5. rule number one

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«Quindi è questo, il nostro amichetto?» chiese Alby, con le mani adagiate saldamente sui fianchi. Mi feci scappare una risatina, mentre Minho continuava a scrutare con aria tesa il Dolente che sembrava non essersi mosso dal giorno precedente.

«Proprio lui. A vederlo così sembra innocuo, vero?» affermai, stringendo le braccia al petto. Guardavo il Dolente con la stessa cura di Minho, ma meno tesa. Doveva essere per forza morto, altrimenti si sarebbe mosso nella notte. Giusto? Alby si accovacciò, avvicinandosi alla carcassa più di quanto io e Minho non avessimo mai fatto. Avevo sempre ammirato Alby per il suo coraggio e ero abbastanza certa del fatto che fosse principalmente per quello, che era stato accolto da tutti come leader. Sempre dopo che Nick era morto, si intendeva.

«Non riesco a capire, però. Insomma, se è morto... perché è morto? Qualcuno l'ha ucciso?» chiese Alby, guardando prima me e poi Minho aspettandosi forse una qualche teoria complottistica. Peccato che di certezze non ne avessimo.

«E chi avrebbe dovuto ucciderlo? Questo settore è il mio e ti assicuro che non ho preso a calci nel sederino nessun Dolente.» Le parole di Minho fecero voltare di nuovo lo sguardo a Alby, che si tirò su in fretta e scosse la testa.

«Allora questo è proprio un bel mistero.» Mentre diceva questo, Alby diede un calcio dritto su un fianco del Dolente morto. O almeno, apparentemente morto. Appena lo toccò, le zampe meccaniche della creatura spuntarono fuori all'improvviso. Tutti e tre facemmo un salto indietro, colti alla sprovvista, mentre il Dolente si rimetteva in piedi e puntava dritto ad Alby.

«Sparpagliatevi!» urlò Minho, impugnando la spada che aveva portato con sé. Io corsi dietro il primo angolo, mentre Alby andò nella direzione opposta. Il Dolente seguì solo lui, così io e Minho ci scambiammo un'occhiata e gli corremmo dietro. Svoltato l'angolo che aveva preso Alby, ci ritrovammo davanti agli occhi una scena raccapricciante: il Dolente teneva fermo il nostro amico sotto di lui, avvicinandosi al suo corpo con la punta affilata dell'estremità di una delle sue zampe. Minho gli saltò addosso, cominciando ad infilzarlo con la spada per distrarlo, mentre io prendevo bene la mira con l'arco. Un solo centimetro sbagliato, un solo millimetro di troppo e avrei rischiato di prendere Minho. Dovevo calmarmi.

«Sophie, vai!» urlò Minho, spostandosi un po' per liberarmi la visuale. Presi un bel respiro, tendendo di più la corda. Scoccai la freccia con tutta la calma possibile, centrando in pieno la bocca aperta del Dolente. La creatura gridò accasciandosi su un lato, mentre io continuai a scoccare frecce nel punto dove si supponeva fosse il cuore, avvicinandomi sempre di più. Prendere la freccia, tendere la corda, prendere la mira, scoccare, ripetere. Lo feci almeno cinque volte, senza neanche rendermene conto, fin quando la creatura non smise di urlare e io mi ritrovai vicina alla sua carcassa. Questa volta per davvero.

«Dannazione, mi ha ferito una gamba!» urlò Minho, tenendosi il graffio profondo che gli aveva provocato la lama del Dolente. Guardai prima lui e poi Alby, che non emetteva un fiato. Perché non parlava? Mi avvicinai, inginocchiandomi accanto al suo corpo steso, provando sollievo quando constatai che era ancora vivo. I suoi battiti erano decisamente lenti, ma era vivo. Gli afferrai il volto fra le mani, costringendolo a tenere gli occhi aperti.

«Alby! Al, guardami, resta sveglio! Ti ha punto?» Interpretai il gesto lento della sua testa che seguì la mia domanda come un sì. Mi voltai verso Minho, che zoppicante si trascinava verso me e Alby. Mi alzai in piedi, cercando di fare leva sulle gambe più che potevo mentre alzavo il mio amico da terra. Minho mi aiutò, rischiando di cadere, ma fece leva sulla gamba non ferita. Guardai l'orologio: due ore alla chiusura delle Porte. Non ce l'avremmo mai fatta, non così, non con Minho ferito. Gli dissi di poggiare a terra Alby e di sedersi, mentre io mi strappavo un pezzo della maglietta. La avvolsi attorno alla coscia ferita, da cui continuava a fuoriuscire sangue, stringendo forte. Minho gemette di dolore, salvo poi guardarmi con un sorriso dipinto sul volto.

«Poi dici che fai schifo come Medicale» disse, riuscendo a strapparmi un sorriso anche in quella situazione. Riprendemmo Alby, facendogli avvolgere le nostre spalle con le braccia e tenendolo per la vita.

Non ce la faremo, non ce la faremo, non ce la faremo.

Riuscii a ricordare ogni svolta, senza chiedere nemmeno un consiglio a Minho. Per fortuna, pensai. Fare domande ci avrebbe solo rallentato di più. Il peso di Alby cominciò a diventare insopportabile, come il dolore di Minho che ormai lanciava grida di dolore a ogni passo. Le ombre dei muri iniziavano ad allungarsi, segno che il Sole stava tramontando, segno che le Porte stavano per chiudersi. Mi sistemai meglio Alby sulla spalla, continuando a correre più forte che potevo.

Non ce la faremo, non ce la faremo, non ce la faremo.

Minhò per poco non cadde a terra, rischiando di far scivolare anche Alby, che ormai si teneva a noi a peso morto.

«Min-Min, un ultimo sforzo! Un altro paio di svolte e ci siamo!» Lui non disse niente, ma strinse i denti. La paura di non farcela mi accendeva l'adrenalina, la speranza che forse avremmo potuto mi convinceva a resistere ancora. Ancora un po', ancora un po'. L'ultima svolta: le Porte iniziavano a chiudersi. Vidi Thomas in fondo al corridoio, fino a quando Minho non cadde a terra per il dolore. No, no, no! Mancava poco! Alby mi scivolò, cadendo a terra accanto a Minho. Le voci dei Radurai, compresi Newt e Thomas, mi giungevano ovattate. A malapena respiravo.

«Minho, ti prego, alzati!» gli urlai, afferrando Alby per le braccia e cercando di tirarlo verso l'uscita. Emisi un verso di dolore per lo sforzo, mentre Minho cercava invano di tirarsi su. Lasciai un braccio di Alby e ne afferrai uno di Minho, cercando di tirarli assieme. Non ce l'avrei mai fatta, non ero così forte per trascinarne uno, figuriamoci due.

«Sophie! Sophie, ascoltami!» mi gridò Minho, prima di lasciare la presa. Lo guardai carica di risentimento, mentre lui mi parlava da steso a terra per il dolore.

«Alzati! Alzati, ce la facciamo, poi sarà tutto finito!» gli dissi, sorpresa di non essere ancora scoppiata a piangere. Sembravo quasi una bambina, con quel tono di voce. Minho ignorò completamente la mia richiesta.

«Se ti sbrighi ci riesci, tu che puoi torna nella Radura! Io me la caverò!» urlava per sovrastare il frastuono delle mura che scorrevano, ma a me sembrava di non sentire niente se non il mio cuore che batteva nel petto a velocità spropositata.

«Sei ferito, non ti lascio!»

«È un caspio di ordine, Soph! Torna nella Radura!»

Mi morsi le labbra, mentre guardavo i suoi occhi a mandorla pregarmi di fare come diceva. La sua voce tradiva il coraggio che ostentava, ma col cuore che pesava come un masso mi voltai e cominciai a correre verso la Porta. Mi sentii una codarda, sentivo che era sbagliato, sentivo che sarei dovuta rimanere con i miei fratelli. Perché lo stavo facendo? Perché li stavo abbandonando?

Mancava poco meno di qualche metro per far sì che le Porte si chiudessero del tutto, ma quando vidi che Thomas si gettava nel Labirinto proprio mentre io ne uscivo, sembrò fermarsi tutto. Mi guardò negli occhi per un attimo che mi sembrò eterno, come se ci stessimo dando il cambio. Come se fosse davvero felice che io mi sarei salvata. Come se lui stesso volesse dare la sua vita, pur di salvare la mia. Inchiodai i piedi a terra, voltandomi per rientrare dentro con lui, ma i muri si chiusero alle mie spalle.

Era tutto finito.

Guardai il piccolo solco che univa le due Porte con una faccia sconvolta e il cuore che scoppiava per lo sforzo. No, no, no, non era finita. Non poteva. Non poteva finire così. Diedi un colpo istintivo al muro, non sentendo il dolore grazie all'adrenalina ancora in circolo nel mio organismo.

«Minho! Minho, resisti, ti prego!» urlai, sperando che potesse sentirsi. Tra tutti, tra tutti proprio lui. Non avrei accettato di perderlo, non in quel modo. Delle braccia forti mi staccarono dal muro che continuavo a prendere a pugni, mentre io continuavo a gridare a gran voce il nome di Minho. Sopportare qualcosa di nuovo ogni giorno ormai stava diventando difficile, tentare di fare la parte della ragazza sempre contenta non era più nei miei piani. Era inutile fingere che ci fosse qualcosa di buono: stava andando tutto male. Non staccavo gli occhi dal muro nemmeno un attimo, come se quello potesse aprirsi magicamente davanti a me rivelando Minho, Alby e Thomas vivi e vegeti.

«Si può sapere che è successo?» sembrò dire la voce di Gally.

«Qualcuno è stato punto?» Chuck.

«Sophie, tu ti senti bene?» Decisamente Newt.

La smisi di dimenarmi, accasciandomi a terra e ignorando le parole di tutti. Mi tolsi arco e faretra dalle spalle, lanciandoli a terra con forza, fino a strofinarmi la faccia ormai sporca con le mani macchiate ancora del sangue secco di Minho.

«Una regola, c'è una stramaledettissima regola: non entrare nel caspio di Labirinto. Quello che fa? Entra nel caspio di Labirinto!» urlai, mentre Newt si accovacciava accanto a me. Aveva uno sguardo chiaramente preoccupato, ma cercava di mantenere la calma per tranquillizzarmi. Mi prese le mani, accarezzandone piano il dorso. Avvertii una folla di Radurai attorno a noi, ma io ero concentrata solo sul viso pulito e calmante di Newt.

«Per piacere, Soph, dimmi che è successo» mi chiese dolcemente. Presi un bel respiro, poi chiusi gli occhi e feci mente locale.

«Siamo andati a dare un'occhiata al Dolente morto. Era lì, come ieri. Dopo un po' Alby gli ha dato un calcio e quel coso ha iniziato ad attaccarlo. L'abbiamo ucciso, ma aveva già punto Alby e ferito Minho alla gamba. Ci ho provato, Newt, ti giuro che ci ho provato. Erano troppo pesanti...» raccontai, con gli occhi inondati di lacrime e la voce rotta. Forse non avrei dovuto mollare, non li avrei dovuti lasciare. Forse se avessi continuato a trascinarli ce l'avremmo fatta.

«A quell'idiota di un pive starà bene. A fare il presuntuoso ci si rimette sempre.» Le parole di Gally, chiaramente indirizzate a Thomas, mi fecero scattare in piedi. Lo guardai dal basso, dato quanto era più alto di me, non facendomi di certo intimorire dalla sua stazza.

«Tre dei nostri sono fuori e l'unica cosa a cui riesci a pensare è al tuo odio per Thomas?» gli ringhiai contro, mentre Newt cercava di tirarmi via per paura che potessi saltargli addosso come qualche giorno prima. Lo ammonii con un gesto della mano, continuando a guardare Gally dritto negli occhi. «La sai una cosa, capitan Gally? Almeno quell'idiota di un pive ha provato a fare qualcosa. Si è tuffato nel Labirinto come uno stupido, è vero, ma l'ha fatto. Tu te ne sei stato qui, a braccia conserte, mentre io da sola cercavo di tirare centosessanta chili di ragazzi. Questo lo rende almeno venti volte migliore di te.»

Lo sguardo di Gally era talmente affilato da farmi male alla testa, ma lo sostenni. Pensavo ogni singola parola che avevo detto, ogni cosa. Thomas forse era stato avventato, ma il suo coraggio non aveva avuto eguali. Mi ritrovai a sentire una strana sensazione nel petto, una preoccupazione viscerale che non avevo mai sentito per nessuno. Sperai con tutto il cuore che Thomas e gli altri ce la facessero, sperai veramente con ogni fibra del mio corpo che una volta riaperte le Porte, i miei amici sarebbero stati bene. Magari un po' feriti, ma bene.

Passai tutta la notte seduta davanti la Porta Occidentale. Newt mi portò qualcosa da mangiare e divorai volentieri il pollo e il purè di patate preparati da Frypan. Vorrei poter dire che non mangiai perché avevo lo stomaco chiuso dall'ansia, ma se non avessi messo qualcosa sotto i denti sarei svenuta a breve. Newt rimase con me tutto il tempo, cercando di tanto in tanto di fare conversazione per far scorrere la notte più velocemente. Entrambi eravamo preoccupati, ma cercavamo comunque di non darlo troppo a vedere.

«Come fanno tutti a dormire?» chiesi, con il naso arricciato. Newt sorrise, dandogli un colpetto con l'indice.

«Non prendertela. Se tutti stessimo svegli, questa Radura non andrebbe più avanti. È importante che ci sia...»

«Ordine, lo so» lo bloccai, ricambiando il sorriso. Illuminato dalle prime luci dell'alba, Newt era ancora più bello. Aveva un viso decisamente dolce, nonostante i segni di ciò che aveva passato fossero evidenti. Aveva sofferto troppo, forse anche più di noialtri. Purtroppo però il destino che ci era toccato era crudele per tutti.

«Credi che ce l'abbiano fatta?» gli chiesi, continuando a guardarlo dritto negli occhi. Lui alzò le spalle, abbassando lo sguardo.

«Non voglio sperarci troppo. Però, sì. In qualche assurdo modo sento che ce l'hanno fatta.»

Le sue parole mi tranquillizzarono, a modo loro. Era esattamente ciò che pensavo anche io. Poi, come un lampo, una voce mi attraversò la mente. Fu fugace, sconnessa, quasi involontaria, ma c'era. Una voce che mi sembrava di riconoscere. Aggrottai la fronte, mentre i muri emettevano il loro solido stridio prima di cominciare ad aprirsi. Avrei voluto balzare in piedi con un salto, ma quella voce continuava a perforarmi la mente senza fermarcisi.

Vivi.

Sussultai, afferrando quelle poche parole. I muri continuavano ad aprirsi, la voce continuava a parlare.

Non riesco... vivi...

Afferrai quelle poche parole mentre mi alzavo, iniziando a guardare intensamente il corridoio. Da dietro l'angolo vidi sbucare Thomas e Minho, come fece anche Newt. Si lanciò senza esitazione nel Labirinto, mentre la voce si faceva sempre più chiara nella mia mente.

Non riesco a credere che siamo vivi.

Afferrai quelle parole, finalmente chiare. Riconobbi la voce solo quando Thomas parlò a voce alta, con un sorriso dipinto sul volto.

«Non riesco a credere che siamo vivi!»

Ero confusa: avevo appena predetto le parole di Thomas? Thomas aveva pensato quella frase e me l'aveva comunicata in qualche modo con il pensiero? Quando vidi Minho agitare le braccia verso di me, quel problema scomparve. Erano vivi. Stavano bene. Corsi anche io nel Labirinto, abbracciando Minho più forte che potevo. Il ragazzo ricambiò la stretta, nonostante non avesse molte forze, lasciandomi andare e permettendomi di abbracciare anche Thomas. Per quanto ne sapevo, era la prima volta che lo abbracciavo.

Allora perché quel contatto mi parve così normale?

Mi staccai velocemente, guardandolo negli occhi: doveva aver pensato la stessa cosa che avevo pensato io, perché aveva sul viso la mia stessa espressione.

Che strano.

Sobbalzai, sentendo ancora nella mente quelle parole. Sobbalzò anche lui, confondendomi. Che stava succedendo?

Sophie?

La sua voce. La sua voce era nella mia mente. E lui lo sapeva.

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