CAPITOLO 178
Nella testa un martello pesante.
Nelle orecchie un fischio costante.
Eppure quando riaprii gli occhi la prima cosa che notai fu come la stanza fosse stranamente vuota.
Le mie sopracciglia disegnarono un angolo più acuto sulla fronte quando tentai, aiutandomi con un braccio, di sollevarmi dal letto.
Sentii la pelle tirare sotto la fasciatura.
Mi toccai la spalla ferita, un graffio che neanche il potere dei Kelpie avrebbe potuto guarire, trattenendo un gemito di dolore.
E così come si ravvivò il bruciore, riaffiorarono anche i ricordi, il modo in cui Thui mi aveva attaccata.
Una gamba dopo l'altra, feci per scendere dal letto.
Ma non gliene feci una colpa, anzi.
Gli ero riconoscente per avermi aiutata a fingere fino all'ultimo.
A fingere di attaccarmi, a fingere la mia morte.
A farmi scappare.
Anche se il prezzo da pagare era stato, inevitabile, il ferirmi.
Eppure, anche allora, si era accertato che quel colpo fosse ben mirato, superficiale.
Tutt'altro che mortale.
E così io ero fuggita e lui non aveva voltato le spalle alla sua Tribù.
Eppure cosa avrei dato per poterlo salutare un'ultima volta.
Ma quel che era fatto era fatto.
E se adesso mi trovavo sottocoperta, nella nave di Dollarus, allora poteva solo voler dire che il mio piano avesse funzionato, che Gideon avesse capito le mie intenzioni.
E che mi avesse salvata, inglobandomi in una bolla d'acqua esattamente come aveva fatto Aerin la prima volta che avessimo varcato i confini del Regno dell'Altro Sole.
Aprii la porta che dava sul ponte di comando, notando come il taglio interno al polso fosse scomparso senza lasciare neppure una cicatrice.
«Sai cosa vuol dire?» Gideon era di spalle, più in là sul pontile, la voce arrabbiata. «Che abbiamo sprecato mesi!»
Era preso in una conversazione con qualcuno che, avanti a lui, non riuscivo a vedere.
«Tanta fatica per nulla!»
Inclinò il busto sul lato, per colpire la balaustra della nave con un pugno.
E solo allora la vidi, la persona con cui stava parlando.
I nostri occhi si incrociarono e notai i suoi, brillanti di smerarlo, riempirsi di stupore.
Eppure non quanto i miei.
«Rubyo?» La mia doveva essere un'esclamazione, ma ero così sorpresa di vederlo lì che risultò più come una domanda.
Al suono della mia voce anche Gideon si voltò.
E con la coda dell'occhio notai come stesse per iniziare a parlare, probabilmente per sapere delle mie condizioni, per chiedermi quanto la ferita facesse o non facesse male.
Ma lo interruppi prima che potesse anche solo cominciare.
«Ti avevo detto di andartene!» C'era dell'astio nel mio tono, eppure la luce sul mio volto delineava chiaramente un'altra emozione.
Gli corsi incontro, le braccia gettate al suo collo.
«Ti avevo detto di andartene!» Ripetei.
La voce risultò ovattata con il mio volto così pressato nell'incavo della sua scapola.
E il pulsare della ferita attorno alla mia spalla quasi smise di bruciare quando sentii la sua mano accarezzarmi la testa.
«Cosa ti ha fatto credere che ti avrei lasciata andare di nuovo?»
Non risposi, godendomi il suono della sua voce, il calore del suo corpo.
«Ora non sono più tenuto a obbedire ai tuoi ordini.»
Sarei voluta rimanere in quella posizione, a crogiolarmi della sua presenza, ma quelle parole mi riportarono alla realtà, scoppiando la fragile bolla di felicità che mi ero costruita.
«E non sei più tenuto neanche a stare al mio fianco, Rubyo!»
Volevo proteggerlo, a tutti i costi.
Aveva già fatto così tanto per me, dato così tanto per me.
E ora che avevo realizzato davvero cosa volesse dire averlo al mio fianco, cosa volesse dire perderlo, non volevo più rischiare la sua vita per la mia.
Sentii la sua schiena curvarsi di più verso di me, la sua testa sempre più vicina.
«Non come guardia...» La voce bassa, il respiro che mi solleticava l'orecchio. «Ma voglio farlo come uomo.»
Ruppi l'abbraccio, indietreggiando di qualche passo.
Il cuore, così rapido, aveva fatto diventare il mio viso paonazzo.
Riuscii a riprendermi solo dopo che i miei occhi incrociarono quelli di Gideon, oscurati da un velo cupo.
In silenzio, lo osservai spostare l'attenzione alle mie spalle finché, voltandomi, non riconobbi Aerin.
Mi accigliai e tutta la gioia e l'imbarazzo di prima sparirono come se non ci fossero mai stati.
Ora, a rimanere, era solo la rabbia.
«Credo che tu mi debba delle spiegazioni.» Dissi e Aerin mi guardò fingendo di non capire. «Sapevi sarebbe successo qualcosa.»
L'attenzione di Gideon sulla madre si fece più pungente.
«È vero, mamma?»
Non mi meravigliavo che neanche il figlio fosse a conoscenza dei suoi piani.
«Così come sapevi che nessuno sarebbe morto...» Continuai. «O almeno non ancora.» Aggiunsi.
E fu allora che lo sguardo di Aerin cambiò, illuminato da una luce più maligna.
«E non ti basta?»
Non ci vidi più.
Il mio corpo reagì prima della mia mente e le mie mani si chiusero attorno alle sue spalle.
«Dimmelo!» Gridai, prima che Gideon potesse intervenire. «Cos'è che sai?»
Sentii Rubyo afferrarmi per la vita, cercando di allontanarmi senza far forza sulle ferite, mentre Gideon, avanti a me, tentava di rompere la mia presa al corpo della madre.
Vidi gli occhi di Aerin lampeggiare d'oro, il legame che ci univa finalmente attivo.
«È stato Markus.» Riuscii a strappare dalla sua bocca solo quelle parole, eppure fu come se ad essere strappato fosse stato il cuore dal mio petto.
La presa di Rubyo attorno al mio bacino non perse la sua forza: sapeva quanto le mie gambe fossero sul punto di cedere.
«Si, è nuovamente opera di vostro fratello.»
Fu un'altra la voce che ci richiamò all'attenzione.
«Markus, il monarca.» Ribadì Dollarus con voce sprezzante, scendendo le scale e allontanandosi dal timone.
A quel nome, a quello stridio di lettere, i miei occhi quasi non si arresero al pianto.
Ma non era la tristezza a smuovere le lacrime, no.
Era l'impotenza, la rabbia difronte alla consapevolezza che qualsiasi cosa avessi fatto, ovunque mi fossi nascosta, non sarei mai sfuggita al suo sguardo, al suo comando.
E in tutti quegli anni non era cambiato nulla.
Di quel perverso nascondino che mi aveva sempre obbligata a giocare sin da piccola, non era cambiato nulla.
Perché era sempre stato lui quello a contare.
Ero sempre stata io quella a nascondersi.
E, prima o poi, la sua ombra aveva sempre oscurato il mio corpo.
«Come?» Fu Rubyo a parlare, ma le mie orecchie quasi non riconobbero la sua voce.
«Questa volta non è sceso a compromessi.» L'omino si sedette sull'ultimo gradino della rampa. «Ha emanato un editto imperiale.»
E il mio peso ebbe definitivamente la meglio sulle mie ginocchia.
Perché quello era peggio che avere una taglia sulla mia testa.
«Il vostro aspetto, il vostro nome...» Una scintilla gli fece brillare gli occhi eterocromi. «Perfino con chi viaggiate.»
Dollarus sorseggiò dalla fiaschetta, e se non avessi saputo quale ne fosse il contenuto, avrei quasi potuto credere che stesse bevendo per dimenticare, bevendo dell'alcol amaro solo per rendere quella realtà più dolce.
«La sorella ribelle, vi ha definita.»
Le schegge del legno umido mi pungevano le gambe, mentre lo sguardo si perdeva in un punto indefinito del ponte di comando.
Con quelle parole non faceva altro che alimentare la diceria secondo cui fossi scappata da palazzo solo per fuggire al peso dei doveri, alle responsabilità del trono.
Con quelle parole non faceva altro che rigirare la popolazione contro di me.
«Spera che voi possiate tornare a palazzo e chiede a chiunque di collaborare.»
E ora nessun posto sarebbe più stato sicuro.
Dal Regno di Nymand, fino al Regno dell'Altro Sole, chiunque sarebbe stato i suoi occhi, chiunque sarebbe stato le sue orecchie e le sue mani.
Non avevo più scampo.
In quel perverso nascondino che era la mia vita, non avevo più alcun luogo dove rifugiarmi.
Allora guardai Rubyo, il suo corpo che sovrastava il mio ancora inginocchiato sul legno.
E nei suoi occhi vidi tutta la strada che avevamo percorso, l'allenamento che ci aveva immobilizzato per giorni, i sacrifici che ci avevano fatto perdere il sonno la notte.
Erano occhi stanchi, affaticati.
Eppure non avevano perso la determinazione di un tempo.
Mi tese la mano.
La afferrai, rialzandomi, e la spada mi batté sul fianco.
Fu allora che capii.
Capii che l'unico modo in cui avrei potuto averla vinta in quel nascondino perverso, era smettere di correre e cominciare a contare.
Non avevo più motivo di nascondermi.
Non avevo più motivo di esitare.
E proprio in quel momento, ci raggiunse al voce di Degorio dal timone.
«Dove andiamo?» Chiese.
Fu allora che mi convinsi, che compii la scelta finale: «Al palazzo.»
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Ebbene dunque carissime discepole, sono felicissima di annunciarvi il mio pensionamento. Abbandono voi, abbandono Royal Thief. Per sempre.
Addio.
No va bene, scherzi a parte, ho deciso che quest'anno anche Royal Thief andrà in vacanza a Natale, ma solo perché ho bisogno di più tempo per scrivere.
Inizalmente avevo pensato di salutarvi la vigilia per augurarvi un buon Natale di ansia e angoscia, ma riflettendoci ho deciso che invece è proprio questo il capitolo perfetto per farvi stare in ansia
✨️tanto quanto basta✨️
Ora parliamo di tempistiche: le mie vacanze di natale dureranno fino a febbraio...compreso? No?
Troppo in là?
Facciamo che nella peggiore delle ipotesi, pubblico il primo venerdì di marzo, se no, in base a quanto riesco a scrivere, potrei ricomparire a sorpresa anche nel corso di febbraio.
Va bene? Mi odiate? Anche io vi odio tutte. Senza eccezioni, a pari modo.
Direi che siamo pari così, no?
Muhuaha, a più o meno presto,
~Destiny_of_the_Soul
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