7. sun
tmr
Io e Newt non eravamo mai stati come gli altri. Avevamo un buon rapporto con tutti, certo, ma tra noi era sempre stato diverso. Quasi come se ci conoscessimo da tutta la vita. Con Newt era facile andare d'accordo, non lo nego: lui sempre sorridente, con la parola giusta al momento giusto e che cerca sempre di vedere il bicchiere mezzo pieno. Ci somigliavamo molto, in questo: volevamo entrambi mantenere l'ordine. Senza ordine sapevamo che sarebbe andato tutto male.
Non ero mai stata capace di nascondergli nulla. Se ero triste se ne accorgeva, se ero arrabbiata se ne accorgeva, se ero preoccupata se ne accorgeva. Era un po' come se anche lui riuscisse a leggermi nella mente, ma senza tutta quella storia della telepatia. Era una questione di sensazioni, di emozioni. Come quelle che avevo provato appena l'avevo toccato la prima volta nella Radura. Come se ci fossimo sempre appartenuti, in qualche modo.
Lo guardai mentre affondavo il cucchiaio nello stufato preparato da Frypan, senza dire una parola. Newt teneva gli occhi bassi, muovendo il piatto ormai vuoto avanti e indietro. Sapevo che c'era qualcosa che non andava, era evidente che fosse preoccupato. Lo chiamai, costringendolo ad alzare la testa.
«È per quello che ti ha detto Alby?» gli chiesi, sforzandomi di non guardarlo come se fosse stato un cane bastonato. Sapevo che gli dava fastidio, ma mi dispiaceva molto per lui. Newt scrollò le spalle, tornando con gli occhi sul piatto.
«Nah, so che era per la Mutazione. Mi vuole bene.» Allungai il braccio sul tavolo per raggiungere la sua mano e stringerla, facendolo sorridere mentre riportava lo sguardo sul mio viso.
«Certo che te ne vuole. Deve riposare, domani sarà tornato il solito scorbutico Alby» dissi, tentando di rassicurarlo. Funzionò, perché Newt annuì e strinse più forte la mia mano. Ci guardammo così per un po', senza dire niente. Sarei potuta rimanere lì a fissarlo anche tutta la notte, se solo me lo avessero chiesto. Fu lui a spezzare il silenzio, sospirando.
«Non ti sembra mai di conoscermi da sempre?» chiese, lasciandomi a bocca aperta. Io e lui non ce lo eravamo mai detti apertamente, non ci eravamo mai confessati di provare quelle sensazioni, ma sapevamo benissimo che era così in qualche modo. Sentirglielo dire mi scaldò il cuore.
«Sì. Ci penso ogni volta che parliamo» confessai, facendolo sorridere. Lui si sporse di più verso di me, stringendomi la mano con entrambe le sue.
«Pensi che io e te...» Il rumore dei muri che iniziavano a scorrere lo interruppero, facendomi voltare verso una delle Porte. In qualche modo avvertii un senso di protezione: fino a quando i muri si chiudevano, i Dolenti rimanevano fuori. Fu proprio in quel momento che vidi Winston correre a grandi falcate verso me e Newt. Si fermò vicino al nostro tavolo e io e Newt ritraemmo istintivamente le mani, mettendocele in grembo. Il mio migliore amico chiese cosa stesse succedendo, mentre Winston riprendeva fiato lentamente tenendo le mani saldamente sulle ginocchia.
«Gally non è tornato!» disse, sfruttando l'ultimo fiato che gli era rimasto per dire quelle quattro parole. Newt e io ci guardammo; sapevo che sarei dovuta apparire dispiaciuta o quantomeno interessata, ma non era così. Gally aveva deciso spontaneamente di entrare nel Labirinto e di rimanerci, nonostante sapesse che era vietato. Thomas l'aveva fatto per salvare Alby e Minho, lui che scusa aveva? Scossi la testa, tornando a mangiare il mio stufato intenta a finirlo.
«Affari suoi. Sa bene cosa c'è dall'altra parte, non è un novellino.»
Newt e Winston mi guardarono, sentivo i loro sguardi addosso, ma continuai a mangiare. Pensavo davvero ciò che avevo detto e non avrei ritirato nemmeno una di quelle parole. Winston alla fine se ne andò senza dire niente, scambiandosi prima un'occhiata con Newt. Finii lo stufato e solo allora riportai gli occhi sul mio amico, pulendomi la bocca col dorso della mano. Newt si stava alzando, intento a porgermi una mano con fare galante, cosa che mi fece sorridere.
«Signorina Sophie, abbiamo proprio bisogno di dormire. Sono convinto che domani, con la luce del Sole, rispunterà fuori anche Gally. Nostro malgrado.» Scoppiai a ridere alle parole di Newt, accettando la mano che mi porgeva e incamminandomi verso le nostre amache.
«Ha proprio ragione, Signor Newt. Aspetteremo la luce del Sole con molta ansia.»
Fu quella l'ultima cosa che dissi, quel giorno, prima di andare a dormire. Quella frase mi sarebbe parsa una presa in giro solo la mattina dopo, passata una notte senza sogni. Era stato tutto buio, come se qualcuno avesse spento la luce nei miei sogni. A un certo punto mi sentii scuotere, iniziando a lamentarmi. Schiusi leggermente gli occhi solo per constatare che era ancora buio, in modo da lamentarmi ancora di più. Diedi per scontato che fosse il mio amico Velocista.
«Minho, lasciami stare, è ancora notte» mugugnai, piegandomi su un lato e abbracciando il cuscino con le mani. Il ragazzo che mi scuoteva cominciò a farlo ancora più forte e finalmente iniziai a distinguere i suoni che emetteva dalla bocca come delle parole, non come dei versi.
«È questo il problema! Il Sole non è sorto!»
Notai che non era Minho, ma Newt. Aprii gli occhi e scattai in piedi, guardandomi attorno: tutti i Radurai si erano alzati, spaventati. Alby era in piedi, accanto a Newt, già completamente rimesso in sesto. Dietro i suoi occhi, però, c'era ancora una paura cieca. I due mi guardavano come se si aspettassero che sapessi cosa succedeva, ma non era così. Non ricordavo molto della mia vecchia vita, ma ero certa che il Sole non si accendesse e spegnesse come una lampadina. Il cielo non era neppure nero: era grigio. Sembrava quasi una lavagna, da cui filtrava una leggera luce bianca soffusa che ci permetteva di distinguere i contorni delle figure. In compenso sembrava tutto normale, i muri si erano aperti anche senza luce solare.
Mi passai una mano fra i capelli, ragionando. Se il Sole era scomparso e di punto in bianco non c'era più, evidentemente non c'era mai stato. Ripensai di colpo alle parole che Thomas mi aveva comunicato con la mente solo la sera prima: Teresa stava per innescare la Fine. Non poteva che essere quella, la fine. Non riuscii a pensare a qualcosa di peggio del Sole che scompariva. Mi ricordai che Thomas aveva passato la notte in Gattabuia, come punizione per essere entrato nel Labirinto. Andai da lui senza dire niente a Alby e Newt, che mi seguirono chiamandomi a gran voce.
«Apri questa porta!» gridai a Newt, una volta arrivata alla Gattabuia. Lui fece come gli dicevo, mentre mi pregava di non fare cose avventate. Troppo tardi.
Thomas se ne stava sul letto della cella, mezzo sveglio. Di sicuro le mie urla l'avevano destato. Non gli diedi neanche il tempo di realizzare: lo afferrai per la maglia e lo avvicinai al mio volto, notando dietro il suo sguardo una confusione evidente.
«Se sei uno dei Creatori parla ora o giuro su Dio che ti strappo la lingua e la uso come collana!» gli ringhiai a pochi centimetri dal volto. Thomas provò a cercare aiuto in Newt, ma lo strattonai di nuovo per costringerlo a guardare me. Tutto quello mi sembrò sbagliato, un terribile errore.
«Soph...» mi chiamò Newt, provando a mettermi una mano sulla spalla. Lo allontanai con il braccio, senza staccare gli occhi dal Fagio.
«Non so niente, Sophie.»
Te lo giuro. aggiunse con la mente. Lo lasciai andare, permettendogli finalmente di respirare, accasciandomi contro la parete della Gattabuia. Era tutto così tremendamente assurdo. Alby fece cenno a Thomas di uscire e il ragazzo non se lo fece di certo ripetere due volte, lasciandomi sola coi miei due amici. Entrambi si sedettero a gambe incrociate davanti a me, guardandomi apprensivi. Pensai di star piangendo, perciò mi toccai le guance: asciutte.
«Ma cosa sta succedendo?» chiesi, con la voce che tremava dalla paura. Avrei voluto essere più coraggiosa, ma stavano succedendo troppe cose che non riuscivo più a controllare: Dolenti in pieno giorno, Dolenti morti che si risvegliano, Alby che mi vede durante la Mutazione, telepatia. Sembrava un qualche film low budget dalla trama davvero, davvero brutta.
«Soph, io non dubito di te» cominciò Alby, con un tono calmo che non gli avevo mai sentito usare con me. Puntai gli occhi nei suoi. «Però so che, anche se ora non lo ricordi, un tempo hai saputo tutto questo. E ti è anche andato bene.»
Le sue parole non suonavano arrabbiate o rancorose. Sembrava piuttosto un qualche modo per consolarmi. In tutta sincerità, non ci riuscì. Come faceva ad essermi andata bene una cosa del genere? Venni scossa da un tremolio, così mi portai le ginocchia al petto. Le voci dei Radurai confusi arrivavano da fuori la stanza e io non ero certa di poter sopportare le loro domande e i loro sguardi, una volta uscita da lì. Guardai Newt, che mi sfiorò la gamba con la mano.
«Dobbiamo lottare. Come abbiamo sempre fatto» affermò, guardando prima me e poi Alby. «So che il Sole che scompare è una cacchio di strana cosa, ma questo deve essere solo un incentivo a trovare una via d'uscita il prima possibile. Dobbiamo andarcene da questo posto.»
«Amen, fratello.» La voce di Minho proveniva dalla porta e lo trovammo lì, appoggiato allo stipite a braccia conserte. Aveva addosso le scarpe da corsa ed era pronto per uscire nella Morte. Mi rivolse un cenno con la testa, indicando l'uscita.
«Tu e Thomas venite con me. Come ha detto Newt, dobbiamo trovare una via d'uscita il prima possibile.» Sorrisi alle parole di Minho, alzandomi mentre mi spolveravo i pantaloni. Ero molto contenta di dovermene andare dalla Radura, evitando con gioia le facce degli altri ragazzi. Non sarei riuscita a sopportarle neanche prima, ma dopo le parole di Alby ero certa che sarebbe stato ancora più difficile. E ti è anche andato bene. Scossi la testa, seguendo Minho fuori dalla cella.
Vuoi ancora fare il Velocista? chiesi a Thomas con la mente. La rabbia che provavo nei suoi confronti si era dissipata: non era colpa sua, così come non era colpa mia. Se io non ricordavo, evidentemente non ricordava neanche lui.
Solo se non mi prendi a pugni.
Risi quando mi rispose, beccandomi un'occhiataccia di Minho. Mi resi conto solo in quel momento che per lui stavo ridendo da sola senza motivo, così tossii per coprire quella risatina. Il mio amico non sembrò convinto, ma quando vide Thomas fuori dal bosco se ne dimenticò e iniziò a sbracciarsi per chiamarlo. Thomas, però, non era solo. C'era la ragazza. I suoi occhi azzurri si voltarono verso me e Minho e i due cominciarono a camminare verso di noi. Teresa. Il suo nome doveva essere Teresa.
«Ah, vedo che ti sei svegliata» le disse Minho, prima di dare un colpetto sulla spalla di Thomas. «Mettiti le scarpe, dobbiamo andare.»
«Anche senza Sole?» chiese, quasi sconvolto. Io risi, annuendogli in risposta.
«Soprattutto senza Sole» continuai, notando che la suddetta Teresa continuava a fissarmi. Era stata lei a fare quella cosa? Era stata lei a innescare la Fine? Cercai di non pensarci e di concentrarmi solo su quella seconda giornata come Velocista. La necessità di trovare una via d'uscita ora era ancora di più, visto e considerato che senza Sole non saremmo durati poi molto. Pensai che non potesse andare peggio, ma mi maledissi mentalmente. Era scientificamente provato che, pensando che peggio di così non si potesse, puntualmente accadeva qualcosa di peggio.
Arrivammo alla Scarpata e Thomas e Minho si scambiarono un'occhiata. Mi sentivo tagliata fuori da quello sguardo d'intesa, così domandai che ci facessimo lì. Minho mi diede un colpetto dietro la schiena facendomi sporgere verso il basso. Mi chiese cosa vedessi e mi trattenni dal dargli uno schiaffo in faccia.
«È una domanda a trabocchetto? Niente, Minho, che dovrei vedere?» risposi, cercando di distinguere qualcosa in quel mucchio di grigio. Il Labirinto sembrava sospeso nel nulla, tanto che mi chiesi se esistesse una via di fuga vera e propria.
«Bingo» mi rispose Thomas, dandomi una pacca sulla schiena dal lato opposto a quello di Minho.
«Bingo cosa?» chiesi, scrollandomi di dosso le mani di entrambi. Mi stavano trattando forse come una deficiente?
«Durante la nostra serata romantica nel Labirinto,» riprese Minho, «io e il qui presente Thomas abbiamo fatto cadere dei Dolenti da qui» finì, indicando la Scarpata col dito. Continuai a non capire, perciò li esortai a parlare con un gesto della testa.
«Non sono caduti, Soph. O meglio, sono caduti, ma a un certo punto si sono fermati come se fossero stati risucchiati da qualcosa.» Le parole di Thomas mi incuriosirono. Guardai entrambi i ragazzi senza dire niente, sapendo già cosa volevano fare. Ci precipitammo al primo muro disponibile, grattando le crepe per raccogliere qualche sassolino. Ci sedemmo sul bordo della Scarpata, con le gambe a penzoloni, mentre Minho tirava fuori il suo solito e fidato taccuino. Io e Thomas tirammo i sassi mentre Minho scriveva, segnando le traiettorie. I sassi cadevano tutti nel vuoto, fino a scomparire dal nostro raggio visivo.
«Ragazzi, siete sicuri di aver visto bene?» chiesi, mentre Thomas lanciava un altro sassolino. «Voglio dire, magari...» mi bloccai. Il sasso di Thomas. Il sasso di Thomas era sparito nel nulla. Ci guardammo tutti e tre senza dire una parola, riprendendo a tirare sassolini proprio nel punto in cui l'aveva tirato Thomas. Scomparvero sia il mio che quello di Minho. Avevamo trovato l'apertura.
«Allora non avete fatto cadere i Dolenti» affermai, con un sorriso dipinto sul volto per quella scoperta. Mi misi a guardarli, mentre loro avevano la stessa espressione dipinta sul volto. «È impossibile che siano caduti tutti lì, in quel punto. È uno spazio troppo piccolo!»
«Deve essere la loro tana» affermò Minho, stendendosi a terra e contemplando il cielo grigio provo di nuvole o stelle. Thomas mi guardò, sorridendo.
«La Tana dei Dolenti.»
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top