Capitolo Sette
Se un sogno è il tuo sogno, quello per cui sei venuto al mondo, puoi passare la vita a nasconderlo dietro una nuvola di scetticismo, ma non riuscirai mai a liberartene. Continuerà a mandarti dei segnali disperati, come la noia e l'assenza di entusiasmo, confidando nella tua ribellione.
Giugno 2020
Il grosso peso che portava sulla pancia iniziava a ostacolare ogni suo minimo movimento. Blaine la aiutò a infilare le scarpe con un leggero tacco – le più alte che le permettevano di indossare. Rachel si allungò per aggrapparsi al braccio di Kurt e si sollevò spingendo in avanti il peso della pancia.
Il bambino che teneva in grembo era una speranza per il futuro di Kurt e Blaine. Quando le era stato chiesto dai due ragazzi, poco prima del matrimonio, non aveva esitato un solo secondo a dire di sì: era ovvio che dovesse essere lei a dar loro la possibilità di avere un figlio.
I suoi due papà l'avevano desiderata così tanto... Avevano posto un annuncio per cercare una madre surrogata che potesse completare la loro famiglia facendo loro dono dell'amore più complementare che esiste al mondo. Compiere questo gesto per il suo migliore amico e per Blaine era quasi un dovere per lei, una continuazione della sua vita perché senza quel gesto Rachel non sarebbe lì in quel momento. Erano solo nove mesi del suo corpo in fondo. Una parte di lei si era pentita di averlo fatto, ma solo perché la stessa parte si era affezionata a quel bambino.
Erano anni che i due ragazzi blateravano sul voler chiamare il loro futuro figlio "Alfredo" come le fettuccine di cui andavano matti al Bel Grissino. Appena Rachel aveva scoperto che era un maschio, aveva lottato con tutte le sue forze per farli desistere. Alla fine, le avevano permesso di scegliere il nome e quello sarebbe stato l'unico suo ruolo, come madre per quel bimbo. Null'altro le sarebbe stato permesso, ma lui sarebbe sempre stato parte della sua vita, come un nipote acquisito.
«Ti abbiamo portato altre vitamine. Non ti stai sforzando troppo, vero?», le chiese Blaine, apprensivo.
«Certo che no», disse Rachel, esausta delle continue pressioni da parte sua e di Kurt. «Sto bene, sono in formissima», si diede un'ultima occhiata allo specchio e si sistemò una ciocca di capelli sfuggita dalla pettinatura. «Ora mi lasciate andare alla proclamazione, per favore? Sono tra i candidati, non posso di certo mancare.»
Jesse aprì in quel momento la porta.
«Sei pronta? Non possiamo fare tardi!», tuonò. Negli occhi brillava la luce della speranza e di chi ha molto in gioco nella serata. Se Rachel avesse vinto... il teatro di Broadway sarebbe stato di sicuro suo. Jesse avrebbe avuto molte più possibilità di realizzare qualsiasi spettacolo avesse in mente senza limiti di fondi dopo Jane Austen Sings con la protagonista che aveva vinto il Tony Award.
«Sì sì, sono pronta.»
Si chiusero la porta di casa alle spalle e dopo poco si diressero verso l'entrata dell'American Theatre Wing.
«Nessun ripensamento?», chiese Jesse, aiutandola a salire le scale.
«Riguardo a cosa?»
«A noi», disse il ragazzo in uno sbuffo. «Continuo a pensare che saremmo perfetti insieme», le strinse la mano. «Pensaci! Potremmo prenderci Broadway, realizzare tutti gli spettacoli dei tuoi sogni, dei nostri sogni.»
«Nessun ripensamento», sentenziò Rachel. «I miei sogni, nel bene o nel male che questa serata porterà, io li ho realizzati.»
«Te ne pentirai. Ora che sono famoso avrò un sacco di seguito!», riprese a pavoneggiarsi Jesse. Poi tornò serio. «Quindi, cosa farai?»
«Tornerò a casa.»
«A casa? New York è la tua casa...», disse confuso il ragazzo.
Furono interrotti dalla moltitudine di persone che già erano presenti e che li salutavano andando loro incontro e stringendo le loro mani. Rachel ne fu grata, era impossibile ammettere ad alta voce tra loro chi veramente aveva diviso le loro vite.
Lasciar andare Jesse era una delle cose più difficili che aveva fatto. Quando si erano rincontrati a casa, dopo il matrimonio di Kurt e Blaine, lei stava preparando le valige. Appena aveva sentito la serratura scattare le si era formato un cumolo di saliva amaro in gola, impossibile da mandare giù.
«Si può sapere perché te ne sei andata così? Mi hai costretto a prendere i mezzi pubblici per tornare a casa! Io, nei mezzi pubblici! Hai idea di quanto sia stato umiliante?», aveva detto spazientito.
Appena si era accorto di ciò che la ragazza stava facendo, le si era avvicinato e le aveva posato le mani sulle spalle. «Non sei obbligata ad andartene.»
Quel tocco tanto familiare e che aveva accettato per diverso tempo, in quel momento le era apparso sbagliato, nonostante il calore che le provocava. «Invece sì, devo.»
Aveva preso gli ultimi vestiti e li aveva infilati nella valigia per poi richiuderla.
«Noi possiamo sistemare tutto», erano parole lasciate tra loro che aleggiavano nell'aria della camera da letto condivisa per mesi. Si erano amati, lì. Eppure, persino Jesse sapeva che non era più possibile e che il loro tempo era terminato.
«Non ti ho amata abbastanza. Non nel modo che meritavi, non sono mai riuscito a farlo», il ragazzo aveva buttato fuori l'aria rimasta nei polmoni. «Resta tu, Rachel.»
«Ti ho amato anch'io», gli aveva detto in un soffio.
«Non quanto ami lui.»
Jesse si era fermato sulla porta e, quando si era voltato, aveva rivelato per la prima volta il suo vero essere. Una lacrima gli aveva solcato la guancia. Quel tipo di sentimento Rachel l'aveva colto solo quando cantava.
Poi se ne era andato, lasciandola sola, nel luogo in cui avevano consumato il loro amore.
Jesse poggiò una mano sulla spalla della ragazza. «Che ti prende, Rachel? Non avrai mica paura?», le sorrise, sornione.
Si diressero verso i posti riservati e si sedettero.
«In realtà, no», affermò sicura e sincera.
Era euforica. Quel momento lo aveva sognato e atteso per anni. Anche il solo essere lì, tra i candidati, era il coronamento di un sogno. Il suo obiettivo finale. Tutte le volte che si era allenata nella sua camera correndo sul tapis roulant mentre guardava il suo planner. Il planner su cui era stilato tutto il suo piano, quello che l'avrebbe portata prima a Broadway e successivamente dritta a quel teatro per vincere il Tony.
Il presentatore annunciò i candidati per la migliore protagonista femminile in un musical, compresa Rachel. Quello era il momento. Ogni cosa poteva concludersi, i suoi sogni coronati. Rachel sapeva che quello era l'ultimo, non avrebbe avuto altre occasioni, non era nemmeno ciò che desiderava: o tutto o niente. Ma in realtà anche il "niente" per lei sarebbe stato tutto.
Lo speaker aprì la busta che gli era appena stata portata e lesse il nome inciso sopra. «E il premio va... a Rachel Berry per Jane Austen Sings!»
Uno dei suoi più grandi sogni si era realizzato. Salì sul palco mentre tutti i suoni risultavano lontani anni luce da lei. Era assuefatta. Il suo ego continuava a gonfiarsi sempre di più, si sentiva fiera e orgogliosa di sé stessa per essere arrivata lì con le sue sole gambe. Nessuna scorciatoia, nessun abbandono quella volta.
Le consegnarono il trofeo e lo tenne fra le mani come fosse oro colato.
Prese un respiro profondo e sputò tutto d'un fiato sul microfono, tra le lacrime che minacciavano di uscire, stringendo il suo pancione: «Vi ringrazio infinitamente per questo premio.
«Ringrazio i miei papà per avermi cresciuta a lezioni di danza, di canto, di teatro.
«Ringrazio il mio migliore amico, Kurt Hummel», la voce le si incrinò quanto bastava a farla fermare. Prese un respiro, nel tentativo di arrivare quantomeno alla fine.
«Ringrazio i miei amici del Glee club che mi sono stati a fianco nelle glorie come nelle sconfitte e il direttore del musical che mi ha sempre sostenuta.
«Ringrazio la stella che veglia sempre su di me.
«Ringrazio il professor Will Schuester senza il quale non sarei qui. Lui ha scoperto il mio vero talento ancora prima che potessi rendermi conto io stessa delle mie capacità e potenzialità.
«All'inizio, ero solo una ragazzina con tanti sogni e una voce che premeva per uscire. Lui l'ha canalizzata nella giusta direzione e non ha mai smesso di credere in me. Questo premio lo dedico a lei, professore.»
Scese dal palco come la persona più appagata della terra con la standing ovation che tanto amava udire, nella certezza che sarebbe stata l'ultima.
Rachel aveva vinto.
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