, scostandomi dalla lunetta. Giro la testa di scatto e vedo il boia che si tiene le mani al collo, da cui esce copiosamente del sangue. Le mie mani mi vengono liberate e vengo messa in piedi. Un braccio mi afferra per la vita e mi fa scontrare contro il petto della guardia che mi è stata affidata.
James.
Lo vedo, sotto il cappello da guardia.
Lancia la spada insanguinata, mi solleva con entrambe la braccia e saltiamo giù dalla pedana, dalla parte opposta rispetto alla folla. Mi lascia per terra, mi prende per mano ed iniziamo a correre.
"James, sei vivo!" urlo, sentendo la terra sotto i piedi essere calpestata con forza e velocità.
James è più avanti di me, mi tiene stretta la mano mentre la folla si mette a scappare per prenderci.
"A morte! Prendeteli!"
Il rumore di un carro dietro di me mi fa capire che saranno più veloci. James si guarda alle spalle e si infila in una via stretta, correndo contro la parete di mattoni.
"Non avrei potuto lasciarti morire."
"Io amo quel ragazzo!" urla Nicholas al mio orecchio. "E' un grande!"
Sento il respiro pesante, mi fa male la milza ma devo correre.
Sono viva, e devo salvarmi.
"James.." Ma non ho parole per dirgli quanta gratitudine io abbia nei suoi confronti.
Sento un impatto contro il mio orecchio e la voce di Nicholas ancora più chiara. "Ho assestato l'arco, ma non so se funziona! Trovatene uno e fuggite da lì, qualsiasi sia la vostra prossima direzione!"
"James, un arco! Trova un arco!" urlo. La sua presa si fa più forte contro la mia mano.
Scorgo una porta di un negozio aperta, poco più avanti, a forma di arco. "Lì, lì!"
Corriamo più che possiamo, sentendo le urla degli uomini ormai distanti.
James passa affianco l'arco ed io lo spingo così forte da farlo cadere lateralmente, giusto in tempo. Caduti sotto la porta ad arco, ci smaterializziamo all'istante.

N/A
Vi giuro, questo capitolo mi piace moltissimo, per non parlare di James che, personalmente (anche se sono di parte) adoro.

Dunque, sappiate che ciò che dice Maria Antonietta è vero. Durante la Rivoluzione Francese - volta alla dissoluzione dell'Ancien Règime e della monarchia - fu accusata di aver sedotto suo figlio e quando ciò le venne rinfacciato al processo, rimase in silenzio e rispose così: "«Se non ho risposto, è perché la Natura stessa si rifiuta di rispondere a una simile accusa lanciata contro una madre! Mi appello a tutte le madri che sono presenti!»" (Wikipedia)
In cella le venne dato tutto il necessario per scrivere il proprio testamento e delle lettere di addio ai propri figli.

Il resto è inventato da me :)

Spero che questo capitolo e questo viaggio vi sia piaciuto, uno dei tanti di cui Rose e James saranno protagonisti.

Un bacio!
Alla prossima 💜

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