CAPITOLO 182

LYRA'S POV

Camminavo.

Nel buio.
Nel silenzio.

E per quanto non sapessi come fossi finita in quel posto, le mie gambe non riuscivano a far altro se non avanzare.

Sicure.
Instancabili.

Come se conoscessero la mia meta, la mia destinazione.
Come se oramai questa fosse vicina.

E così proseguii alla cieca con l'ennesimo passo, mentre l'aria pesante mi opprimeva il petto, mi faceva mancare il respiro.

Puzzava di ferro.

Finalmente mi fermai.

Rabbrividii.
Qualcosa mi aveva appena bagnato il piede scalzo.

E un tremore, viscido come un millepiedi, mi risalì la schiena.

«C'è nessuno?» Gridai al silenzio, ma fu solo l'eco della mia stessa voce a rispondermi.

Allora le mie gambe ripresero il loro moto perpetuo.

Sussultai, il cuore in gola e lo stomaco chiuso.

Qualcosa stava risucchiando il mio piede.

Qualcosa di umido, maleodorante, mi bagnava la pelle, i capelli.

Poi il mio corpo cadde nel buio, nel vuoto.

Un tonfo.

Ora potevo di nuovo sentire qualcosa sotto di me.

Ma il respiro era pesante, il corpo appiccicoso.

A fatica riuscii a riaprire le palpebre e il chiarore del bianco che mi circondava mi accecò.

Ci volle qualche istante prima che mi abituassi a quella luce.

Mi sollevai dal suolo, i movimenti goffi.
Poi le mie gambe ripresero a camminare verso il nulla.

Mi voltai.
Anche alle mie spalle c'era il vuoto.

Il vuoto, riempito da un unico dettaglio: impronte.

Più proseguivo più lunga diventava la fila di impronte che i miei piedi si erano lasciati dietro di sé.

Come orme sulla sabbia, i miei passi risplendevano di ambra sopra quella tela bianca.

Voltai di nuovo lo sguardo in avanti e il mio cuore ciò sprofondò nello stomaco.

Era difronte a me.
Inginocchiata al suolo.
I suoi palmi rivolti al cielo.

Era una bambina.

No, non era semplicemente una bambina.

Era Tanya.
Era la Banshee.

Poco dopo averla portata nella Tribù di Thui era scomparsa.
All'improvviso.
Senza lasciare alcuna traccia.

E nessuno si era disturbato di cercarla.

Ma adesso appariva così, davanti a me.

E mi fissava.
I suoi occhi vitrei privi di iride e pupilla.

E due righe di ambra le iniziarono a solcare le guance.

Piangeva.

Ma chi?
A chi erano rivolte le sue lacrime?

Due gocce abbandonarono i suoi zigomi.

Una cadde sul palmo destro, l'altra sul palmo sinistro.

E me le porse.

Rabbrividii.
Mi raggelai.

Indietreggiai, scuotendo la testa.

Sapevo cosa quel gesto volesse dire.

«Non le voglio.» Continuai la mia ritirata.

«Non puoi scegliere.» Parlò, senza che la sua bocca si muovesse.

«Io non maledico.» Chiuse i palmi, lasciandoli ricadere sulle cosce. «Io predico.»

E in quel momento sentii qualcosa nel mio pugno chiuso.

Lo sollevai.
La mano tremante.

Mossi le dita, schiusi le falangi e scoprii due perle di ambra.

«No!» Urlai, gettandole al suolo.

E il candore inglobò quelle piccole sfere aranciate.

Sollevai lo sguardo: Tanya era scomparsa.

Dovevo andarmene da lì.

Dovevo uscire.

Mi voltai in ogni direzione.

Nessuna porta.
Nessun varco.
Nessuna uscita.

Non c'era via di fuga.

«È solo un sogno!» Gridai, la gola che bruciava.

«È solo un sogno!» Ripetei.

«È solo un so-»

«-gno.» Mi svegliai di scatto, il battito accelerato.

Ignorai la voce di Rubyo al mio fianco, il modo in cui stesse chiamando il mio nome.

E al ricordo ancora così vivido di quelle gocce d'ambra, la prima cosa che feci fu guardarmi i palmi.

Ansimavo, mentre le mani di Rubyo mi spostavano i capelli appiccicati alla fronte imperlata di sudore.

Nulla.
Nelle mie mani non c'era nulla.

Quelle perle colorate non c'erano.
Ovvio che non c'erano.

Il mio respiro iniziò a stabilizzarsi.

Era davvero stato un sogno dopotutto.
Un incubo.

Sicuramente era stata colpa della conversazione della notte prima con Rubyo, della tensione accumulata in quegli ultimi giorni.

Deglutii incrociando finalmente lo sguardo con quello di Rubyo.

Scossi la testa. «Va tutto bene.» Accennai un sorriso. «È stato solo un brutto sogno.»

Rubyo mi strinse a sé, strofinandomi la schiena.

«Quando ti sarai calmata...» Iniziò. «raggiungimi sul ponte di comando.»

Mi baciò la guancia.

«Vado a controllare come procede la traversata.» Sorrise, facendo per alzarsi.

«È tutto troppo tranquillo.» Oramai aveva già raggiunto la porta, la mano chiusa attorno al pomello.

Scattai.
Anche la schiena di Rubyo si irrigidii.

Era tutto fin troppo tranquillo.

La sua presa si ritrasse lentamente.

«Quando avremmo dovuto raggiungere la costa?» Domandai, per avere conferma.

«Non prima di questo pomeriggio.»

Deglutii, osservando il modo in cui il ritmo regolare delle onde faceva oscillare l'imbarcazione.

«Allora perché siamo fermi?»

Rubyo afferrò nuovamente il pomello, ma lo interruppi nuovamente prima che potesse aprire la porta.

«Cosa credi di fare?» Mi accigliai. 

Mi ero illusa nello sperare che avesse perso il brutto vizio di immolarsi in qualunque situazione.

«Controllo cosa diamine è successo e guadagno tempo.»

Lasciai la presa attorno al suo polso.

«Senza neanche un'arma?»

Fu a quelle parole che Rubyo si voltò nella mia direzione, rinunciando a qualunque tentativo di scoprire cosa ci fosse al di là di quella porta chiusa.

«Sai che non poss-»

Gli colpii il petto con l'elsa della spada.
«Allora spostati e fammi passare.»

Afferrai il pomello, rigirandolo fin quando la porta non si aprì con uno scatto.

Ero irrequieta.

Tutto ciò che era successo in quei giorni... per non parlare del sogno che avevo appena fatto.

Non credevo che Tanya avesse davvero predetto la morte di qualcuno a me caro, eppure non riuscivo a stare tranquilla.

A breve avremmo dovuto combattere una guerra e non avevo intenzione di rischiare le vite di nessuno prima di quel momento.

In particolare quella di Rubyo.

Ma ciò che i miei occhi videro non appena uscii dal sottocoperta mi fece convincere di come, ancora una volta, i miei piani non sarebbero andati come sperato.

Nulla, della mia intera vita, era mai andato come sperato.

Eppure avevo creduto che quella volta, almeno la volta in cui avevo deciso di correre in braccio al mio destino, le cose sarebbero andate come pianificato.

Ma come Rubyo mi aveva insegnato, il destino non esisteva, e l'unica cosa a cui stavo cercando di andare in contro erano i miei incubi.

Incubi, che mi avevano raggiunto anche da sveglia, prima che fossi io a trovare loro.

Avevo appena confermato di essere, ancora una volta, la pedina di quel perverso nascondino.

La presa sull'elsa divenne più forte e le mie labbra si schiusero in una sola parola: «Markus.»

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