CAPITOLO 200
Ma prima ancora che il mio corpo riuscisse a metabolizzare il dolore, prima ancora che la mia mente riuscii a capire cosa stesse accadendo, prima ancora che le lacrime toccarono il suolo, un colpo alla testa svuotò i miei polmoni dall'ossigeno.
Qualcosa ci aveva appena scaraventato in lontananza.
O meglio, qualcuno.
Rivolsi lo sguardo a sinistra: Rubyo era ancora al mio fianco, ma troppo lontano per essere toccato.
A destra, Gideon era accasciato al suolo in forma di Kelpie, l'addome ferito in più punti da quelli che sembravano fori causati da un morso.
Sopra di lui una volpe a nove code di cui mai avrei dimenticato le sfumature del pelo: Nai Nai.
E ora stava ringhiando nella mia direzione.
Le zampe, possenti, avanzavano stabili e indisturbate su quel letto di detriti.
A ogni passo, le scapole appuntivano il dorso e, come vesselli di un esercito, segnavano l'avanzata dell'essere dell'Altro Sole.
La schiena ricurva.
I peli dritti.
Anche in mezzo a tutta quella polvere, il manto di un Rayag rimaneva immacolato, mentre il calore della lava e dell'incendio accendeva di scarlatto i suoi contorni rendendolo l'ennesima fiamma all'interno di quel focolare a cielo aperto.
Le gengive, scoperte, rivelavano le zanne.
Da quelle lame appuntite nate per lacerare la carne e spezzare le ossa gocciolava saliva mista a una sostanza dalle venature argentee: mercurio.
In quell'istante fu come se quella morsa si fosse chiusa attorno al mio cuore, azzannandolo.
Voltai di nuovo la testa a destra, verso Gideon ancora inerme al suolo, verso quei fori che gli puntellavano l'addome sanguinante.
La mia prima intuizione era stata corretta: quella ferita era la conseguenza di un morso.
Del morso di Nai Nai.
La stessa, che non aveva mai distolto gli occhi ambrati da me neanche per un istante.
Era chiaro chi fosse la sua vera preda.
Lo era stato fin dall'inizio.
Dopotutto, non lo aveva mai nascosto.
Era sempre stata così sicura di sé, così convinta di poter avere la meglio contro una debole e fragile essere umana.
E quanto mi sarebbe piaciuto dimostrarle di aver torto.
Quanto mi sarebbe piaciuto alzarmi sulle mie due gambe, correre nella sua direzione e rispondere alla sua ferocia con la mia determinazione.
Eppure, per una volta, non era l'esitazione a fermarmi.
Non era la paura di morire, di morire e lasciare indietro le persone che amavo.
Ma la mancanza di energie.
Di energie, e di un arma.
Feci forza sulla caviglia sana e sugli avambracci.
Calciai le rocce, spinsi i detriti nel tentativo di allontanarmi seppur di qualche centimetro, di accrescere la distanza che ci separava seppur di qualche ciottolo in più.
Ma alle mie spalle avanzava la lava.
Deglutii nel vano tentativo di alleviare la gola arsa dal fumo e dal calore.
L'ennesima goccia di sudore mi solleticò il collo già imperlato.
Ma questa, non fu causata dal calore.
Fu causata dal terrore.
Dalla realizzazione che, davvero, non avevo via di scampo.
Mi permisi l'ultima distrazione, guardando Rubyo alla mia sinistra.
Giaceva ancora immobile, in silenzio.
Se davvero fosse stato così che le cose sarebbero dovute andare, se davvero una delle lacrime della Banshee avesse dovuto appartenere a lui, allora non mi sarebbe dispiaciuto che l'altra fosse dedicata a me... che, quella, fosse stata la mia fine.
Questa volta, non mi sarei tirata indietro.
Avrei guardato la morte in faccia.
Voltai di nuovo lo sguardo verso Nai Nai.
Espirò e l'aria che fuoriuscì dalle narici sollevò una nuvola di polvere.
Dietro, la sagoma di Nai Nai sembrò ingrandirsi.
Una zampa sollevata al cielo.
I miei muscoli si irrigidirono, pronti all'impatto.
Trattenni il respiro, ma non distolsi lo sguardo.
E assistii alla scena.
Un'ombra.
Degli artigli.
Un tonfo silenzioso.
Poi sangue.
Ma non mio.
E quando la polvere ricadde al suolo e il fumo si diradò, tutto divenne limpido.
La visuale.
Quello che fosse appena accaduto.
E le mie mani presero a tremare.
«Non scherzare...» La voce uscì fievole, ovattata da una smorfia che doveva ricordare un sorriso.
Ignorarai il tremore agli arti e lo depositai sul corpo avanti a me.
Era ancora caldo.
Diedi uno scossone.
«Non scherzare, ho detto.» Ripetei.
Ma non ottenni nessuna reazione.
Lo sterno, sotto la mia mano, non si gonfiava.
Così, senza più fiato in gola, osservai quegli occhi ancora aperti ma privi di espressione.
La luce che un tempo avevo visto brillare al loro interno, le venature d'alba che avevano illuminato il suo sguardo fin dal primo giorno che lo avevo incontrato... ora erano tutto scomparso.
Perché? Perché! Avrei voluto gridare, ma sapevo che sarebbe stato inutile.
Inutile fare una domanda a cui non avrei ricevuto risposta.
Inutile fare una domanda di cui, in realtà, sapevo già la risposta.
Perché dopotutto lo conoscevo bene.
Eravamo così simili.
Ed era quello che ci aveva portati all'avvicinarci.
A noi.
Alla distruzione.
Ed era stato sempre grazie all'altro se ci fossimo rialzati senza arrenderci, pronti a combattere un'altra volta.
Eppure in quel momento ci trovavamo lì.
Io inginocchiata tra la polvere.
Lui disteso tra le macerie.
Il mio sguardo indugiava nel suo, vuoto, perso a fissare il momento in cui gli artigli di Nai Nai gli avevano lacerato la pelle, strappato la carne.
Vitrei e immobili capii che quelli, ora, fossero gli occhi di un cadavere.
Un singhiozzo mi sollevò lo sterno e le lacrime, fredde a contatto con l'aria rovente, furono presto asciugate dal calore.
E così come l'anima di quelle lacrime continuava a rigarmi di pulito il volto annerito dalla cenere, una perla solitaria sporcò d'ambra il muso scarlatto di Thui.
Quello che sarebbe dovuto essere il mio destino, la mia morte, la mia lacrima, in realtà, non lo erano mai stati.
E, ancora un'altra volta, non potetti fare a meno che chiedermi perché.
Perché non ci avevo pensato prima?
Thui, grazie al quale avessi capito cosa volesse dire avere un fratello.
Thui, con il quale mi fossi dovuta unire in matrimonio.
Mio marito, la persona che più di tutte avrei dovuto considerare la mia famiglia.
Come avevo fatto a non capire che una, di quelle lacrime, fosse la sua.
Curvai la schiena sul suo petto immobile.
Quando, il suo corpo, era diventato così freddo?
La cassa toracica tremava contro il suo sterno.
I pugni chiusi attorno al suo pelo.
Il dolore, così intenso, non mi permetteva di proferire parola.
Il lutto, così straziante, mi impediva anche solo di chiamare il suo nome.
E poi un grido si liberò nel cielo.
Un pianto, più simile ad un ruggito, scalfì il cielo della prima mattina.
La sofferenza di chi, accecata dalla propria vendetta, avesse appena realizzato di aver ucciso il proprio nipote.
«Tu!» Sentii la voce di Nai Nai gracchiare tra le lacrime.
Torsi il collo, sollevando la testa.
Eppure il corpo ancora non trovava la forza di allontanarsi dal cadavere di Thui.
«Sei come veleno per chi ti sta intorno!»
Accolsi la furia di Nai Nai, interiorizzando il ringhio che le scopriva i denti e le lacrime che le arrossavano gli occhi.
Non aveva torto.
Mia madre.
Rubyo.
Coline.
Tutte le persone che mi avevano aiutato nel corso di quegli anni.
E adesso Thui.
Non ero come veleno.
Ne ero la personificazione.
Una scia tossica che dietro di sé lasciava morte e distruzione.
Ma con il tempo avevo imparato a sopperire a quei sensi di colpa e ora ero scesa a patti, a compromessi, senza venirne più oppressa.
Non potevo lavarmi le mani di una colpa che era, senza dubbio, mia.
Delle persone mi avevano seguite, si erano fidate ed affidate a me, e molte erano morte.
All'inizio non riuscivo ad accettarlo.
Non potevo accettarlo.
O sarebbe stato come ammettere di essere come Marcus.
Di essere come un mostro.
Ma no.
Perché c'era una differenza tra me e mio fratello.
Io non avevo obbligato nessuno.
Io non avevo forzato nessuno a seguirmi, a dedicare la loro vita alla mia causa.
E questo... questo era ciò che Rubyo aveva sempre cercato di farmi capire.
Voltai la testa a sinistra.
Il suo corpo ancora immobile, la lava sempre più vicina.
Grazie Thui, pensai. Grazie per il tuo sacrificio.
Sacrificio, che non avrei reso vano abbandonandomi alla disperazione.
«Meriti di morire!» Furono le ultime parole di Nai Nai.
E proprio in quel momento una leggera brezza fresca mi solleticò il collo sudato.
«Forse, questo, dovrei dirlo io a te.» Mi rimisi in piedi, seppur tutto il peso fosse distribuito su un solo piede.
«Con quale coraggio hai ucciso la tua progenie...» Un Kelpie comparve al mio fianco. «E con quale coraggio hai osato ferire mio figlio?»
«È il mio ultimo gesto di rispetto come moglie di Thui.» Dissi. «No.» Scossi poi la testa. «Lo avrei fatto a prescindere, perché so quanto ci tenesse a te.» E con quelle parole indietreggiai, seppur zoppicante, in direzione di Rubyo. «Non ti ucciderò.»
«Perché sarò io a farlo.» Concluse Aerin, mentre Nai Nai, affranta dal dolore e dai sensi di colpa, si abbandonò al suo destino.
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