Capitolo Uno
Preferiamo ignorarla, la verità. Per non soffrire. Per non guarire.
Perché altrimenti diventeremmo quello che abbiamo paura di essere. Completamente vivi.
Agosto 2015
Doveva cominciare una nuova vita.
Aveva perso tutto.
La serie tv costruita sulla sua vita era stata un fiasco, un fallimento totale. Oltretutto, allora, era presa di mira da molte persone che la definivano oscena, razzista, omofoba e altri aggettivi ripugnanti con cui Rachel poteva riempire un intero diario, se non due.
Aveva raggiunto la vetta del successo con Funny Girl.
«Non sei portata per la televisione», questo avevano detto. Non poteva che essere d'accordo.
La fama, la popolarità erano state effimere, era solo una ragazza come tante che aveva fallito. Che ci aveva provato e non ce l'aveva fatta. Non c'era più nulla per lei a Los Angeles e tanto meno a New York, considerando l'abbandono della NYADA e del ruolo a Broadway.
L'unico posto rimastole in cui rifugiarsi era Lima. E figuriamoci se voleva tornarci tanto presto e da perdente quale era.
Aveva sempre immaginato il suo ritorno in Ohio in maniera molto teatrale. Avrebbe vinto un Tony, come minimo, avrebbe ottenuto qualche ruolo a Broadway tra i musical che tanto si ostinava a guardare fin da piccola, come Wicked, West Side Story, Cabaret. Con Funny Girl c'era riuscita. Il musical appartenente al suo idolo più assoluto: Barbra Streisand.
"Ma io non sono Barbra Streisand", pensò sdraiata sul divano.
Erano le tre del pomeriggio e lei era ancora lì, nell'appartamento a Los Angeles. Da un mese, dopo la sua sconfitta, non faceva altro che mangiare cibi grassi, guardare la tv e leggere tutte le recensioni negative che giravano su di lei per il web, nel buio più completo del suo soggiorno. Non si sforzava nemmeno di raggiungere il letto per andare a dormire, si assopiva lì. Direttamente sul divano.
Era finita in una nuvola nera di autocommiserazione e rassegnazione tale che nessuno poteva più farla rinsavire. Aveva ricevuto molte telefonate dai suoi due papà, dagli amici, ma non aveva risposto a nessuno. Ogni giorno Kurt, il suo migliore amico, chiamava. Ma nulla. Lasciava giusto qualche messaggio a lui e ai genitori per far sapere loro che era viva, ma quando riprovavano a contattarla, nulla. La mano si bloccava e lasciava che il telefono squillasse, estraniandosi dal mondo come fosse lontana anni luce da lì. Quell'appartamento era diventato la sua astronave che galleggiava nello spazio, mentre le vite di tutti continuavano indisturbate sotto di lei, ignari della sua esistenza.
Doveva uscirne da sola, se mai l'avesse fatto, se mai ci fosse riuscita.
Rachel cominciò a fare zapping tra i canali tv nel tentativo di guardare qualcosa di interessante e dopo poco trovò una puntata di The Flash. Non le dispiaceva come serie, certo non era il suo genere, ma conosceva abbastanza bene Sebastian, il protagonista che interpretava Barry Allen. Sebastian faceva parte degli usignoli, inizialmente era... diciamolo, uno stronzo. Ma poi, con il tentato suicidio di Karowsky era cambiato. Le faceva strano pensare che perfino un individuo come Sebastian era riuscito a sfondare con una serie tv e lei invece, dopo appena una puntata, aveva rovinato la sua intera carriera.
D'un tratto il cellulare cominciò a vibrare e il display si illuminò nel buio della stanza, segno di un nuovo tentativo da parte di qualcuno di salvarla dall'involucro autolesionista che aveva costruito.
Si sollevò, leggermente scocciata dallo sforzo obbligato, e stava già per cliccare il pulsante rosso sul display, se solo non avesse visto la foto comparsa sullo schermo.
Si ricompose rapida sul divano. Si mise seduta con il cuore che batteva a mille e si portò i capelli dietro le orecchie, come se lui potesse in qualche modo vederla. Non importava in quale luogo lei fosse o con chi, il cuore batteva sempre così quando c'era di mezzo lui.
Premette il tasto verde e si portò lentamente il cellulare all'orecchio abbassando la televisione con il telecomando per non far capire che era a casa.
«Ciao, Finn! Come stai?», chiese con tono un po' troppo energico.
«Io bene, Rachel. Tu piuttosto?»
Sentire la sua voce le fece perdere un battito, da quanto non la sentiva! Quasi ne aveva dimenticato il suono inebriante, con quell'impronta marcata, ma allo stesso tempo dolce. Quella voce anche allora, nonostante tutti gli anni che erano passati, la faceva sciogliere come se fosse un pupazzo di neve al sole. Sentire Finn le accese qualcosa dentro, le diede un calore e un senso di pace che non provava da mesi. Non si erano più sentiti da quel giorno in cui lei aveva preso il telefono per chiamarlo – dopo che era fuggito senza nemmeno salutarla – ringraziandolo dei fiori e di essere venuto fino a New York per presenziare al debutto a Broadway con Funny Girl. La loro telefonata fu breve, piena di disagio. In quel momento si sentiva come se, dopo anni di ricerca, fosse appena riuscita a ritrovare il tassello che mancava nella sua vita.
«Io? Benissimo! Ora sono a prendere un caffè con... un amico», rispose vivace.
Contaci che ti abbia creduto. Di certo non è stupido.
Il suo tentativo era più che evidente, ma non le importava. Non voleva mostrarsi debole. Se c'era una cosa che aveva imparato negli anni di liceo era che mai si sarebbe dovuta mostrare debole davanti a qualcuno. Soprattutto se davanti avevi Santana Lopez. Quegli anni avevano forgiato il suo carattere acuendone alcune parti leggermente sgradevoli, levigandone altre altrettanto spiacevoli e alimentandone, però, anche i lati buoni.
«Rachel», cominciò lui piano con tono quasi accusatore. «Anche se non ci vediamo e non parliamo da tanto, ti conosco. Non parli con nessuno e tutti, compreso me, hanno visto il pilota della tua serie.»
Si stava arrabbiando. Chi era per giudicarla? Soprattutto considerato come si era concluso il rapporto tra loro. Però, ciò che faceva montare di più la rabbia era la sconfitta e il fatto che lo sapesse. Era ovvio che lo sapesse, le bastava muovere un ciglio perché lui capisse ciò che le passava per la testa.
«E quindi? Cosa vorresti dire con questo?», chiese lei mettendosi sulla difensiva.
Faceva sempre così. Quando la situazione le era scomoda tentava di attaccare per prima. Per lei la vita era una guerra da combattere, in ogni ambito. La tentazione di attaccare il telefono era alta e sembrava che Finn se ne fosse accorto dal tono che usò e dal modo attento con cui soppesò le parole successivamente.
«Non ti sto giudicando, Rachel, ma ne so qualcosa di fallimenti. Non estraniarti dal mondo...»
Questo era troppo persino per lei. Passi pure il resto del mondo, ma non poteva permettere a lui, il suo Finn, di considerarla una fallita. Così buttò fuori tutto d'un fiato: «E come ti permetti di farmi la morale? Dopo che sei andato in giro per la Georgia invece di tornare anche se avevi fallito? Di tornare da me? La differenza tra il mio fallimento e il tuo è che il mio l'ha visto tutta l'America!»
«Lo so, ma non sei come me. Questa non è la Rachel che io conosco. Lei è forte, un pilastro e un esempio di forza e caparbietà per tutti.»
«Beh, non lo sono più. Forse non mi conosci bene come pensi. Siamo troppo distanti, ora.»
Prima di riattaccare il telefono dalla rabbia, sentì Finn, la persona che amava più di tutte, l'unica che avesse mai amato, dire quasi in un sussurro: «Ci troveremo sempre.»
E le lacrime che le pizzicavano gli occhi da mesi finalmente si riversarono fuori come un fiume in piena che sgorga dai suoi argini.
Barry stava cercando di portare i prigionieri meta-umani in un posto sicuro – prima che Harrison Wells facesse esplodere, ancora una volta, l'acceleratore di particelle – quando Snart gli si ritorse contro.
A Rachel piaceva Snart: non era il classico cattivo, perché in fondo la sua bontà traspariva già dal primo scontro che avevano affrontato l'uno contro l'altro. Ciò che non le piaceva era la smania di Barry di salvare tutti.
Sì, devo ammetterlo: sono d'accordo pure io, Rachel. Flash, sei troppo moralista cavolo!
Certo, se avesse avuto lei quei poteri avrebbe fatto altrettanto probabilmente, ma non si sarebbe data tante colpe. A volte si vince, a volte si perde: lo aveva sentito tante volte, ma lei non l'aveva mai pensata così, non esisteva solo il bianco e il nero nella vita. Lei credeva nel grigio. Credeva nella vita e nella forza di volontà che poteva permetterti di fare qualsiasi cosa tu desiderassi o di diventare la persona che vuoi e che sei destinato a essere.
Su una cosa Finn aveva ragione: lei non era così. Era sensibile agli insulti, ma andava avanti. Dopo anni con Santana Lopez come poteva buttarsi giù così, allora che era arrivata fino a quel punto?
Era determinata a redimersi, come una fenice voleva rinascere dalle ceneri più forte e più bella di prima. Ma l'unico modo per farlo era tornare al proprio nido, vicino alle persone amate e che l'amavano a loro volta.
Rachel aveva deciso: sarebbe tornata in Ohio, nella casa dei suoi genitori. Sarebbe ripartita, in un modo o nell'altro, e avrebbe rimesso in piedi la sua vita. Il suo posto non era a Los Angeles e nemmeno a New York. Forse aveva anche un'idea di come farlo: sarebbe partita dal principio, dove la voce e le capacità avevano realmente cominciato a prendere forma, nel luogo in cui aveva lasciato una parte di sé. Un luogo che al tempo non esisteva più.
Ma solo quando la puntata di Flash sarebbe giunta al termine.
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