La fine dei giochi
Finito.
Tutto ridotto in cenere.
Il sogno di Christian, quello di McNeil, quello di tutti.
La base del team è stata data alle fiamme, distrutta da dei vandali.
Ci sono Christian, Federico, la signorina Zoey e Aaron McNeil.
I due piloti piangono per la rabbia, mentre Siete ha una mano davanti alla bocca.
McNeil, che ha speso il suo interno patrimonio per il team, non ha più un centesimo e non può ricostruire.
È finita, è decisamente finita.
La McNeil, dopo una stagione incredibile, è costretta ad abbandonare lo spietato mondo del Circus.
Christian, scioccato, cade sulle sue ginocchia. Federico, invece, indietreggia, fino a cadere a terra.
No, non c'è un miracolo.
La vita è dura e va affrontata.
Senza il sostegno degli sponsor, Christian non troverà più spazio in Formula 1. Dopo pochi anni, verrà dimenticato. Inizierà a studiare ingegneria e a lavorare per la Toyota, guadagnandosi da vivere in modo tranquillo. Sposerà Roberta, ma il matrimonio durerà pochi anni, quando reincontrerà Yukio (che a quel punto sarà impegnata nel JTC) e metterà su famiglia con lei.
La signorina Zoey, accreditata della sia Esperienza in F1, continuerà a dirigere qualche team di corse, soprattutto in indycar, mentre McNeil finirà a vivere in povertà.
Federico, invece, andrà a correre nel DTM, con ottimi risultati. Dominerà alla fine degli anni 90 con le Alfa 155, ma questa è un'altra storia.
Questo è, in breve l'epilogo di una storia dimenticata dai più. È la storia della McNeil, un colibrì che non resusciterà dalle sue ceneri.
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[Liliana Marchetti]
Quando sentii per la prima volta la notizia, mi trovavo negli Stati Uniti.
Le cose si erano evolute molto in fretta e compresi che anche la mia situazione personale si sarebbe evoluta molto in fretta.
Avevo commesso un errore, nel mio lavoro per "In Pista", ovvero accettare di focalizzarmi soprattutto sulla nostra squadra locale: sapevo che, senza di loro, sarei stata o tagliata fuori oppure che la mia figura professionale sarebbe stata molto ridimensionata.
Accettai il lavoro negli USA.
Forse fu una pazzia, ma la mia vita professionale era stata fatta di decisioni avventate e di pazzie.
Mentre il mondiale 1992 terminava, tenevo le dita incrociate per la McNeil, nella speranza che le cose potessero sistemarsi.
Nulla era destinato a sistemarsi.
I tempi burocratici con cui le assicurazioni avrebbero potuto permettere alla squadra di riprendersi erano un impedimento e il titolare mi diede l'impressione di non essere pronto per affrontare tutto ciò.
Zoey Lake, ovviamente, prese a guardarsi intorno. Tempo dopo sentii che aveva accettato un incarico come team principal in un team indipendente che avrebbe schierato una vettura alla Indy 500.
Nel mondo del motorsport accadeva anche qualcosa di positivo, di tanto in tanto, anche se me lo persi per questioni di fuso orario.
L'evento memorabile avvenne al gran premio del Giappone, quando finalmente, per la prima e ultima volta nel corso della stagione, Patrese riuscì a vincere una gara.
Ne fui molto contenta, dopo tutte le volte in cui pur disponendo di un'ottima vettura non era riuscito a concretizzare.
Qualcuno disse che aveva vinto soltanto perché Mansell si era ritirato per un guasto al motore, ma non importava. Berger e Brundle salirono sul podio con lui, con quest'ultimo che si apprestava a lasciare la Benetton, dove sarebbe stato sostituito proprio dal pilota italiano.
Il mondiale finì con una vittoria di Berger al gran premio d'Australia, seguito proprio dalle Benetton di Schumacher e Brundle, che lasciava ben sperare per il futuro.
Mansell, nel frattempo, si apprestava a lasciare la Formula 1 per la Indycar.
Rividi Zoey Lake qualche anno più tardi, quando dirigeva una squadra ai tempi dello split tra CART e IRL. Il team gareggiava proprio in quest'ultimo campionato, che a parte l'onore della Indy 500 sembrava decisamente meno altolocato rispetto alla serie concorrente.
Fui felice di rivederla e, da quanto mi parve di capire, la signorina Zoey fu felice di rivedere me.
La trovai cambiata, decisamente più matura e decisamente meno solare. Mi chiesi più di una volta se la triste avventura della scuderia McNeil avesse definitivamente cambiato una parte di lei.
Mi capitò, al mio rientro in Europa, quando ormai la mia carriera professionale stava arrivando verso il suo esaurimento naturale, di incontrare anche Federico Casadei, che gareggiava nel DTM.
Non mi riconobbe. Forse ero invecchiata troppo. O forse la tinta biondo platino per nascondere i capelli bianchi mi faceva apparire più giovane...
Non vidi più Christian Di Santo. Nei primi anni '00, con la diffusione di internet, cercai di fare qualche ricerca su di lui. Sembrava che avesse abbandonato le competizioni. Esistevano forum nei quali qualcuno condivideva informazioni non sempre accurate sul suo conto. C'era una fotografia di un tale che gli somigliava molto, insieme a una ragazza che gareggiava nel JTC. Mi dava l'impressione di essere lui.
Quando andai in pensione ed ebbi più tempo da trascorrere insieme ai miei amici del passato, mi capitava spesso di raccontare aneddoti sulla McNeil.
Quella squadra mi era entrata nel cuore, più di quanto avesse potuto fare ogni altro team con il quale avevo lavorato a contatto.
Mi dispiaceva che la squadra fosse stata dimenticata e che in un mondo in cui l'informazione diventava sempre più accessibile ci fossero così poche notizie su quel team, a parte sui forum frequentati da fanatici del motorsport... quel tipo di fanatici, per intenderci, che andavano oltre le questioni tanto mainstream e tanto di moda nei "bar virtuali".
Sui forum italiani si parlava della rivalità tra Ferrari e McLaren, prima tra Michael Schumacher e Mika Hakkinen, poi con i successori di quest'ultimo quando il finlandese si ritirò dalle competizioni ancora molto giovane. Si parlava dei titoli vinti da Schumacher, così come sui forum inglesi, dove qualcuno avanzava l'ipotesi che non ne avrebbe vinto nemmeno uno se Senna non fosse morto qualche anno prima, incuranti del fatto che a quell'epoca avrebbe avuto più di quarant'anni e probabilmente non sarebbe più stato in Formula 1.
Ogni tanto si parlava della Williams, che sembrava la squadra più vicina a Ferrari e a McLaren e che occasionalmente vinceva qualche gara.
Comprendevo le persone che vedevano la Formula 1 solo in quei termini. Si fermavano all'apparenza, ma non erano mai stati educati ad andare oltre all'apparenza.
Pensai che avrei potuto fare qualcosa per aiutare gli appassionati ad aprire gli occhi, a capire che c'era anche qualcos'altro. Fu quella la ragione per cui, ancora combattendo contro l'informatica che non era il mio forte, decisi di aprire un blog in cui narrare storie sul motorsport degli altri.
Fu così che i miei aneddoti sulla scuderia McNeil non rimasero più confinati al mio salotto durante gli incontri con gli amici. Quando una storia finisce male, si può comunque rievocare tutto ciò che di positivo ha portato con sé.
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