12. Dolori immortali.
"Essere, vuol dire essere la somma di tutto ciò che si è stati.
L'uomo non comprende e non accetta l'immortalità
se non a condizione di ricordare se stesso.
Essere, per la creatura intelligente,
è confrontare continuamente ciò che si è stati con ciò che si è."
Victor Hugo
La sua testa era un vuoto avviluppato su se stesso, una lampadina che si accendeva e si spegneva in continuazione, risucchiando la luce intorno a sé.
Nei pochi istanti di coscienza percepiva la carne bruciare e le orecchie fischiare prepotentemente.
Sentiva il respiro affannato di Hugo sulla pelle sudata del viso, le sue parole ovattate attraverso l'aria vuota della notte.
-Strega Madre!- gridava -Sybilla!-
Poi, il buio.
La sua testa era leggera come un palloncino pieno d'elio ed il suo corpo pesante come un'ancora di piombo.
-Cosa diavolo vi è saltato in mente?!- udì.
Sotto di lei c'era qualcosa di soffice ed asciutto.
Sentì che qualcuno stava armeggiando per sfilarle i pantaloni ed il maglione strappato.
Ogni movimento era una spina che le si conficcava in mezzo alle costole, respirare non le veniva nemmeno più naturale.
-Avresti potuto ucciderla.-
Silenzio.
Qualcuno le sfiorò il ventre nel punto esatto in cui si apriva la piaga ed una fitta di dolore atroce si propagò per ogni fibra del suo corpo.
Gridò, chiedendosi con quale fiato stesse riuscendo ancora a lamentarsi.
Per un attimo si domandò perché non potesse morire subito e per quanto ancora si sarebbe protratta quell'agonia straziante.
Socchiuse gli occhi il tanto che le bastò per scorgere una forte luce chiara puntata su di lei ed i tratti familiari di qualcuno, una chioma di lucenti capelli bianchi come la neve.
-Sybilla- soffiò.
La sua cassa toracica la stava implorando di tacere.
-Perché siamo qui?-
-Perché il nostro Sherlock si è dimenticato di dirti che il Lockwood Cemetry è a due passi dalla dimora della Strega Madre...- un'altra voce, più graffiante e scura.
Chiuse nuovamente gli occhi. La testa le pulsava.
-Tacete,- intimò Sybilla -ho da fare.-
Percepì due dita fredde come il ghiaccio posarsi sulla sua spalla. -Starai meglio, vedrai.-
Sentì improvvisamente le sue ossa sciogliersi come il burro, i muscoli ripiegarsi ed arrotolarsi su loro stessi, la pelle in fiamme.
Dolore, dolore, dolore.
Spalancò la bocca cercando di respirare ma non trovò nemmeno una molecola di ossigeno a darle sollievo: aveva la gola tappata.
Il sapore metallico del sangue le inondò la bocca.
Sgranò gli occhi nell'abbagliante luce giallastra poi, in un istante, tutto si spense.
E ripiombò nel buio.
-Primrose?-
Risate.
-Prim!-
Qualcuno stava ridendo. Una ragazza.
Emily?
La luce era pallida e fredda. Si trovava in una gigantesca stanza piena zeppa di quadri.
Stava seduta su di un trono enorme, rosso come quelli della Sala dei Troni ed indossava delle lunghe vesti bianche piene di campanelli argentati che tintinnavano ad ogni suo movimento.
Erano i quadri che ridevano.
Un attimo dopo camminava in mezzo a loro, guardando a destra e a sinistra i volti delle persone raffigurate.
Li conosceva tutti ma non ricordava il nome di nessuno.
Appartenevano ad epoche e ad estrazioni sociali diverse: dame vittoriane, paggi medievali, precettori greci e schiave romane.
Ridevano nonostante intorno a loro la morte dilagasse.
Ridevano anche se i loro colli sottili erano tutti circondati da pesanti corde di tela grezza: cappi per l'impiccagione.
Ma perché se dovevano morire?
-Primrose?-
Sentiva i suoi passi risuonare ed i campanelli rimbalzarle addosso spandendo il loro suono argentino fra le quattro mura della stanza mentre ogni altro rumore scemava fino a sparire.
-Colpevole- sussurravano i quadri. -Colpevole. Colpevole.-
Accelerò il passo. Adesso correva.
La sala era diventata un corridoio di pietra dura e scivolosa di cui non si vedeva l'uscita.
Le braccia delle figure ora si allungavano dai dipinti verso di lei, scarne e scheletriche, lattiginose come ossa umane. La sfioravano, tentando di bloccarla, di afferrarla, di annientarla.
-Colpevole. Colpevole.-
La fine del tunnel non si vedeva ancora.
-Prim?- sentì ad un tratto.
Qualcuno le stava davanti nella penombra, una figura alta, sinuosa come il corso di un fiume.
-Primrose- chiamò.
Le voci tacquero. -Chi sei?-
-Unisciti a me.-
Nell'aria c'era odore di fumo e cenere. I campanelli suonavano sinistramente, come grida d'angeli.
Qualcosa scorreva sotto i suoi piedi, un liquido denso, lucido e scuro che impregnava il suo abito immacolato corrompendone lentamente il tessuto.
Inchiostro.
-Chi sei?- ripeté.
La figura sorrise.
Le braccia la raggiunsero. Si ritrovò con le spalle cinte da miliardi di piccole dita antiche che la tiravano indietro. Allungò istintivamente una mano per cercare di afferrare la sagoma di fronte a lei ma era già sparita. Gli arti la imbrigliarono, il buio la ingoiò e, in un istante, rimase solo il vuoto.
***
Si svegliò di soprassalto.
Era un sogno. Si disse.
Solo un sogno.
Si guardò intorno frastornata, passandosi una mano sul viso.
La stanza era immersa in una piacevole penombra.
Faceva caldo ed il silenzio regnava sovrano.
Doveva aver sudato parecchio dato che sentiva tutti i capelli fastidiosamente appiccicati alla nuca.
Gli arredi erano semplici, sebbene la camera fosse molto grande: una cassettiera, un armadio a tre ante e poi il suo lettino con le inferriate alla testiera.
Le lenzuola erano bianche come il latte e profumavano di sapone.
Si portò istintivamente una mano alla ferita e rimase piacevolmente sorpresa nel constatare che non le facesse più tanto male. La pelle, però, tirava ancora e si sentiva parecchio affaticata ed indolenzita. Sybilla aveva fatto un ottimo lavoro.
E, d'altronde, che altro aspettarsi dalla Strega Madre?
Sospirò.
Chissà per quanto aveva dormito.
Nella sua testa le immagini si accavallavano l'una sull'altra, sfocate, come al rallentatore: il Lockwood Cemetry, l'entrata del Purgatorium, il verde vivido nell'aria, il tanfo infernale di quel posto e poi l'assalto, le parole di Aihbill, la sua voce inconsistente ed il suo sguardo vacuo.
Una strana inquietudine le attanagliava lo stomaco.
Come era arrivata fin lì e dove era finito Hugo?
Perché quelle voci continuavano a tormentarla?
Unisciti a me.
Un rumore alla sua destra la riscosse dai suoi pensieri. Si voltò.
Un ragazzo biondo era entrato nella stanza ed ora stava impalato accanto alla porta con una mano sul pomello.
Prim dovette sgranare gli occhi ed osservarlo a lungo prima di capire di chi si trattasse.
Era Ailore Craigbright, il Custode.
-Oh,- sussurrò -ti sei svegliata.-
Sembrava che stesse parlando a se stesso piuttosto che a lei.
-Come ti senti?-
-Benone- dichiarò, scuotendo vigorosamente la testa. -Quanto ho dormito?-
-Un giorno- rispose il ragazzo. -Te la sei vista brutta, lo sai?-
Prim fece spallucce. -Mi passerà.-
Ailore sbatté un paio di volte le palpebre, poi sorrise. Prim constatò che, anche nascosto nella penombra, non riuscisse a sembrare minaccioso nemmeno un po'.
-Sei una tosta, eh?- disse, chiudendo la porta ed entrando finalmente nella stanza.
-Ero venuto a vedere come stessi. E' presto, comunque. Sono solo le tre del mattino, dovresti riposare un altro po'- si fermò per un secondo, squadrandola improvvisamente con sguardo critico.
-La maglietta ti va un po' larga ma non siamo riusciti a trovare niente di meglio...-
Prim corrucciò la fronte, spaesata, ed il ragazzo la indicò con l'indice.
-Quella- disse -è mia.-
Guardò immediatamente in basso. Indossava una maglia nera che le andava decisamente enorme: sbucavano fuori solo le sue ginocchia nodose e gli stinchi sottili e pallidi. Ailore doveva avergliela prestata in vece dei suoi vestiti ormai inutilizzabili.
-Scusa,- farfugliò -credo di averci sudato un po'.-
Ailore rise con la sua voce graffiata e poi accennò un gesto della mano, come per scacciare un brutto pensiero.
-Non fa niente- ridacchiò. -Sarà sicuramente meglio del mio dopo cinque ore di addestramento.-
Prim arricciò il naso, divertita e disgustata al tempo stesso.
Quel ragazzo era in grado di mettere immediatamente a proprio agio chi gli stava intorno. Era confortante.
-Allora grazie- sorrise.
Ailore ricambiò. -Non c'è di che.-
Si prese qualche istante per guardarsi intorno un po' più attentamente. -Dove sono?-
-Questa è la dimora della Strega Madre a New York- rispose tranquillamente il ragazzo.
-E' grande?-
-E' un castello- spiegò Ailore.
-E' grande- decretò.
Guardandole con attenzione, le pareti della camera erano ricoperte da ricami dorati sottilissimi e dal soffitto pendeva un lampadario a forma di margherita, un po' pacchiano a dire il vero. Accanto al suo letto, sul comodino, erano stati disposti un fazzoletto di stoffa grezza bianca, una brocca piena d'acqua ed il pugnale dall'elsa scarlatta che le aveva salvato la pelle solo poche ore prima.
-Hai fame?- le chiese improvvisamente il ragazzo.
Prim lo guardò per un istante e fece per rispondergli ma fu interrotta da un perentorio: -Certo che ha fame, è più di un giorno che non mangia!-
Si voltò in fretta verso la porta.
La Strega Madre stava in piedi dietro di Ailore. Evidentemente, quello di entrare in una stanza senza prima bussare era un vizio tipico delle streghe.
Sybilla vestiva uno dei suoi soliti abiti pomposi e bianchi ed aveva stampata in faccia un'espressione discretamente nervosa.
-Ailore,- chiamò -va' a prepararle qualcosa da mangiare, per favore.-
Il ragazzo annuì scattante, senza aggiungere nient'altro, ed in un secondo sparì tornandosene da dove era venuto.
In presenza di Sybilla, diventava una sorta di soldatino sull'attenti.
Sybilla, senza attendere oltre, afferrò una sedia che era stata lasciata accanto al letto e ci si accomodò sopra con la consueta grazia fluttuante.
Schioccò le dita ed il lampadario a forma di margherita si accese.
Prim lo guardò per un secondo interdetta, poi tornò ad osservare il viso pallido della Strega Madre, ben conscia della lavata di capo che stava per beccarsi.
-Sto aspettando- dichiarò ad un tratto.
Prim sgranò gli occhi, confusa.
-Spiegazioni- specificò la donna. -Mi pare abbastanza ovvio. Per quale oscuro motivo vi siete cacciati nella tana delle banshee? Sono esseri infidi e pericolosi. Anche se le nostre anime e le loro sono legate, non basta ad impedire che ci attacchino.-
Prim fece di no con la testa, cercando di sembrare il più rispettosa possibile. -Mi perdoni, veneranda Sybilla, ma non la seguo.-
Sybilla sospirò, leccandosi con la punta della lingua le labbra scure come l'ebano.
-Sai, mi stavo chiedendo una cosa, cara- i suoi occhi erano pece pura piena di luci dorate.
-Come ci si sente a guardare in faccia la morte? Deve avere qualche cosa di davvero speciale se tutti continuate a ricercarla pur quando lei non è in cerca di voi.-
Prim continuò a guardarla attentamente.
No, non avrebbe saputo in alcun modo stabilire quanti anni avesse o quante epoche avesse vissuto. Era eterna, semplicemente perenne attraverso spazio e tempo.
-Di sicuro è un brivido che lei non potrà mai provare.-
Il volto della Strega Madre si coprì di sincero stupore.
-Sei molto sfacciata- osservò. -Mi piaci.-
Passarono qualche istante ad osservarsi l'un l'altra come fossero state due rare specie in via d'estinzione.
Prim sorrise. Pensare che aveva davanti una delle massime autorità della società delle streghe e che la cosa non le faceva assolutamente né caldo né freddo la faceva sentire estremamente fiera e stupida al contempo.
-Veneranda Sybilla, se posso chiederglielo, cosa si prova ad essere immortali?-
La donna parve di nuovo essere stata colta di sorpresa, ma poi la sua espressione si distese, tornando alla solita, imperturbabile calma.
-Chiamami solo Sybilla,- disse -e sì, la tua domanda è più che lecita.-
Prim si accucciò meglio fra le lenzuola, preparandosi ad ascoltare la risposta. Era stranamente affascinata dalla chimera millenaria che aveva di fronte, semplicemente, non riusciva a capacitarsene.
-Vedi, c'è un'espressione che usereste voi mortali. Com'è che era? Ah, giusto: "uno schifo".-
Prim sgranò gli occhi, basita. Nel suo sguardo riusciva sempre ad insinuarsi un'ombra di malinconia.
-Correggimi se sbaglio. Non indicate forse così una situazione particolarmente sgradevole?- le chiese la donna sporgendosi impercettibilmente verso di lei.
-Sì, certo, ma non pensavo che...-
Sybilla alzò una mano per imporle di tacere. Il sorriso disteso sul suo volto si era fatto vagamente nostalgico.
-Contrariamente a quanto tutti voi possiate pensare, l'immortalità è un prezzo da pagare, non un dono, quando sei l'unica a possederla.-
Prim si umettò le labbra, interdetta. Non riusciva ad immaginare di vivere miliardi e miliardi di anni, vedere tante guerre e spettacoli meravigliosi ed infernali.
-Ailore ha solo diciotto anni- continuò Sybilla. Aveva abbassato lo sguardo sulle dita lunghe ed affusolate, la pelle talmente chiara che, guardando con attenzione, Prim pensava che sarebbe riuscita ad intravedere le ossa.
-E' un caro ragazzo ed io gli voglio molto bene. L'ho visto nascere, crescere e diventare quello che è oggi. Immagina la sua bella pelle avvizzire, i suoi occhi adombrarsi con la vecchiaia ed il suo corpo piegarsi sotto il peso degli anni. Immagina di vedere tutto questo non una, ma milioni di volte, con milioni di persone diverse e di restare sempre la stessa. Non una ruga, non un segno. Immortale.-
Tacque. Un fremito percorse l'aria, una sottile scarica elettrica prima della stoccata finale.
-Immagina- disse -di non poter fare nulla per impedirlo.-
Prim era senza fiato. Quanto era falso il sorriso di Sybilla in realtà? Quando davvero doveva sentirsi sola?
Immortale.
Alzò gli occhi sul suo viso algido e per un secondo le parve morta.
Quanto tempo prima aveva smesso di vivere?
Sentiva un improvviso bisogno di alzarsi e scappare via.
-Riusciresti a sopportarlo?- proseguì, facendola quasi sobbalzare -E' uno schifo, perché non ho scelta.-
-Non sempre abbiamo una scelta- rispose di botto. Ormai era diventato quasi automatico.
Sybilla sorrise. -Temo tu abbia ragione. Io e te ne siamo la prova vivente, non è così?-
I suoi occhi di carbone puntati addosso la facevano sentire minuscola quanto una formica.
-Forse- rispose solo.
Non aveva davvero idea di cosa dire in realtà. Il senso di vuoto che si sentiva ora in mezzo al petto aveva spazzato via ogni altro pensiero.
Legittimiamo talmente tante atrocità che ormai non ci facciamo neanche più caso.
Un brivido le corse su per la schiena. Era davvero possibile soffrire così tanto e così a lungo da esserci ormai abituati? Da diventare insensibili al dolore?
Sybilla schioccò improvvisamente la lingua.
Sorrise. -Parliamo piuttosto di cose allegre, se così si può dire.-
In un secondo, nel suo sguardo era tornata a brillare la stessa saggia furbizia di sempre.
Si sistemò il vestito sulle gambe, portando lentamente avanti le braccia.
-Cosa vi ha detto Aihbill? Hugory mi ha riferito che l'avete incontrata dopo l'assalto dei farshee, non è vero?-
Prim annuì. Si sentiva curiosamente sollevata di aver cambiato discorso.
-Sembra che Isobel sia a Runadium.-
Sybilla sospirò. -Come sospettavo...-
Prim deglutì.
-Che cosa avete intenzione di fare?-
La sua voce suonava come il rumore di una lamiera d'acciaio trascinata sull'asfalto. Aveva la gola secca come il deserto.
-Io?- chiese Sybilla.
Un sorriso amaro le si era dipinto sul volto.
-Tutto dipende dal Consiglio e dalle sue deliberazioni, mia cara.-
-Ma come?- chiese brusca -Sono bloccati fuori da Runadium tanto quanto voi. Isobel potrebbe continuare ad uccidere indisturbata mentre noi ce ne stiamo qui ad aspettare che loro prendano una decisione.-
Sybilla sospirò, ma non rispose.
-Non potrebbe esserci un'altra soluzione?- tentò -Un altro passaggio, oppure un altro modo per entrare?-
Il suo sguardo di cenere si posò su di lei.
Era talmente seria che le sembrava una statua di marmo.
-Forse potrebbe esserci. Ma abbiamo bisogno di certezze, dobbiamo indagare.-
Le sue mani candide giocherellavano con un lembo del lenzuolo.
-Ho bisogno di sapere, dovete raccontarmi con esattezza che cosa è accaduto al Purgatorium- decretò infine. -Forse sarebbe meglio che andassi a cercare Hugory, era molto in pensiero per te. Non ha voluto dirmi nulla.-
Prim sospirò.
Il ricordo appannato delle braccia di Hugo che la sorreggevano le offuscò la mente.
-Dove si trova?-
-In giardino- si limitò a rispondere l'altra. -Appena esci di qui prendi le scale sulla destra e scendi. Troverai una porta.-
Prim annuì.
Uscì in fretta dalle coperte ed infilò un paio di pantaloni neri che erano stati lasciati ai piedi del letto. Dovevano essere di Ailore anche quelli, perché, come la maglia, le cadevano larghi.
Chissà come stava Hugo. Uno strano rivolgimento delle budella la scosse.
-A dopo- disse semplicemente, aprendo la porta. -E grazie.-
Sybilla, dopo che Prim fu sparita per la strada che le aveva indicato, continuò a sorridere.
Dentro, però, era distrutta.
Sapeva come sarebbe andata a finire, lo aveva sempre saputo.
Perché varcare la soglia, significava non tornare più indietro.
La luce, oltre le siepi, oltre i cipressi e la pineta del Lockwood Cemetry che ombreggiava la zona da lontano, oltre la linea dell'orizzonte blu notte e oltre le stelle ancora fulgide, era accecante.
Prim non aveva mai visto l'alba. Era magnifica.
Da fuori, il castello di Sybilla sembrava una comunissima casetta per attrezzi da giardino. Era un sortilegio ingegnoso, doveva ammetterlo.
Hugo era poco più avanti, guardava anche lui il sorgere del sole.
Le scaglie di luce gli si immergevano fra i capelli castani, striandoli d'oro.
Indossava un paio di pantaloni scuri ed una maglietta bianca e sottile che gli fasciava le spalle.
Aveva le mani ficcate nelle tasche, gli occhi persi nell'orizzonte.
C'era qualcosa di costantemente irriverente in lui, un'aria di sufficienza che lo aveva sempre caratterizzato, sin dalla prima volta che lo aveva visto.
Lo detestava.
Sembrava che volesse sfidare il sole stesso, che non temesse neppure lui.
Si avvicinò con cautela. Un venticello pungente le accarezzava i capelli e la pelle.
-Ciao- disse, quando ormai gli era accanto.
Hugo si voltò di scatto, sgranando gli occhi come se avesse visto un fantasma.
-Ti sei svegliata.-
Prim sorrise, sardonica. -Mi dispiace deluderti, ma ti ci vorrà ben altro per liberarti di me.-
Anche lui accennò un sorriso. -Come ti senti?- le chiese.
I suoi occhi brillavano come diamanti alla luce del sole. Erano incantevoli.
Prim fece spallucce. -Come una che è stata trafitta da una freccia avvelenata e si è svegliata dopo due giorni di convalescenza.-
Hugo schiuse le labbra, ma non rispose.
Prim strinse forte le dita intorno alla maglietta, si sentiva stranamente tesa.
-Sybilla ha fatto davvero un ottimo lavoro- aggiunse.
Calò il silenzio.
Il sole, intanto, continuava a sorgere, incurante di ogni altra cosa che non fosse se stesso.
Da vicino, la ragazza vedeva le spalle di Hugo tendersi e rilassarsi in continuazione sotto il tessuto sottile della maglietta. Era quasi trasparente.
Aveva uno zigomo completamente tumefatto e lo spacco sul labbro era profondo, non sarebbe guarito tanto presto.
Gettò istintivamente un'occhiata distratta alle mani: le sue lunghe dita affusolate erano graffiate, le unghie ancora incrostate di terra.
Hugo si avvicinò improvvisamente a lei.
Aveva gli occhi fissi in basso, sulla maglietta nera, all'altezza dell'addome.
Il ragazzo si morse un labbro.
-Posso vedere?- chiese.
Improvvisamente, Prim si sentì sciogliere come la neve.
Annuì impercettibilmente e si tirò su la maglietta il tanto che bastò perché si intravedesse il segno violaceo che le deturpava il ventre.
Era profondo.
Deglutì.
Gli occhi di Hugo le stavano facendo la radiografia.
Si sentiva un'imbecille in quella situazione, non aveva neppure idea del perché lo stesse facendo.
Per di più la sua pancia, in quelle condizioni, non doveva essere per niente un bello spettacolo.
-Ok, basta- decretò, facendo per abbassare di nuovo la maglia, ma Hugo la fermò.
-Aspetta- disse.
Allungò in fretta una mano, posandole due dita proprio sopra la ferita.
Un brivido le corse su per la schiena ma non si ritrasse. Era strano, terribilmente strano. Le sue ginocchia erano burro e sentiva il sangue affluirle prepotentemente alle guance.
Gli occhi di Hugo, puntati su di lei, non mostravano neppure l'ombra del ribrezzo, solo un profondo rammarico, misto a qualcosa di incandescente, violento.
Le sue dita percorsero lentamente il taglio, leggere, quasi impercettibili, delicate come le dita di un angelo.
I brividi le saettavano per tutto il corpo e le mancava il coraggio di alzare lo sguardo.
-Ti fa male?- le chiese Hugo.
La sua voce era ruvida come la carta vetrata. Sentiva la gola secca.
-No.-
Le dita di lui abbandonarono lentamente la pelle e Prim quasi se ne dispiacque. Lasciò ricadere la maglietta nera sul suo corpo.
Aveva la pelle d'oca ma non per il freddo.
Sei una stupida. Pensò.
-Scusami- disse ad un tratto Hugo.
Prim strinse istintivamente le labbra in una linea sottile.
-Non è stata colpa tua.-
Era vero. Avrebbe potuto benissimo decidere di non seguirlo, aveva fatto tutto da sola.
-Lo è invece- replicò il ragazzo. -Sono un egoista.-
Prim alzò gli occhi incontrando i suoi, azzurri, infiniti, fissi su di lei come calamite.
Si chiese se facesse a tutti quest'effetto e perché dovesse farlo anche a lei.
Smettila di guardarmi.
-Sei ferito anche tu- rispose prontamente, fissando il livido nerastro sul suo viso.
Era bello anche così, forse ancora di più.
-Ma io non ho rischiato di morire.-
Il vento spirava fra di loro, insinuandosi sotto i vestiti. Il sole era quasi sorto ormai, le ultime stelle si stavano spegnendo una ad una.
Erano vicini.
-E' solo che non avremmo dovuto farlo per forza- sussurrò.
Stare con lui accendeva l'elettricità nell'aria. Le sembrava di poterlo leggere come un libro di fiabe. La vena sulla sua tempia che pulsava, i pugni stretti ed il colore caldo dei suoi capelli.
Hugo sorrise amaro.
-A me è stato insegnato sempre il contrario- disse. -Sii il migliore, sii forte e coraggioso. Rendi il tuo cuore duro come la pietra e la mente fredda come il ghiaccio.-
Il suo sguardo, ora, era nell'orizzonte.
-Mia madre è morta dandomi alla luce. Mio padre non me l'ha mai perdonato.-
L'aria gli sferzava il viso, l'espressione dura e contratta. Avrebbe voluto toccarlo.
-Hugo, io...-
-Neppure io- sussurrò, voltandosi di nuovo verso di lei. -Neppure io me lo sono mai perdonato.-
Calò il silenzio.
Prim non aveva idea di come riuscisse, con un solo sguardo, ad annullare il resto del mondo.
-Mi dispiace- disse.
-Anche a me.-
Il sole era sorto. Le loro ombre si allungavano incrociandosi l'una sull'altra, strisciando sul selciato.
-Non posso permettermi altri errori- disse ancora Hugo. -Non posso.-
Era strano. Il mondo era andato avanti per anni confidando nel libero arbitrio umano e poi, dal giorno alla notte, era accaduto proprio a lei: si era ritrovata scaraventata in una vita dove ogni scelta era obbligata.
-Ok- rispose solo.
Non stava più ragionando.
Qualcosa non andava più bene come avrebbe dovuto.
Hugo era lì, lontano quanto un battito d'ali. I suoi occhi bruciavano come il fuoco.
Forse era il sole. Si disse. Forse.
-Perdonate l'interruzione- una voce acuta, autoritaria ed oltremodo adirata ruppe l'aria.
Prim trasalì. Si voltò di scatto e tutti i suoi timori si materializzarono.
Fidelia era di fronte a lei, le braccia incrociate al petto, il piede che sbatteva ripetutamente a terra e l'espressione furibonda. Alle sue spalle, Lucky, Pyper e Gripho li stavano osservando con un'aria indecifrabile stampata sul viso.
La faccia di Hugo era una maschera di argilla.
-Non era mia intenzione disturbarvi ma, sapete, avrei bisogno di un paio di spiegazioni.-
Fidelia era infuriata, decisamente infuriata.
Prim imprecò mentalmente.
Era nei guai. In grossi, grossissimi guai.
ANGOLINO TUTTO NOSTRO:
Buona sera ragazzi!
Come state?
Spero bene!
Ecco qui il nuovo capitolo, che ve ne pare?
Non ho molto tempo da dedicare alla scrittura purtroppo (la maturità è il mostro cattivo dietro l'angolo che mi minaccia di morte) e quindi quello che ho cerco di impiegarlo al meglio.
Fatemi sapere che ne pensate, mi raccomando.
Se vi è piaciuto (per la serie "solito-spam-poco-redditizio-in-fondo-al-capitolo"), stellinate e magari lasciate un commentino tanto per farmi contenta.
Altrimenti fatemi sapere PERCHE' non vi è piaciuto e cosa potrei fare a vostro parere per migliorare (non mordo mica! XD).
Nel frattempo vi mando un grande bacio ed un super-mega abbraccio!
Grazie a tutti di cuore del supporto, dei commenti e di tutto.
Se siamo arrivati fin qui, ricordatevelo sempre, è solo ed esclusivamente grazie a voi che ogni singola volta mi avete dato un po' più di fiducia in me stessa e mi avete spronata a continuare. (Siamo #320 in classifica, vi rendete conto? # 3 2 0! Io temevo di rimanere alla posizione #978 a vita!)
Grazie mille, a tutti.
Sayami98
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