Berlino e San Pietroburgo

"Heiderose, togliti subito da lì!" mi urla Nicholas nell'orecchio e non posso fare a meno di chiuderci la mano sopra, facendo una smorfia di dolore. Getto tutte le carte che stavo leggendo sparse un po' sulla scrivania del Fuhrer, rimettendo la lente d'ingrandimento a posto mentre sento dei passi pesanti avvicinarsi alla porta. Lascio i fogli in maniera scomposta sul mogano, controllando che nient'altro sia stato messo nel posto sbagliato, dopodiché mi nascondo prontamente dietro la tenda della stanza di Hitler, coprendomi con la pesante tenda di tessuto verde scuro. Mi aggiusto i lembi della gonna da cameriera che ho indossato e mi incollo al muro alle mie spalle, attenta a non far sporgere la mia ombra per la luce che proviene dalla finestra. Sento chiaramente la porta della stanza spalancarsi e due figure che, ansimanti, rimangano ferme come inchiodate per terra.
Sono troppo curiosa di sapere cosa stia succedendo.
Quando lascio che un occhio sbuchi sul lato del tessuto, noto Adolf Hitler in piedi al centro della stanza, mentre la donna - Eva Braun - richiude maliziosamente la porta alle sue spalle. Stringo le labbra e cerco di trattenere il respiro. La donna ha i capelli acconciati sulla nuca, un sorriso maldestro sulle labbra carnose e le sopracciglia curate che le ingentiliscono i tratti del volto. Hitler sorride tra sè, aggiustandosi con l'indice i baffetti sul labbro superiore, contemplando Eva che, chiusa a chiave la porta, si posiziona avanti a lui, rimanendo con le braccia allungate ai fianchi e la schiena dritta.
Mi mordo il labbro superiore e non posso fare a meno di ridere sotto i baffi.
"Rose, davvero, mi viene da vomitare al pensiero" mi dice Nicholas all'orecchio, così disattivo la funzione traduttiva. "Che cosa hai fatto?!" sbraita, e già me lo immagino smanettare alla tastiera del computer per riattivare la funzione a distanza.
Lo ignoro e mi nascondo dietro il tessuto della tenda, controllando che anche i miei piedi fossero coperti. Fortunamente nel millenovecentoquarantacinque le domestiche usavano scarpe silenziose e basse. Mi incollo ancora di più alla parete, cercando di trattenere il respiro sebbene le risate minaccino di scapparmi dalla bocca."Dio, Rose, che schifo."
"Dimmi, Adolf, cosa desideri?" dice Eva Braun in un tedesco fluido e scandito.
Ho disattivato la funzione traduttiva così che potessi avere l'esclusiva di tale avvenimento, essendo io una tedesca naturalizzata canadese. Questa cosa mi eccita alquanto, e non solo perché l'atmosfera sia satura di attrazione sessuale palpabile.
Sento Hitler schiarirsi la gola, così avvicino gli occhi al tessuto in modo tale da vederci attraverso. Eva ha le sue mani appoggiate sulle spalle dell'uomo, poi lascia che un indice gli percorra il petto coperto dal completo verde militare, salendo e scendendo lungo i bottoni stretti.
Stringo le labbra.
"Voglio te" risponde Hitler, prendendo però la ragazza per i polsi e stringendoglieli.
Eva sorride furbescamente e fa un passo indietro, abbassandosi e appoggiando le sue mani sulla gonna a tubino stretta.
Sgrano gli occhi.
"Rose, giuro che se ora tu inizi a toccarti a causa dell'eccitazione che permea l'aria-"
Mi schiaffeggio l'orecchio per zittirlo, mentre il mio display al polso registra le frasi in lingua originale e l'orologio intertemporale dondola sul mio petto leggermente sporto in avanti.
Non pensate che io sia un pervertita, eh.
Mi sto solo gustando ciò che la storia sicuramente non ha mai raccontato.
Eva Braun inizia a scutere i fianchi, lentamente, poi si abbassa e si stringe i lembi della gonna, iniziando pian piano a solleverla lungo le gambe.
Hitler indurisce la mascella e gli occhi gli si riempiono di una luce malsana.
La donna continua a far salire il tessuto stretto ed ad ogni lembo di pelle scoperta Hitler trattiene il respiro. Sembra totalmente stregato dal movimento dalla donna.
Se solo fosse stato così semplice stregarlo, al tempo. Si sarebbero evitate cose tanto inumane e tremende.
Ad un certo punto, Eva solleva di scatto la sua gonna a tubino rivelando la sua....femminilità.
Hitler trattiene il respiro di botto e lascia che le sue labbra si lascino scappare gemiti di piacere.
Non pensavo un uomo potesse arrivare a questi livelli.
Eccitarsi solo guardando l'intimità di una donna che nemmeno si sfiora!
"Heiderose!" urla Nicholas e quando vedo Hitler affrettarsi a slacciarsi i pantaloni, scosto immediatamente gli occhi in quanto mi è salito l'acido lungo la trachea. Mi giro e mi apposto sotto la finestra a forma di arco, afferrando rapidamente l'orologio intertemporale tra le mani trementi e inserendo le prossime coordinate.
Sono sicura che quando tornerò in sede il mal di testa mi assalirà. I raggi laser mi smaterializzano proprio mentre Hitler lascia sfuggire il proprio piacere ed io riporto giù la bile lungo la gola.
Riprendo fattezza dopo neanche due minuti, in piedi, al centro di un imponente salone. Mi guardo intorno, soffermandomi sui dipendenti che abbelliscono le alte mura portanti fittamente ricamate con una specie di ghirigori che si arrampicano lungo le colonne gli angoli.
Il pavimento è lucido, i mobili spolverati e le poltrone sistemate, come in attesa che qualcuno ci si sieda sopra. Mi sposto piano dall'arco che sostiene il muro sopra la presuna porta d'ingresso della camera, avviandomi lungo quell'unico ritratto che sembra presentare delle persone.
Quelli intorno mostrano paesaggi, animali che scappano, tramonti, palazzi innevati, mentre quello che ho davanti a me ha tutta l'aria di essere un ritratto di famiglia.
C'è un uomo seduto, con in braccio un piccolo bambino dalle mani chiuse a pugno sulle ginocchia piegate. Accanto al bambino, su una specie di divano, ci sono tre ragazze, con i piedi ben sistemati alla base dell'ampia poltrona, i capelli acconciati e un lieve sorriso all'angolo delle labbra sottili. Dietro, in piedi, una donna con un corpetto in pizzo, una vistosa collana al collo e i capelli tenuti raccolti da forcine di gioielli. Al suo fianco, c'è un'altra ragazzina. I suoi capelli sono lasciati sciolti sulle spalle, un piccola frangetta le copre le sopracciglia e i suoi occhi sono più grandi di quelli - presumo - delle sorelle. Il suo volto è serioso, sebbene sia evidentemente più piccola delle altre tre ragazze.
Mi porto una mano al cuore nel vederli tutti insieme, sereni dietro una tela, ignari del loro futuro così funesto.
I capelli di tutte le donne del ritratto tendono sul castano, tranne quelli della ragazzina in piedi che vanno più su qualche sfumatura ramata. Il padre ha dei vistosi baffi sotto il naso e il piccolo che ha in braccio un ciuffo che gli ricade lateralmente sulla fronte.
Faccio un passo indietro, beandomi della magnificenza e della grandezza di tale ritratto.
"I Romanov" sussurro, azionando il display al mio polso e riattivando il traduttore nel cip all'orecchio.
Nicholas non dice niente, sono sicura stia guardando la bellezza di questo ritratto in silenzio e con sguardo perso.
Ad un certo punto, sento un sibilo. Giro di scatto la testa, aspettandomi di trovare qualcuno.
Mi guardo intorno, ma non c'è nessun altro nel salone.
Ad un certo punto qualcuno mi si getta addosso sulle spalle, aggrappandosi ad esse ed allacciandosi con le gambe alla mia vita. Lancio un urletto e cado a terra, portando immediatamente le mani in avanti.
Una risata biricchina mi giunge alle orecchie e quando la figura si stacca dal mio corpo, rotola sul fianco, stendendosi sul pavimento in maniera supina.
Giro la testa e la guardo negli occhi, restando ancora in pancia in giù. I suoi lineamenti sono delicati, i capelli rossicci legati un po' sulla parte alta della testa, mentre il resto le circonda il viso pallido. Gli occhi sono chiari e le labbra inclinate in un ghigno divertito. "Non dirmi che non mi hai visto" dice e il suo accento russo viene tradotto all'istante nel mio orecchio, come se stesse parlando la mia stessa lingua. Sollevo un sopracciglio.
"Avrei dovuto?"
"Beh, sì" mi risponde, mettendosi seduta e girandosi a guardarmi. "Cosa aspetti? Rimettiti in piedi, prima che la mamma mi veda."
Sorrido e mi sollevo sulle braccia. Quando mi metto in piedi, la vedo che corre intorno al centro del salone con le braccia spalancate. "Devi essere quella nuova!" mi dice, continuando a correre in circolo. La fermo, bloccandola per le braccia.
"Sì, sono io" dico, camuffandomi in chiunque si sarebbe dovuto presentare oggi in questo palazzo.
La ragazzina mi afferra l'orologio che ho al collo. "Che bello! Ne voglio uno."
Tiro la cordicella e le faccio mollare la presa. "Non questo" dico, infilandomelo all'interno della camicetta bianca da cameriera. La ragazzina mi sorride, così la guardo a lungo.
Deve essere per forza lei. Secondo quanto mi hanno detto, era la più biricchina, faceva sempre scherzi e amava divertirsi.
"Granduchessa Anastasia" mi inchino, rispettosamente, "c'è qualcosa in particolare che io possa fare per lei?"
Lei si porta una mano al mento, pensandoci su. "Una cosa ci sarebbe."
"Ovvero?"
"Chiama il Vecchio Saggio! Mio fratello Alessio ha bisogno della sua cura, oggi."
"Ah.." dico, cercando di inquadrare Anastasia con il mio display così che Nicholas possa registrare l'informazione. "Il Vecchio Saggio.." ridico, non avendo la benché minima idea di chi si tratti.
La voce del mio migliore amico mi esplode nell'orecchio. "E' Rasputin, idiota! Devi chiamare Rasputin!!"
"Quello dagli strani poteri?" chiedo, rispondendogli. Poi mi ricordo che ho la ragazzina davanti e ammutolisco.
"Sì, lui. Sai" dice Anastasia, guardandomi dall'alto in basso. "Sei strana."
Stringo le labbra.
"Ha ragione la ragazzina!" dice Nicholas, così mi gratto l'orecchio per zittirlo.
"Va bene, allora lo chiamo subito. Tu intanto perché non vai a..." Cosa diamine poteva fare la Granduchessa all'epoca?
"Ricamava, Rose. All'epoca o giocava con le sorelle e la zia, o studiava o ricamava. Non fare quella faccia da ebete!" Sempre molto gentile, Nicholas.
Guardo Anastasia, osservando attentamente il suo abito. E' di un rosa chiaro, stretto in vita e le scende morbido lungo le gambe. Ha una collana di perle intorno al collo.
"Vai a ricamare, intanto. So che i tuoi lavori sono splendidi!"
La ragazzina inclina leggermente la testa. "Anche mia madre lo dice. Chiama Rasputin!" mi ordina, mentre si allontana piano verso un'altra porta.
Quando se la richiude alle spalle, rilascio un rumoroso sospiro. "E ora come faccio a chiamarlo?"
"Ops" dice Nicholas, proprio mentre nel salone irrompe una nuova figura. E' vestita come me, quindi si presume sia una cameriera.
"Salve" dice con voce bassa. "Oggi dovrei iniziare il mio nuovo lavoro a palazzo, quindi mi chiedevo come fare per interloquire con lo Zar e la Zarina per il contratto."
Cazzo.
E' lei, dunque, la donna che aspettavano, quella nuova.
Mi avvicino a lei, appoggiandole le mani sulle spalle. "Non si preoccupi, è già tutto pattuito. Come primo ordine, deve chiamare il signor Rasputin...sa, per il piccolo Alessio."
"Perché non lo fa lei?" mi chiede la donna, guardandomi.
Ingoio a vuoto. "Perché ho altro da fare" dico semplicemente. Lascio la presa sulle sue spalle. "Va', su, su!"
La donna aggrotta le sopracciglia e torna indietro, così mi avvio silenziosamente lungo la rampa di scale appena al di là dell'ingresso del salone. Mi appoggio al corrimano, salendo i gradini silenziosamente. Le pareti sono lucide, pulite e piene di quadri e ritratti. Arrivo al primo piano e mi si estende davanti un corridoio chilometrico, lungo la cui destra ci sono svariate porte chiuse. Una di queste si apre e nella mia visuale appaiono la Zarina con le sue altre figlie. Mi paralizzo sul posto. Quando mi vengono incontro, mi inchino frettolosamente.
"Buongiorno" mi dice la Zarina Alessandra, sorridendomi con calore. "Ho fatto sistemare già alle ragazze le stanze, non hai niente per cui perdere tempo oggi."
Le figlie sorridono, poi mi superano e scendono le scale, quando dei passi concitati mi fanno nuovamente girare in quella direzione.
Anastasia passa affianco alla madre e la Zarina aggrotta le sopracciglia. "Monella?" la chiama, ma la granduchessa spalanca una mano nella sua direzione.
"Un momento!" Mi allunga un ricamo che ha in mano e me lo mostra. "Ti piace? E' l'ultimo che ho fatto!"
Lo guardo, girandolo attentamente tra le mie mani. C'è un piccolo cognolino ritratto sopra con una palla tenuta ferma sotto alla zampa. "E' davvero fatto bene, sei molto brava!"
Anastasia mi sorride. "Fra tre giorni lo do in beneficenza, e sono così felice che sia uscito bene!"
"Come mai me lo hai mostrato?" chiedo.
"Perché tutte le altre domestiche, o mio padre, o gli altri miei familiari sono di parte e non sanno darmi un giudizio oggettivo. Sei nuova, quindi lo chiedo a te per sicurezza."
Le sorrido e glielo restituisco. "Allora sappi che è davvero bello, mi piacerebbe imparare a ricamare come te."
"Oltre a tutte le altre cose che non sai fare" commenta Nicholas e alzo gli occhi al cielo.
"Se vuoi ti faccio vedere-" inizia a dirmi Anastasia, quando però una voce dal basso la richiama.
"Sono arrivato, Anastasia!" urla un uomo.
Sgrano gli occhi mentre la Granduchessa inizia a sorridere più ampiamente. "Rasputin!" urla, sporgendosi sulla balaustra delle scale. Mi affaccio, appoggiandole le mani sulla vita per evitare che cada e incontro gli occhi del tanto famoso "stregone" di cui si parla nelle storie.
Barba lunga che gli arriva al collo, nera come i capelli ordinati con una riga nel mezzo. Un camice marrone addosso gli copre tutto il corpo e il suo viso è sollevato verso l'alto, pieno di rughe e con gli occhi piccoli che sorridono ad Anastasia.
La Granduchessa aggiusta la parte bassa del suo vestito e si gira a guardarmi. "A dopo!" dice, scendendo rapidamente le scale.
Mi piacerebbe dirle "A dopo", ma so che non sarà così. Faccio finta di niente e mi introduco nella stanza da cui la Zarina è uscita.
La riprendo con il display.
"E meno male che sono ricchi!" urla Nicholas. "Guarda come dormono, in quattro nella stessa stanza e su delle brandine prive di cuscini!"
Sfioro con le dita le lenzuola appoggiate sui giacigli delle principesse, guardando i loro abiti piegati sulle sedie, oppure appesi alle maniglie delle finestre. I libri sono posizionati sui mobili in legno e tre quadri appesi sulla parete centrale. Nonostante siano una delle famiglie più ricche e nobili del mondo, non mi sarei mai aspettata che le principesse vivessero in tanta umiltà. Mi avvicino ad un comodino, sfiorando un boccetta contenente un liquido. Svito il tappo e annuso il contenuto. Un delicato profumo di violette mi riempie le narici.
"Dovrebbe essere il preferito di Anastasia" dice Nicholas. "Mi pare di aver letto qualcosa del genere!"
Sorrido, annuendo. "Probabilmente è così." Lo richiudo e lo appoggio sul comodino, fermandomi ad osservare anche una piccola bambolina dai capelli rossi appoggiata contro il muro. Ha due perline nere al posto degli occhi. Le sfioro il vestitino. "Scommetto che l'ha cucito lei."
"Zia!" urla una voce dal piano in basso, così esco dalla stanza e mi affaccio dalle scale, vedendo le quattro ragazze abbracciare una donna di mezza età chinata su di loro che delle borse cariche. Anastasia gliele sfila dalle braccia e le lascia a terra. "Ora viene la cameriera nuova a portarle nella tua stanza!" dice, prendendo la mano della zia e facendola uscire in giardino. Iniziano a rincorrersi per tutto il prato curato, con i mantelli che sventolano alle loro spalle e la zia Olga che tenta di afferrarle. Scendo piano le scale, mantenendomi al corrimano e mi avvicino all'ingresso del salone, esattamente sotto l'arco.
"Muoviti a tornare" mi dice Nicholas all'orecchio, così mi assicuro che non ci sia nessuno prima di poter uscire l'orologio dall'interno della camicetta.
Quando mi controllo le spalle, però, Rasputin è esattamente dietro di me e mi guarda con le mani incrociate dietro alla schiena. I suoi occhi sono stretti, la barba copre totalmente la sua bocca e le sue sopracciglia sono aggrottate.
"Cazzo, fa paura" urla Nicholas al mio orecchio. Tento immediatamente di coprire il display con la manica della camicetta.
"Cosa stai facendo?"
Ingoio a vuoto. Mi saprà leggere nella mente? Saprà che non appartengo a questo tempo e che sono qui solo per studiare i loro comportamenti, i loro abiti, le loro abitudini e che non ho intenzione di fare loro alcun male? O peggio. E se pensasse che io sia una ladra, un'usurpatrice, una spia con il compito di trasmettere informazioni di vitale importanza ai bolschevichi? E se-
"Te ne vai senza questa?" mi dice, sorridendo all'improvviso e facendo uscire una mano da dietro la schiena. Regge in mano un fermaglio attaccatto ad una cuffietta bianca. "Credo appartenga a te. L'hai persa mentre scendevi le scale di fretta."
Lascio ricadere l'orologio intertemporale all'interno della camicetta. Faccio una breve risata mentre gliela prendo dalla mano. "Mi scusi, davvero. La ringrazio infinitamente. Come potrei fare a meno della mia cuffietta, dopotutto."
"Ma sta' zitta!" brontola Nicholas. "Aspetta che se ne vada e lasciati immediatamente alle spalle il millenovecentotredici."
Raspuntin annuisce.
"Sta bene il piccolo duca Alessio?" domando.
Il vecchio scuote la testa. "Le mie cure lo aiutano, ma non so quanto possa essere forte il ragazzo. L'emofilia è terribile, come malattia, la Zarina ha sofferto tantissimo quando ha saputo che suo figlio avesse ereditato la parte più brutta di lei." Annuisco, stringendo le labbra. "Ti lascio al tuo impiego" dice, chinando il capo. "Alla prossima."
Mi inchino, poi appena gira l'angolo inserisco le coordinate e torno subito a casa mia.
Ho una seria necessità di dormire profondamente.

N/A
Ciao a tutti!
In questo capitolo, Rose va nel 1945, precisamente a Berlino e assiste ad una scena abbastanza strana che ovviamente ho inventato, sebbene si basi su delle scoperte fatte da me.
Nelle varie ricerche che ho fatto, ho letto che Hitler ed Eva Braun avessero avuto una specie di relazione. Gli appetiti sessuali del Fuhrer però erano comunque abbastanza strani, basti considerare il fatto che fosse preso integralmente dall'eccitazione senza sfiorare le donne :))))

La seconda parte del capitolo prende piede invece nella Russia del 1913, prima che la dinastia dei Romanov potesse essere annientata verso la fine della Prima Guerra Mondiale.
Nonostante nel cartone animato (che spero abbiate visto tutti perché é un MUST!) Anastasia vede Rasputin un nemico fin dal principio, nella storia l'uomo era stato consigliere privato della famiglia e un "medico" per il duca Alessio, il figlio minore dello zar, affetto da emofilia (insufficienza nella coagulazione del sangue).
È riuscito ad entrare nelle grazie del castello tramite la Granduchessa Anastasia che riportava alla madre notizie su quest'uomo dotato di strani poteri. La principessa di Russia era chiamata da tutti "monella" soprattutto perché era stata una bambina molto ribelle e giocosa, si dedicava alle attività citate nel capitolo e amava fare scherzi.

Spero che il capitolo vi piaccia e sappiate che la svolta inizierà già nel prossimo!
Un bacione 🌸

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top