10. memories

tmr

Tornati alla Radura senza alcun tipo di novità sulla struttura del Labirinto e senza aver incontrato neanche un Dolente, la situazione era più caotica di quello che ci aspettassimo: Costruttori che correvano a destra e a manca cercando sempre invano di sbarrare le Porte aperte, Scavatori che cercavano di mettere in salvo quello che rimaneva del bestiame e del cibo, Velocisti come me e Thomas che rientravano dalla notte. Minho attraversò la Porta Occidentale qualche minuto dopo me e Tom, mentre noi ci dirigevamo a passo lento verso la stanza delle mappe. Il ragazzo corse da noi, con uno sguardo sfinito e disilluso sul volto: anche lui non aveva trovato niente, non ci fu neanche bisogno di chiederlo.

«Speriamo almeno che Newt e Teresa abbiano trovato qualcosa nelle mappature» affermai, aprendo la grande porta dell'edificio in cui si trovavano tutte le mappe. Feci entrare Thomas e Minho, poi me la richiusi alle spalle. Non facemmo neanche in tempo a varcare la soglia, che Teresa ci chiamò a gran voce sventolando un foglio di carta. Notai che nella stanza ora c'erano anche Clint, Jackson, Winston e Chuck. Thomas si avvicinò al più piccolo, dandogli una scompigliata ai capelli, prima di chiedere se ci fossero novità. Io mi avvicinai a Newt, che mi fece un sorriso e mi sfiorò dolcemente il braccio. Notai che Thomas ci guardava con la coda dell'occhio, uno sguardo malizioso dipinto in volto. Lasciai correre: c'erano cose più importanti in ballo.

«Eccome se ci sono, pive!» disse Clint, facendo un cenno con la testa al foglio che teneva fra le mani Teresa. La ragazza sorrise, mentre io e gli altri due ragazzi ci avvicinavamo a lei per leggere.

«Fluttua, Piglia, Sanguina, Morte, Rigido, Premi?» lessi, intonandola più come una domanda. La speranza che mi era nata nel petto quando avevo visto Teresa sventolare il foglio si era improvvisamente volatilizzata.

«Siete sicuri di averle decifrate bene?» chiese Thomas, un pizzico di irritazione nella voce. Teresa annuì, ma fu Newt a rispondere.

«Siamo stati chiusi qui dentro tutta la notte, anche mentre fuori c'erano i Dolenti. Oh, per inciso, hanno preso Zart e se ne sono andati.» Mi sforzai di provare dolore per quella notizia, ma reagii con una freddezza che non sapevo di poter avere. Avremmo pensato a piangere solo quando saremmo stati fuori da lì.

«E che diamine significa, allora? Sembra che qualcuno abbia aperto un dizionario e scelto sei parole a caso. Tranne "sanguina" e "morte", ovviamente, che mi sembrano abbastanza chiare» affermai sprezzante, togliendomi lo zaino dalle spalle doloranti e lanciandolo alla rinfusa accanto al tavolo. Mi lasciai cadere su una sedia, strofinandomi gli occhi. Avevo sonno e ogni muscolo del corpo mi faceva male per la corsa. Ci mancava solo quella pessima notizia.

«Voi avete scoperto qualcosa?» chiese Newt, con una minuscola fiamma di speranza nella voce. Doveva comunque già sapere la risposta, visto che le nostre facce erano abbastanza chiare.

«Niente. Questo maledetto Labirinto non ha una caspio di uscita, neanche una crepa, niente di niente. Siamo dei maledetti topi in gabbia.» Minho diede un calcio all'aria, dicendo quelle parole. Si lasciò cadere sulla sedia accanto alla mia, abbandonando la testa all'indietro contro lo schienale. Thomas era ancora in piedi, continuava a guardare quel foglio come se a forza di fissarlo le parole potessero cambiare.

«Non possono essere parole a caso. Perché darci un codice finto?» chiese, più a se stesso che a noi. Scoppiai a ridere istericamente, indicando il foglio con la mano.

«Per questo. Per guardarci mentre impazziamo lentamente cercando di capire che caspio significhino quelle parole!» Urlai senza nemmeno accorgermene, rendendomene conto solo quando Minho mi posò una mano sulla spalla. Sentii il cuore battermi nel petto, ma tornai velocemente a respirare normalmente quando me ne resi conto. L'ultima cosa che volevo era dare ancora di matto, come quando era arrivata Teresa o subito dopo che le Porte mi si erano richiuse alle spalle il giorno del Dolente morto.

«Dormiamoci su. Siamo tutti stanchi, pensiamo a superare la notte e domani mattina vedremo cosa fare.» Ecco Newt, sempre con la parola giusta al momento giusto. Aveva ragione: eravamo troppo stanchi per discuterne. Avevamo bisogno di dormire un po', quantomeno io. Non avrei potuto affrontare quell'ennesima delusione senza chiudere gli occhi per un po'. Facemmo tutto come ogni sera: ci barricammo all'interno del Casolare, cercammo di dormire, ci preparammo al peggio. Come due notti prima, stringevo Chuck tra le braccia. Pensavo stesse dormendo, ma quando si iniziarono a sentire i primi rumori dei Dolenti in lontananza, il bambino sobbalzò. Lo strinsi più forte, premendomi un po' di più contro il muro alle mie spalle. Speravo vivamente che Chuck non sentisse il battito accelerato del mio cuore, ma siccome aveva la testa premuta contro il mio petto era inevitabile.

Sentimmo qualcosa sbattere sul muro del Casolare, capendo chiaramente che era un Dolente. A parte un verso sommesso di spavento, nessuno parlò. Probabilmente il Dolente si era fiondato nelle stanze del piano di sotto, perché iniziammo a sentire le urla dei Radurai. Chiusi gli occhi, mentre tremavo come una foglia. Qualcuno dei miei fratelli stava lottando per non essere preso da un Dolente e io non avevo neanche la forza di tenere aperti gli occhi. Tutto il coraggio che avevo sempre ostentato, in quel momento vacillò. Le urla cessarono di colpo, rimasero solo quelle di una voce che non riuscivo a distinguere che si allontanava. Anche per quella notte, i Dolenti avevano trovato la loro preda. Mi venne voglia di vomitare per aver provato sollievo a quel pensiero, ma il mio istinto di sopravvivenza mi gridava che andava bene così. Per quanto mi facesse schifo, mi andava fin troppo bene così.

Vidi Thomas alzarsi, per affacciarsi alla finestra tra le assi di legno usate per barricarla. Diede un'occhiata fuori, poi guardò me. Fu un attimo: Thomas mi fece un veloce cenno con la testa, ma prima di fiondarsi fuori dalla stanza mi parlò con la mente.

Ora o mai più.

Scattò via, tra le urla di disapprovazione di Minho, Newt e Chuck. Rimasi pietrificata, come se le gambe non riuscissero a rispondere ai miei stessi comandi. Corri, Sophie. Balzai in piedi, lasciando Chuck controvoglia. Ora Minho, Newt e gli altri chiamavano il mio nome, ma io li ignorai correndo dietro a Thomas giù per le scale. Lo raggiunsi fuori dal Casolare con uno scatto, prima di fermarmi accanto a lui a qualche metro dal gruppetto di Dolenti che aveva preso quello che riconobbi essere Jeff.

«Bel lavoro, pive, e adesso?» chiesi, con la voce tremante per il panico. Thomas non mi guardò, semplicemente annuì ad un punto non ben definito davanti a lui prima di mettere le mani a coppa davanti la bocca. Gridò un "hey" ai Dolenti che, non si sa come, si fermarono. Si voltarono verso di noi, guardandoci persino loro come se fossimo due pazzi, prima che Thomas si lanciasse sui loro corpi viscidi. Mi venne voglia di prendere lui a calci e darlo in pasto ai Dolenti, poi di prendere me stessa a calci per averlo seguito, ma alla fine corsi anche io verso il gruppetto di creature orrende.

Cercai velocemente la protuberanza da cui sporgeva l'ago, mentre le voci di Newt e Minho continuavano a chiamarci a gran voce, ora che erano arrivati fuori dal Casolare. Non gli diedi retta, pensando che lo stavo facendo anche per loro, e quando il Dolente contro cui combattevo provò ad attaccarmi, individuai l'ago. Schivai un attacco sferratomi con una protuberanza che sembrava avere sulla punta una sorta di piccola sega circolare, puntando all'ago. Ci spinsi contro il braccio di mia spontanea volontà, pensando che non sarei più potuta tornare indietro. Il Dolente mi lasciò andare subito, mentre un dolore atroce si irradiava dall'avambraccio fino al cervello. Il mondo che conoscevo iniziò a scemare, ruotandomi attorno, mentre due mani salde mi afferrarono per le braccia. Volevo solo dormire, volevo che quel dolore la smettesse di graffiarmi il cervello.

«Thomas...» riuscii a sussurrare, mentre la luce grigia della Radura diventava ai miei occhi sempre più buia. Distinsi Newt e Minho che mi guardavano preoccupati, mentre io mi stavo lentamente abbandonando ad un sonno profondo.

«Noi volevamo...» iniziai, mentre la coscienza abbandonava velocemente il mio cervello. «Volevamo ricordare...» fu l'unica cosa che riuscii a dire, prima di vedere nient'altro che buio.

Una scia di ricordi mi attraversa la mente, veloci come un flash. Ho nove anni, un uomo vestito tutto di bianco mi sta parlando. Sono seduta ad un tavolo, lui è davanti a me. Sento di odiarlo, vorrei prenderlo a pugni. Ma perché?

«Il tuo nuovo nome sarà Sophie.» Lo odio ancora di più appena pronuncia quelle parole. Odio quel nome.

«Non mi piace» rispondo, stringendo i pugni sul tavolo. Il mio viso dolce si contorce in una smorfia contrariata, atipica per una bimba.

«Ma è il nome di una famosa imperatrice austriaca: Sophie di Baviera. È un nome importante.» Quello che dice proprio non mi convince. Voglio il mio nome.

Subito il ricordo sbiadisce, passa al successivo. Stavolta ho almeno undici anni, sto guardando uno schermo. Al mio fianco c'è Thomas, dall'altro lato Teresa. Tutti guardiamo lo stesso maledetto schermo.

«Se formassero delle parole, cambiando?» propongo, determinata. Thomas e Teresa mi guardano.

«I muri?» mi chiedono in sincro. Annuisco, indicando lo schermo da cui vedo spuntare una foto del Labirinto dall'alto.

«Ogni notte, alla chiusura delle Porte, facciamo cambiare i muri. Sarebbe più difficile mappare il Labirinto, stimolerebbe la zona della violenza. Le parole potrebbero essere una sorta di password, da inserire per trovare l'uscita.»

Il ricordo mi sfugge; passo avanti. Ricordo di aver già sognato questa scena: Thomas che mi dice che il Labirinto è un codice. Questa volta il ricordo prosegue, è più chiaro, non è solo un flash. Sto guardando Thomas con la fronte corrugata, scuotendo la testa.

«Avete usato la mia idea?» Il ragazzo annuisce a quella domanda. L'idea del ricordo di prima.

«Le parole vanno inserite dopo essere scesi nel...» Qualcuno ci interrompe sbucando dal fondo del corridoio: Janson. L'uomo si avvicina, con un finto sorriso sul volto, scompigliando i capelli di Thomas fingendosi amorevole. So che non lo è. So che ci odia.

«Tutto bene qui?» chiede, sforzandosi di non guardarmi male. Percepisco che odia più me di quanto non odi Thomas.

«Fino a un attimo fa sì» rispondo sprezzante, meritandomi ora una tanto agognata occhiataccia. Lui mi guarda male, io sorrido.

Ancora un altro ricordo, stavolta sono in uno stanzino al buio. Si accende all'improvviso una torcia davanti a me, illuminando il volto di Newt. Sembra di fretta, sembro esserlo anche io. Il cuore mi batte forte. Newt mi sta porgendo qualcosa: un braccialetto di cuoio.

«Voglio che lo tenga tu, Beck. Magari un giorno lo guarderai e ti ricorderai.» La sua voce è quasi strozzata, come se stesse per piangere. Vederlo così mi fa stare male, ma sento che lo sto facendo anche per lui. Gli accarezzo la guancia con la mano, sorridendogli prima di prendere il bracciale e mettermelo.

«Potranno cancellarmi la memoria, ma non cancelleranno mai quello che provo per te» gli dico, facendolo sorridere. Un sorriso sconsolato, ma pur sempre un sorriso. Si sporge su di me, lasciandomi un veloce bacio a fior di labbra che mi fa venire le farfalle allo stomaco.

«Dai, andiamo» gli dico, prendendolo per mano. «E non chiamarmi Beck davanti a loro. Stai diventando magrissimo, da quante volte vai a letto senza cena.»

Anche quel ricordo sbiadisce, termina, si dissolve. Ora ho quattordici anni, guardo Newt steso su un lettino d'ospedale. È inerme, sembra dorma. Gli stanno togliendo la memoria.

«Tra poco tocca a noi» dice una voce al mio fianco. Mi volto, lo guardo. Non lo conosco ora, ma la me del passato sa benissimo chi è. Mi fido ciecamente di lui. È Will, il ragazzo del mio primo sogno.

«Già. Mi hanno convinta, alla fine.» Sento la risata di Will accanto a me, così mi volto a guardarlo. Lui mi sorride, come se ci fosse qualcosa per cui sorridere davvero in questa storia.

«L'hai fatto per lui» dice, accennando con la testa a Newt. «Solo per lui. Non ti importa niente dell'umanità intera, se non di lui.»

Penso che si sbagli, che di qualcosa oltre Newt mi importi: di Thomas. Mi importa così tanto, di Thomas. Ma non capisco perché, mi rendo conto che in quella situazione Thomas non c'entra niente. Mi giro di nuovo verso Newt, che ora stanno staccando dai fili per portarlo nella Scatola. Tra poco mi tocca.

«Li sto condannando tutti a morte» dico, cercando di trattenere un singhiozzo. Sento il braccio di Will sfiorare il mio, mentre una lacrima sfugge al mio controllo e mi bagna una guancia. Sono così piccola, non dovrei sopportare un peso del genere.

«Ricordati perché lo fai.» Già. Perché lo faccio? Per chi lo faccio?

Gli ultimi ricordi mi giungono ancora più veloci, sotto forma di frasi che riesco stranamente a ricollegare. Ora lo so, ora so cosa dobbiamo fare. I muscoli iniziano a sciogliersi, il buio dei ricordi diventa un'improvvisa luce, la voce dei miei amici mi giunge alle orecchie. Sta finendo la Mutazione.

Aprii gli occhi di scatto, afferrando il braccio di Newt che era seduto accanto a me. Mi stava accarezzando i capelli con fare amorevole, con una punta di sollievo nello sguardo. Vidi il bracciale di cuoio che avevo al polso, trattenendomi dal sorridere. Anche Thomas era vicino al mio letto, visibilmente stanco. Doveva essersi svegliato da poco anche lui.

«Chiamate un'Adunanza» fu la prima cosa che riuscii a dire, continuando a stringere Newt. «Adesso so come uscire.»

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