CAPITOLO 194

Camminavo.

Nel buio.
Nel silenzio.

L'aria puzzava di ferro.
Mi opprimeva il petto, mi faceva mancare il respiro.

Il terrore mi strinse il cuore.

Conoscevo quel posto.
Ci ero già stata.

Era un luogo in cui non avrei mai più voluto fare ritorno.

Allora perché mi trovavo lì in quel momento?

Volevo fermarmi.
Volevo arretrare.

Ma le mie gambe non riuscivano a far altro se non avanzare.

Sicure.
Instancabili.

Era tutto come l'ultima volta.

Quel sogno.
No, quella visione.

I miei piedi mossero l'ennesimo passo, questa volta non più alla cieca.

Rabbrividii, e un tremore viscido come un millepiedi mi risalì la schiena quando riconobbi quale fosse la sostanza che mi avesse appena bagnato il piede scalzo.

Questa volta non gridai al silenzio.
Non domandai se fossi in compagnia.

Perché sapevo di non essere sola.

Il mio piede venne risucchiato.
Il mio corpo cadde nel buio, nel vuoto.

Sussultai, ma non ebbi paura.

Sapevo cosa mi aspettasse.
Chi mi aspettasse.

Un tonfo e il suolo fu di nuovo sotto di me.

Ignorai il corpo appiccicoso, l'ambra umida e maleodorante che mi bagnava la pelle e i mi impregnava i capelli.

Il respiro era regolare mentre i miei occhi si abituavano al chiarore della nuova luce che mi circondava.

Quando mi sollevai, i movimenti non erano più goffi.
E le gambe ripresero a camminare verso la loro destinazione.

Mi voltai.

Ancora una volta, come orme sulla sabbia, osservai i miei passi risplendere d'ambra sopra quella tela bianca.

Quando rivolsi lo sguardo in avanti, la vidi.

Ma il mio cuore non sprofondò più nello stomaco, perché questa volta sapeva cosa ci fosse ad attenderlo.

Tanya.
La Banshee.

Era difronte a me.
Inginocchiata al suolo.
I suoi palmi rivolti al cielo.

Mi fissava.
I suoi occhi vitrei privi di iride e pupilla.

E due righe di ambra le iniziarono a solcare le guance.
Piangeva.

Due gocce abbandonarono i suoi zigomi.

Una cadde sul palmo destro, l'altra sul palmo sinistro.
Me le porse.

«Chi?» Ebbi questa volta il coraggio di chiedere. «A chi sono rivolte le tue lacrime?»

Non riuscii a non rabbrividire, a non raggelarmi.
Temevo la sua risposta.

Eppure non indietreggiai, non fuggii.
Ma avanzai, mi avvicinai alla sua piccola figura seduta sulla tela bianca.

Non rispose mai a quella domanda.

E io, dentro di me, non seppi dire se fui più sollevata o rattristata davanti a quel suo silenzio.
Perché, dopotutto, potevo ancora continuare a sperare.

Sentii qualcosa nel mio pugno chiuso.

Lo sollevai.
La mano non tremava.

Mossi le dita, schiusi le falangi e scoprii due perle di ambra.

«Quando?» Chiesi.

«Presto.» Parlò, senza che la sua bocca si muovesse.

L'istante dopo, Tanya era scomparsa.

Mi svegliai in silenzio.
Questa volta non sussultai, non annaspai.

Estrassi la mano da sotto al cuscino.
Le dita chiuse in un pugno.

Lo aprii.
Due perle d'ambra.

Serrai la mascella.
Morsi il labbro, pur di non farlo tremare.

Portai quella stessa mano, di nuovo chiusa a pugno, davanti il viso.

Inspirai lentamente.
Espirai.

Una lacrima bagnò il cuscino.

Gli angoli delle labbra scattarono verso il basso.

Riprovai a calmarmi.

Un inspiro.
Un espiro.

Un singhiozzo che non ero riuscita a trattenere.

I miei occhi scattarono verso Rubyo disteso al mio fianco, la paura di averlo svegliato.

Dormiva ancora.

Avrei voluto voltarmi.
Avrei voluto girarmi dall'altro lato e nascondermi.

Ma temevo che qualsiasi movimento avrebbe interrotto il suo sonno.
Doveva riposare, o domani non avrebbe avuto abbastanza forze.

Tramite una corrispondenza segreta, Dollarus e Degorio erano stati aggiornati del nuovo piano e di come l'attentato fosse previsto per la vigilia della festa Imperiale. 

Non seppi dire se per vendetta contro Markus o per riscattarsi dai suoi peccati e sensi di colpa, ma il collezionatore di pietre aveva deciso di offrire il suo aiuto per tenere occupati i Rasseln dopo che Gideon l'avesse liberato.

Due anni fa, avrei giurato che Degorio non avrebbe mai combattuto al mio fianco.
Ora, le circostanze avevano creato un'insolita alleanza tra noi.

Con la mano libera, cercai la boccetta di vetro che avevo messo nella federa del cuscino.
Fortunatamente, era ancora lì.

Era stato Gideon a procurarmela, sotto consiglio di Dollarus.
Si trattava di una qualche sostanza immobilizzante, che avrebbe reso il mio compito più facile.

Trovare la spada nella camera di Markus.
Ucciderlo.

Mi raggomitolai su me stessa.
Il pugno chiuso stretto sul petto.

Le lacrime mi facevano prudere il naso, seccare la gola.
Sentii il bisogno di tossire ma mi trattenni.

Chiusi gli occhi sperando di trovare la pace nel sonno, ma i pensieri ribollivano dietro le palpebre.

Non riuscivo ad accettare come qualcuno, quell'indomani, sarebbe morto.

Le sopracciglia, così corrugate, mi facevano pulsare la testa.

Spalancai gli occhi quando sentii un paio di labbra poggiarsi al centro della mia fronte.

«Rubyo.» La voce mi uscì spezzata.

«Un altro brutto sogno?» Domandò, avvicinando il suo corpo al mio. 

Cedetti.
I singhiozzi così forti che fui costretta a sedermi.

«Quanto vorrei che lo fosse.» Gli porsi il pugno chiuso, rivelando il palmo. «Ma è la realtà.» 

Anche Rubyo rinunciò alla posizione comoda, sollevandosi per analizzare meglio ciò che gli avessi mostrato.

«È ambra.» La sua voce priva di emozioni.

Annuii.

Seduta al centro nel letto, nel cuore della notte, raccontai a Rubyo di Tanya e delle Banshee, di come la sua Tribù fosse stata sterminata e di cosa significassero quelle piccole sfere nella mia mano.

Non fece mai domande.
Non mi diede mai fretta.

Lasciò che la velocità con cui parlassi venisse scandita dal ritmo dei miei singhiozzi, delle mie emozioni.

Ogni volta che mi fermavo, mi abbracciava sempre più forte, stringendomi a sé.

«Rubyo, ti prego!» Esplosi alla fine. «Non combattere domani!» Lasciai che le perle scivolassero tra le pieghe delle coperte, gettando le braccia attorno al suo collo.

Sentivo andarmi in pezzi.
Il cuore.
La ragione.
Il mio stesso corpo.

Tutto era sul punto di andare in frantumi.

Ad ogni singhiozzo, il mio petto si strofinava contro al suo.

«Ti amo.»

Un tempo, neanche sapevo il significato di quelle parole.
Un tempo, neanche pensavo sarei mai stata in grado di provare quell'emozione.

Eppure dentro di me lo avevo sempre amato.
Ancora prima di saperlo.
Ancora prima di capirlo.

Era la prima volta che pronunciavo quelle parole.
Non volevo fosse anche l'ultima.

Mi pentii di non averlo fatto più spesso.  

Sentii la sua pelle calda sotto il raso untuoso della veste.
La schiena rigida contro le mie mani.
Le braccia forti dietro la mia schiena.
Il respiro regolare sul mio collo.

Quanto avrei voluto che il tempo si fermasse in quel momento per sempre.

Desiravo imprimere nella mia mente e nel mio corpo ogni suo dettaglio, ogni minimo particolare.

Ma poi la sua presa attorno alla schiena divenne meno salda.
Le sue mani, sulle mie spalle, mi spinsero lontano da lui.

Ci fissammo.

Nel buio di quella stanza, i nostri occhi si trovarono a vicenda.

E ci fissammo.

I suoi tremavano, vitrei.

«Ti prego non seguirmi domani.» Le parole mi tremavano sulle labbra, le emozioni mi bagnavano le guance. «Non voglio che tu muoia.»

Mi sembrò di riessere tornata bambina.

Fragile.
Insicura.

Ciò che le mie parole non riuscivano ad esprimere lo facevano le mie lacrime.

Quando il suo pollice mi asciugò il viso, furono le sue guance a cominciare a rigarsi.
Fu come se, ancora un volta, Rubyo si fosse preso carico del mio dolore.

Scossi la testa, incapace di parlare.
Non ricordavo l'ultima volta in cui lo avessi visto piangere così chiaramente.

Forse non lo avevo mai fatto.

Portai entrambe le mani al suo volto, asciugandolo con i polsi.

Potevo sentire il battito del mio cuore fremere contro il suo volto.

«Lyra.» Mi chiamò, e mio mi chiesi quante volte avrei ancora sentito la sua voce pronunciare il mio nome. 

Raccolse una mia mano, stringendola al viso.

«Qualunque cosa accadrà domani...» Il calore della sua pelle attraversava la mia, facendomi formicolare il palmo. «Il mio posto è sempre stato accanto a te, anche nella morte.»

Sollevai il bacino dalle coperte.
Il letto si infossò sotto il peso delle mie ginocchia che puntellavano il materasso.

Se del domani non c'era certezza, se il giorno dopo avrei rischiato di perderlo...
Quella sera mi sarei assicurata che il mio passato non mi avrebbe lasciato nessun rimpianto.

Lenta, lo baciai.
E ad unirsi non furono solo le nostre labbra, ma anche le nostre lacrime.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top