Bacialo, Rose

Elda mi fa entrare in casa sua e mi sistema il divano su cui dormire, porgendomi delle coperte calde con cui coprirmi. "E' tardi" dice, "le mie sorelle stanno già dormendo nell'altra stanza, altrimenti le avrei fatte spostare nel letto dei miei - che sono via per festeggiare il loro anniversario - e avresti dormito in camera mia."
Scuoto le mani, sorridendole. Faccio vagare lo sguardo sui mobili addossati alle pareti, sulla libreria piena di libri, sul tavolo, sulla televisione, persino sulle mattonelle bianche e nere che ricoprono il pavimento. Elda mi porge anche un cuscino e si accomoda all'angolo del divano, guardandomi con i suoi occhi marroni. Si stringe la coda ai capelli, tirandoseli un po' di più. "Perché preferisci dormire da sola, questa notte? Se non mi sbaglio, mi pare che tu e Giuseppe dobbiate stare insieme.."
Mi siedo al suo fianco e incrocio le braccia sotto al seno, stringendo le labbra. Come posso spiegarle tutto quello che sta succedendo tra noi?
"Il fatto è che.."
"Lui ti piace, non è vero? Non negare, perché altrimenti ammetteresti il falso."
Un lieve sorriso sbuca sulle mie labbra. "Ti giuro, non lo so con esattezza. Ammetto di essere attratta da lui, però negli ultimi tempi si sta comportando in maniera troppo strana e non so come spiegarmi tutto ciò."
Elda mi appoggia una mano sul ginocchio, guardandomi negli occhi. "Sfogati, e sappi che io riesco a capire tutto quello che si cela dietro ad una storia."
Sollevo un sopracciglio. "Vuoi fare la psicologa di turno?"
Elda sgrana gli occhi. "Santo cielo, no!" Ride. "E' solo che, anche quando Elisa scrive una storia, io ho questa capacità di saper cogliere ogni singolo indizio e capisco tutto fin subito, ancora prima che lei me lo dica. Sono la prima a cui fa leggere le sue storie, gliele giudico continuamente e le suggerisco scene - a mio parere - meravigliose. Siccome tu e Giuseppe, con la vostra storia, sembrate essere usciti da una fanfiction - che mi auguro Elisa prima o poi possa scrivere -, sono sicura riuscirò a cogliere quello che tu non vedi."
Sollevo entrambe le sopracciglia sorpresa. "Caspita, che abilità."
"Già." Elda mi stringe il ginocchio, esortandomi. "Allora?"
Mi lecco le labbra. "Quando siamo stati in Germania, lui si era avvicinato tanto così" dico, avvicinando pollice ed indice della stessa mano "e sembrava sul punto di baciarmi."
Elda si appoggia con i gomiti sulle ginocchia e si mantiene la testa sulle mani chiuse a pugno. "Mh."
"Ma poi non l'ha fatto" continuo, guardando le mattonelle che copro con le mie scarpe nuove. "Anzi, si è allontanato dicendo che non poteva farlo, poi ci siamo smaterializzati."
"Tutto qui?" chiede Elda, ma le rispondo scuotendo la testa.
"Qualche altro giorno fa, ci siamo praticamente ritrovati abbracciati durante il sonno, troppo vicini per essere semplicemente due compagni di viaggio; la notte scorsa, nel garage, lo stesso. Anzi, mi ha detto di non aver sentito quasi per niente, finora, la mancanza delle persone che ha lasciato nel suo tempo perché quando sta con me non pensa ad altro." Mi metto la testa tra le mani, scuotendo la testa. "E oggi pomeriggio mi ha accarezzato la schiena scoperta con un dito in un gesto così intimo che non ci ho capito più niente."
Elda mi guarda, poi stringe le labbra e solleva le mani, aprendo le dita pian piano per spiegarmi i concetti. "Dunque" inizia, "a meno che lui non sia bipolare, non ci sono altre spiegazioni." Inizia a contare sulle dita. "Se Elisa dovesse scrivere una storia del genere: uno, faremmo accadere un colpo di scena; due, Giuseppe non sarebbe mai bipolare ma si comporta così a causa delle sue emozioni contrastanti; e tre," rimane a guardarmi, con il dito piegato nella conta, "non hai pensato che, magari, ci sia già un'altra?"
La guardo di scatto, spalancando gli occhi. "Me l'avrebbe detto, immagino. Ha detto che ha ripreso tutto la sua memoria, se avesse avuto una fidanzata, me l'avrebbe senza dubbio riferito."
Elda rimane in silenzio, poi si abbassa sul mio viso e mi appoggia una mano sulla guancia, guardandomi come una mamma guarda con apprensione il proprio figlio ingenuo. "Ah, Rose" dice, stringendo le labbra. "Allora non sai proprio come funziona il mondo."
Si mette in piedi e si avvia fuori dal salone, girandosi solo per lanciarmi un'ultima occhiata. "Buonanotte." Spegne la luce, chiude la porta alle sue spalle e mi lascia al buio, a battagliare con i miei pensieri.

Mi rendo conto sia mattina dai rumori che ci sono in casa. Mi strofino gli occhi, stiracchiandomi sul divano. Mi scosto le coperte di dosso e mi metto seduta, piegandomi sulle ginocchia per infilarmi le scarpe. Quando lascio il salone, mi ritrovo nel vano d'ingresso, con la cucina di fronte e un corridoio alla mia sinistra che si piega ad angolo. Seguo la scia dei rumori. "Infila 'sti cazzo di pantaloni!" urla Elda e quando giro l'angolo la trovo in fondo, nella sua stanza, in piedi di fronte il letto delle sue sorelle. La più piccola è in piedi e saltella sul materasso mentre Elda cerca di tenerla ferma per infilarle i pantaloni, mentre nell'altro letto a scomparsa l'altra sorella dorme ancora.
Elda si abbassa e le scuote la spalla. "Muoviti, è tardi. E' lunedì!"
La sorella sbuffa e si gira dall'altra parte. Elda sposta lo sguardo lungo il corridoio e incontra il mio sorriso. "Buongiorno" saluto, mentre la sua sorellina piccola si immobilizza, vedendomi. Elda ne approfitta e le blocca le gambe.
"Vedi? Non fare brutte figure, infilati i pantaloni e basta fare la scema." Poi si abbassa e scuote di nuovo la spalla dell'altra sorella, con voluminosi capelli ricci. Mi avvicino, porgendo la mia mano alla sorellina.
"Ciao, piccola" dico, mentre Elda finisce di abbottonarle il pantalone in vita. La bambina ha i capelli biondi e a boccoli, con gli occhi azzurri e le labbra a cuoricino schiuse. "Come ti chiami?"
Si mette le mani in bocca, sorridendomi timidamente.
"Si chiama Jenny" dice Elda mentre la prende in braccio e la fa scendere dal letto. Si abbassa poi sull'altra sorella. "Questa cretina che non si alza invece si chiama Caterina. Muoviti, idiota!"
La sorella mugugna, ma non osa svegliarsi. Elda stringe le labbra.
Dieci minuti e schiaffi dopo, Caterina è in piedi, vestita e con lo zaino in spalla. "Ciao" bofonchia prima di uscire di casa con gli occhi stretti e la mascella serrata. Elda sparecchia il tavolo, mettendo le tazze nel lavandino. "Devo portarla all'asilo, quindi se devi lavarti, cambiarti o fare quello che vuoi, approfittane. Ti ho lasciato degli asciugamani sul lavandino. Io torno subito" dice, infilando la giacchetta a Jenny e uscendo di casa.
Ne approfitto per cambiarmi e noto che il ciclo mi è notevolmente diminuito. Mi lavo a pezzi e la sensazione dell'acqua sulla pelle mi rigenera all'istante.
Ho fatto uno strano sogno, questa notte, un sogno che mi ha lasciato un senso di amarezza in fondo alla gola. C'eravamo io e Giuseppe, in piedi al centro di una distesa verde infinita, il cielo azzurro e il sole caldo di mezzo giorno. Eravamo entrambi vestiti di bianco e ci ricorrevamo.
O meglio, io lo inseguivo, Giuseppe non osava guardarsi alle spalle. Correva più velocemente di me, con le spalle larghe e le falcate più lunghe. Avevo l'affanno, correre mi costava una fatica immensa.
D'un tratto, i piedi si erano fatti pesanti, non osavano sollevarsi dal prato ai miei piedi, così l'unica cosa che potevo fare era guardare Giuseppe allontanarsi.
Poi è come se l'angolazione del sogno fosse cambiata, come se io mi fossi trasformata in una telecamera e avessi dovuto riprendere la scena. Vedevo Giuseppe sorridere e spalancare le braccia, per poi afferrare e attirare al suo petto una giovane donna. I suoi capelli erano lunghi e rossi come il fuoco, scompigliati dal vento, con un vestito bianco simile al mio. Non le vedevo il viso, era nascosto nell'incavo del collo di Giuseppe che aveva gli occhi chiusi e una mano appoggiata sul retro della testa della ragazza. Aveva un sorriso stampato in viso. Poi, piano, girava la testa e i suoi occhi si incastravano tra i miei. Le sue labbra si incurvavano in un sorriso, poi le sue labbra avevano iniziato a sussurrarmi qualcosa e nonostante non gli fossi accanto, sentivo il suo fiato arrivarmi alle orecchie. "Non posso" mi ripeteva e sentivo l'amaro in gola mentre teneva stretta a sè quella donna dai capelli rosso fuoco.
Quando Elda ritorna a casa, sono ancora svestita. Mi preparo subito e lascio il bagno, tenendo in mano gli asciugamani usati. "Dove li appoggio?"
Elda mi indica un contenitore sotto il lavandino. "Lì, grazie."
Vado poi in cucina a gettare l'assorbente usato e vedo Elda mettere i miei vecchi vestiti in uno zainetto piccolo e di cuoio. "Scusami se mi sono permessa, ma penso che questo dovrebbe essere più comodo per tenerteli appresso."
"Grazie mille!" Elda me lo porge e subito me lo metto in spalla, aggiustando le cinghie per rendermelo più morbido contro la schiena. "Hai sentito le altre?" chiedo.
Elda annuisce, poi si mette e lavare le tazze.  "Sì, saranno qui tra una decina di minuti."
Annuisco, appoggiandomi contro il lavandino al suo fianco. "Quindi" esordico all'improvviso. "Cosa dovrei fare con Giuseppe?"
Vedo Elda alzare leggermente gli occhi al cielo, poi apre il getto d'acqua e risciacqua le tazze. "Sai che c'è?" dice, sorridendomi. "Bacialo, Rose."
Mi irrigidisco. "Cosa?"
"Fallo, e vedi come reagisci. Lui ti sta provocando, cedi alla tentazione, per l'amor del cielo!"
Scuoto la testa. "Non posso farlo."
"Non morirete mica."
"Non è per quello, è che se... Se dovessimo farlo, sento che potrei cadere in una trappola mortale."
Elda lascia le tazze gocciolare sul lavabo, si asciuga le mani e si gira verso di me, appoggiandomi una mano sulla spalla. "Ma almeno non rimarresti con l'amaro in gola."
Mi torna in mente il mio sogno, il fatto che prima o poi Giuseppe se ne dovrà andare, sia che ci sia una lei ad attenderlo, sia che non ci sia nessun altro che lo terrà stretto tra le sue braccia. Mi lecco le labbra.
Elda sorride. "Se vuoi, ti presto il mio rossett-"
"No!" la blocco, scoppiando a ridere. "Non propormi una cosa del genere, sembrerebbe una provocazione."
Elda solleva un sopracciglio. "Ti pare che quello che lui abbia fatto non sia stato con lo scopo di provocarti?"
Rimaniamo in silenzio, poi il cellulare di Elda inizia a vibrare sul ripiano del mobile. Legge il nome sullo schermo e rifiuta la chiamata. "Sono arrivati, scendiamo."

In macchina Francesca ed Elisa sono sedute avanti, io, Giuseppe ed Elda siamo sui sedili posteriori, stretti gli uni agli altri. Io, ovviamente, sono in mezzo a loro due.
Giuseppe ha uno strano sorriso sulle labbra mentre guarda fuori dalla finestra, si asciuga pù volte le mani sui jeans scuri e poi le stringe a pugno, come se fosse agitato per qualcosa sebbene dal suo viso sereno traspaia tutt'altro.
I suoi capelli sono tenuti indietro, la barba finemente accorciata e le labbra ancora piegate nel suo solito sorriso. Guarda il paesaggio che scorre al di là del vetro, poi si gira a guardarmi. "Dormito bene?" chiede, assottigliando i suoi occhi già piccoli.
Annuisco. "Molto bene, direi. E tu?"
Fa cenno di sì con il capo, poi ritorna a guardare fuori dal finestrino. Lo sento sussurrare contro il vetro che si appanna leggermente colpito dal suo fiato caldo. "Illuminante, anche."
Aggrotto le sopracciglia, poi Elda mi colpisce il ginocchio con la mano e solleva più volte le sopracciglia. Alzo gli occhi al cielo e riprende a guardare la strada. Quando Elisa parcheggia, Francesca è la prima a scendere dalla macchina. Si ferma sul marciapiede e si mette a cercare qualcosa nella sua borsa nell'attesa che tutti abbandoniamo il veicolo.
Quando siamo sul marciapiede, lascia un sospiro di sollievo. "Fortunatamente ce l'ho con me" dice, estraendo dalla borsa un'altra borsetta più piccola e bianca. Sgrano gli occhi.
"E' una Polaroid?" esclamo, avvicinandomi a lei e aprendo la piccola borsetta.
Francesca annuisce. "Certo, non capita tutti i giorni di avere dei viaggiatori, è un momento da immortalare!"
"Sì, okay, andiamo adesso" dice Elda, indicando con il pollice il monumento alle sue spalle. Sollevo lo sguardo, portandomi una mano a mo' di visiera per riparare gli occhi dal sole.
Il Monumento al Marinaio è appena al di là del parco, bisogna solo attraversare un sentiero di brecciolina che ci porta alla base di un'ampia scalinata.
Iniziamo a camminare e Giuseppe rimane leggermente indietro, girando la testa verso il parco giochi sulla sinistra da cui i bambini entrano ed escono continuamente. C'è vento, stamattina, e non oso immaginare quanto sia forte lassù, in cima al monumento. Saliamo le scale, mentre mi giro a guardare le grandi àncore poste ai lati di queste - che, Francesca, mi dice siano appartenute a due navi austro-ungariche. C'è una porta alla base del monumento, ma non è lì che ci fanno entrare. O almeno, è Giuseppe che dice di entrare prima nella porta anteriore.

Scendiamo una rampa di scale e giriamo a sinistra, incontrando una porta aperta che rivela un ambiente scuro, nella penombra, con delle minuscole luci che tentano di illuminare l'ambiente. Varchiamo la soglia, ma le tre ragazze rimangono fuori. Ci fanno segno di preseguire.
E' una stanza molto ampia, con delle rientranze ai lati su cui sono appese delle corone di fiori e, attaccate alla parete, delle lastre nere con dei nomi incisi sopra.
Giuseppe inizia a leggerli, rabbuiato in viso. Scorre quelle lettere bianche, l'unica cosa che rimane di quei soldati valorosi che si sono battuti per la patria.
C'è silenzio, in quest'ambiente solenne e dai muri leggermente piegati ad arco dalla sommità appuntita. In fondo c'è una statua scura e, ai suoi piedi, un altare con appoggiato accanto un mazzo di fiori.

Ho quasi paura a respirare, qui dentro. Come se il mio alito potesse disturbare la quiete.
Giuseppe si guarda intorno, poi si blocca al centro della stanza, con gli occhi puntati sulla statua distante. Piega un ginocchio per terra e abbassa il capo, rispettosamente.
Non mi sento in dovere di disturbarlo. Abbasso il capo di fronte i nomi incisi sulle lastre, sentendo Giuseppe sussurrare qualcosa con le labbra, poi alzo la testa e lo noto mentre si rimette in piedi.
Mi fa segno di uscire. Annuisco.
"Tutti questi uomini" sussurra a capo chino, "che si sono battuti per il loro Paese e di cui resta appena un nome. La gente non li conosce, Rose, non conosce questi soldati che hanno combattutto per permetterci di vivere."
Stringo le labbra. "Anche se non li conoscono, sappi, Giuseppe, che questi nomi, almeno, rimarranno per sempre incisi su queste lastre, nessuno potrà cancellarli."
"Prima o poi, tutti saremo dimenticati, rimarremo solo dei nomi che la gente nemmeno saprà riconoscere. Chissà cosa ne sarà di me, per esempio, dopo questa guerra. In futuro, quando studieranno la guerra a cui io partecipo, sapranno che i partigiani hanno liberato l'Italia dai tedeschi, ma non i nomi di questi. Ed è molto triste, sebbene si sappia che è così che funziona il mondo. Intendiamoci, non combatto perché il mio nome rimanga impresso da qualche parte, sarei egoista ed egocentrico a credere che il singolo faccia la differenza in una squadra di eguali, ma mi dispiacerebbe che qualcuno possa dimenticarsi di me, con il passare degli anni."
Ingoio a vuoto, appoggiandogli una mano sulla spalla prima di abbandonare questo cimitero monumentale. "So che vale poco più di niente, ma io non ti dimenticherò mai."
Giuseppe mi guarda, poi mi picchietta dolcemente la mano e usciamo all'aperto. Prendiamo un boccata d'aria fresca, sentendo il tempo riprendere a girare dopo quei minuti di staticità che ci hanno fatto sentire il peso di quelle morti patriottiche.
"Bene" dice Elisa, indicandoci di risalire le scale. "Adesso ci mettiamo in fila dentro il monumento per prendere il posto. Sapete, gli ascensori.."
"Assolutamente!" dice Francesca. Quando entriamo nell'ampio ingresso del Monumento, faccio qualche passo in avanti, mettendomi in fila. Sollevo lo sguardo e vedo un'infinità di scale a chiocciola che si inalberano per tutta l'altezza. Ingoio a vuoto.

Elisa mi si accosta e vedo Giuseppe fare la stessa cosa. "All'interno della cripta" inizia Giuseppe, "c'è la statua di una Madonna e altri nomi incisi lì intorno. Ai miei tempi, non erano segnati. Sono stati aggiunti successivamente. Vero?"
Elisa annuisce. "Ho letto su Internet che sono stati aggiunti dei nomi, più o meno vent'anni dopo, in seguito alla scoperta di lapidi appartenenti ad alcuni tra i caduti durante la Seconda Guerra Mondiale."
Giuseppe annuisce e mi guarda. "Quelli sono gli unici che non ho letto. Non mi sembrava giusto vedere i nomi di chi, magari, combatte al mio fianco. Non me la sento di leggere letteralmente un prossimo futuro."
Elisa annuisce. Cala un silenzio gelido tra noi, mentre Elda e Francesca parlano di qualcosa che non capisco. Larry o qualcosa del genere.
Giuseppe si rivolge di nuovo ad Elisa. "Nella nicchia sottostante la sommità del monumento c'è una statua che non sono riuscito a vedere bene. Di chi si tratta?" domanda.
Elisa fa una breve ricerca su Internet, poi inizia a leggere quanto ha trovato. "E' la Vergine Maria, installata lì sopra dieci anni dopo la fine della guerra in ricordo dell'Anno Santo. Intendiamoci, sapevo si trattasse della Madonna, ma non aveva idea in che anno fosse stata posta lì sotto."
Giuseppe annuisce, poi finalmentetocca a noi entrare nell'ascensore. Elda pigia un tasto e veniamo sparati in alto, superando in pochissimi minuti i cinquantatre metri di altezza di cui si contraddistingue il monumento. Giuseppe, nel frattempo, chiede ad Elisa cosa sia questo "Internet" di cui parla e rimane esterrefatto di fronte la rivelazione che esista un mondo digitale su cui la gente non fa altro che vivere. Le porte metalliche si riaprono esattamente di fronte la statua della Vergine Maria, vista di spalle. Ai suoi piedi sono stati installati dei fari che, sicuramente, la illuminano di notte. Punto il mio display, continuando a riprendere tutto ciò che mi circonda. Dobbiamo fare solo una rampa di scale per giungere in cima. Faccio lo sbaglio di guardare in basso, oltre il corrimano delle scale a chiocciola e sento il mondo sotto i piedi oscillare. Siamo troppo in alto.
Quasi mi si annebbia la vista. Giuseppe mi afferra per le braccia e mi fa spostare quanto più vicina alla parete. "Non ti conviene guardare giù" mi dice ad un palmo dal naso. Poi mi prende la mano e ma la stringe, facendo tornare sul suo viso il sorriso che aveva quando siamo arrivati. Mi trascina su per la scale insieme a lui, poi varchiamo una piccola porticina e usciamo all'aria aperta.
Avevo ragione.
Il vento è fortissimo e i capelli mi si sparpagliano sul viso. Giuseppe lascia la presa e si guarda intorno, spalancando le braccia e lasciando che la sua camicia bianca venga fatta sventolare dalle forti folate che imperversano quissù. Mi fa cenno di avvicinarmi a lui che, rapidamente, fa spostare un gruppo di persone e si appoggia al basso muretto, guardando il porto sotto di noi. Mi avvicino titubante, poi lui mi prende la mano e me la fa appoggiare alla balaustra metallica. La stringo così tanto che le mani mi diventano fredde a contatto con il metallo.
"E' bellissimo" urla Giuseppe, guardando il lungomare dall'altra parte del porto. In basso, scorgo le Colonne Romane, i camioncini dove i ragazzi prendono il cibo, le panchine di marmo e le barche a vela attraccate. E' meraviglioso.

Elda, Francesca ed Elisa si mettono vicino a noi, ma immediatamente Francesca fa un salto all'indietro. "Pessima, pessima idea. Soffro di vertigini e se non scendo subito, morirò."
Elisa alza gli occhi al cielo. "Almeno il tempo di una foto!" Picchietta la spalla di una signora anziana al suo fianco. "Mi scusi" chiede, "potrebbe scattarci una foto?"
"Ma certo" risponde la donna con incredibile disponibilità. Intanto, io guardo il porto e lo strano contorno che assume. Giuseppe chiude gli occhi, beandosi dei caldi raggi di sole e del vento che raffredda la nostra pelle. Elda mi picchietta la spalla mentre Francesca spiega alla signora come funziona la Polaroid. Poi ci mettiamo tutti in posa, contro la balaustra e il sole alla nostra destra.
"Ditemi quando siete pronti, deve essere buona la prima."
Sorridiamo all'obiettivo, poi Francesca, tra i denti stretti per il sorriso, dice: "Via!"
La signora schiaccia il pulsante e il flash ci abbaglia. Giuseppe sbatte le palpebre.
"Troppe scoperte in pochissimo tempo. La presenza di un cellulare, di Internet, di questa luce abbagliante-"
"Si chiama flash!" dico ridendo, mentre mi sposto una ciocca di capelli dalla bocca. Francesca sventola la polaroid, poi la copre con la mano e ci sorride.
"E' uscita!" esulta, invitandoci ad osservarla. E' davvero molto carina. "Un bel ricordo, senza dubbio."
"Poi fai la foto e mandacela su Whatsapp!"
Non ho idea di cosa stiano parlando, l'unica cosa che vedo è Francesca che decide di scendere perché le gira la testa. Elda ed Elisa l'accompagnano. "Mi raccomando, non tardate!"
Giuseppe scuote la testa e fa l'occhiolino ad Elisa mentre Elda mi alza il pollice.
Secondo me, quelle due sanno più di quanto dovrebbero sapere.
Giuseppe mi fa rigirare, indicandomi le diverse zone della città che si riescono a vedere da quassù - oltre che la città stessa. "Quello lì è l'aeroporto, poi lì c'è il Mar Adriatico e questo su cui ci affacciamo è il porto che, se noti bene, ha la forma di una testa di cervo rovesciata."

Aguzzo la vista e riesco a distinguere quelle che dovrebbero essere le corna e sorrido. "Le vedo, le vedo!" dico, indicandole come una bambina. Giuseppe scoppia a ridere. "La tua città è bellissima, Peppe!"
Il mio compagno di viaggio gira la testa per guardarmi e sorride. Mi giro a mia volta, tenendomi con la mano i capelli indietro. "Hai ragione" dice, continuando a tenere i suoi occhi puntati nei miei. "E' bellissima e non mi stancherò mai di notarlo." Mi prende improvvisamente le mani, stringendole tra le sue. "Mi dispiace, Rose, per come mi sono comportato negli ultimi tempi, mi dispiace di aver giocato con te e di averti confuso. Il fatto è che solo adesso io conosco davvero tutto di me. Finalmente ho strappato via l'ultimo velo che mi mascherava la realtà e che non mi permetteva di andare oltre. Non c'è alcuna complicazione in più, rispetto a quelle di cui abbiamo parlato."
Aggrotto le sopracciglia. "Ma di cosa stai-"
Giuseppe mi interrompe. "Quando eravamo a Potenza, esattamente nel momento in cui ho ricordato il mio nome, ho rivisti i volti dei miei amici, delle mie amiche, dei miei genitori che mi parlavano e mi chiamavano. Tra loro, ho visto anche il volto di una giovane donna."
Il respiro mi si smorza.
Non voglio crederci.
"Non riuscivo a capire chi fosse, c'era sempre qualcosa che mi impediva di ricordare a chi appartenesse quel viso lentigginoso, sorridente, che mi teneva per mano e mi trascinava via. Sapevo di conoscerla, era nella mia mente per un motivo, ma non avevo idea di chi fosse."
"Basta" dico, scuotendo la testa. "Non fa niente." Tento di sciogliere la nostra presa, ma lui stringe ancora di più le mie mani.
"No, devi sentire. Quando eravamo in Germania, durante uno dei miei sogni, l'ho rivista e ho ricordato." Stringe le labbra, pronto a sganciare la bomba. "Il suo nome è Bianca ed è la mia promessa sposa."
Non respiro.
Nonostante tutta l'aria che ho intorno, non riesco a respirare.
La mia gola è stretta in una morsa.
"Per questo non ti ho baciata nè quella volta, nè nelle altre occasioni che si sono presentate da lì in poi."
"Perché illudermi, allora!? Perché fare quei giochetti, Giuseppe!" Sento le lacrime agli angoli degli occhi. Giuseppe lascia la presa sulle mie mani e mi circonda il viso, tenendolo stretto tra i suoi palmi e accarezzandomi gli zigomi.
"Non piangere, Rose, non ti azzardare. Non ho finito!"
"Smettila, non ce la faccio!"
Ma lui mi ignora. "Stanotte ho fatto un altro sogno. E mi sono ricordato del nostro fidanzamento annullato perché era stata segretamente promessa ad un altro uomo." Mi immobilizzo. "Sono un uomo libero, Heiderose. Non sono impegnato con nessuna e non ho più alcuna catena a tenermi legato."
Si sporge su di me e, finalmente, mi bacia.
Ora che le nostre labbra sono strette l'una all'altra, capisco finalmente quanto abbia desiderato questo momento. Giuseppe mi tiene stretta a sè ed io mi metto in punta di piedi, stringendo il suo collo tra le mie braccia. Sento qualcuno che batte le mani, ma non ho nessuna intenzione di interrompere questo momento, noi due, stretti l'uno all'altra, sferzati dal vento che imperversa sopra questo monumento di Brindisi.

N/A
Scusate il ritardo, ma eccovi qui il capitolo.
Lo dedico a Kaspercoffee e a WildestDream13

Finalmente i due si sono baciati ed ecco spiegato il perchè dei "non posso" di Giuseppe. Ma ora che ha ricordato davvero tutto, non c'è più alcuno ostacolo tra di loro... per ora :)

Spero vi piaccia e alla prossima!

Un bacio! 💜

P.s votate e lasciatemi qualche commento :)

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