5. Tracce.

"Ci sono forze sconosciute in natura;

quando ci doniamo totalmente a lei, senza riserve, lei le presta a noi;

lei ci mostra queste forme,

che i nostri occhi che guardano non vedono,

che la nostra intelligenza non capisce

o nemmeno sospetta."

Auguste Rodin.

Prim non si sarebbe mai aspettata di essere scarrozzata a bordo di una Lamborghini decappottabile anni 80' fino a Brooklyn, in un vicoletto stretto e maleodorante dove era stato allestito quello che appariva in tutto e per tutto come un locale per gente poco raccomandabile.

Difatti, il tipo corpulento in canottiera decorata con vistose macchie di pomodoro che leggeva il quotidiano all'entrata non prometteva nulla di buono.

Li squadrò entrambi da capo a piedi, poco prima che entrassero, e Prim desiderò ardentemente girare i tacchi e andare in cerca di un comunissimo Starbucks, uno dei tanti nella zona, ma evidentemente le streghe dovevano essere troppo chic ed alternative per fare cose del genere.

Il locale si chiamava Jimmy's House e, nonostante l'apparenza, al suo interno era abbastanza pulito, decorato con carta da parati azzurrina e tavolini ordinati tutti di fila, divisi da panche per sedersi.

Hugo si fece strada attraverso la stanza con nonchalance e andò a scegliere per loro l'ultimo tavolino addossato al muro.

Presero posto, uno di fronte all'altra.

Si sentiva un po' tesa.

Un cameriere sulla quarantina portò loro due menù dall'aria abbastanza consistente anche se Prim non poté fare a meno di chiedersi se si trattasse di una di quelle cucine scadenti che si vedono nei reality show alla tv.

-Grazie- disse educatamente Hugo mentre l'uomo se ne tornava placidamente al bancone.

Il locale era semivuoto a quell'ora e i clienti sembravano tutte persone discretamente normali, fatta eccezione per un ragazzo con la cresta verde evidenziatore seduto vicino all'entrata.

-Bel posto- sentenziò Prim guardandosi intorno, un po' titubante.

-E' intimo- replicò Hugo, sfogliando le pagine del menù.

Prim gli lanciò un'occhiata inquisitoria, dopodiché prese anche lei fra le mani l'indice delle pietanze e si mise a scandagliarne i nomi.

Alla fine optò per bacon con uova strapazzate ed una tazza di caffè.

Hugo ordinò una fetta di torta di mele e un caffellatte.

-Con tanta schiuma- specificò prima che il cameriere abbandonasse nuovamente il loro tavolo.

-Avrei un paio di posti dove portarti- iniziò poi rivolto a lei.

Prim alzò un angolo della bocca divertita.

-Non erano solo un paio di cose da chiedermi?-

-Anche- rispose tranquillamente Hugo. -Ad esempio, tanto per cominciare, ora che siamo soli, vorrei sapere la verità.-

-Come scusa?- chiese osservandolo con un sopracciglio alzato.

-Chissà perché non riesco a convincermi della versione che ci hai fornito ieri sera.- sentenziò il ragazzo fissando i propri occhi in quelli di Prim -C'è dell'altro, non è vero?-

-Ti sbagli- replicò risoluta lei.

Hugo non ci badò nemmeno.

-Come hai fatto ad andare così a colpo sicuro? Come facevi a sapere che Beth sarebbe scappata sul tetto?-

-Io...-

Prim iniziò ad annaspare.

Se c'era qualcosa fuori discussione in quel momento era proprio confessare la verità su ciò che le era accaduto, tanto più che si trattava di Hugo.

Rifletti, Prim.

-Ha fatto una scenata in classe- dichiarò senza la benché minima esitazione. -Era ovvio che la seguissi.-

Gli occhi sbiaditi di Hugo erano come spuntoni taglienti.

Il cameriere arrivò ad interrompere la loro conversazione.

-Ecco le vostre ordinazioni- dichiarò più annoiato che altro.

-Grazie mille- disse questa volta Prim, precedendo Hugo.

Afferrò la forchetta e si riempì la bocca di uova, sperando così di rimandare a dopo ulteriori domande scomode.

Il sapore di cibo vero la fece quasi commuovere.

Quella mattina aveva controllato attentamente ed era riuscita a racimolare la misera cifra di cinquantanove dollari e qualche cent.

Avrebbe dovuto farseli bastare.

-Perché proprio qui? Non sarebbe andato bene un posto qualsiasi più a portata di mano?- chiese la ragazza non appena ebbe ingoiato il boccone.

-Perché, non ti piace?- ribatté Hugo, leccando la schiuma del caffellatte.

-Non è questo, mi stavo semplicemente chiedendo se ci fosse una ragione in particolare.-

-Che è scomodo, sconosciuto, riparato da sguardi indiscreti e che in apparenza sembra un locale dal quale è meglio stare alla larga- dichiarò Hugo mettendo in bocca un pezzetto di torta.

-Non capisco, che senso ha rintanarsi in un posto simile?-

-Beh, sai, siamo personcine abbastanza discrete, non ci piace far sapere a tutti che abbiamo poteri magici, soprattutto- il ragazzo si interruppe, spezzando a metà la torta che rimaneva nel suo piattino con la forchetta -se si parla di certi argomenti.-

Prim deglutì, evitando accuratamente di alzare lo sguardo su Hugo.

Il sarcasmo nel suo tono di voce si era fatto pungente.

-Comunque stavamo parlando d'altro- deviò il ragazzo.

-Ma se non vuoi confessare, non temere, ho i miei metodi.-

Prim rimestò le uova nel piatto guardandole con espressione amara.

-Che vuoi fare, torturarmi? Vi ho detto la verità.-

Bugia.

-Non essere ridicola!- ridacchiò Hugo con una scrollata di spalle -Voglio che incontri qualcuno che potrà schiarire le idee sia a me che a te.-

Prim lanciò a Hugo un'occhiata interrogativa.

-Si chiama Esperancia, è una medium- tagliò corto Hugo.

-Oh, capisco- replicò asciutta aggiungendo un secondo dopo. -Quindi dovrei dare per assodato che questa roba funzioni?-

Hugo fece spallucce.

-Se non crederai a me dovrai credere a ciò che vedrai. Finisci in fretta di mangiare e andiamo.-

Prim non replicò.

Stava cercando di contenersi per non esplodere e scaraventargli tutto quello che restava nel suo piatto in faccia.

Fece un respiro profondo e riprese a mangiare pensando che avrebbe dovuto iniziare ad abituarsi a quella vita molto presto.

Sentire la caffeina che le scorreva nelle vene dopo più di settantasei ore la fece di nuovo sentire viva.

Scese cautamente dalla macchina, subito imitata da Hugo e imboccò il cortile frontale.

Avevano parcheggiato accanto ad una serie di villette a schiera tinteggiate di un ocra tenue e tenute discretamente, non troppo lontane dalla Jimmy's House.

Durante il tragitto per arrivare lì Prim aveva appreso che la medium non era altro che una "mezza strega", capace di "individuare le attitudini" e di "leggere dentro le persone", che però nella vita normale si spacciava per una comunissima indovina di quartiere.

A detta di Hugo, la parola medium, in realtà, nasceva proprio da questo: mezza strega.

-Fammi capire,- aveva chiesto poco prima che arrivassero a destinazione -quindi questa tipa è una strega ma non lavora per voi?-

-Nessuno qui "lavora per noi". Chi non vive a Runadium può tranquillamente mescolarsi ai comuni mortali e interagire con loro, a patto che non si faccia scoprire. Contrariamente a quanto si pensi la maggior parte di noi vive in questo modo.-

-Runadium?- aveva chiesto Prim.

-La città delle streghe.-

-Ci sei mai stato?-

-Sono nato lì.-

-E dove si trova esattamente questo posto?-

-Non lo so- aveva risposto Hugo. -Nessuno lo sa.-

Poi erano arrivati.

Prim notò immediatamente che le persiane delle finestre erano state accuratamente abbassate e che il davanzale del piccolo balconcino raso terra era quasi totalmente spoglio fatta eccezione per un cactus abbastanza moscio che sarebbe morto probabilmente di solitudine.

Non appena arrivarono alla porta Hugo suonò, senza troppa insistenza, ma la diretta interessata non accennò a farsi vedere per diversi minuti.

Prim non disse nulla ma iniziò a domandarsi se davvero qualcuno stesse abitando la casa.

Ancora qualche istante e ad un tratto la porta si aprì.

Da dietro di questa sbucò una donna sulla quarantina con i capelli scuri e ricci, la pelle ambrata ed un paio di occhi verde menta guizzanti ed ipnotici che un tempo dovevano essere appartenuti ad una ragazza bellissima.

Era esile come un fuscello e bassa, fin troppo bassa: Prim si accorse solo in un secondo momento che si trovasse su di una sedia a rotelle e capì solo allora da cosa fosse derivata la tranquillità con cui Hugo aveva atteso di fronte alla porta.

-Vi stavo aspettando- disse la donna con una voce talmente sottile da somigliare ad un sospiro. -Perdonate l'attesa ma come potete vedere, beh, cause di forza maggiore mi rallentano.-

Sorrise.

Prim si rese immediatamente conto che fosse completamente diversa da come se l'era immaginata.

Era curata e posata ma stranamente vitale, circondata da un'aura di mistero che invitava ad indagare e allo stesso tempo a starne alla larga.

-Salve, Esperancia- disse Hugo sfoderando a sua volta uno dei suoi migliori sorrisi. -Mi dispiace molto averti disturbato...-

-Oh, ma figurati! Dimmi piuttosto- nello sguardo della donna balenò un lampo rapace nel momento stesso in cui i suoi occhi si posarono sulla ragazza -si tratta di lei?- chiese.

Prim rabbrividì.

-Proprio così.-

-Capisco. Ma non state sulla porta, entrate pure.-

Con un po' di difficoltà, Esperancia fece scorrere le ruote della sedia e si spostò di lato, lasciando ai due lo spazio per entrare.

Hugo sgusciò all'interno dell'abitazione, ostentando il suo modo di fare sempre impeccabilmente raffinato e Prim lo seguì non senza un briciolo di esitazione.

La casa di Esperancia profumava di incenso e cannella ed era immersa nella penombra: non c'erano né finestre aperte, né illuminazioni artificiali di alcun genere, solo il bagliore soffuso di alcune candele sembrava spandere un po' di luce nella stanza contigua all'ingresso.

-Accomodatevi pure- disse la donna indicando con un gesto della mano proprio la stanza illuminata. -Sbrigheremo le nostre faccende lì. Nel frattempo, gradireste una tazza di tè?-

-Grazie mille Esperancia, ma abbiamo da poco fatto colazione- rispose cordialmente Hugo.

Prim si chiese come mai dovesse essere così maledettamente arrogante solo quando si rapportava con lei.

La donna sorrise e sparì nei meandri della casa mentre lei seguiva Hugo nella stanza che era stata loro indicata.

Si trattava di una delle classiche salette per sedute spiritiche che aveva visto migliaia di volte nei film indie-horror trasmessi in genere dopo la mezzanotte.

Alle pareti erano appese dozzine e dozzine di carte che riportavano iscrizioni incomprensibili, quadri, tappeti orientali, persino un trofeo di cervo che guardava impassibile nella loro direzione.

Ai lati della stanza erano state poste due poltroncine rivestite da due coperte verdi finemente ricamate, mentre al centro si trovavano un tavolino circolare e tre sedie.

Sopra di questo era stata realizzata una strana traccia col gesso: un cerchio nel quale era stata incastonata una stella a dieci punte percorso da scritte incomprensibili e simboli particolari.

Accanto al cerchio presenziavano, sul tavolino, tre libri impilati, due candele consumate, vari aggeggi di piccola taglia dall'aria misteriosa, ed un vasetto nel quale stava bruciando qualcosa che assomigliava ad erba essiccata.

Alle spalle del tavolino, erano collocate una cassettiera ed una piccola libreria che sembravano straripare di carte.

-Bene, ragazzi,- disse Esperancia, entrando improvvisamente nella stanza facendo sobbalzare Prim -mettiamoci pure a sedere.-

I tre presero posto intorno al tavolino, Esperancia ancora seduta sulla sua sedia.

Aveva raccolto i capelli in una crocchia disordinata e aveva indossato al collo qualcosa di molto simile ad un talismano.

-Allora, come posso esservi utile?-

-Come già ti ho spiegato quando ti ho contattata, vorrei che tu ci aiutassi a individuare le attitudini di questa ragazza- dichiarò Hugo, indicando Prim, seduta alla sua destra.

-Primrose, dico bene? Tua madre, Arietta, ti assomigliava molto. Tuo padre un po' meno, quindi devo dedurre che tu ne abbia ereditato il temperamento...-

-Come fa a sapere chi fossero i miei genitori?- la interruppe bruscamente Prim.

Stava iniziando ad allarmarsi.

-Ha importanza, in questo momento?- rispose la donna sfoderando un sorriso a trentadue denti, uno dei più tetri che Prim avesse mai visto.

Un brivido le strisciò su per la schiena.

-Lei ha iniziato il discorso, io sto solo cercando di capirci qualcosa- replicò guardando la donna fissa negli occhi.

-Sei proprio una Palegrove, non è vero? Beh...- sospirò Esperancia senza distogliere il suo sguardo magnetico neppure per un secondo -credo che lo scopriremo presto.-

Prim si sentì improvvisamente in trappola.

Stava sudando freddo.

C'era qualcosa di strano in quella donna che non stava semplicemente nell'aspetto normalissimo che celava qualcosa di tremendamente inquietante, ma anche nel suo sguardo, nei suoi occhi brillanti e ipnotici.

Esperancia frugò tra le cianfrusaglie che aveva sparso sul tavolo e afferrò un sacchettino di tela grezza.

Sfilò il laccio che lo chiudeva e ne versò il contenuto nella mano: apparentemente, comunissima sabbia.

Prese un respiro e con un sibilo sottile la soffiò sul tavolo, sotto agli occhi basiti di Prim e a quelli impassibili di Hugo, ricoprendo il cerchio e la stella che erano stati tracciati su di esso.

Prim si rese conto solo allora che la posizione degli oggetti non fosse casuale: alcune pietre di colori diversi erano state disposte in corrispondenza delle punte delle stelle, altri oggetti si trovavano riuniti al centro, altri ancora tutt'intorno a cadenza regolare.

Prim sentì qualcosa ostruirle la gola.

Non riuscì a dire se si trattasse di ansia o di qualcos'altro.

-Bene- commentò Esperancia dopo che ebbe finito di sistemare le ultime cose.

Porse due mani esili e callose a Prim, proprio sotto il suo naso.

Le vene risaltavano sul polso come rovi intricati.

La ragazza guardò Esperancia interrogativa.

-Dammi le mani, cara.-

Prim ebbe per un attimo un fremito di repulsione: non sapeva perché ma non voleva toccarla.

Hugo le posò tutto ad un tratto una mano sulla spalla, stranamente rassicurante.

-Fai come dice, Prim- la incalzò, guardandola dritta negli occhi.

La ragazza esitò per un istante, poi, senza pensarci oltre, alzò le mani e le posò sopra a quelle calde ed asciutte di Esperancia, leggera come un velo.

La sua carnagione, accostata a quella della medium, era pallida come la morte.

-Chiudi gli occhi- sussurrò Esperancia.

Prim obbedì.

La donna fece scorrere le proprie mani sotto alle sue, fino a stringere le dita intorno ai suoi polsi, dopodiché iniziò a pronunciare parole insensate in sequenza, senza mai fermarsi, rapida ed agile.

Le parole rotolavano nell'aria e si insinuavano nella testa di Prim come piccole creature striscianti.

Non le erano del tutto ignote: in qualche modo le ricordavano qualcosa, tempi passati da millenni e cantilene pronunciate sulla culle dei bambini per farli addormentare.

Poi ad un tratto cambiarono.

Suonavano taglienti come lame, sinuose come spire di mille serpenti.

Iniziò ad avvertire una strana pressione all'altezza del petto, qualcosa che scendeva giù, fino alle gambe e la immobilizzava completamente.

Sentì il suo respiro che diventava più affannato, ma fu come osservarsi da lontano, non più padrona del proprio corpo.

Una fitta lancinante alla nuca la costrinse a gettare la testa in avanti.

Dietro alle sue palpebre qualcosa iniziava a scintillare, la voce trasparente di Esperancia continuava a martellarle nelle orecchie.

Sentì il cuore perdere un battito, poi più nulla.

Si trovava in una foresta.

Una foresta piena di alberi esili che si stagliavano fino a perforare il cielo.

Nell'aria c'era odore di fumo e fuoco, ma stava piovendo.

Lei sapeva però che aveva iniziato da poco a piovere.

Aprì la mano sotto ai suoi occhi.

Vide le gocce cadere sul palmo e poi scivolare giù, lungo il polso e a terra.

Erano nere e dense e lasciavano sulla sua pelle scie solide e secche che si intrecciavano tra di loro.

In lontananza sentiva delle voci sottili come capelli d'angelo.

Iniziò a camminare tra gli alberi, senza mai guardarsi indietro.

Conosceva già la strada nonostante non l'avesse mai percorsa prima.

Poi si trovò in una stanza.

Sapeva che ci era arrivata a furia di camminare, ma non sapeva come.

Le facevano male i piedi.

Indossava un vestito nero, lungo fino al ginocchio, con un'ampia gonna a ruota imbottita di merletti e pieghe, stretto in vita e ricamato di pizzo all'altezza del collo, delle spalle e lungo le braccia.

Una retina nera le calava sul viso, fissata grazie all'elegante copricapo che calzava, decorato da rose e piume, anch'esse nere.

Si guardò intorno.

La stanza era stretta, di forma decagonale ed alta a tal punto che il soffitto sembrava non esserci.

Ad ogni parete del decagono era addossato uno scaffale pieno zeppo di libri che percorreva tutta l'estensione della parete, in alto fino a dove era possibile vedere, fatta eccezione per la parete alle sue spalle.

Su di questa era collocata una porticina di legno sovrastata da un orologio a pendolo come quello dello studio del signor Featherstride.

L'orologio era dotato di quattro lancette: due di esse andavano a tempo, le altre compivano due giri per ogni giro delle prime due.

Sapeva di poter prendere tutto quello che voleva nella stanza a patto che non si avvicinasse alla porta.

Lei però continuava a fissarla, incuriosita.

Ad un tratto, alle sue spalle, sentì una voce.

"Scusami" disse e lo ripeté migliaia e migliaia di volte, fino in cima alla stanza.

Si voltò di scattò e vide Hugo, che teneva stretta in una mano l'agenda di pelle dalla quale usciva la fotografia e nell'altra la tazza di caffè.

Era in bianco e nero, brullo e spoglio come l'inverno ed inespressivo come il silenzio.

Sembrava uno schizzo tracciato su di un foglio di carta.

"Ti ho sporcato la maglia" disse, e la stanza ripeté le sue parole.

Provò a fare un passo nella sua direzione, ma qualcosa andò storto: inciampò e cadde a terra mentre le orecchie iniziavano a fischiarle prepotentemente.

Iniziava a farle male la testa.

Il dolore cresceva, poi buio.

-Basta così!-

Qualcuno in lontananza stava parlando.

Sembrava allarmato.

L'aria penetrò nuovamente dai suoi polmoni sottraendola all'apnea che l'aveva imprigionata fino a quel momento.

Sentiva le braccia che le bruciavano, come fossero state ustionate e la testa che le pesava come un macigno.

-Io... io non...- iniziò un'altra voce, questa volta più vicina.

Tentò di aprire gli occhi ma si rese conto troppo tardi di avere perduto il senso dell'equilibrio e cadde a terra, urtando con il gomito contro qualcosa di spigoloso.

Le braccia continuavano a bruciarle.

Sentì qualcuno che la prendeva per le spalle e che con una delicatezza e una fluidità impressionanti la tirava in piedi.

Sospirò, abbandonandosi per un secondo.

Chi la stava sorreggendo non si spostò neppure di un millimetro, rimanendo saldo sul posto e continuando a sostenerla senza la minima difficoltà.

Aprì lentamente gli occhi.

Vedeva appannato e la poca luce sparsa per la stanza di certo non aiutava.

-Prim...- si sentì sussurrare all'orecchio -stai bene?-

Si voltò il tanto che bastava per vedere con la coda dell'occhio Hugo che la sorreggeva, solido come una roccia.

Era la prima volta che la chiamava per nome.

Annuì e si tirò a fatica in piedi lottando contro la testa che continuava a girare.

Un vago senso di nausea si stava facendo strada.

Prese un respiro e alzò gli occhi, identificando la figura poco illuminata di Esperancia che risaltava sullo sfondo scuro dell'ambiente.

Ricordò la foresta, la stanza, i libri, l'orologio, le voci, Hugo.

Deglutì, cercando da qualche parte chissà dove in fondo al suo spirito la forza per parlare.

Ma non ce ne fu bisogno perché Esperancia le afferrò la mano destra con un gesto fulmineo portandosela sotto agli occhi e rischiando quasi di farla cadere di nuovo.

Iniziò a studiarla freneticamente, come in cerca di un qualsiasi indizio o segno del cielo.

-Non è possibile...- continuava a ripetere a basa voce. -Come può essere?-

Aveva gli occhi completamente stralunati ed un'espressione stravolta.

Hugo la interruppe, attirando la sua attenzione.

-Che cosa ha visto?- chiese preoccupato.

La donna alzò gli occhi dalla mano di Prim e li puntò in quelli del ragazzo come se avesse voluto perforarlo.

-Nulla- rispose allibita. -Io non sono riuscita a vedere... nulla.-

-Come?- esplose Hugo guardando prima Esperancia e poi Prim in cerca di risposte -Cosa dovrebbe significare?-

-Non ne ho idea- borbottò la donna abbandonando la mano di Prim e tornando a guardare in basso.

-Forse qualcosa è andato storto, devo aver pronunciato male la formula, eppure... no, non è possibile.-

Prim non osava proferire parola.

Sentiva la tremarella alle gambe e temeva che sarebbe caduta di nuovo a terra da un momento all'altro.

Non ci stava capendo più niente.

Che cosa significavano le immagini che aveva visto?

Perché la medium non era riuscita a vedere nulla?

Che cos'era andato storto?

-Dimmi, ragazza- Esperancia la chiamò, distogliendola dai suoi pensieri.

-Hai visto qualcosa?-

Prim deglutì ancora, sorprendendosi di quanto la sua salivazione potesse aumentare quando si trovava sotto pressione.

Non sapendo cosa rispondere annuì semplicemente.

-Parlamene- la esortò la donna.

Il suo sguardo la esaminava come fosse stato in grado di passarle attraverso e leggerle l'anima.

-Ero...- esitò -ero in una foresta e pioveva. Non molto, ma pioveva. Non pioveva semplice acqua, ma una sostanza nera e densa, sembrava inchiostro- aggiunse. -Ad un tratto iniziavo a camminare e mi ritrovavo in una stanza angusta ma altissima, piena zeppa di libri.-

Si fermò un istante cercando di ricordare di più.

Stranamente i suoi ricordi andavano sbiadendo, lentamente, come assorbiti ed archiviati dalla sua mente.

-C'era... un orologio. Mi sembra che avesse quattro lancette o qualcosa del genere e poi...- si fermò, ripensando all'immagine di Hugo in bianco e nero.

-E poi?- la incalzò la donna, quasi assalendola.

-E poi niente- concluse.

Non sarebbe mai riuscita a confessare di aver visto Hugo nella sua allucinazione, nemmeno sotto tortura.

Inoltre le era sembrato un particolare assolutamente irrilevante.

-Non mi ricordo molto bene in realtà- dovette aggiungere un secondo dopo grattandosi la nuca.

Si sentiva esausta e vuota.

Esperancia si trasportò fino alla libreria alle sue spalle e selezionò da uno degli scaffali centrali un volume massiccio, dalle pagine ingiallite e sottili, rivestito di velluto rosso ed impolverato.

Tornò al tavolo e vi depose sopra il libro, sollevando nuvolette di sabbia, gesso e polvere.

Hugo osservava la scena impassibile.

Prim non aveva la più pallida idea di cosa stesse accadendo.

Sul libro era impressa una scritta color oro, composta da simboli e forme particolarmente complesse.

Un trattino, una linea curva, un triangolo, uno scarabocchio, figure indistinte. Pensò Prim soffermandosi sull'iscrizione.

Ad un tratto qualcosa le colpì il sistema nervoso, come una secchiata d'acqua fredda.

-Semeionobiblos- sussurrò, continuando ad osservare attentamente il volume mentre Esperancia cominciava a voltarne le pagine sgualcite, facendo attenzione a non romperle. -Il Libro dei Segni.-

Hugo tacque, ma Prim esplose, alzando forse anche un po' troppo la voce.

-Perché riesco a leggere questa roba?! Non è la mia lingua, non dovrei sapere che cosa c'è scritto là sopra.-

-E' ovvio che tu ci riesca- intervenne Hugo senza staccare gli occhi dall'operato accorto di Esperancia. -E' scritto in Eftaros, la lingua delle streghe. Essa è congenita a noi, ce l'abbiamo dentro sin da quando nasciamo e non abbiamo bisogno di impararla. Diciamo che è incorporata. Essendo tu una strega è naturale che sappia leggerla e scriverla.-

Scriverla?

La mente di Prim corse ad Emily, a quella volta che le aveva mostrato il quaderno e non era stata in grado di scorgere che geroglifici indistinti.

Il Libro dei Segni.

Che si trattasse di una sorta di Cabala riferita ai poteri delle streghe?

Con un tonfo sordo, Esperancia chiuse il tomo sotto ai loro occhi, scuotendo vigorosamente la testa.

-Niente di niente- asserì sconfitta. Alzò gli occhi su Prim, scrutandola intensamente. -Chi diavolo sei, in realtà?-

Prim si immobilizzò sul posto. Quella domanda le suonò estremamente infida e spinosa. Non era in grado di dire chi fosse neppure a se stessa, figuriamoci dirlo a qualcun altro.

-Grazie mille per l'aiuto Esperancia- deviò tempestivamente Hugo, parandosi davanti alla ragazza.

Prim vide chiaramente i muscoli della sua mascella contrarsi.

Che stava succedendo?

-Sicuramente deve essere a causa dell'incantesimo sigillato su di lei se oggi non siamo riusciti nel nostro intento. E' vero che ormai è svanito, ma non dobbiamo dimenticarci che è durato per ben diciassette anni, ed un incantesimo è pur sempre un incantesimo- Hugo si voltò e Prim lo seguì.

Aveva le spalle tese.

-Forse dovremmo riprovare l'esperimento tra un po' di tempo, mi occuperò personalmente di fissare un nuovo appuntamento.-

Esperancia non si mosse di un millimetro rispetto a dove era.

Un sorrisetto inquieto le si era disegnato sul viso.

-Lo spero bene, Hugory- disse seria, dandosi una parvenza di cordialità. -Non vorrei essere costretta a...-

-Lei non sarà costretta a fare un bel niente, Esperancia- la interruppe deciso Hugo, guardandola negli occhi da sopra alla spalla. -Ha la mia parola.-

Per qualche secondo l'aria si riempì di un silenzio pesante.

-Bene, allora a presto. E' stato un piacere, Primrose- sibilò la donna osservandola di sottecchi.

La ragazza si limitò ad annuire.

Vorrei poter dire lo stesso.

Hugo si diresse spedito verso l'ingresso dell'abitazione, facendo cenno a Prim di stargli dietro, poi, senza nemmeno congedarsi, uscirono in fretta, diretti verso la macchina.

-Cerca di apparire sciolta- sussurrò Hugo camminando fieramente verso la Lamborghini.

Prim fece un gran respiro e rallentò il passo, adattandolo a quello di Hugo.

Arrivarono alla macchina, montarono a bordo e partirono.

Prim aspettò che avessero percorso almeno cinquecento metri prima di parlare.

-Spiegami che diavolo sta succedendo- sbottò guardando Hugo in cagnesco.

-Qualcosa che non sarebbe dovuto succedere- dichiarò con tono fatalistico il ragazzo, ingranando la marcia.

-E mi è dato saperlo o dovrò restare all'oscuro di quanto riguarda la mia vita ancora per molto?-

-Succede- iniziò scocciato Hugo -che non è normale il fatto che Esperancia non sia riuscita ad assistere alla tua visione ed ancor meno normale è il fatto che quello che hai visto non sia contenuto nel Libro dei Segni.-

-Intendi quel coso che ha tirato fuori alla fine?-

-Proprio quello- rispose il ragazzo. -Dentro ci sono scritti tutti i significati delle visioni, tutti i poteri a loro associati, tutti i tratti caratteriali che ne derivano, ed in genere dipendono dalla stirpe dell'individuo che le riceve. Noi dei Featherstride, ad esempio, sogniamo spesso campi di battaglia. Io in genere sogno di essere ucciso.-

Prim rabbrividì.

Come poteva sognare la sua morte e parlarne con tanta nonchalance?

-E perché le mie visioni non ci sono su quel libro?-

-Ah, non chiederlo a me- liquidò Hugo tendendo il viso in un espressione che diceva "non ne ho la più pallida idea".

-La domanda è piuttosto: perché lei non è riuscita a vedere la tua visione? Deve averla insospettita molto questa vicenda... mi ha addirittura fatto intendere che avrebbe spifferato tutto al Consiglio!- ridacchiò abbastanza esasperato.

-Sul serio?- chiese Prim cadendo dalle nuvole.

-Chissà che cosa si è messa in testa. Forse è convinta che tu sia...- Hugo la guardò per un istante incrociando il suo sguardo interrogativo.

-Bah, lascia perdere, l'importante è che non dica niente di inopportuno.-

Prim sbuffò.

-Quindi è per questo che ti sei sbrigato ad uscire in quel modo?-

Hugo annuì.

-Già.-

La macchina prese una curva e saltò leggermente sull'asfalto.

Sarà stata anche una Lamborghini ma si trattava pur sempre di un vecchio catorcio.

Ha fatto quella scena per evitare che quella donna sospettasse di me.

-In parole povere, mi hai coperta- sentenziò Prim guardando dritta la strada.

-Se vuoi metterla in questi termini, sì, ti ho parato il sedere- constatò compiaciuto il ragazzo.

-Grazie- mormorò Prim sempre più infastidita da tutta quella situazione.

-Non ringraziarmi, non l'ho fatto per te ma soprattutto per noi. Non abbiamo bisogno di altre gatte da pelare a Kleatine- rispose sprezzante.

Prim gettò gli occhi al cielo e preferì non aprire bocca piuttosto che iniziare ad attaccare briga con quel montato da quattro soldi.

Era fin troppo stanca per litigare.

-Comunque- riprese improvvisamente Hugo -dobbiamo capire che cosa stia succedendo. Il fatto che Esperancia non sia riuscita a vedere nella tua visione potrebbe anche significare che qualcuno si sia messo di mezzo.-

Si voltò di scatto iniziando ad osservare insistentemente il ragazzo.

Sembrava stranamente teso.

-Che intendi per "messo di mezzo"?-

-Intendo- riprese Hugo -che qualcuno potrebbe essere sulle tue tracce.-

Prim si lasciò scappare una risatina esasperata.

-Intendi qualcuno come voi? Perché in tal caso sono abbastanza certa di poter affermare che hanno intenzione di drogarmi, rapirmi, portarmi in un posto sperduto chissà dove per poi rivelarmi verità sconvolgenti sulla mia identità- esclamò con un sorrisetto di stizza stampato sulla faccia mentre continuava ad osservare l'espressione contratta di Hugo.

-Oppure potrebbero essere semplicemente intenzionati ad ucciderti.-

-Oh, giusto, mi ero quasi dimenticata di questa eventualità, grazie mille per il promemoria!-

Superarono il casello, la strada volava veloce dietro di loro.

-Dobbiamo sbrigarci a raggiungere Kleatine- Hugo pigiò ulteriormente sull'acceleratore -e a parlare con mio padre.

ANGOLINO TUTTO NOSTRO:

Ciau ragazzi e ragazze! <3

Come state?

Spero bene!

Eccovi il nuovo capitolo della storia, spero che vi piaccia e come sempre vi invito a farmi sapere che ne pensate (critiche sempre bene accette).

Vi mando un bacio enorme ed un abbraccio fortissimo.

Hugo quì, freme dalla voglia di salutarvi uno per uno ahah (chissà che non mi venga in mente di fare un Extra simpatico >u>...)

Un bacione ancora!

Ciauu!

Sayami98.

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