CAPITOLO 183
«Markus.»
Con un gesto impercettibile della mano, impedii a Rubyo di uscire dalla stanza, mentre continuavo a fissare come, seduto su una sedia in legno, il mio incubo se ne stesse al centro del ponte di comando.
Dietro di lui, c'era Aerin.
Soffiai una risata di scherno quando i nostri sguardi si incrociarono.
Dentro di me, me lo aspettavo, eppure speravo che non sarebbe caduta così in basso.
Ma mi sbagliavo.
E per un attimo pensai che anche il figlio, in piedi al suo fianco, fosse coinvolto in un qualche modo con quei piani perversi.
Dopotutto non sarebbe stata una novità.
Ma quando notai lo sguardo sul suo volto, l'incredulità dei suoi occhi, allora capii che, esattamente come noi, anche Gideon fosse una pedina di quei giochi vendicativi.
Osservava in silenzio Degorio, Dollarus e la sua ciurma legati e imbavagliati all'albero maestro.
Che mossa meschina.
«Ti stavo aspettando...» Markus, come un bambino geloso, riportò la mia attenzione su di lui.
«Ma ci hai messo più tempo del previsto.» Si alzò.
«Non pensavo che il capitano bastardo più abile dei Regni non fosse, dopotutto, così abile.»
Continuava a fissarmi, incurante della presenza di Dollarus come se, nonostante quelle parole fossero rivolte a lui, l'omino non fosse presente in quel momento.
«Così ho pensato di venirti in contro e farti una sorpresa.»
I piedi iniziarono a muoversi nella mia direzione.
«Ti è piaciuta?» Sorrise, ma quegli occhi neri di pece rimasero vuoti da qualunque emozione.
«Pensavo di averti già fatto capire cosa ne pensi delle tue sorprese...» Mi irrigidii, ma cercai di non farlo notare.
Sembrava che quella sua ossessione nei miei confronti fosse aumentata dall'ultima volta che ci fossimo visti.
Potevo quasi sentire il suo fiato sul mio collo.
Ma se da un lato ciò mi spaventava, bloccandomi il fiato in gola come aveva sempre fatto, in quel momento riuscii a scorgere qualcos'altro in me.
Un'altra emozione, un nuovo livello di consapevolezza, mi aveva donato una visione del tutto nuova.
Perché se adesso il suo desiderio di controllo nei miei confronti era maggiore del solito, ciò poteva solo indicare come con il tempo, con la solitudine, Markus avesse realizzato che io potessi sfuggirgli, che io potessi scappare, nascondermi e non farmi trovare.
Che non sarei stata più succube di lui e della sua ombra.
Perché anche io avrei potuto vincere quel suo nascondino perverso che andava avanti da tutta la vita.
E come mi venisse in contro in quel momento, come sentisse il bisogno di accorciare la distanza tra i nostri corpi nonostante mi avesse in pugno, era la prova a conferma della mia tesi.
Aveva paura.
Anche Markus, dopotutto, aveva paura.
Paura alla consapevolezza che i miei presentimenti potessero avverarsi.
Un ghigno mi comparve sul volto.
Non mi curai di nasconderlo.
«Anche se devo ammettere che questa volta mi ha fatto comodo che mi sia venuto a prendere a metà strada.» Continuai e qualcosa, nei suoi occhi, cambiò.
Una luce, uno scintillio quasi impercettibile.
Forse, il bagliore di una nuova illuminazione.
E per un momento, sembrò come se qualcosa lo avesse divertito.
Divertito davvero.
«Ho saputo del tuo matrimonio.» Decise di interrompere l'avanzata, tornando a sedersi sulla sedia. «Mi sarebbe piaciuto così tanto darti la mia benedizione di persona.»
Con la mano opposta, iniziò, dito per dito, a togliersi il guanto.
«Se solo me lo avessi detto...» Osservai l'accessorio cadere sul legno umido del ponte di comando.
Ma così come il tessuto cadeva aperto al suolo, le dita di Markus si chiusero attorno al mio collo.
Sussultai, il cuore in gola, il respiro bloccato nei polmoni.
La mia mano, scattante, seguii il movimento della sua prima ancora che la mia mente potesse realizzarlo.
Un vano tentativo di liberarmi da quell'improvvisa morsa.
Come aveva fatto a percorrere i metri che ci separavano in così pochi secondi?
Non lo avevo neanche notato muoversi.
Non era mai stato così.
Era cambiato.
Quanto, in lui, c'era ancora di umano?
L'istante dopo il polso dell'appendice nera di Makrus venne afferrato da un'altra mano.
Una mano di cui più e più volte mi ero soffermata a studiarne il colore, le venature.
Rubyo.
Furono i miei occhi a chiamare il suo nome, la mia voce ancora ovattata da quella presa.
«Questa sì che è una sorpresa.» Disse Markus.
Il suo sguardo non più fisso nel mio, per la prima volta da quando aveva messo piede sulla nave.
«Ti credevo morto.»
«E io ti voglio morto.» Rubyo rispose a tono. «Ma la vita non va mai come vorremmo.»
«Come darti torto.» Gli sorrise, e il modo in cui gli angoli delle labbra si arricciarono fu raccapricciante.
Con il resto del volto così inespressivo, fu come se qualcuno stesse tirando dei fili invisibili che gli erano stati cuciti alle labbra, forzando quella smorfia sul suo viso.
«Lasciali stare!» Gridò Gideon alle sue spalle.
«Stai zitto tu.» Laconico, non si degnò neppure di voltarsi nella sua direzione.
«Sono stanco delle tue inutili lagne.»
Vidi, oltre la spalla di Markus, Gideon dimenarsi nel tentativo di liberarsi dalla presa di Aerin.
Le loro sagome sempre più sfocate.
«L'unico motivo per cui sei ancora vivo è che io, a differenza tua, mantengo le promesse e ora sto tenendo fede a quella fatta a tua madre.»
Come sfogo a quelle parole di sfida, la presa attorno al mio collo si rafforzò.
E la pressione alla testa si fece sempre più pesante.
La mia presa attorno al polso di Markus sempre più debole, quella di Rubyo sempre più forte.
Gideon arrestò qualsiasi tentativo di opposizione alla madre.
«Allora che ne dici di un'altra di promessa?» La sua voce tremò nella direzione di Markus. «In cambio della loro salvezza.»
Indicò me e Rubyo.
Quei fili invisibili si tirarono di nuovo, questa volta arricciando uno solo degli angoli della bocca.
«Non ho alcuna intenzione di ferire mia sorella.»
E, come prova delle sue parole e buone intenzioni, lasciò finalmente la presa.
Mi accasciai al suolo, tossendo, mentre Markus mi volgeva le spalle, finalmente intento ad osservare il suo interlocutore.
«Allora in cambio della salvezza della guardia.» Continuò Gideon.
Raramente lo avevo visto così disperato.
«E cosa potresti darmi mai, in cambio?» Vidi Markus iniziare a stuzzicarsi gli artigli neri.
Sarebbe stata quella la mia occasione.
Sarebbe stato quello il momento perfetto, quell'attimo di distrazione in cui avrei potuto finalmente ucciderlo.
Estrassi la spada.
La mano salda sull'elsa, il ritmo costante del cuore nel petto.
Era un bastardo.
Dovevo solo colpire il lato giusto del petto e tutto sarebbe finito in fretta.
Sollevai l'arma.
Presi la mira.
«Quella!» Gideon mi indicò.
No. Non indicò me.
Indicò la mia spada.
E in quel momento Markus si voltò di nuovo nella mia direzione.
Strinsi l'elsa così forte da sentir dolore quando le gemme spinsero contro la carne.
Markus mi aveva colto in flagrante: io intenta ad ucciderlo, eppure non sembrava minimamente turbato da quella visione, come se quella che stessi impugnando altro non fosse che una spada smussata di legno.
«E che cosa dovrebbe avere di speciale quella spada?» Lo sguardo di Markus era fisso sull'arma, un sopracciglio alzato con fare inquisitorio.
Era l'espressione più delineata che gli avessi mai visto in volto.
Guardai Gideon, la speranza che i miei occhi gli comunicassero di tacere.
«Il diritto al trono.»
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