4. exile
tmr
«Sophie, devi uccidermi. Non c'è speranza per me.»
Lo guardo, mentre si tiene la ferita sull'addome e geme per il dolore. Non so che dire, mi sembra un bruttissimo incubo da cui non vedo l'ora di svegliarmi. Scuoto la testa, trattenendo a stento le lacrime.
«No, Nick. Non me lo chiedere, non me lo puoi chiedere.»
Nick mi afferra una mano, stringendola forte mentre soffre. I suoi occhi scuri guardano intensamente i miei, che sono ormai inondati dalle lacrime.
«Una delle tue frecce, dritta al cuore. Voglio che sia tu.» Provo a dissuaderlo di nuovo, ma lui mi stringe la mano più forte. «Sto già morendo, Sophie, non puoi fare niente.»
Trattengo il fiato per un attimo. Ha ragione. Mi alzo lentamente dalla sedia accanto al letto, come in trance. Afferro l'arco che avevo poggiato sul tavolo in fondo alla stanza, mentre Alby, Newt e Minho mi guardano dispiaciuti. Non si offrono volontari, perché sanno che Nick vuole che sia io. Prendo una freccia dalla faretra, voltandomi mentre tendo la corda dell'arco con una calma disarmante. Ho paura di non centrare il bersaglio per lo spesso strato di lacrime che mi copre la vista, ma aggiusto il tiro abbastanza convinta che prenderò proprio il cuore.
«Mi dispiace Nick, mi dispiace tanto» dico tra i singhiozzi, cercando di non farmi scuotere dai tremiti. Anche se con un occhio chiuso, riesco a intravedere il sorriso sconsolato di Nick steso sul letto davanti a me.
«Lo so.»
E la corda non è più tesa.
Mi alzai con uno spavento, rischiando di cadere dall'amaca. Avevo ricordato per certo, questa volta. Lo sapevo perché era un ricordo della Radura, di meno di un anno prima. Il ricordo di Nick e della sera in cui era morto non abbandonava mai i miei pensieri, neanche per un secondo. Avrei voluto cancellare tutto, avrei voluto scegliere io quali ricordi tenermi e quali estrarre per sempre dal mio cervello. Quello, però, non mi avrebbe lasciata mai in pace.
Una punta di sollievo si fece strada nel mio cuore: Ben era vivo. Gli Insaccatori che erano andati a prenderlo nel bosco erano riusciti ad estrarre la freccia senza creare danni al cervello. A quanto pare, avevo preso male la mira. O meglio, era ciò che tutti credevano. All'interno della Radura tutti sapevano che raramente sbagliavo un colpo, ma quella volta non era stato così: avevo volutamente mirato ad un punto della testa che sapevo - o più in generale, speravo - non avrebbe arrecato danni irreversibili a Ben. Il sollievo però durò giusto un attimo, perché mi ricordai subito che gli Intendenti avevano deciso di esiliarlo. Avevo fatto così tanto per non vederlo morire, ma alla fine l'avevo condannato solo ad una morte peggiore. Mi ero opposta con le unghie e con i denti, ma il voto di un Intendente che vuole anche lasciare il posto non era stato accolto molto significativamente.
Non riuscii a prendere più sonno, ma l'ora che mi separava dall'alba venne occupata nella miglior maniera possibile: Minho venne a svegliarmi, trovandomi già destata, per prepararmi a quello che sarebbe stato il mio primo giorno di prova come Velocista. Dopo l'Adunanza indetta per decidere le sorti di Ben, avevo preso la decisione ufficiale di lasciare il mio posto tra i Medicali. Clint era diventato Intendente, io ero libera da quelle assurde responsabilità che non riuscivo più a sopportare sulle mie spalle.
Dopo aver trovato un paio di scarpe da corsa adatte per me e aver saccheggiato la cucina di Frypan, io e Minho ci ritrovammo davanti alle Porte appena aperte della Radura. Colui che consideravo come un fratello mi guardò con il suo solito ghigno dipinto sul volto, dandomi una pacca un po' troppo forte dietro la schiena.
«Andrà tutto bene. Stammi dietro, sempre che tu ci riesca, e cerca di ricordare il percorso.» Alzai gli occhi al cielo per quel "sempre che tu ci riesca", trattenendo un sorriso divertito. Io e Minho partimmo cercando di parlare il meno possibile per risparmiare fiato. Io, dal canto mio, avevo moltissime cose a cui pensare: lo strano sogno della notte precedente, quello in cui compariva Thomas, e il fatto che io lo conoscessi da prima del Labirinto. Poi la ragazza, che era in coma ma che già conoscevo, apparsa anche lei nel mio sogno. Ben che sarebbe stato esiliato quella stessa sera, il ricordo di Nick che era scaturito da quella decisione dell'Adunanza.
Svolta a destra, poi dritto, svolta di nuovo a destra. Ancora dritto, ora svolta a dest...
Andai a sbattere dritto contro la schiena di Minho, che si era fermato proprio prima di svoltare l'angolo. Mi massaggiai il naso con le mani, indolenzito per colpa della botta. Non mi ero mai resa conto di quanto fosse allenata e muscolosa la schiena di Minho, ma a giudicare dall'impatto direi che era dura come il marmo. Il ragazzo si voltò verso di me con lo sguardo carico di terrore, facendomi segno di stare zitta. Il ricordo di Ben punto da un Dolente in pieno giorno mi gelò il sangue nelle vene: si trattava forse proprio di un Dolente? Annuii a Minho, sporgendomi leggermente sulla sua spalla per poter vedere cosa avesse catturato la sua attenzione. Il mio cuore perse un battito quando lì, steso a terra, lo vidi. Un Dolente.
Sussultai, facendo istintivamente un passo indietro. Minho si voltò verso di me, avvicinandosi al mio viso per poter parlare il più piano possibile.
«Non si muove. Perché caspio non si muove?» mi chiese, come se io potessi avere la risposta a tutte le sue domande.
«E che vuoi che ne sappia! Ti sembro un Creatore?» risposi, con la voce piegata dall'ansia. Se quel Dolente ci avesse sentito, sarebbe finita male. Chi ci assicurava che, se fossimo scappati, non ci avrebbe seguito fino alla Radura? Avremmo messo in pericolo tutti. Non lo avrei mai permesso.
«Non pensi che dovremmo controllare?» chiesi a Minho, che aveva ripreso a guardare oltre il muro. Si voltò verso di me di scatto, con la fronte corrugata per quanto era contrariato.
«Certo, ottima idea. Vai tu o io? Per capire chi deve trascinare chi a peso morto verso la Radura, sai.» Gli diedi un colpo forse un po' troppo forte, facendolo irritare. Se il Dolente non ci aveva sentiti fino a quel momento, ora di sicuro l'aveva fatto. Minho si sporse ancora per controllare, ma la creatura era sempre lì: ferma e immobile, accovacciata sul pavimento. Presi un bel respiro, spingendomi oltre l'angolo e iniziando ad agitare le braccia nel bel mezzo del corridoio.
«Hey, amico, carne fresca da questa parte! Una caucasica e un asiatico, ce n'è di ogni!» gridai, continuando a sbracciarmi. Minho si avventò su di me, tirandomi ancora dietro l'angolo e dandomi uno schiaffo dietro la nuca. Mi lamentai, prima di dargli una spinta sul petto.
«Non lo fare mai più!» lo minacciai, prima di affacciarmi di nuovo oltre l'angolo. Niente, il Dolente non si era mosso neanche di un centimetro. Ritornai con lo sguardo sul mio amico, sorridendo divertita.
«Min-Min, quel coso è morto. O svenuto, non lo so, ma non si muove» constatai, mettendomi le mani sui fianchi. Minho iniziò a calmarsi, rilassando i muscoli. Si sporse un'ultima volta, solo per constatare che il Dolente fosse davvero privo di sensi. Mi guardò, annuendo impercettibilmente.
«D'accordo, avviciniamoci. Ma se quel coso si sveglia e mi attacca, verrò a perseguitarti in sogno anche da morto.» Risi sconsolata, sussurrando un "non saresti l'unico" che però Minho non sentì. Mi voltai per l'ultima volta verso il Dolente, giusto per assicurarmi che fosse ancora lì, poi presi coraggio e mi avviai lentamente verso la creatura. Minho mi seguiva, a passo lento. Ci fermammo solo quando fummo sufficientemente vicini per essere sicuri che non si sarebbe svegliato. L'avrebbe già fatto, pensai. Ci avrebbe già attaccati, se fosse vivo. Le solite protuberanze piene di armi tipiche dei Dolenti erano ritratte in dentro, la faccia ben poco evidente era impassibile. Non ero sicura del fatto che i Dolenti respirassero, ma se lo facevano quel coso di certo era morto. Diedi un pugnetto a Minho all'improvviso, facendolo saltare di lato con un gridolino. Scoppiai a ridere, piegandomi sulle ginocchia, felice del fatto che neanche con quello il Dolente si fosse svegliato.
«Vedi? È morto!» affermai felice, indicando il Dolente con la mano. Minho accennò appena un sorriso, rispedendo il pugnetto al mittente.
«Sei coraggiosa, sorella. Sei veramente coraggiosa, cacchio. Non vedo l'ora di raccontarlo ad Alby, di sicuro impazzirà!» Risi nel vedere l'entusiasmo di Minho che segnava con una X il punto in cui eravamo sul suo taccuino, rimettendoselo poi in tasca.
«Credo che gli piacerà soprattutto la parte in cui te la sei fatta sotto.» La mia fu l'ultima battuta, prima che ci rimettessimo a correre al doppio della velocità di prima. Minho, più allenato, non esitava nemmeno un attimo: conosceva ogni svolta, ogni piccolo pezzo di sentiero a menadito. Arrivammo velocemente alla Porta Orientale, accasciandoci a terra mentre cercavamo di riprendere fiato. Il cuore mi scoppiava, ma ero anche felice: se i Dolenti iniziavano a morire da soli, forse non tutto stava andando per il peggio.
«Brava... Hai retto... Il passo...» scandì Minho, tra un respiro e un altro, mentre teneva le mani sulle ginocchia. Io ero stesa a terra, con le braccia aperte, che fissavo il cielo mentre tentavo di regolarizzare inutilmente il respiro.
«Allora... Ho superato... La prova?» chiesi, allo stesso tono di voce. Voltai la faccia verso Minho, che mi guardava con un sorrisetto da idiota compiaciuto sul volto e annuiva. Sorrisi anche io, ma prima che potessi parlare un faccione che conoscevo a malapena mi si piazzò davanti.
«Va tutto bene? Che vi è successo?» Riconobbi Thomas, che si era infilato senza ritegno nel mio campo visivo. Il respiro mi stava tornando normale, ma il sudore mi incollava pezzetti di erba del prato su cui ero stesa alla fronte. Era una sensazione orribile.
«Sono ufficialmente una Velocista To-Tom, non sei felice?» risposi in maniera sconnessa, facendo ridere Minho ma confondendo Thomas. Mi misi seduta dritta, mentre il Fagio rimase inginocchiato di fianco a me. Anche Minho si sedette e lo vidi sbracciarsi nella direzione alle mie spalle. Mi voltai solo per vedere Alby e Newt correre preoccupati verso di noi.
«Che succede? Perché non siete nel Labirinto?» domandò Alby, con le mani incrociate al petto. Newt rimase accanto a lui, in piedi, guardandomi preoccupato. Io ricambiai quello sguardo con un sorriso.
«Io bene Alby, tu come stai?» dissi sarcasticamente, facendo sorridere tutti meno che il diretto interessato. Notai la sua bocca piegarsi impercettibilmente, ma ritirò indietro il sorriso. Tipico di Alby.
«Portaci dell'acqua, maleducato!» trillò Minho, facendo scattare immediatamente Newt che si avviò verso la cucina di Frypan con un sorriso sul volto. Mi ributtai con la schiena sul terreno, con il respiro ormai quasi del tutto regolare. La sete, però, di certo non era regolare per niente.
«Appurato che non siete feriti, mi dite che succede? Mi state facendo preoccupare!» affermò Alby, scaldandomi giusto un po' il cuore. Sapevo che sotto quella scorza dura, Alby ci voleva bene. Eravamo pur sempre arrivati in quell'Inferno insieme.
«Prima: acqua. Dopo: parlare.» Le parole di Minho chiusero definitivamente il discorso, fin quando Newt non corse zoppicante da noi per porgerci due bicchieri d'acqua. Io e il Velocista li mandammo giù con meno di tre sorsi, asciugandoci poi la bocca col dorso della mano.
«Allora?» chiesero Alby, Newt e persino Thomas. Il novellino si beccò un'occhiataccia da Alby, ma poi io feci un gesto con la mano per indicare che poteva rimanere anche lui. Dopotutto, era una notizia che dovevano sapere tutti.
«Un Dolente morto» esclamammo io e Minho insieme, facendo sobbalzare gli altri tre ragazzi. Passai in rassegna le facce di tutti e tre, soffermandomi su quella di Thomas. Ci vediamo presto, Beck. Te lo prometto.
«Come sarebbe a dire?» chiese Newt, sorpreso. Io annuii, piegando le gambe e poggiando gli avambracci sulle ginocchia.
«Ci siamo avvicinati, gli abbiamo urlato in faccia: è morto. Non si è mosso, non ha fatto un passo» spiegai, con un sorriso soddisfatto sul volto. In qualche modo, ero convinta che fosse una buona notizia.
«Voglio vederlo» disse Alby, alzandosi dalla sua posizione accovacciata per mettersi subito in marcia. Minho gli rise in faccia, facendo "no" con il dito.
«Scordatelo, amico. Ci andremo domani mattina, ho segnato il punto. Per oggi, niente più Dolenti.» Le parole di Minho chiusero definitivamente la conversazione, prima che il Velocista si alzasse da terra diretto alla Stanza delle mappe. Mi fece un cenno, offrendomi la mano.
«Avanti, signorina Sophie. Le mappe non si disegnano da sole.» Avrei preferito farmi sparare, piuttosto che alzarmi per andare a fare lavoretti con la carta e i pennarelli.
«Alla fine fare il Medicale non era così male.»
Mi guardai attorno: silenzio. I Radurai guardavano la scena, incapaci di parlare. Cosa avrebbero potuto dire? Stavamo per esiliare uno dei nostri, uno di quelli che chiamavamo fratelli. Lo stavamo condannando a morte.
«Ben dei Costruttori» tuonò Alby, tenendo saldamente il bastone con il collare appeso al collo di Ben. «Sei condannato all'esilio per il tentato omicidio di Thomas.»
Gli occhi di tutti si posarono sul Fagio, che cercava di nascondersi tra la folla. Gli Intendenti tenevano le mani sul bastone e ringraziai il cielo di aver rinunciato ad essere uno di loro giusto il giorno prima. Non sarei mai riuscita a guardare in faccia Ben mentre lo condannavo a morte, di nuovo. Guardavo la scena dal più lontano possibile, nascosta dietro corpi di Radurai decisamente più alti di me. Vedevo il volto di Ben da uno spiraglio fra due ragazzi, sperando che lui non vedesse me. Non avrei sopportato i suoi occhi verdi addosso.
«No! No, vi prego, era colpa della Mutazione! Non avrei mai ucciso Thomas, ero fuori di me!» urlò Ben, cercando disperatamente di liberarsi dal collare. Chiusi gli occhi e distolsi lo sguardo, cercando di non piangere anche in quell'occasione. Non avrei dovuto assistere, sapevo che sarebbe stato un errore.
«Sophie! Sophie, dove sei? Dillo a tutti, di' che ero fuori di me per la Mutazione!» Quando udii il mio nome rialzai la testa, vedendo Ben che girava la sua in continuazione per cercare di trovarmi tra la folla. Mi sentii una codarda quando mi sorpresi a nascondermi ancora di più, ma non avrei mai sopportato quegli occhi. Quegli occhi disperati.
«Sophie, per favore, dillo! Puoi farlo solo tu, ti prego!»
Una delle tue frecce, dritta al cuore.
Richiusi gli occhi, mentre le mura del Labirinto cominciavano a chiudersi. Ben continuava a urlare il mio nome, chiedendo un aiuto che avevo già tentato di dargli. Avevo combattuto per la sua libertà, mi ero messa contro tutti. Ma non avevo potuto fare nulla.
Sto già morendo, Sophie, non puoi fare niente.
«Mi dispiace, Ben. Mi dispiace tanto» sussurrai, con gli occhi piantati a terra, mentre le Porte continuavano a chiudersi tra le urla del mio amico.
Lo so.
Un tonfo: il rumore sordo della Porta che si era chiusa, inghiottendo Ben.
E la corda non è più tesa.
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