Capitolo Due - Parte seconda
Le scelte bisogna farle per coraggio, e non per paura.
Settembre 2015
Era a Lima da poche ore e ancora non era riuscita a posare la valigia e farsi una doccia rigenerante. Appena il taxi si fermò nel vialetto, un po' del peso che giaceva in lei da mesi le si spostò dallo stomaco. Casa.
Infilò le chiavi nella toppa, e aprì la porta di quella che era stata la sua dimora per diciassette anni non stupendosi di trovarla proprio come l'aveva lasciata.
Mentre osservava i suoi anni appesi alle pareti tra foto con gli amici e parenti e trofei di danza e canto appoggiati agli scaffali, suo padre varcò la soglia della stanza.
«Tesoro», disse lui allargando le braccia e stringendola forte. «Grazie a Dio sei qui.»
«Papà dov'è?», chiese preoccupata, guardandogli le spalle senza intravedere nessuno. «Che succede?»
Fu allora che Rachel notò i colori della stanchezza sotto i suoi occhi e le rughe che, amiche del tempo, gli marcavano il viso. Quand'era l'ultima volta che lo aveva visto? Pochi mesi prima l'aveva sentito con la videochiamata, eppure sembravano anni.
«Amore, io e tuo padre stiamo divorziando», rispose semplicemente, sedendosi sul letto a baldacchino.
Non traspariva emozione dalla sua voce. Ma a uno sguardo attento non sarebbero sfuggiti i suoi occhi perlacei nel professare tale notizia.
«No, non è possibile!», imprecò Rachel, con le lacrime che minacciavano di uscire nuovamente. «Sono morta e sono finita all'inferno.»
Portò lo sguardo al soffitto, nella speranza che quel gesto potesse aiutarla a ricacciare le lacrime da dove erano venute.
«Le cose tra di noi erano complicate già da tempo. Abbiamo deciso di aspettare a dirtelo finché non fossi uscita dal tuo isolamento, già avevi tanto a cui pensare», Rachel annuì debolmente. «Ne riparleremo comunque.»
Quanto? Quanto le persone avevano sofferto, mentre si isolava pensando che la sua vita fosse finita per una serie tv andata male?
«Senti», lo fermò prima che uscisse. «Non so ancora per quanto resterò a casa. A te sta bene?»
«Puoi restare con me tutto il tempo che vuoi, ma abbiamo messo in vendita la casa da un paio di settimane», ribatté lui.
Suo padre prese un respiro profondo e prima di uscire dalla stanza disse: «Si dice che bisogna perdere ogni cosa, prima di trovare sé stessi.»
Una cosa era certa: Rachel aveva perso tutto.
Era eccitatissima quel giorno. Aveva curato ogni singola parte del suo aspetto la mattina prima di uscire: dai capelli minuziosamente lisciati, al trucco non troppo eccessivo e all'abbigliamento formale. Voleva apparire autoritaria, senza però incutere soggezione nei potenziali nuovi membri del Glee club.
Il club audio e video li stava aiutando a trasportare fuori le attrezzature che appartenevano all'aula di informatica, approntata, sotto la dittatura di Sue Sylvester, in quella che in precedenza era proprio l'aula di musica. In quello spazio, Rachel racchiudeva tutti i suoi preziosi e più bei ricordi. Sì, anche le litigate con Santana e Quinn.
Sfiorò il pianoforte davanti al quale aveva cantato le canzoni più sentite. La sfida con Kurt sulle note di Defying Gravity che aveva vinto solamente per un errore volontario di Kurt, le sfide Diva con Mercedes, i duetti con Finn, L'ultima canzone cantata per lui al Glee club, Without You, prima della fine del liceo. Prima che uscissero tutti dal bozzolo che era quell'aula, il loro porto sicuro. Quel luogo era ricolmo di speranze, sogni e amore.
La sua vita lì era stata tutto fuorché idilliaca, ma ciò che prevaleva era la sensazione di casa e di calore che emanava. I ricordi più brutti, ma soprattutto quelli più belli, erano proprio lì. La sua voce era cresciuta lì.
Il suo compito, in quel momento, era proprio di riportare quello spazio ai suoi antichi valori per i nuovi membri.
«Grazie a tutti, ragazzi!», cinguettò Rachel. «Il club audio e video e il Glee club hanno sempre mantenuto ottimi rapporti negli anni e conserveremo questa tradizione.»
«Sì, grazie!», esclamò Kurt, che sembrava essere in fibrillazione quanto lei, se non di più. «Promettiamo di imparare tutti i vostri nomi. E anche quelli dei musicisti!»
I ragazzi si guardarono con lampi che attraversavano gli occhi dall'eccitazione per la nuova avventura che erano in procinto di intraprendere. Avevano entrambi il proprio scopo e questo bastava, per ora.
Di ritorno a casa, stava finalmente bene. Certo, qualcosa ancora le mancava, ma il solo fatto di avere un obiettivo la faceva sentire in pace e al tempo stesso entusiasta. Risvegliava in lei la voglia di lottare, la ferocia che tanto la caratterizzava, la voglia di mettersi in gioco e di distinguersi sempre dagli altri.
Qualcosa, tuttavia, le mancava. La tentazione di diffondere la notizia della sua piccola vittoria premeva in lei e c'era solo una persona, in realtà, a cui avrebbe voluto comunicarla. Lui.
Ogni cosa che le accadeva di importante nella vita la voleva condividere con lui. Spesso si era chiesta se questo potesse voler dire qualcosa, ma non era tempo di farlo. L'euforia del momento la portò a non riflettere sulle azioni: prese il telefono e lo chiamò. Lo squillo regolare che fuoriusciva dall'apparecchio quasi le fece scoppiare il cuore dal petto. Dopo un numero di squilli impossibili da contare, e quando ormai credeva che non avrebbe più risposto, la voce di Finn si diffuse nel suo orecchio mettendo fine alle sue sofferenze e facendo sì che riprendesse a respirare.
«Ciao, Rachel», disse apatico.
Il suo tono così distaccato la fece desistere e la ferì leggermente; tuttavia, era troppo orgogliosa per darlo a vedere.
«Ciao, Finn.»
«Tutto qua? Non hai altro da dirmi?», chiese con un'intonazione fin troppo rude.
«No. Tu hai niente da dirmi?»
«Non sono stato io a chiamare!», tuonò Finn spazientito. «Lo hai fatto per dirmi niente?»
Non ha tutti i torti, Rachel.
«Certo che non è così», disse addolcendo la voce nell'imbarazzo. «Volevo solo sapere come stavi. Kurt mi ha detto che non dai gli esami.»
«Rachel», la richiamò con tono accusatore. «Di certo non sei nella posizione di potermi fare la predica.»
«In realtà un po' sì! Io almeno ci sto provando a rimettere in piedi la mia vita.»
«Ah, sì? E come?», chiese deridendola. «Crogiolandoti nella disperazione del tuo appartamento di Los Angeles? Cosa ci stai a fare ancora lì?»
Era tipico di Finn. Quando soffriva, attaccava. Ma non come faceva Rachel, era infimo. Sparava come un cecchino senza dosare il colpo. Sapeva benissimo dove mirare ancor prima di prendere il fucile; semplicemente puntava, sparava e ti massacrava. Sempre.
Rachel incassò la botta, anche perché questa volta era prontissima a reagire.
«In realtà sono in Ohio», approfittò del silenzio creatosi per contrattaccare. «Ho rimesso in piedi io il Glee club. A differenza tua, come vedi, io non mi sono arresa.»
Dall'altra parte, Rachel udiva solo un respiro regolare, così continuò: «Devi ritrovare la strada e mettere la tua vita nella direzione giusta, Finn. Proprio come hai detto di fare a me. Io ci sono riuscita, ora tocca a te», la ragazza prese un respiro profondo. «Ci sentiamo, Finn.»
Attese una risposta che non arrivò mai, così si limitò a chiudere il telefono e a infilarlo nella tasca dello spolverino.
Era sola.
Non potevo non dedicarmi uno spazio tutto mio all'interno di questa storia.
Ho cercato di rendere il più vivi possibili i sentimenti e le situazioni dei nostri personaggi. Spero di esserci riuscito.
Da questo momento in poi faremo insieme dei salti temporali più ampi.
Rachel è decisa a prendere in mano la sua vita. Ma Finn? Sappiamo già che è sempre stato lui quello indeciso sul suo futuro, sempre alla ricerca del suo sogno; lui, in cuor suo, sa già qual è la sua strada. La vera domanda è: riuscirà a seguire ciò che gli suggerisce l'istinto e ad accettarla?
Ci vediamo al prossimo capitolo.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top