3. the last one
tmr
Mi svegliai sudata, mettendomi istintivamente le mani sulle tempie. Non avevo attaccato niente alla testa, ovviamente, ma il sogno che avevo fatto... no, il ricordo che mi era passato per la mente...
Thomas.
Mi alzai dalla mia amaca, guardandomi attorno. Era quasi l'alba, le prime luci me lo suggerivano anche senza che guardassi l'orologio. Cercai nelle brande a terra il posto del Fagio, non sapendo dove avesse dormito. Magari il mio era stato davvero un sogno, dopotutto. Magari il Fagio non si chiamava Thomas e quello era stato solo un brutto sogno. In effetti non mi ero ancora presa la briga di chiedergli quale fosse il suo nome, dopo che era uscito dalla Scatola.
Notai un posto vuoto, proprio vicino a Chuck. Il bambino aveva circa dodici anni, al massimo tredici. Era arrivato il mese prima, ma aveva cercato di ambientarsi subito. Era coraggioso, più di tanti altri, ma il fatto che fosse il più piccolo lo portava ad essere preso di mira un po' da tutti. Gli volevano bene, ma prendere in giro qualcuno li faceva sentire dei normali adolescenti. Avremmo dato qualsiasi cosa, per un po' di normalità.
Capii in fretta che Alby o Newt dovevano aver svegliato il Fagio per portarlo a vedere i Dolenti, così che gli passasse una qualsiasi voglia di entrare nel Labirinto. La regola numero uno e bla, bla, bla. Mi alzai, incapace di riprendere sonno, cominciando a camminare verso il Casolare. Andare a vedere come stesse Ben era la mia priorità, in quel momento. Il mio amico valeva molto di più di uno stupido sogno senza senso.
Entrai nell'edificio dopo aver saccheggiato la cucina di Frypan prima che potesse svegliarsi e sgridarmi, decisa a portare qualcosa a Ben da poter mettere sotto i denti. La Mutazione dura un paio di giorni, pensai. Presto sarebbe stato bene. Salii le scale con calma, fischiettando il motivetto di qualche canzone che avevo scordato da tempo.
«Ben-Benny, sei sveglio?» lo chiamai, prima di aprire la porta con un sorriso sul volto. Il sorriso si spense subito, mentre la mela e la tazza di latte fresco che avevo in mano sfuggivano dalla mia presa. La stanza era vuota. Mi guardai attorno, cercando addirittura sotto il letto, ma niente: Ben era scomparso. Cercai di mantenere la calma, in fin dei conti le Porte non si erano ancora aperte ed era escluso che Ben fosse entrato nel Labirinto in piena notte. Doveva per forza trovarsi nella Radura.
Uscii dal Casolare correndo come una furia, guardandomi velocemente attorno. Newt, l'unico sveglio oltre me, mi scorse dalla mensa. Ci corremmo incontro, io preoccupata per Ben e lui preoccupato perché non sapeva cosa mi fosse preso. Non gli diedi neanche tempo di chiederlo, perché cominciai a blaterare con il cuore in gola.
«Ben non c'è, ma deve essere per forza nella Radura, è fuori di sé, non ha ancora finito la Mutazione.» Newt mi afferrò per le spalle, cercando di calmarmi e di bloccare il mio sproloquio, ma ormai la mia preoccupazione era troppa. Lo afferrai a mia volta per le spalle.
«Non so cosa può fare. Vado a prendere l'arco, se lo vedi riportalo immediatamente al Casolare.» Non sentii neanche la risposta di Newt, iniziando a correre verso le Faccemorte. Corri, Sophie, corri. Mi fermai quando vidi l'albero poco più basso degli altri, quello fra i cui rami avevo nascosto il mio arco e la mia faretra. Appena li presi fra le mani, udii qualcosa. Aguzzai la vista verso il fondo del bosco, quello più vicino al muro, notando due figure fra i cespugli. Si stavano... picchiando?
Sobbalzai, correndo verso la scena e mettendola a fuoco sempre meglio: Ben, consumato dalla Mutazione, era sopra al Fagio. Il nuovo arrivato cercava di resistere con ogni forza possibile, ma Ben lo sovrastava. Mi appostai dietro un cespuglio, afferrai una freccia e tesi la corda dell'arco. Mi alzai lentamente, prendendo bene la mira. Si muovevano troppo, avrei rischiato di prendere il Fagio così. Ingoiai il groppo che avevo in gola.
«Ben!» gridai, attirando la sua attenzione. Il Fagio approfittò di quel momento di distrazione per svignarsela e quando Ben provò a riacciuffarlo, scoccai la freccia dritta nella sua mano. Si lamentò per il dolore, cadendo all'indietro. Il Fagio si sistemò di fianco a me, tenendosi la spalla con la mano. Di sicuro Ben doveva averlo ferito. Tenni fissi gli occhi su Ben, afferrando un'altra freccia e tendendo ancora la corda. Il mio petto si alzava e si abbassava velocemente, il respiro non si regolarizzava.
«Sophie, l'ho visto! Perché non mi dai retta? L'ho visto, ti dico! Moriremo tutti!» La voce di Ben non sembrava neanche la sua. Aveva perso il suo tono dolce e mieloso, ora era roca tanto da sembrare quella di un anziano. Schiusi le labbra, tendendo ancora un po' la corda.
«Cosa hai visto?» chiesi, con la voce ridotta a un sussurro. Ben alzò la mano, indicando il ragazzo al mio fianco con l'indice.
«Lui, ho visto lui! Ho visto che ti ha fatto! Ma non preoccuparti, Sophie.» Lo vidi estrarre qualcosa dalla tasca del pantaloni ormai sporchi di terra, prima che parlasse di nuovo. Agitò il coltello che aveva appena preso in aria, piegandosi come a prendere la rincorsa. «Ci salverò tutti!»
Ben iniziò a correre e istintivamente, senza nemmeno rendermele conto, la corda del mio arco non era più tesa. Delle lacrime incontrollate mi solcavano le guance, mentre la mia mano destra non teneva più alcuna freccia. La freccia era nel cranio di Ben. Caddi a terra, scoppiando in un pianto incessante. Sentii delle braccia avvolgermi, mentre mi asciugavo forsennatamente gli occhi dalle lacrime. L'abbraccio del Fagio, per qualche ragione, mi sembrò familiare. Era una sensazione che avevo avuto solo con Newt, prima di allora. Non riuscii a pensarci troppo, ad ogni modo: Ben era morto, e solo per colpa mia.
«Mi dispiace. Mi dispiace, mi è saltato addosso.»
Tirai su la testa, sentendo le parole del ragazzo. Lui si scusava? Era appena stato aggredito da un ragazzo che lo accusava di voler uccidere tutti noi ed era lui a scusarsi? Lo guardai negli occhi, cercando di focalizzarlo dietro lo spesso strato sfocato delle lacrime. Era così familiare che quasi mi veniva ancora più da piangere. Che fossimo stati amici, prima del Labirinto? In qualche strano e assurdo modo, segnati dallo stesso destino. Dopotutto, l'avevo visto. E poi quelle parole che mi aveva sussurrato: Ci vediamo presto, Beck. Te lo prometto.
«Thomas?» lo chiamai, quasi a cercare conferma di quanto avevo sognato. Lui mi guardò confuso, probabilmente ricordandosi di non avermi mai detto come si chiamava. Ne ebbi la conferma una volta per tutte: era lui. Il mio non era un sogno, era un ricordo. Non avrei mai potuto sognare il suo vero nome, visto che non lo sapevo. Doveva essere per forza un ricordo.
Thomas provò a parlare, ma prima che potesse dire qualcosa un suono acuto ci interruppe. Un suono acuto a me fin troppo familiare. Non capivo: perché la sirena della Scatola suonava? Non erano le provviste, non era ancora il giorno. Non era nemmeno un nuovo Fagio, Thomas era arrivato il giorno prima. Allora perché la sirena continuava a suonare?
«Che diavolo è?» chiese Thomas, alzandosi in piedi subito dopo di me. Recuperai l'arco e le frecce e corsi fuori dal bosco, con lo sguardo rivolto alla Scatola. Una massa di Radurai la accerchiava, guardandosi l'un l'altro con fare confuso. Come biasimarli, lo ero più di loro. Thomas mi raggiunse, chiedendomi di nuovo che stesse succedendo.
«Non ne ho idea. Era il suono dell'arrivo di un Fagio, poco ma sicuro. Solo che non è possibile, tu sei arrivato solo ieri.»
«Magari si sono sbagliati?» affermò Thomas, intonandola quasi come una domanda. Lo guardai con un sopracciglio inarcato.
«Sono qui da due anni e quei bastardi non si sono mai sbagliati. Non hanno mai tardato di un minuto in niente, sono sempre stati meticolosi. Ora arrivi tu e magicamente diventano smemorati?» lo ripresi, dandogli un colpetto sulla spalla non ferita da Ben, prima di voltarmi per correre verso la Scatola. Avrei dovuto medicare la ferita di Thomas, sicuramente, ma come avevo già detto ero proprio un Medicale incapace. I Radurai mi aprirono un varco fino all'ingresso della Scatola, dove trovai Newt intento ad aprire la botola assieme a Alby. Mi chinai sull'apertura dell'ascensore per vedere che ci fosse dentro, ma quando lo appurai mi tremarono le gambe, tanto da dovermi accasciare al suolo. La ragazza del mio sogno.
«Soph?» mi chiamò Alby, dandomi una pacca sulla spalla. Alzai lo sguardo sconvolto su di lui, che mi fissò accigliato chiedendomi che mi prendesse. Non seppi rispondere, le parole mi morivano in gola.
«Hai trovato Ben?» Questa volta fu la voce di Newt, alla mia sinistra, a parlarmi. Mi rialzai provando a regolarizzare il respiro, poggiando le mani sulle ginocchia e cercando le parole giuste per riassumere tutto quello che stava succedendo.
«Ben è morto. Voleva uccidere Thomas. Lei è una ragazza. È morta anche lei?» Scandii ogni parola senza spostare lo sguardo dalla ragazza stesa nella Scatola, apparentemente morta. Era tutto talmente surreale che neanche io riuscivo a collocare i pezzi di quanto successo in ordine cronologico.
«Ben è morto?» chiesero in sincro Alby e Newt, il primo alla mia destra e il secondo alla mia sinistra. Posai una mano sul petto di entrambi, rimettendomi dritta e chiudendo gli occhi. Li riaprii dopo aver fatto un bel respiro, poggiando l'arco e le frecce a terra.
«Prima occupiamoci di questa cosa.» Lo dissi mentre già mi avviavo a prendere la corda, porgendola a Alby mentre me la legavo in vita. Newt fece la stessa cosa, passando la corda a Winston. Ci guardammo mentre saltavamo nella Scatola, atterrando con un tonfo. Mi chinai sulla ragazza, provando ad ascoltare il suo battito come avevo imparato a fare con Jeff e Clint. Respirava, ne ero certa: era viva. Lo comunicai a tutti con un grido, prima di afferrarla per le gambe. Newt la afferrò sotto le ascelle, mentre Alby e Winston tiravano con forza per sollevarci assieme alla ragazza. La adagiammo appena fuori dalla Scatola, chiamando a gran voce anche Jeff e Clint. Io mi inginocchiai accanto a lei, come anche Newt dal lato opposto. Provava a guardarmi negli occhi, ma ero ancora troppo ferita da quello che era successo con Ben.
Newt provò a dire qualcosa, ma la ragazza si mise seduta dritta di colpo con un gran respiro. Sobbalzai, rischiando quasi di cacciare un grido. I suoi occhi azzurri, a me non troppo sconosciuti, si incastrarono nei miei prima di guardare tutti.
«Sta per cambiare tutto.» Gli occhi le si quasi voltarono dopo aver detto quelle parole, finendo poi per ricadere sdraiata.
«Cacchio, che colpo» disse Newt, portandosi una mano sul petto per lo spavento. Io guardai le mani curate della ragazza, una delle quali chiusa in un pugno. Vidi che qualcosa di bianco le spuntava fra le dita. Mi avvicinai cautamente a lei, aprendole la mano per leggere il bigliettino incastrato nella sua presa.
Lei sarà l'ultima. In assoluto.
Lessi quelle parole ad alta voce, col cuore che ormai non smetteva di martellarmi nel petto. Ero abbastanza sicura che mi sarebbe schizzato fuori dalla cassa toracica, prima o poi. Diedi un pugno al terreno, presa dalla rabbia, mentre i Radurai attorno a me continuavano a fare domande a cui non potevo dare una risposta.
«Due anni! Due anni, tutto uguale!» gridai, continuando a dare pugni all'erba. Ciò che avevo fatto a Ben, ciò che avevo fatto a Nick prima di lui. Lo stomaco mi si strinse, mentre qualcuno mi afferrava per i fianchi e mi alzava da terra mentre scalciavo.
«Perché questo? Sono due anni, voglio andarmene via da qui!» Le mie urla vennero soffocate da un abbraccio, che riconobbi dall'odore essere quello di Newt. Continuai a piangere soffocando delle grida nella stoffa della sua maglietta, mentre la folla di Radurai aveva smesso di parlare.
«Scommetto che Thomas lo sa.» Quelle parole, dette dalla voce di Gally, mi fecero riprendere lucidità. Dal profondo del mio cuore sentii il bisogno di difenderlo, così mi staccai da Newt e cercai Gally con lo sguardo. Appena lo trovai, in prima fila, gli rivolsi uno sguardo carico d'odio.
«La devi smettere.»
«Ma perché? Perché volete ignorare tutti il fatto che l'ho visto. Chiediamo a Ben, scommetto che l'ha visto anche lui.» Il suono di quel nome, detto da lui, mi fece attorcigliare le budella. Non c'è nessun Ben a cui chiedere qualcosa, pensai. Ma poi feci mente locale: Ben l'aveva visto. Ben aveva detto di aver visto Thomas e di aver visto quello che mi aveva fatto.
Mi voltai verso il Fagio, che mi supplicava con lo sguardo di non dire ciò che aveva delirato Ben. Una parte di me voleva credergli, era evidente che fosse disorientato nella Radura. Ma l'altra parte, quella diffidente, si rendeva conto della stranezza di quella storia. Gally poteva aver mentito, ma Ben non aveva mai neanche visto Thomas prima di attaccarlo. In più, mi fidavo ciecamente di lui. Ma quel ricordo, quelle sensazioni... in qualche modo mi fidavo anche di Thomas o, quantomeno, mi ero fidata in passato.
Mi diedi un colpetto con entrambe le mani sulle tempie, come se quel gesto potesse aiutarmi a capire meglio quello che stava succedendo. Sentii l'istinto di chiamare mia madre, ma non ricordavo nemmeno che faccia avesse. Non sapevo se ne avessi mai avuta una, se stesse bene, se mi stesse cercando. Rialzai lo sguardo solo per notare che tutti mi fissavano. Sentii di star impazzando, così mi aggrappai al braccio di Newt.
«Non voglio che mi vedano così» gli sussurrai, rischiando di mettermi a piangere di nuovo. «Portami lontano da loro, non voglio che mi vedano così, non io.»
Newt mi guardò preoccupato, annuendomi. Sapeva anche lui che per i Radurai sarebbe stato un duro colpo veder crollare anche me: se neppure io riuscivo a vederci il lato positivo, voleva dire che qualcosa non andava. Newt mi mise un braccio sulle spalle, intimando con battute sarcastiche di fare spazio per farci passare. Andammo accanto alla mia amaca, in religioso silenzio. Mi sedetti, mentre Newt si accovacciò a terra prendendomi le mani.
«Sophie, mi dici che ti prende? È da ieri che sei strana, non capisco che hai. Parla con me, sai che puoi.» Lo guardai dritto negli occhi, mordendomi la lingua. Potevo. Sapevo di poterlo fare. Gli raccontai tutto: dalla sensazione di familiarità con Thomas, al sogno, all'aggressione di Ben. Newt ascoltò senza tradire alcuna emozione, stringendomi un po' più forte le mani quando arrivava qualche punto critico del racconto e rischiavo di piangere.
«Non ho mai avuto così tanta paura, Newt. Nemmeno quando siamo usciti dalla Scatola la prima volta» gli dissi, trattenendo a stento un singhiozzo. Lui mi asciugò una lacrima sfuggita al mio controllo, sorridendomi.
«Non posso prometterti che andrà tutto bene, purtroppo. Ti mentirei.» Non lo odiai per ciò che diceva: era la verità, dopotutto. «Però posso prometterti che qualsiasi cosa, bella o brutta, la affronteremo insieme. Io e te, senza eccezioni. Bene così?»
Newt si trascinò dietro anche il mio sorriso, alla fine.
«Bene così» risposi, mentre continuavo a fissarlo con un sorriso ebete dipinto sul volto.
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