CAPITOLO 181

RUBYO'S POV

«È successo tutto il giorno in cui ho scoperto del tuo matrimonio.»

Quell'unica frase bastò a smuovere in me sentimenti che pensavo aver già affrontato, sofferenze che mi ero illuso di aver superato.

«Ricordo facesse particolarmente freddo per essere ancora autunno.»

Ma la freddezza che in quel momento avvolse il mio cuore, nulla aveva a che fare con la temperatura di quel ricordo o di quella stanza.

«Sono andato in un'osteria... per annegare le mie pene.» Sforzai un sorriso, consapevole che Lyra mi stesse guardando.

Eppure io, steso a pancia in su e con lo sguardo rivolto verso il soffitto, non riuscivo a trovare la forza di guardarla negli occhi.

Perché l'unico motivo che mi aveva impedito di parlargliene prima, l'unica emozione più opprimente della tristezza in quel momento, era la vergogna.

La vergogna di quello che fossi diventato per un periodo.
La vergogna di quanto avessi errato, cambiando sì, ma trasformandomi in un uomo peggiore.

«Ho bevuto molto quella sera, troppo.»

Ma perfino quel lato era una parte di me che non osavo nasconderle, una parte che per quanto ripugnassi, sentivo necessario condividere.

Forse per redimermi.
Forse per farmi perdonare.

O, forse, per allontanarla.
Perché, dopotutto, ancora non mi sentivo degno del suo affetto.

«Ho visto delle guardie imperiali sedute ad un tavolo, poco più in là.»

Chiusi gli occhi e l'immagine dei loro volti beffardi e atteggiamenti spavaldi mi annebbiò la mente.

Avevo perso il conto di quante volte avessi rivisto con gli occhi dei ricordi quella scena, eppure il disprezzo che provavo non si era mai attutito.

«Mangiavano e bevevano nonostante fossero in servizio.» Non riuscii a trattenere una risata amara.

Ma che quel disprezzo fosse per loro, o per me, non riuscivo ancora a capirlo.

«Mi sono alzato, li ho insultati e sfidati a battersi contro una vera guardia imperiale.»

Questa volta l'amarezza sul mio viso si fece così chiara, che nonostante fossimo al buio sentii il bisogno di nascondermi il volto dietro l'avambraccio.  

Perché quel disprezzo, presto si era trasformato in rabbia, e quella rabbia in invidia.

Invidia per quello che erano.
Invidia per la loro posizione.
Invidia perché non si rendevano conto di quanto fortunati fossero ad avere quel titolo.

Almeno quel titolo.

Perché la verità era che, allora, ancora non riuscivo ad accettare come, oltre a Lyra, anche quell'unico privilegio mi fosse stato tolto.

La mia identità, la mia persona, erano state distrutte in un solo, unico momento.

Ma non potevo farne una colpa a Lyra. No, non riuscivo a fargliene una colpa.

Sapevo con quali intenzioni mi avesse allontanato, sapevo con quali emozioni lo stesse facendo.

E probabilmente quel giorno, in quell'osteria, avevo cercato solo una scusa, un capro espiatorio, per alleviare quelle pene, quelle colpe di cui io solo potevo essere responsabile.

«E così mi sono scavato la fossa da solo, rivelando alle guardie imperiali la mia vera identità.» La voce mi uscì più tremante di quanto avessi sperato.

Certo, come potevo credere di essere capace di mentire a Lyra?

Come potevo credere di essere in grado di parlare di vera identità, quando mi ero sentito così perso?

Abbandonai quel vile tentativo di nascondere me e la mia vergogna, scoprendomi nuovamente il volto e riaprendo gli occhi.

Le assi scure sopra la mia testa mi riportarono alla mente quelle del pavimento dell'osteria.

Sporche di sangue.
Puzzolenti di bevande rovesciate.

Mai del legno mi era sembrato così freddo contro la mia pelle.

Più freddo perfino della lama della spada abbandonata che aveva giaciuto difronte a me, dopo che avessi disarmato l'ennesima guardia.

E con quei ricordi venne anche il sapore ferroso della saliva nella mia bocca, il ronzio nelle mie orecchie ed il pulsare della mia testa.

Ma tutte queste erano immagini che non c'era alcun bisogno Lyra conoscesse.

Serrai la mascella.
Come osavo sottovalutarla? Non era più una bambina da proteggere.

No, non lo era mai stata.

Era sempre stata una guerriera, una combattente, pronta ad affrontare qualsiasi ostacolo.

Perché mi ostinavo a omettere i dettagli più cruenti dei miei ricordi?

Ma forse, a voler proteggere, questa volta, non era Lyra, ma la mia stessa immagine, l'idea che lei avesse di me.

«Quella sera sono riuscito a batterli, ma hanno iniziato a seguirmi per settimane.»

E ora che rivivevo quegli avvenimenti, per quanto mi sforzassi di raccontare solo lo stretto necessario, di filtrare le informazioni, non riuscivo a non pensare a quanto ipocrita risultassi.

Perché proprio io, che le avevo insegnato come difendersi, come agire e combattere, rimproverandola per anni e anni, finché non avesse imparato correttamente... proprio io ora avevo commesso l'errore di un novellino, ignorando i più basilari degli insegnamenti.

Sentii Lyra irrigidirsi al mio fianco, la sua mano cercare la mia sotto le coperte.

Le andai incontro, stringendola.
La paura di perderla era forte, alimentata da questa storia che avrei preferito dimenticare.

E ancora una volta, il me codardo non ebbe il coraggio di rivelarle come, in quel momento, realizzai che finché ci fosse stato qualcun'altro a proteggerla, non avevo più motivo di temere la morte.

Perché mi sarebbe bastato saperla sana e salva, per rendere le mie notti più tranquille.

Era stato probabilmente allora che avevo iniziato a dormire meglio, a credere che, se qualcuno mi avesse ucciso nel sonno, sarebbe stato il destino.

La presa attorno alla mano di Lyra si fece più salda.

Era sempre stata così piccola?

Che sciocco che ero stato, a credere nel destino.

Proprio io che non lo avevo mai fatto, proprio io che avevo insegnato a Lyra di non farlo...

Proprio io, ancora un'altra volta, stavo cedendo all'ennesima trama illusoria pur di consolarmi in un qualsiasi, disperato modo.

«C'è una cosa che devi sapere.» Dissi. «Ho incontrato Markus.»

Lyra scattò al mio fianco, raddrizzandosi a sedere.
Il mio cuore vacillò.

Quanto avrei voluto stringerla a me, ma se solo lo avessi fatto, non sarei stato più così certo di riuscire a finire quel discorso.

Ma quei suoi occhi, così tremanti nei miei... raramente l'avevo vista così spaventata.

«Rubyo-» La sua voce chiamò il mio nome. «Perché me lo hai tenuto nascosto fino a questo momento?»

Il freddo che aveva iniziato ad insinuarsi sotto le coperte si fece più raggelante e la mia mano cercò di nuovo la sua.

«Non volevo farti preoccupare inutilmente durante le tue nozze.» Mi sollevai anch'io, raggiungendo il suo fianco seduto sul letto.

Non riuscivo a sopportare tutta quella distanza.

«Inutilmente?» La rabbia era seconda solo alla preoccupazione. «Cosa è successo?» Continuò poi. «Cosa ti ha fatto?»

«Mi ha chiesto dove fossi e mi ha elencato tutti i modi in cui si sarebbe divertito con me se non glielo avessi detto.»

L'orrore sul volto di Lyra crebbe.

«Ma io davvero non lo sapevo e anche se così fosse stato, non glielo avrei mai detto.»

Osservai gli occhi di Lyra, le sue pupille tremanti in quel dolce nocciola delle sue iridi.

Mi guardava.
Mi guardava senza proferire parola.

Come se, da un momento all'altro, sarei potuto scomparire un'altra volta.

La mia mano risalì sulla sua guancia, e le mie labbra cercarono le sue, tremanti.

E quando le trovarono, si pressarono insieme così intensamente da fermare ogni trepidazione.

Era come se, per noi, fosse possibile trovare l'equilibrio, la stabilità, solo quando fossimo vicini, insieme, uniti.

E come a seguire il movimento delle nostre bocche, anche i nostri corpi si premettero l'uno contro l'altro, finché non finimmo di nuovo stesi.

Ora il mio sguardo non era più fisso sul soffitto, ma osservava Lyra, stesa sul mio petto ad ascoltare il battito del mio cuore.

«Tuo fratello sapeva che non gli avrei mai rivelato nulla e che piuttosto avrei preferito la morte.» Continuai, rimboccandoci le coperte. 

«E così, pur di sfuggirgli, mi sono gettato da un dirupo.»

Sentii il petto di Lyra gonfiarsi contro il mio ad un ritmo più veloce. 

«E senza un fiume sotto, Markus deve aver davvero creduto che per me non ci fosse alcuna speranza di sopravvivere a quella caduta.»

Deglutii.

Neanche io lo avevo fatto quando avevo compiuto quella decisione.
Anzi, non lo avevo neanche sperato.

Perché, a quel punto, non mi sarebbe importato morire.
Non mi sarebbe importato accorciare una vita vuota e priva di senso.

«E così sarebbe stato se solo i rami non avessero attutito la mia caduta e Degorio non fosse passato da quelle parti per concludere chissà quale affare.»

«Non mi convince.» Sentii la voce di Lyra rimbombarmi nello sterno. «Perché avrebbe dovuto farlo?» Il suo sguardo ora era dritto nel mio, il mento mi puntellava il petto. «Sono sicura che ti abbia riconosciuto, quindi perché salvarti dopo averti quasi ucciso nella sua villa?»

Scossi la testa. «Non gliel'ho mai chiesto.» Depositai la mia mano sul suo capo, come per invitarla ad assumere una posizione più comoda per il suo collo. «E non mi è mai importato, perché qualunque fossero state le sue ragioni, non avrebbe cambiato il fatto che mi avesse salvato la vita.» Iniziai a lisciarle i capelli. 

«Ma lo presi come un segno, una nuova occasione...» che la mia ora non fosse ancora giunta, che la mia vita non fosse vuota, che avessi ancora una missione da portare a termine.

«È stato nei giorni di convalescenza che ho scoperto come Degorio si stesse muovendo in cerca di Dollarus, così ho deciso di seguirlo... per trovarti.»

Un debole fascio di luce si fece strada in uno spiraglio tra due assi del soffitto, segno che probabilmente l'alba fosse già arrivata.

«Ma adesso dormi.» Dissi. «Arrivati sulla terra ferma non avremo più così tanto tempo per riposare.»

Le mie labbra si sollevarono in un dolce sorriso quando vidi Lyra accoccolarsi di più a me, in cerca di una posizione più comoda per dormire.

La avvolsi con un braccio.

«Buonanotte, mia Principessa.»

Con una lieve flessione dell'addome, mi sollevai fino a raggiungere la sua fronte.
La baciai.

Non l'avrei abbandonata mai più.

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