Domenica a Brindisi

"Dov'è che andrete a dormire?" chiede Elisa, mordendosi il labbro inferiore.
Guardo Giuseppe in cerca di un appiglio, ma lui non sta guardando me, bensì la città che stiamo attraversando con queste due ragazze che - abbiamo compreso - sono amiche da moltissimi anni.
"Veramente non lo sappiamo" dico, guardando la ragazza con gli occhiali. "Ogni viaggio che abbiamo fatto ci ha portato un po' di problemi, e solitamente mendicavamo per trovare un posto in cui dormire. Ora che ci penso" dico, portandomi un dito sotto al mento mentre un gruppo di ragazzi ci passa accanto, "l'unica volta che abbiamo dormito decentemente è stato da mia nonna, in Germania."
Stringo le labbra al pensiero. Nicholas mi ha strappato da lei senza neanche poterla avvisare.
Elisa sposta un attimo lo sguardo sul gruppo di ragazzi che ci sta superando e diventa tutta rossa, abbassa la testa e scoppia a ridere, riprendendo a schiaffeggiare il braccio di Elda che si gira quasi per vedere la fonte dell'imbarazzo dell'amica. "Era lui?" la sento dire con occhi aperti. Elisa annuisce. "Ma cazzo, perché non riesco mai a vederlo in faccia!" Poi ritornano a prestarmi attenzione.
Elisa si schiarisce la gola. "Sì, scusami. Dicevi?" mi guarda, stringendo le labbra per allontanare ogni ombra di sorriso. "Ah, sì, sì" dice, come se si fosse ricordata improvvisamente di cosa io le avessi detto. "Quindi non sapete dove dormire."
Scuoto la testa e giro la testa per guardare Giuseppe, con la sciarpa sulle spalle per ripararsi del freddo venticello che ci sposta i capelli. Un lungo corso si estende dinanzi a noi con le illuminarie accese e, in fondo, una fontana a forma di àncora da cui l'acqua continua a zampillare.

Giuseppe si guarda intorno, e lo sento parlare tra sè e sè. "Qui c'era questo, sì, me lo ricordo.. E lì quest'altro."
Elisa guarda Elda negli occhi, poi mi appoggia una mano sul braccio scoperto, su cui la sciarpa verde di Elda mi solletica la pelle. "Se vi va" inizia a dire, "io ho un garage, nei pressi di casa mia. Anche se lì sono depositati gli attrezzi di lavoro di mio padre, potremmo ricavare un po' di spazio per gonfiare un materasso e farvi dormire lì."
"Oddio" dico, sorridendo. "Grazie infinite, davvero."
"Prima, però" dice Elda, una volta arrivate nella piazza in cui la fontana è situata - ho letto che si chiama Piazza Cairoli -, "devo trovare la macchina."
"Hai la patente?" chiedo.
Elda annuisce, mentre assottiglia lo sguardo per vedere dove ha parcheggiato l'autovettura. "Perché, da voi non prendete più la licenza per guidare?" dice, adocchiando la macchina e facendoci cenno di seguirla. Giuseppe guarda la fontana, inspirando profondamente l'odore dell'acqua che ci giunge alla narici e il rumore rilassante che accompagna i nostri passi verso la macchina.
"No, noi non abbiamo più macchine nel nostro tempo. Usiamo il teletrasporto o delle specie di funivie prive di collegamento che ci portano ovunque vogliamo, basta digitare la destinazione sul display all'interno di ciascuna cabina." Controllo che il mio, al polso, sia attivo, così nel frattempo ne approfitto per riprendere tutta la storia che mi circonda.
Elda infila la chiave nella serratura e apre la macchina, facendoci cenno di accomodarci sui sedili posteriori. Ci chiudiamo le portiere alle spalle e tasto la consistenza dei sedili. Elisa si siede sul sedile del passeggero, mentre Elda avvicina il sedile ai pedali e mette in moto. Partiamo, con Giuseppe che ne approfitta per guardare attraverso il finestrino.
"Te la ricordi, la tua Brindisi?" chiede Elisa, girando la testa per guardarlo. Giuseppe annuisce.
"Solo in parte. E' cambiata così tanto.." Indica un edificio che si presenta di fronte alla strada appena imboccata. "Quella è la stazione?" dice, sollevando le sopracciglia.
Elda annuisce, incontrando gli occhi di Giuseppe nello specchietto retrovisore. "Sì, esattamente."

Sterza a sinistra, imboccando una strada scarsamente illuminata che porta su uno spazio più in ampio, leggermente in salita. Il semaforo è verde, così accelera un po', superando un ponte. Ci sono un'infintà di semafori, alcuni che ad intermittenza sono fissi sul colore arancione.
Sento Elisa indicare una strada poco più avanti, mentre anche io mi soffermo a vedere questa città. Sono le undici di sera, le vie sono deserte e i negozi chiusi, tranne le diverse pizzerie sparse nei paraggi. Mi sento lo stomaco brontolare. "Domani" dice Elisa, mentre ci fermiamo di fronte ad una saracinesca abbassata, "venite a mangiare da me. E' domenica, dopotutto. Non potete starvene chiusi qui" dice, prendendo le sue chiavi di casa e schiacciando un tasto su un piccolo telecomando.
Elda spegne la macchina e scendiamo dall'autovettura, aspettando che la saracinesca si alzi almeno per permetterci di passare. Abbassiamo la testa, preferendo scendere lungo le scale piuttosto che fare la discesa destinata alle macchine.
In fila indiana, arriviamo in uno spiazzo su cui si allineano diversi garage. Elisa si ferma di fronte quello con il numero "12" scritto a penna, infila le chiavi e l'aiutiamo a sollevare l'apertura pesante.
Dire che qui dentro c'è spazio per dormire, è una bugia.
Ci sono attrezzi di lavoro dappertutto, scatole di condizionatori addossati negli angoli, scaffali su cui sono poste delle buste contenenti tutto l'occorrente per le decorazioni natalizie. Elisa entra per prima. "Bene" dice, indicandoci alcune cose. "Aiutatemi a mettere questi scatoli uno sopra l'altro e potremo avere spazio a sufficienza."
"Falli prendere a me" si offre Giuseppe, mentre si sfila la sciarpa di dosso. Me la porge, poi si accovaccia ed inizia a sollevare gli scatoloni, addossandoli gli uni sugli altri in perfetto equilibrio. Vengono spostate cassette degli attrezzi e, dopo aver ripulito lo spazio dalla polvere con una scopa appoggiata ad una specie di lavandino, Elisa indica a Giuseppe una piccola busta nell'angolo, sullo scaffale. Giuseppe riesce a prenderla senza neanche doversi mettere in punta di piedi. Prende il contenuto e lo stende per terra. Elisa, incastrata all'angolo, mi chiede di prendere il gonfiatore che è a terra, vicino i miei piedi. Glielo passo e, dopo cinque minuti, il materasso è pronto. Apre una scatola in plastica, facendo uscire da questa una coperta di plaid. La sbatte un po', poi la porge a Giuseppe. "Spero basti."
Mi guardo intorno, vedendo il luogo in cui passaremo la notte. Abbozzo un sorriso. "Ce lo faremo bastare. E' già tanto, quello che stai facendo per noi."
Elisa sorride, poi esce insieme ad Elda dal garage. "Vi consiglio di abbassare l'apertura, almeno per un po' di privacy, sebbene qui sotto non venga mai nessuno."
"D'accordo" dice Giuseppe, guardando poi un interruttore. "Questo è per la luce?"
"Sì, ma si spegne dopo cinque minuti. A meno che uno di voi due non voglia stare in piedi vicino all'interruttore per riaccendere la luce ogni cinque minuti, vi converrebbe stare al buio, o al massimo prendere una di quelle torce." Ne indica una sfilza. "Una di loro dovrebbe funzionare, dopotutto."
"Va bene, provvederemo" dico, sciogliendomi la sciarpa dal collo e porgendola ad Elda. "Grazie mille."
"Di nulla. Buonanotte e a domani."
"Se volete, ci diamo un punto di incontro così da vederci domani. Non abito molto lontano" dice Elisa mentre si appallotola in mano la sciarpa di Elda che Giuseppe mi aveva lasciato tra le mani.
Sollevo il pollice in risposta. Si allontanano, e quando spariscono Giuseppe abbassa la saracinesca e ci isoliamo all'interno del garage. Mi avvicino allo scaffale e tento di prendere un torcia dalla penombra, schiacciando il tasto per attivarla. Fortunatamente, si illumina. Dirigo il fascio di luce sul materasso e Giuseppe è già steso lì, con il plaid in mano. "Mi raggiungi? Così posso coprirci con questa" dice, sollevando le mani per farmi vedere la coperta. Annuisco, stendendomi sul materasso che produce dei rumori fastidiosissimi. "Sappi che" dice Giuseppe, sbattendo la coperta e facendola adagiare sui nostri corpi, "che se dovessi sentire il rumore di una scorreggia, è il materasso, non di certo io."
Stringo gli occhi e scoppio a ridere, girandomi verso di lui e accecandolo con il fascio di luce. Pongo la torcia tra noi, così da avere almeno il viso illuminato. Siamo vicinissimi, le nostre ginocchia sono praticamente a contatto.
"E' stato strano rivedere la tua città in questo stato?"
Lo vedo annuire, con i suoi occhi fissi nei miei. "Tantissimo. E' tutto così.. vuoto, ai miei tempi. Niente palazzi alti, niente viali alberati, niente ragazzi che rimangono in giro fino a notte fonda. Da me c'è il coprifuoco, persino per le coppie sposate, pensa un po'. Non si ha la stessa libertà che i giovani di oggi hanno."
"Educazioni diverse?" chiedo, sentendo il tepore della coperta riscaldarci...o è semplicemente la presenza del corpo caldo di Giuseppe accanto a me a darmi quest'impressione.
"No, mentalità diversa, totalmente diversa. Evidentemente, si ha più fiducia nei ragazzi di oggi che in quelli di ieri a cui appartengo."
"Non uscivi, solitamente?"
"Sì, con un gruppo di amici e amiche prima che fossi reclutato come partigiano."
"Ti mancano?" chiedo, stringendo le labbra. Al suo posto, senza avere certezza di riuscire a tornare nel mio tempo, sentirei una mancanza terribile.
Giuseppe ingoia a vuoto e si lecca le labbra. "Forse. Non lo so."
"Davvero?" chiedo. "Non ci hai riflettuto?"
Scuote la testa. "E' solo che, quando sto con te, non penso al resto, capisci? Solo quando rimango in silenzio e chiudo gli occhi vedo il me stesso di un tempo, impegnato a divertirsi e a vivere la propria vita. Qui stiamo facendo una lotta contro il tempo, per cui non ne ho abbastanza per sentire una vera e propria mancanza." Il suo viso si rabbuia. I suoi occhi si inchiodano nei miei. "O forse, non ho voglia di provarne nemmeno un po'." Si avvicina al mio viso e appoggia una sua mano calda sulla mia guancia. La luce della torcia procura strane ombre sul suo volto. Si avvicina a me, facendo sfiorare i nostri nasi.
Perché si comporta in questo modo? Non aveva detto che avremmo messo un pietra sopra questa situazione?
Rimane così, immobile, a contemplare il mio viso. Poi appoggia la sua fronte contro la mia e chiude gli occhi. "Buonanotte, Rose" sussurra contro la mia pelle, poi appoggia la testa sulla mia spalla, immobile. Non so quanto tempo passi, ma nel silenzio del garage sento il suo respiro regolare e sono certa si sia addormentato, accoccolato contro di me.

La mattina dopo è il rumore della saracinesca sollevata di scatto che mi fa spalancare gli occhi per lo spavento. Una forte luce ci investe, mentre due figure si avvicinano.
Tiro un grosso respiro, sentendomi la spalla intorpidita. Mi giro e vedo Giuseppe appoggiato contro di me, mentre si lascia scappare un sonoro russo.
"Sapete che ora è?" urla Elda. O forse sento la sua voce amplificata solo perché mi sono appena svegliata. "Quasi l'ora di pranzo. Avevamo pensato che ve ne foste andati!"
Giuseppe si scosta, tirando su con il naso. "Che succede?" domanda, con gli occhi ancora chiusi. Abbasso lo sguardo sulla torcia e la trovo spenta.
Ops, forse si è scaricata.
Non ricordo di averla spenta.
"Forza, su! Abbiamo preparato!"
"Davvero?" chiedo, massaggiandomi un occhio con il pugno.
"No, però siccome ho lasciato le mie sorelle a casa di mia nonna, quest'ultima ha voluto darmi parte del suo pranzo, avendone cucinato in abbondanza."
"E i tuoi genitori?" dico, mettendomi seduta sul materasso gonfiato. Uno spiacevole rumore giunge alle orecchie di tutti.
"Non sono stato io!" dice Giuseppe di scatto, mettendosi seduto e sollevando le mani.
Lo guardo, aggrottando le sopracciglia. "Lo so, perché dovrei pensare il contrario-" Mi blocco.
Giuseppe guarda me.
Io guardo Giuseppe.
Elda ed Elisa ci guardano.
Scatto in piedi, schizzando fuori dal materasso. "Che schifo, Giuseppe!" urlo, scoppiando a ridere e mettendo quanta più distanza possibile tra noi.
"Suvvia" dice lui, togliendosi di dosso la coperta di plaid. "Non ne hai certezza."
"Oh, ma potrei averne."
"Bene, ragazzi. Uscite da qui." Abbandoniamo il garage e, mentre Elisa inserisce le chiavi nella serratura, risponde alla mia domanda di prima. "I miei genitori sono alla s.p.a. Hanno voluto passare un weekend diverso. Quindi abbiamo casa tutta per noi. Mangiamo e poi ci facciamo un giro!"
Usciamo dal garage, imboccando una strada trafficata. Ora che sono sveglia, mi rendo conto che l'abbiamo attraversata ieri con la macchina. Una fila di palme divide la strada nei due versi di guida.
Casa di Elisa è distante due minuti a piedi. Abita in un palazzo pitturato di uno strano arancione con i balconi grigi. Saliamo al piano e apre la porta di ingresso. "Et voilà" dice, dandoci il benvenuto. La porta d'ingresso da su un corridoio che divide le due parti della casa. A destra c'è la cucina.
La padrona di casa ci fa vedere tutte le stanze. A sinistra, il salone, con un divano in pelle posto di fronte ad una tv a schermo piatto. C'è un altro corridoio che porta alle camera da letto e al secondo bagno della casa - il primo è esattamente di fronte la porta attraverso cui siamo entrati nell'appartamento.
"E' molto grande, come casa" dice Giuseppe quando torniamo in cucina. La tavola è apparecchiata per quattro persone, con una pentola fumante nel mezzo. Prendiamo subito posto. "Sono due appartamenti uniti" spiega Elisa mentre prende le porzioni dalla pentola fumante. Ce li mette nel piatto e l'odore che viene sprigionato è meraviglioso.
"Cos'è?" chiedo, infilando la forchetta nella pasta fumante.
E' Giuseppe che risponde. "Orecchiette" dice. "Le fanno anche ai miei tempi."
Le mangio ed è buonissima. "Complimenti a tua nonna!"
Elisa sorride per ringraziarmi mentre mastica il suo boccone. Elda si versa un bicchiere d'acqua. "Per quanto starete, quindi?"
"Non lo sappiamo" dico, prendendo un'altra forchettata. "Dipende da quando Nicholas aggiusta l'arco."
Giuseppe ingoia il suo boccone e appoggia la sua mano sul mio braccio per richiamare la mia attenzione. "A proposito, ma il tuo display non sta riprendendo tutto?"
"Sì, e allora?"
"Allora le telecamere di Nova Historia possono essere controllare da chiunque! Stiamo facendo di tutto per sbrigarci a tornare in tempo, ma se ci scoprono o vedono i video sarà la fine!"
Rimango con la mano a mezz'aria. "Hai ragione. Negli archivi potrebbero scoprire tutto quello che ci è successo!"
"E' grave?" chiede Elda. "Spiegatemi, voglio capire."
"Ovviamente, associata al mio lavoro, non posso assolutamente cambiare il corso della storia, nè avere contatti con essa. Il solo semplice fatto che io sia qui con lui mi costerà il posto. Mi licenzieranno, mi spediranno chissà dove oppure mi metteranno in isolamento!"
"Lei non potrebbe nemmeno accettare qualsiasi cosa voi possiate prestarle o regalarle, non può portarsele appresso" dice Giuseppe, dopo aver bevuto.
"Quindi incolperanno anche noi?" chiede Elisa.
Scuoto la testa. "No, però vi prego, non parlate a nessuno di noi. Non possiamo cambiare il naturale corso degli eventi più di quanto comporti la nostra presenza qui."
Elda ed Elisa si guardano e sbiancano.
"Che succede?" chiede Giuseppe, notando il loro strano comportamento.
"Niente" dice Elda, stringendo le labbra. "E' solo che.. Noi abbiamo altre due migliori amiche, di cui una praticamente assente al momento perché in viaggio con il suo ragazzo."
Sgrano gli occhi. "Ebbene?"
"L'altra ragazza, Francesca, sa della vostra presenza e vorrebbe conoscervi, magari oggi pomeriggio quando andremo a fare shopping."
"Francesca?" chiedo, sollevando un sopracciglio.
"Shopping?" controbbatte Giuseppe.
Elisa stringe le labbra. "Scusate, ma parlare con noi, significa automaticamente parlare con lei."
Giuseppe si passa le mani sul viso. "Qualcun altro ne è a conoscenza?"
Elda scuote il capo. "Abbiamo cancellato qualsiasi traccia di voi da ogni social-"
"Cosa?!" esclamo. "L'avevate scritto dappertutto!?"
"Sì, ma abbiamo cancellato tutto ancora prima che la gente potesse leggere o vedere qualcosa!" si scusa Elda.
Lascio andare un grosso sospiro, poi riprendo finalmente a mangiare la pasta che intanto si è raffreddata.
"Noi comunque non stiamo facendo niente di diverso da ciò che, abitudinalmente, siamo solite fare. Quindi non stiamo cambiando proprio niente, nella storia. L'unica cosa diversa, siete voi qui con noi."
"Certo che è un gran casino" dice Elisa, dopo che Elda abbia finito di parlare. "E' difficilissimo non cambiare la storia. Basta un niente per suscitare un cambiamento. Sicuri di non aver alterato qualcosa, nel resto del vostro viaggio?"
Penso alla signora nobile con cui ho litigato sotto alla Tour Eiffel, alla mia mancata decapitazione - grazie al cielo! -, alla regina Margot di Monaco che ci ha visti sospetti, alla mia presenza alla corte di Cleopatra, alla nostra scomparsa nel bel mezzo della piazza in Germania (sebbene Nicholas sia sicuro non ci abbia visto nessuno) e adesso Elisa ed Elda.
Mmh.
"Nah" diciamo insieme io e Giuseppe, guardandoci. "Non abbiamo alterato quasi niente."
"Quel quasi è preoccupante." Elda ci guarda da sopra il suo bicchiere.
Stringo le labbra, sorridendo incoraggiante.
"Che dite? Continuiamo a mangiare?" dice Giuseppe.
Elisa scatta in piedi. "Certo, fatemi prendere cose."
Davvero, ma è stato coniato un nuovo linguaggio giovanile in cui si omettono persino gli articoli prima delle parole?
Elda ci guarda mentre io e Giuseppe ci lanciamo una strana occhiata. "Ma voi state insieme?"
La guardiamo simultaneamente.
"No!"
"Assolutamente no!"
Elda solleva un sopracciglio. "Ah. Non c'era bisogno di scaldarsi tanto."
"No, no, è solo che.. Non si può" dico, provando a rimediare. "Lui viene dal passato, io dal futuro... É impossibile che ci sia qualcosa."
Giuseppe si schiarisce la gola e mi guarda attentamente. I suoi occhi mi mettono un po' a disagio. "Sì, vero. Ci sono.. Troppe complicazioni di mezzo."
Lo guardo, aggrottando le sopracciglia. "Complicazioni? Io direi più che altro un divario temporale. Che tipo di complicazioni ci sarebbero, a parte ciò?"
E' come se non stessimo parlando più con Elda ed Elisa, ma ci fossimo solo noi e qualche strano segreto tra noi.
"Scusate, chiaramente abbiamo toccato un nervo scoperto. Non volevamo che-"
"Giuseppe, che complicazioni?" ribadisco.
"Beh, in primo piano l'appartenenza a mondi diametralmente opposti, poi vite diverse e varie abitudini inconciliabili.." Sembra a disagio.
Continuo a guardarlo e sono convinta ci sia qualcosa di cui non vuole farmi sapere nulla.
La conversazione non prosegue, perché suonano al citofono.
Elda ed Elisa si alzano e vedono attraverso il piccolo monitor del citofono. "E' arrivata Francesca!" esultano.

N/A
Cos'avrà mai Giuseppe che lo porta a comportarsi così? :-)
Ah, e secondo voi cosa saranno mai queste complicazioni su cui Giuseppe è molto vago?

Spero che il capitolo vi piaccia.

Lasciatemi qualche voto e commenti, mi piacerebbe sapere se la storia vi stia intrigando.
Ovviamente la permanenza a Brindisi è dovuta all'assenza di Nicholas in sede, una piccola pausa dal trambusto, ecco.

Alla prossima!
Un bacio! 💜

P.s martedì andrò al concerto delle Little Mix. So che non ve ne frega nulla ma avevo voglia di scriverlo ahahaha

P.p.s i personaggi di Elisa, Elda e (dal prossimo capitolo) Francesca sono ispirati a persone reali, comunque. Kaspercoffee vero?

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top