intervista
(questa parte della storia è stata scritta da Sunshine295, che gestirà la giornalista e mi aiuterà a scrivere la storia)
L i l i a n a _ M a r c h e t t i
Fa freddo, ma mi sento invasa da una piacevole sensazione di calore. Dopo quasi vent'anni trascorsi lontano dalla mia città natale, sono di recente tornata a Modena.
C'è chi mi ha considerata pazza, alla mia età, ad accettare un lavoro presso un settimanale modenese di nuova pubblicazione, e mi ha accusata di avere fatto un salto nel buio, ma dentro di me ho sempre saputo di avere fatto la scelta giusta... e adesso eccomi qui, a Fiorano, dove il nuovo pilota della McNail, Christian Di Santo, è appena sceso dalla nuova e scintillante monoposto della scuderia sorta sulle ceneri della Lambo, che si appresta a fare il proprio debutto nel campionato di Formula 1.
Il debutto in sede di test è avvenuto stamattina e Di Santo sembra molto indaffarato: lo vedo camminare a passo spedito, probabilmente per andare a raggiungere i tecnici. Non sembra molto soddisfatto e sono certa che non desideri essere disturbato in un momento come questo... ma non importa: Christian Di Santo è qui per lavoro, ma sono qui per lavoro anch'io.
Lo chiamo.
Il pilota tenta di tirare dritto, ma insisto.
Finalmente si volta verso di me e si ferma.
Sorride, mentre mi avvicino, con l'aria di chiedersi che cosa sono venuto a fare e, se proprio deve essere scocciato dalla stampa, l'incombenza tocchi a una donna sui cinquant'anni. Sono tutti così, questi giovani piloti: l'idea che anch'io preferirei intervistare Ivan Capelli nella sua tuta rossa scintillante, piuttosto che loro, non li sfiora neanche da lontano.
«Buongiorno, Christian» dico. «Sono Liliana Marchetti di "In Pista". I nostri lettori hanno modo di seguire, tra le nostre pagine, non solo la massima serie, ma anche i campionati minori. Chi meglio di un esordiente come te, che non aveva mai effettuato prima d'ora un test al volante di una Formula 1, potrebbe spiegarci quali differenze nota, un pilota, nel passaggio dalle serie minori alla Formula 1?»
«Sì, sono un esordiente e questi sono i miei primi giorni in Formula 1» risponde Di Santo. «Devo dire che la macchina è strana: il cambio al volante e il sovrasterzo sempre in agguato richiedondo un adattamento da parte mia. Personalmente mi diverto, ma se voglio essere competitivo devo poter accelelare almeno cinque metri prima, così come riuscivo a fare nella Formula 3000. E poi c'è un divario di potenza enorme, a dir poco abissale.»
«Quali aspettative hai per il futuro?» chiedo a Christian, mentre si gratta la nuca con aria imbarazzata. «Quali pensi che possano essere, realisticamente, gli obiettivi della squadra per la stagione e per il prossimo gran premio del Sudafrica?»
Temo di essere stata troppo diretta: è palese che non sappia cosa rispondere. Non può puntare troppo in alto, ma nemmeno troppo in basso.
«Beh, non saprei cosa dire. Non conosco bene né la situazione del mio team, ne quella degli altri, ma sicuramente voglio almeno arrivare alla Domenica. Insomma, sono staccato di mezzo secondo dalla Ferrari di Capelli, ma ciò può non voler dire niente.»
Decido di non insistere e mi concentro sul lato umano, la personalità del ragazzo che ho di fronte e che mi piacerebbe che potesse emergere sulle pagine di "In Pista".
«Una domanda non strettamente collegata a questo campionato, ma a te come persona: c'è qualche pilota che vedi come un esempio da seguire? Quali sono i piloti della Formula 1 del passato (o perché no, di altre serie) per i quali provi maggiore ammirazione?»
Sorride e replica, senza esitare: «Ungheria 1986 ti dice qualcosa?»
Eccome se mi dice qualcosa, anche se questo ragazzino ne parla come se fosse qualcosa di cui non ho mai sentito parlare.
Ricordo perfettamente il duello tra Piquet e Senna, ma ricordo anche che sono passati appena sei anni da allora: quando ho parlato di passato, non è che mi riferissi proprio all'altro ieri.
Mentre faccio queste valutazioni, Christian Di Santo inizia a parlare, è inarrestabile.
«Io avevo appena dodici anni, ma mi ricordo quella manovra alla perfezione. Semma sembrava insuperabile, ma poi Piquet arrivò a fare qualla staccata, sverniciando il connazionale in derapata. Insomma, mi avrebbe fatto piacere correre contro di lui in questa stagione, ma ormai non corre più. Se parliamo invece dei piloti attualmente in griglia, posso dire che sono sicuro che Senna e Mansell possano insegnarmi molto riguardo la guida.»
Vorrei replicare che Piquet, che a suo dire "non corre più", tra pochi mesi sarà impegnato nella Cinquecento Miglia di Indianapolis, ma non sarebbe il caso: è meglio riprendere a parlare di lui, anche se dubito che la mia prossima domanda gli farà piacere.
«Capita spesso che i piloti giovani con poca esperienza siano oggetto di critiche. Che cosa risponderesti a chi dicesse che non sei ancora pronto per la Formula 1?»
È palesemente seccato, si sente dalla sua voce, quando finalmente replica, dopo una piccola parentesi di silenzio: «Non sta a me dire se sono pronto o meno, ma penso che i risultati parleranno da soli.»
Mi fa tenerezza, quindi gli chiedo qualcosa che lo soddisferà maggiormente.
«Anche il tuo compagno di squadra è un esordiente. Pensi di potere vincere il confronto con lui?»
Come sospettavo, Di Santo fa una mezza risata. Sembra molto divertito, ma finisce per darsi un certo contegno, nell'affermare: «Penso che Casadei sia qua soltanto perché è un pilota che porta sponsor.»
Una risposta simile non mi sorprende: come tutti i piloti, Christian ha la propensione a considerare tutti gli altri ricchi e sponsorizzati. Gli sponsor sono il male assoluto, ma diventano all'improvviso il bene assoluto se decidono di sponsorizzare il soggetto parlante, è così che funziona, per loro...
Il pilota della McNail continua: «Insomma, viene dal turismo, una categoria totalmente diversa per guida e prestazioni, mentre chi viene dalla Formula 3000 sa già qual è la guida di una formula. Ad ogni modo, questo potrebbe essere solo un fatto temporaneo: ritengo che quando si sarà adattato alle monoposto, potremo combattere alla pari.»
"Quindi anche i piloti ricchi e sponsorizzati possono avere buoni risultati?" vorrei chiedergli, ma sono una giornalista in veste ufficiale, non sto guardando un gran premio alla televisione al bar dei pensionati frequentato da mio padre.
Gli chiedo, invece: «Guardando oltre, quali sono gli obiettivi per il tuo futuro? Come sogni che proceda la tua carriera?»
Non è una domanda particolarmente originale e non sarebbe originale nemmeno la risposta, se mi dicesse chiaro e tondo che gli piacerebbe arrivare in Ferrari (cosa di cui non ho alcun dubbio), ma Christian afferma: «Non saprei, davvero non saprei... ancora non ho neanche fatto una gara e non ho provato sulla mia pelle il lottare con altri piloti. E poi non dipende tutto da me.»
Annuisco.
«Giusta osservazione.»
«Ci sono molti piloti che, pur meritando, restano nei piccoli team e non vincono nulla per mancanza di mezzi» «basti pensare a Moreno, per esempio, che alla Benetton ha fatto bene, ma essendo sempre strato in team quale l'eccezionale Coloni, la fantastica Eurobrun e l'inarrestabile Minardi, non ha mai fatto un granché in Formula 1.»
Ha un tono palesemente ironico, nel definire queste scuderie con questi termini, ma mi ispira simpatia.
Non faccio in tempo a chiedergli nient'altro, dal momento che un meccanico si avvicina facendogli un cenno.
Christian mi saluta e si allontana frettolosamente, diretto verso il proprio box.
Soltanto quando se n'è già andato mi rendo conto di non avergli nemmeno augurato buona fortuna per Kyalami, a cui ormai non manca più tanto.
Io, ovviamente, in Sudafrica non ci sarò: "In Pista" non si può permettere trasferte così onerose, per il momento. Per sentire di nuovo la voce e le impressioni del pilota della McNail dovrò attendere il suo ritorno a Modena.
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