8. bloody night
tmr
Tornammo nella Radura prima che si chiudessero le Porte, non vedendo l'ora di raccontare a Alby e Newt quello che avevamo scoperto. Forse non era molto utile, ma da un certo punto di vista era un sollievo sapere quale fosse la Tana dei Dolenti. E, ad ogni modo, quella era l'unica cosa vicina a un'uscita che avessimo trovato in due anni. Dopo aver sistemato le mappe, io e gli altri due Velocisti ci dirigemmo al Casolare. Newt e Alby dovevano essere lì. Lanciai un'occhiata alle mura, notando che erano ancora aperte. Senza luce del Sole non riuscivo a capire che ore fossero, quindi diedi per scontato che non fosse il momento. Guardai l'orologio che avevo al polso, sussultando subito dopo aver letto l'ora. Le Porte si sarebbero dovute chiudere dieci minuti prima.
«Dimmi che non è come penso» affermò Minho dietro di me, pensando probabilmente la stessa identica cosa. Lo guardai preoccupata, ancora più decisa a trovare Alby e Newt.
«Se è come pensiamo, siamo belli che rincaspiati» dissi, mettendomi a correre verso il Casolare. Avevo i muscoli ancora indolenziti ma, come quando Alby era stato punto, l'adrenalina faceva la maggior parte del lavoro. Aprimmo la porta con un colpo, entrando nella stanza adibita alle Adunanze. Newt e Alby erano in piedi e parlavano con Jackson, l'Intendente dei Costruttori da quando Gally se ne era andato. Gli stavano dicendo di sbrigarsi e di richiamare più gente possibile per sbarrare alla bell'e meglio le mura aperte. Sapevamo che sarebbe stato impossibile, ma non potevamo rimanercene con le mani in mano. Iniziammo a far entrare tutti nel Casolare, preparandoci per sbarrare la porta quando i Costruttori avrebbero finito. Le urla dei Dolenti iniziavano già a sentirsi in lontananza. Mi assicurai che Chuck finisse nella stanza assegnata a me, come anche Newt, Thomas e Minho. Il Casolare era piccolo per tutti quanti, perciò fummo costretti a stringerci il più possibile. Io tenni la schiena poggiata alla parete, mentre stringevo forte Chuck fra le braccia, come se qualcuno potesse strapparmelo via all'improvviso. Newt era seduto alla mia sinistra, con un braccio sulle mie spalle. Thomas alla mia destra. Alby era in un'altra stanza, al piano di sotto.
«Teresa starà bene?» mi chiese il ragazzo alla mia destra, preoccupato. Era stata messa in Gattabuia mentre noi eravamo nel Labirinto, perché tutti le davano la colpa di quanto stava accadendo. Per un po' l'avevo fatto anche io, ma da quando Alby aveva detto che lavoravo con i Creatori avevo decisamente cambiato linea di pensiero. Non ricordavo niente, non era possibile. Ma magari era possibile proprio perché non ricordavo nulla.
«Nella cella è più al sicuro di noi. Non le succederà niente» provai a rassicurarlo, dandogli una leggera spallata. Lui mi sorrise debolmente e io mi sentii stranamente bene.
Hai paura? mi chiese col pensiero. Ancora non avevo accettato quell'abilità, come sembrava aver fatto lui.
Un po'. risposi.
In qualche modo mi sento in colpa. Voglio dire, per quello che ha detto Alby.
Già, anche io. Mi chiedo come possa essere stata favorevole a tutto questo. Mi rifiuto di pensarlo.
Però deve esserci una ragione se solo io, te e Teresa riusciamo a fare... questo.
Non risposi. La verità era che ci avevo pensato, che avevo provato a ricollegare i pezzi dei miei sogni con quanto accadeva nella Radura. Teresa e Thomas avevano di certo lavorato con i Creatori, perché li avevo visti quando mi mandavano scariche elettriche al cervello. Allo stesso tempo, però, io ero favorevole a quelle scariche. Ero d'accordo con quello che accadeva. E poi, il sogno in cui nominavo la telepatia. Dovevo sicuramente parlare di Thomas e Teresa. Solo che nel sogno mi lamentavo di non essere stata scelta per parlare telepaticamente con lui: perché ora riuscivo a farlo?
«Proviamo a dormire» dissi a voce alta, strigendo Chuck al mio petto. Lui si era già appisolato, perciò non ci fece neppure caso. Anche Newt si strinse a me un po' di più, come se volesse proteggermi ad ogni costo. Un brutto presentimento si era ormai impossessato di me, la certezza che quella notte sarebbe stata sanguinosa era radicata nel mio cervello. Provai a scacciarla, ma ormai si era insediata come un virus distruttivo. Provai a chiudere gli occhi, costringendomi a dormire. Un po', giusto per avere abbastanza forze. Avevo bisogno di dormire. La stanchezza della corsa mista allo stress mi fecero appisolare in fretta, ma durò poco. Fu circa un'ora di sonno profondo, indisturbato, ma la porta che si apriva con un colpo secco mi fece sobbalzare. Strinsi Chuck, guardandomi attorno e pensando che i Dolenti non avrebbero perso tempo a fare le scale e aprire la porta. Era la figura di un ragazzo, quella che si ergeva davanti l'ingresso della stanza.
Era Gally.
Balzai in piedi, parandomi davanti a Chuck e mettendomi sulla difensiva. Gally guardò tutti, con gli occhi iniettati di follia, fino a posarsi su di me.
«Sophie, perché non capisci?» mi chiese, più dispiaciuto che arrabbiato. Non feci un fiato. «Perché non vuoi capire? Ne prenderanno uno ogni notte, all'infinito, finché non ne rimarrà nessuno!» urlò l'ultima parola, prima di correre verso la finestra che avevamo sigillato con delle assi di legno.
«Che vuoi fare?» domandai, il terrore nella voce. Gally afferrò un'asse, tirandola con tutta la forza possibile e staccandola dalla finestra. Io, Thomas e Newt ci gettammo su di lui, ma quando si voltò colpì in pieno il biondo. Si accasciò a terra, probabilmente svenuto. Gally provò a colpire anche me, ma afferrai l'asse e gliela strappai di mano. Lui non si fece intimorire e ne staccò un'altra. Provai a colpirlo, ma si voltò e impugnò la sua asse come una spada per contrattaccare.
«Possibile che tu non capisca? Tutto questo è necessario, e tu lo sai!» Appena Gally urlò quelle parole, un Dolente si infilò nella finestra aperta. Tutti nella stanza iniziarono a gridare, ma la creatura afferrò subito Gally e provò a trascinarlo fuori dal Casolare. Una parte di me pensò di lasciarlo prendere, che senza saremmo stati meglio, ma vinse l'altra parte della mia anima: quella che voleva bene a tutti i Radurai, indistintamente. Lo tirai per le gambe, mentre lui non provava nemmeno a opporre resistenza. Sembrava quasi che fosse felice di farsi prendere. Thomas mi afferrò per i fianchi, aiutandomi a tirare Gally, ma il Dolente era più forte di noi due. Lo trascinò via, senza che noi potessimo fare nulla. Ma soprattutto, senza portare via nessun altro. Minho si mosse velocemente, uscendo dalla porta e facendo le scale in tutta fretta. Thomas lo chiamò dalla finestra, vedendolo correre dietro ai Dolenti, mentre io mi avvicinai a Newt che aveva ripreso conoscenza. Sapevo cosa stava facendo Minho: voleva vedere se i Dolenti finivano davvero nella Scarpata, se la loro Tana fosse davvero quella.
«Che cacchio di colpo» si lamentò Newt, massaggiandosi il punto colpito da Gally. Vide del sangue sulla sua mano, sussultando, ma io lo tranquillizzai.
«Qualsiasi cosa succeda, non addormentarti. Vado a prenderti un panno, torno subito.» Corsi velocemente giù per le scale, constatando che tutti i Radurai erano spaventati, ma non feriti. Fui molto sollevata, ma non mi soffermai troppo su di loro: Newt perdeva sangue. Presi un panno pulito in una stanza e risalii, trovando Newt proprio dove l'avevo lasciato. Gli poggiai delicatamente il panno sulla testa e tamponai, facendogli emettere un piccolo gemito di dolore.
«Quel pive si è praticamente suicidato» affermò il biondo, mentre mi guardava. Scossi la testa, continuando a tamponargli la ferita.
«Non sembrava neanche lui. E comunque ha detto la verità, hanno preso solo Gally» ragionai, mentre notavo che la ferita di Newt cominciava a perdere sempre meno sangue. Provai sollievo: significava che non era profonda.
«Come ha fatto a sopravvivere per due giorni nel Labirinto?» chiese Chuck avvicinandosi, con la voce che ancora tremava per lo spavento. Mi voltai per constatare che Thomas era probabilmente andato da Teresa, per vedere come stesse, visto che non era più vicino alla finestra.
«Gli scarafaggi sono duri a morire, Chuck-Chucky» gli dissi, facendogli un occhiolino per provare a farlo sorridere. Curvò appena la bocca, ma fu comunque una bella visione per me.
Il Labirinto è un codice. sentii dire dalla voce di Thomas. Mi fermai, guardando un punto indistinto davanti a me. Bastarono quelle cinque parole per risvegliare in me un ricordo, il primo che riuscivo ad afferrare dopo due anni nella Radura.
Thomas ha circa dieci anni, proprio come me, e mi guarda. È tutto vestito di bianco, siamo in piedi in mezzo a un corridoio. Una luce al neon sfarfalla sopra di noi, pronta a fulminarsi. La bocca di Thomas è vicina al mio orecchio, come se mi stesse per confidare un segreto.
«Il Labirinto è un codice» mi dice, prima che il ricordo si interrompa.
Non riuscii ad afferrare altro, mentre le mani di Newt e Chuck mi scuotevano disperate. Passai in rassegna i volti di entrambi i miei amici, prima di alzarmi in piedi. Porsi il panno sporco di sangue a Newt, che se lo rimise sulla testa guardandomi interrogativo.
«Sophie, quando mi dirai che caspio ti sta succedendo? Ho l'impressione che tu non mi stia dicendo qualcosa di importante.» Odiavo dovergli mentire, ma mi ripromisi che quella sarebbe stata l'ultima volta. Che a breve gli avrei detto tutto. Gli lasciai un bacio sulla fronte, prima di avviarmi verso la porta.
«Newt, ti giuro che ti dirò ogni cosa. Dammi solo un altro po', ti prometto che ci porterò fuori da qui.» Newt mi guardò, quasi dispiaciuto. Il suo sguardo mi ferì, perché era lo stesso che aveva rivolto a Alby il giorno prima, uscendo dalla stanza dopo che il suo amico l'aveva cacciato. Non volevo che pensasse che lo stavo allontanando, ma volevo essere certa di quello che stava succedendo prima di dirgli tutto. Era un modo per proteggerlo, forse non proprio perfetto, ma ci stavo comunque provando sul serio.
Uscii dalla stanza senza aspettare che dicesse qualcosa, correndo verso la Gattabuia. Thomas era lì, attaccato alla piccola finestrella dell'edificio, che parlava con Teresa. Estrassi subito le chiavi dalla tasca dei pantaloni, spalancando la porta senza dire una parola. Teresa mi guardò riluttante, cercando conforto negli occhi di Thomas.
«Va tutto bene. Esci, nessuno vuole farti del male.»
«Alby sì» mi rispose, guardandomi con i suoi occhi azzurri e taglienti. Ricambiai lo sguardo, rimanendo a fissarla come se fosse una sfida a chi lo distoglieva prima. Alla fine fu lei a parlarmi, ma con la mente.
Tom ti ha detto del codice?
Annuii, aprendo ancora di più la porta. In quell'esatto momento, come se la situazione non fosse già abbastanza caotica, Minho corse verso di me. Fui sollevata nel vedere che era riuscito ad andare e tornare dalla Scarpata senza farsi ammazzare, così gli gettai istintivamente le braccia al collo.
«Allora? È davvero la Tana dei Dolenti?» chiese Thomas a Minho, che annuì in risposta. Sorrisi, come se quella fosse una splendida notizia. In qualche modo in effetti lo era: non ci eravamo sbagliati, almeno non su quello. Risolta la prima questione, passai senza esitazione alla seconda.
«Min, Thomas e Teresa credono che il Labirinto sia... un codice. E, in tutta onestà, comincio a crederlo anche io.» I due nuovi arrivati mi spalleggiavano, in piedi dietro di me, mentre Minho che riprendeva fiato ci fissava accigliato. Mi rendevo conto di averlo preso in contropiede.
«Okay, va avanti» disse, portandosi le braccia al petto. Thomas fece un passo avanti e parlò prima di me.
«Se aveste letto le mappe male, per tutto questo tempo?»
Minho esplose in una fragorosa risata, forse anche un tantino infastidita.
«Perdonami, novellino, ma tu che sei qui da due giorni stai dicendo a me, che sono qui da due anni, come leggere le maledette mappe?» Il tono di Minho era abbastanza scocciato, ma non sapevo come dirgli che forse era esattamente così. Sapevamo che le mappe si ripetevano in uno schema ciclico in un determinato periodo di tempo, le avevamo analizzate cercando una via d'uscita, ma non ci eravamo mai soffermati sul guardare l'insieme.
«Forse ha ragione. Forse il Labirinto cercava di dirci qualcosa, ma noi abbiamo analizzato sempre ogni singolo settore senza valutarlo nell'insieme. Dobbiamo fare almeno un tentativo» ripresi io, supplicando il mio amico con lo sguardo. Sapevo che Minho si sarebbe sentito ferito nell'orgoglio, ma l'egocentrismo non ci avrebbe mai fatti uscire da lì sani e salvi. Alla fine scrollò le spalle, sospirando.
«Se ci serve per uscire da questo caspio di posto, facciamo tutto quello che volete» rispose, nascondendo in quelle parole del risentimento. Gli accarezzai un braccio, sorridendogli per ringraziarlo, ma poi vidi Newt uscire dal Casolare con il panno ancora premuto contro la fronte. Dissi a Minho, Thomas e Teresa di iniziare ad andare nella stanza delle mappe, mentre io mi avviavo verso Newt. Era seduto appena fuori dal Casolare, con le gambe incrociate. Mi sedetti accanto a lui, che a malapena mi rivolse un saluto. Sapevo che ci era rimasto male per il mio comportamento, in quegli ultimi giorni.
«Mi dispiace se ti ho tagliato un po' fuori» cominciai. Lui finalmente mi guardò, ma per rivolgermi un'occhiata gelida.
«Un po'?» ricalcò, facendomi sentire in colpa. Presi un gran respiro, distogliendo lo sguardo per un secondo per cercare le parole esatte. È difficile dire che parli telepaticamente con qualcuno. Ma poi, semplicemente, glielo raccontai. Di come era iniziato, di come era andato avanti, di come la cosa mi mandasse fuori di testa. Non riuscivo a guardarlo in faccia, ma alla fine del mio sproloquio Newt mi afferrò il mento fra il pollice e l'indice per costringermi a guardarlo. Sembrava confuso, ma sapevo che mi credeva. Lo percepivo.
«Sophie, viviamo in una Radura circondata da un Labirinto gigante senza uscita, popolato da creature che chiamiamo Dolenti e dove ogni settimana qualcuno ci invia viveri tramite un ascensore. Oh, e il Sole si è spento. Credi davvero che la telepatia sia la cosa più strana?» Scoppiai a ridere, trascinandomi dietro anche la risata di Newt. Non riuscivo a smettere di guardarlo, bello com'era.
«Potrai dirmi sempre tutto. Non voglio più segreti fra noi, bene così?» mi chiese, scaldandomi il cuore.
«Bene così» risposi io. Trattenni a stento l'impulso di baciarlo, fin quando non ci alzammo per andare dagli altri nella stanza delle mappe. Non oggi, pensai. Ci sarà un momento migliore per dirgli ciò che provo.
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