Capitolo 34
Jungkook
Ripercorrere le strade di Busan era strano per me: era la città in cui ero nato, ma ci avevo vissuto per così poco da non sentire neppure quel legame.
Ero andato via presto, per scappare dai ricordi. Non avevo mai avuto il coraggio per affrontarli, nonostante periodicamente mi ritrovassi su quella stessa via a ripercorrere quegli stessi identici passi.
Man mano che mi avvicinavo a quella casa, mi sentivo soffocare e la voglia di tornare indietro per fuggire era quasi incontenibile.
Gli hyung, come ogni anno, mi avevano lasciato consapevolmente da solo, sperando di vedermi uscire vittorioso da quella mia impresa personale. Si erano chiusi nelle loro stanze d'albergo per lasciare che il giorno della commemorazione arrivasse in silenzio, ma al minimo messaggio che gli avessi scritto sarebbero accorsi tutti da me.
Da quello stesso giorno di qualche anno prima avevano promesso che mi avrebbero protetto, pur sapendo però che sarei stato io stesso a distruggermi.
Il compito che si trascinavano dietro e che gravava sulle loro spalle era divenuto quasi insostenibile, finché non sei arrivata tu. Dopo di te, l'idea che mi sarei lasciato morire non sfiorò neppure più la mia mente.
Avevi apportato tanti cambiamenti nella mia vita, senza neanche essertene accorta.
Io però sapevo che se mi stavo avvicinando al vialetto di quella casa, era solo grazie a te.
Sapevo che se stavo suonando a quel campanello, era solo grazie a te.
Sapevo che se non stavo fuggendo mentre la porta si apriva, era solo grazie a te.
La voglia di compiere quell'ultimo passo si era insinuata in me dopo il discorso che avevamo avuto pochi mesi prima e, oramai, non potevo più tirarmi indietro.
Avevo deciso che avrei smesso di essere un agnellino bisognoso di protezione.
Così riuscì ad attendere e finalmente una donna minuta, con i capelli corti ingrigiti dall'età e una vestaglia lilla avvolta sopra il pigiama, spuntò sull'uscio della porta.
La guardai a lungo senza sapere cosa poter dire; come uno stupido ero arrivato sin lì senza neanche un discorso pronto. La vidi realizzare e a poco a poco la gioia si accese nei suoi occhietti neri che, presto, divenirono lucidi.
«Jungkook, sei davvero tu?» mi chiese in modo flebile, quasi convinta di avere delle allucinazioni. Una lacrima scorreva selvaggia sulla sua guancia piena senza che lei la asciugasse, come se non se ne fosse accorta.
Mi sentì scaldare vedendo con quanta emozione mi aspettava e non potei fare a meno di sorridere. Poi, la strinsi tra le mie braccia come non facevo da tempo.
«Sì, mamma... Sono davvero io» sussurrai.
Il pianto che nacque dopo le mie parole venne quasi del tutto represso contro il mio petto; mentre le mie lacrime si infrangevano contro il suo fragile capo.
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